A kiss with a fist [John/Sherlock]

Dec 26, 2014 02:45

Titolo: A kiss with a fist
Fandom: Sherlock BBC
Pairing: John Watson/Sherlock Holmes
Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes, Greg Lestrade
Rating: arancione/rossastro
Avvertimenti: slash, one-shot, un po' di angst, Sherlock che fa lo stronzetto insensibile

A kiss with a fist

C’era il vuoto ad attenderlo a casa, un vuoto ingombrante, fastidioso, pieno d’accuse, come l’eco dei due spari che gli occupava la mente; salutò la signora Hudson con un breve cenno del capo, un movimento meccanico, come quelli che aveva compiuto da soldato quando, la mente vuota ed il fucile in mano, si era lanciato fuori dal suo riparo di fortuna e si era fatto strada sino alla jeep successiva. Poi l’esplosione, gli spari ed un dolore che gli aveva ricordato che più che un soldato era un medico e prima ancora di essere entrambi era solo un semplice essere umano, una creatura così debole da poter essere spazzata via da un attimo di distrazione, un germe od un semplice oggetto metallico sparato ad una grande velocità.
Ecco, quel vuoto gli faceva lo stesso effetto che all’epoca gli avevano fatto quegli spari: delle fitte al petto, non fisiche quanto mentali, un doloroso groppo alla gola, la consapevolezza che quella fragilità umana si era nuovamente manifestata e - e lui aveva paura ad ammetterlo - forse il destino quel giorno si era abbattuto su quell’irresponsabile che negli ultimi mesi aveva cominciato a considerare più che un coinquilino un amico. Un compagno. Qualcuno che, nonostante il carattere impossibile, era in grado di comprenderlo a modo suo, di farlo stare meglio.
Era l’oggettivazione scientifica che Sherlock faceva del suo male l’elemento di stabilità di John. Era sentirsi spiattellare con tono annoiato e petulante perché il suo mite carattere era diventato misantropo, perché la mano smetteva di tremargli quando abbandonava il pensiero per gettarsi sull’atto, perché determinati discorsi lo mandavano su tutte le furie ed altri, di natura simile, gli erano del tutto indifferenti. Gli sarebbe servito quello, in quel preciso momento: un po’ di sana oggettivazione razionale per le paure che lo stavano assalendo a forza di fissare quel vuoto assordante.
Non sapeva perché Sherlock l’avesse fatto, ma di colpo si era trovato fuori da uno stabile, circondato da poliziotti e dell’altro neanche l’ombra; aveva seguito l’investigazione a metà, il detective era particolarmente restio a presentare i dettagli - comportamento bizzarro, visto che in genere non aspettava altro che dimostrare al mondo quanto fosse intelligente, ma in quanto a bizzarrie John aveva deciso che non si sarebbe più meravigliato di nulla. Ed invece si era meravigliato eccome quando, dopo aver aiutato Sherlock a trovare lo stabile indicato dagli indizi, era stato letteralmente piantato in asso. Come un cane ad aspettare il padrone mentre questi va a fare la spesa. Nient’altro che un cane. E poi, quand’era sopraggiunta anche Scotland Yard - sempre un passo indietro a Sherlock - erano risuonati quei due spari e nessuno era uscito dall’edificio per lunghi interminabili minuti.
Sino a che i nervi di Lestrade avevano ceduto e avevano fatto irruzione nella palazzina, per scoprire nient’altro che un cumulo di calcinacci e nessun corpo, vivo o morto. Nessuna traccia di Sherlock, nessuna traccia di altri esseri umani, niente di niente; superata la sorpresa e la perplessità, l’ispettore non aveva fatto altro che suggerirgli di tornare a casa e di attendere là quel disastro ambulante; forse prima o poi si sarebbe fatto vedere.
Era quel forse che lo terrorizzava, quel forse che era sorto spontaneo nel momento stesso in cui aveva udito gli spari; ed ora, per cercare di sfogare il nervosismo, non poteva fare altro che misurare a passi lenti il soggiorno, gettare occhiate fugaci al teschio che Sherlock utilizzava come spalla prima di trovarne una capace di parlare - anche se non sempre lo considerava un miglioramento, anzi. Entrò in camera sua, si tolse la giacca, posò la pistola sul comodino; poi ci ripensò e riprese la pistola, la assicurò alla cintura e riprese a camminare. Sbirciò fuori dalla finestra, sulla strada ormai buia, ma non c’era alcun movimento sospetto; andò in cucina ed aprì il frigo, trovandolo desolatamente vuoto se non per un paio di occhi nel portauova ed un barattolo di maionese: la vista di quell’accoppiata non migliorò il suo umore. Passo addirittura in camera di Sherlock, il cui ordine apparente rivelava in realtà un disordine di fondo; ignorando un’infinita serie di abiti che non voleva neanche sapere in che circostanze potesse pensare d’indossarli, tornò in salotto e si lasciò sprofondare sulla sua poltrona, la pistola appoggiata al tavolino.
Si alzò e ripeté nuovamente il giro per tornare sempre e comunque alla poltrona; aveva paura. Paura che Sherlock non tornasse più, paura che arrivasse qualcuno che non era lui, o per annunciargli la terribile notizia o con intenzioni ben peggiori. Controllò che la pistola fosse ben carica e aspettò; dopo qualche minuto - ora? Non lo sapeva dire - si lasciò scivolare in un sonno leggero, agitato, dal quale si risvegliò dopo un paio d’ora, nella sua testa il campanello d’allarme stava suonando. Corse alla finestra, ma quello che l’aveva svegliato era solo l’abbaiare di un cane un paio di strade più avanti.
Troppo stanco e nervoso per dormire, si gettò in poltrona e si prese la testa tra le mani. Cercava assolutamente di non sfiorare col pensiero l’argomento “Sherlock”, ma più si ostinava più falliva; la sua mente sembrava provare una masochistica attrazione per l’argomento “cosa farò ora che Sherlock non c’è più”, uno stadio ben avanzato di accettazione, decisamente lontano da qualsiasi principio di realtà, a cui John ribatteva con forza che quella non era la domanda giusta, perché Sherlock c’era ancora. Perché doveva esserci. Poco importava quanto ticchettasse l’orologio, doveva esserci.

