D.Spade x Giotto Fanfic: Legami/Slegami.

Jun 02, 2011 20:27

Titolo: “Legami/Slegami”
Autore: Alex/CriminalDanage
Fandom: Katekyo Hitman Reborn!
Pairing: Daemon Spade/Giotto Vongola Primo
Rating: R-18
Prompt: “Non è rimasto nulla a cui essere legati.”  Tabella syllablesoftime 
Wordcount: 1849
Warning: Yaoi, Lemon, Violenza (Blindfold)
Disclaimer: I personaggi utilizzati sono copyright di Amano Akira, perciò non mi appartengono.

Non era abituato all’oscurità, si notava. Oppresso, si sentiva a disagio, seppur gli altri sensi funzionassero alla perfezione, non riusciva ad individuare il luogo in cui si trovava.
L’angoscia si impossessò di lui, figlio della Luce, ora immerso in quell’Oscurità.
Un’oscurità viscida, sembrava avere quasi forma; plasmava mani che lo sfioravano con tocchi fugaci, unghie che lo graffiavano, una bocca che accarezzava quei segni e denti che lo mordevano.
Non poteva né parlare, né gridare, ogni respiro era sempre più smorzato da un fazzoletto che gli premeva sulla bocca; anche mani, occhi, persino le gambe erano costrette da bende e cinghie che gli impedivano qualsiasi movimento.
Per quanto si sforzò di acutizzare i sensi, non riuscì ad individuare rumori o odori che lo potessero aiutare ad identificare quella stanza.
Capì di trovarsi su un letto, doveva essere piuttosto ampio oltretutto, lo intuì dai suoi continui tentativi di fuga; aveva provato più volte a rotolare, cercando di toccare terra, ma senza nessun buono risultato.
Improvvisamente uno strano calore lo avvolse quando una mano sembrò sfiorargli il petto, soffermandosi più di una volta ad accarezzargli i pettorali, che si alzarono ritmicamente a contatto con i tocchi.
Identificò il calore di una bocca che gli baciò un capezzolo al di sopra della stoffa della camicia, mugugnò in segno di sorpresa, ma probabilmente era l’unico a poter sentire i suoni che lui stesso produceva.
La mano che poco prima lo stava accarezzando andò a sfiorare una porzione di pelle al di sotto della camicia, torturando il capezzolo già esageratamente turgido a causa del trattamento subito poco prima dal quella bocca.
Totalmente intorpidito dalla sensazione piacevole che gli trasmetteva quella bocca, unita al tocco di quella mano, quasi dimenticò di essere legato ed imbavagliato, mentre uno sconosciuto lo stava molestando senza riserve. Quello almeno si trattò del suo primo pensiero, finché una risata che conosceva alla perfezione - era inconfondibile - risuonò al suo orecchio.
«Nufufu… Primo, la tua donna non ti soddisfa abbastanza, per caso?» Lo schernì il Guardiano della Nebbia, ne avvertì la sua mano accarezzargli disinvolta e con veemenza l’erezione già risvegliata tra le sue gambe e quasi in risposta il Boss dei Vongola gemette di piacere, quel gemito però era anche carico di stupore per la presenza dell’altro.
Sobbalzò, rendendosi finalmente conto della situazione in cui si trovava, imbarazzandosi ed iniziando a dimenarsi, per quanto quelle costrizioni glie lo permettevano.
«E’ passato molto dal’ultima volta che ci siamo incontrati… Potevi umiliarmi, ma non l’hai fatto. Proprio degno di te, vero Vongola Primo?»
Durante il loro ultimo incontro, Giotto scoprì i veri intenti di Daemon, o per meglio dire realizzò, seppur incredulo, che i suoi sospetti non erano infondati. Avrebbe potuto fermarlo, ucciderlo, si era limitato a fissarlo con quel sguardo misericordioso; un comportamento del genere per Daemon era peggiore di qualsiasi punizione.
«Lascia che ti insegni cosa significa umiliare veramente qualcuno.»
Con un gesto secco del braccio, strattonò la camicia dell’uomo sotto di se; Giotto sobbalzò, avvertendo quel gesto brusco e il rumore dei bottoni che balzarono sul pavimento di conseguenza.
Subito Daemon si avventò su quel petto vulnerabile, passando un braccio dietro la schiena del biondo e spingendolo maggiormente contro la sua bocca; lo baciò e lo morse quasi con disperazione, come se desiderasse divorarlo e farlo suo in tutti i sensi possibili ed immaginabili. Da semplici gemiti, quelli che Giotto emetteva si trasformarono in urla di piacere, ma Daemon infastidito dalle congetture che lui stesso aveva imposto affinché Giotto non parlasse, portò una mano dietro al capo del Boss, sfilandogli la benda.

Voleva sentire la sua voce.

«Daemon!» Urlò Giotto, non appena gli fu possibile. Respirò a pieni polmoni, soffocando un gemito strozzato fra i denti quando l’Illusionista, indifferente alla reazione di Giotto, succhiò con avidità un capezzolo turgido dell’altro, percorrendo il torace con la lingua, lasciando tracce umide di saliva, sino a giungere all’ombelico e percorrendone i lineamenti, senza distaccare per un attimo gli occhi dal viso di Giotto - per quel poco che riusciva ad intravedere attraverso le bende.
Da parte sua Giotto si sforzò con tutto sé stesso di resistere alle tentazioni alle quali lo stava inducendo il demonio sceso in Terra.
Il sequestratore notò facilmente i futili tentativi di resistenza di Giotto, così scivolò con il volto fra le sue gambe; lo liberò parzialmente dagli ostacoli che dividevano le sue carni da lui, senza nascondere una certa impazienza nei propri gesti.
«Guarda, guarda cosa abbiamo qui…» Lo canzonò Daemon; con le dita affusolate gli sfiorò la punta gonfia e già bagnata, frutto di tutto l’impegno che aveva riversato fino ad allora.
Mentre una mano sfiorava la sua asta, l’altra accarezzò più volte il suo interno coscia, provocandogli brividi di piacere che si tramutarono in gemiti morenti fra le labbra di Giotto.
Per qualche secondo riacquistò un po’ di lucidità, solo allora notò di non avere più costrizioni alle gambe; Daemon l’aveva liberato e non se ne era nemmeno accorto. Subito pensò di ribellarsi, ma i suoi pensieri furono offuscati di nuovo dal senso di eccitazione e beatitudine trasmesso da quei gesti sensuali.
Chiamò il nome di Daemon quando lo sentì avvolgere il proprio membro con la sua bocca calda, quasi ringraziò di avere gli occhi bendati, probabilmente in quel momento indossava un’espressione vergognosa.
L’eccitazione di Giotto era a livelli talmente alti che avrebbe rischiato di raggiungere l’orgasmo da un momento all’altro, ma inspiegabilmente - che sciocchezza, Daemon non faceva mai qualcosa senza una spiegazione - quella dolce tortura terminò, Daemon si scostò, lasciando Giotto insoddisfatto e ansimante.
Seguì una carezza, ne seguì un’altra; Daemon voleva memorizzare ogni singolo centimetro di quella pelle voluttuosa, sentire quel corpo che non aveva mai osato sfiorare nemmeno come un dito; eccitandosi nell’esser desiderato così tanto dall’altro, in una maniera in cui probabilmente non si era mai espresso, a parte con le sue donne.
Ogni suo desiderio più perverso poco alla volta acquistò forma, diventò concreto e aumentò l’eccitazione che fremeva nel suo corpo. Quella scarica di adrenalina quasi cancellò le sue vere intenzioni, i sentimenti che rischiavano di traboccare da un momento all’altro

Quasi.