Fu verso le cinque e mezzo del mattino che uno scricchiolio sulle scale mandò una scossa di lucidità alla mente prostrata del dottore; una serie di scricchiolii prolungati che si risolsero in una porta che si apriva ed una faccia da schiaffi che pareva ben riposata ed addirittura gioviale. John non ne poté più, improvvisamente, di tutto. Non ne poté più del sentimento di sollievo che lo travolse né della tensione che ancora gli soffocava l’anima né dell’insopportabile parlantina di Sherlock che, come se non fosse scomparso da ore, cominciava a blaterare qualcosa sul caso.
< John! Il signor Mayer aveva un levriero, pelo grigio corto, sparito esattamente trentacinque ore fa e…>
Cosa ne fosse dello stupido levriero dello stupido signor Mayer John lo seppe solo dopo, ma per il momento quello che seppe era che Sherlock non si aspettava assolutamente di essere afferrato per il bavero, sollevato di peso e sbattuto contro il muro da un medico sull’orlo di una crisi di nervi. Il suo viso perplesso lo squadrò da capo a piedi, notando come la pressione che lo incollava al muro non fosse scemata e come il corpo del dottore sembrasse insolitamente più solido del normale.
< Dovresti far attenzione alla tua spalla.>
< Si fotta la mia spalla!>
Sherlock non capiva cosa fosse successo per far scivolare un ex-soldato affetto da lieve depressione, con la tendenza a legarsi alle persone e versato all’ansia in un linguaggio scurrile, completamente estraneo alla sua natura. Considerando che non era neanche notte fonda e quindi non l’aveva certo svegliato nel bel mezzo del riposo.
< Seriamente, John, sforzare così il tuo corpo, anche se ti sembra di stare meglio, non mi sembra una buona politi-...>
Un ringhio lo aveva avvisato dell’attacco, ma non si sarebbe mai aspettato di essere silenziato dalla bocca dell’altro. Un pugno, forse, ecco, quello sarebbe stato più da John, ma bisognava considerare che il dottore non pareva molto in sé: lo vide arretrare il volto di scatto, un’espressione confusa addosso, le mani ancora strette al suo bavero. Lo vide cercare di trattenere le lacrime ed una crisi isterica prendendo dei profondi respiri, ma quando cercò di spiegarsi quello che venne fuori fu solo un discorso confuso.
< Tu… ti ho aspettato… tutta la Cristo di notte. Gli spari, Lestrade ha detto che non c’eri, tu non c’eri, sei entrato, sparito… mi hai lasciato là… Dio, ti ammazzo…>
Cercando di analizzare con calma la situazione e sondare il terreno dopo aver accumulato quei dati confusi, il detective cercò di usare il massimo tatto possibile per un sociopatico. < Non mi pareva di averti detto di aspettarmi.>
Questa volta il pugno arrivò sul serio, anche se era ben più debole di quanto non avrebbe potuto essere; seguì un altro bacio, diverso questa volta: non una forzata contrapposizione di labbra per zittirlo, ma una disperata ricerca di qualcosa che Sherlock non riusciva a comprendere, ma che mandò per una manciata di secondi il suo cervello in panne. Si ritrovò sul pavimento dell’ingresso, più nudo di quanto non pensasse - John si doveva essere avventato sulla sua camicia - e con un coinquilino che aveva raggiunto livelli di nervosismo impensabili.
< John?>
A quel richiamo l’altro scosse la testa, disperato e quasi incapace di trattenere le lacrime. < Cristo santo, come fai a non capire? Come fai a non capire?> Non ci fu alcuna risposta, se non due mani che gli sfiorarono i fianchi prima di scendere sulla cintura e slacciarla con precisione clinica; la stessa precisione con cui, con un movimento improvviso, le posizioni furono invertite e un paio di vecchi jeans e boxer eliminati.
John non sapeva spiegarsi il perché o il come, ma c’erano delle mani su di lui, tra le sue cosce, mani che mancavano d’esperienza pratica, ma che conoscevano a memoria la teoria; gli mancò il fiato, la testa gli girava, pesante per la stanchezza, per l’ansia che cominciava a defluire e per un vago senso di disperazione che a seconda dei momenti si acuiva o affievoliva. Non trovò niente di meglio che abbandonarsi completamente all’altro, che spontaneamente scese sulla sua bocca per un nuovo scambio intimo che il dottore non si sarebbe mai aspettato da parte sua; soffocata la sorpresa nel flusso degli eventi, si limitò a cingergli il collo con un braccio, godere del calore dei loro petti l’uno contro l’altro e della mano dell’uomo che prendeva via via più confidenza, fino a portarlo oltre il limite.

Forse si addormentò lì, sul parquet dell’ingresso, o forse riuscì a trascinarsi con le proprie forze verso il suo letto; sta di fatto che la mattina dopo - o per meglio dire il pomeriggio stesso - si svegliò in camera sua, stravolto come se avesse corso la maratona di New York. Ad attenderlo in salotto uno Sherlock in vestaglia, una tazza di the alla mano ed il computer davanti; appena si accorse della sua presenza, il detective gli fece un cenno ed indicò una tazza all’altro capo del tavolo.
< Lì c’è della camomilla, John. Ho pensato che dopo la crisi di nervi che hai avuto ieri fosse meglio evitare tanto il the quanto il caffè. E comunque non devi ringraziarmi per essermene occupato.>
Il dottore sbatté le palpebre più volte prima di riuscire a registrare il significato della frase e, quando ci riuscì, tutto ciò che riuscì a replicare fu un disorientato “prego?”. Al suo sguardo interrogativo Sherlock roteò gli occhi come faceva quando si rendeva conto di quanto l’umanità gli fosse inferiore.
< Di essermi occupato della tua crisi di nervi. I miei studi mi hanno rivelato che l’orgasmo è un ottimo sistema per allentare la tensione, così mi sono permesso di assisterti.>
La mente di John era troppo vuota per poter formulare un pensiero coerente e tutto ciò che poté fare fu replicare spontaneamente col primo dubbio che gli si presentò. < Ma… tu mi hai… insomma, ci siamo… baciati… o no?>
Sherlock sollevò un sopracciglio senza smettere di digitare al computer mentre si portava la tazza alle labbra. < Tecnicamente sì. Ho notato che ti aiutava parecchio a rilassarti e ho dedotto che fosse il metodo migliore per accelerare il processo. Ho fatto male?>
John si passò una mano sugli occhi e scosse lentamente la testa. < No… assolutamente no.> rispose, ma in cuor suo sentiva che, se l’atteggiamento del suo coinquilino fosse restato tale, quella “crisi di nervi” non sarebbe stata di certo l’ultima.

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