Sentì le mani di Daemon privarlo totalmente dei vestiti, facendo lo stesso con i propri pantaloni, liberando l’ erezione che pulsava dolosamente fra le proprie gambe.
Avvertì la pelle di Daemon a contatto con la propria; il suo profumo così famigliare si insinuò nelle narici, facendogli provare una nota nostalgica, uno dei pochi ricordi di Daemon che conservava vivido nella sua memoria.
«Non devi per forza perdonarmi per quello che ti sto per fare. Anzi, se lo fai troverò un pretesto per odiarti ancora di più.» Soffiò all’orecchio di Giotto; Il Boss non capì immediatamente il significato di quelle parole, finché non avvertì le mani di Daemon sollevargli appena le gambe, aprendosi l’entrata verso il suo corpo. Lo penetrò senza nemmeno prepararlo, provocando di conseguenza un dolore indescrivibile a Giotto, che spalancò dapprima gli occhi ancora bendati, boccheggiando più volte, senza riuscir ad emettere un suono e tremando ad ogni scossone provocato dalle spinte violente di Daemon.
Lo violò per parecchi minuti, ascoltando i suoi gemiti strozzati che si interruppero solo quando Giotto perse i sensi. Il fatto non gli cambiò molto le cose, dato che quello che stava facendo doveva provocare piacere solo ed esclusivamente a lui, non gli importava che l’altro ne fosse partecipe o meno.
Voleva strappargli anche l’ultima singola briciola di dignità, con la stessa violenza di una bestia che faceva a brandelli la propria preda.
Daemon non lo sapeva, ma Giotto considerava la propria dignità persa già da tempo, il giorno stesso in cui lo lasciò andare, tradendo lui e i suoi amici. Un pensiero che Giotto non confessò mai all’altro, lo considerava troppo doloroso, forse più di tutto quello che stava subendo ora.
All’improvviso - e per un attimo Giotto pensò di avere le allucinazioni, ormai completamente sfinito - riuscì ad intravedere il viso di Daemon attraverso uno spiraglio che si aprì fra le bende sugli occhi, che poco alla volta avevano iniziato a sciogliersi.
L’espressione che aveva Daemon non era quella di una bestia; il viso contratto per la fatica, la frangia appiccicata alla fronte madida di sudore, le labbra rosse per il troppo sforzo quando le aveva morse, come a voler trattenersi da far sfuggire qualcosa che avrebbe potuto tradire la sua determinazione, ma la cosa che frantumò del tutto Giotto, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente, furono gli occhi colmi di lacrime di Daemon.
Quando Daemon notò la situazione, constatò che era ormai troppo tardi, ma portò ugualmente una mano sul suo viso, privandolo nuovamente della vista.
«Non guardare!» Urlò; si spinse un’ultima volta dentro Giotto, svuotandosi infine dentro di lui, con un gemito roco.
Il silenzio che seguì quel momento, interrotto solo dal respiro affannato e dai singhiozzi di Daemon, era peggio si qualsiasi altra cosa. La stanza si riempì dell’odore di sangue, un odore che entrambi conoscevano bene. Giotto si sentì nauseato da quell’odore e non parlò finché Daemon non uscì dal suo corpo, abbandonandolo.
«Io non ti odio, Daemon.»
Il silenzio questa volta fu rotto da Giotto.
Sorrideva Giotto.
Quel sorriso straziò Daemon, dilaniò la sua anima, che fino ad allora non aveva mai creduto di avere.
Giotto lo spiazzò, come sempre riusciva a fare, con i suoi modi di fare disgustosamente ingenui e gentili. Ecco perché lo odiava.
«Sei davvero un grandissimo stupido.»
Daemon levò la mano dal viso di Giotto, i loro sguardi s’incontrarono ancora una volta.
«Torna Daemon, ti prego, farò in modo di sistemare tutto… Ma torna.»
Nella stanza risuonò una risata roca, Daemon mostrò un sorriso amaro all’altro, l’espressione di chi non credeva più a quelle favolette. Daemon non era come Giotto, per lui sogni e speranze non bastavano a sfamare la sua fame.
Una cosa che non era in grado di cancellare era la sua codardia, perché in quel momento un pensiero gli passò per la mente, martellando di continuo.
«Giotto, io ti amo.»

“Ti odio.” Bugia.

«Ti rispetto a tal punto da temerti.»

“Non sei all’altezza del tuo compito, non mi fai paura.” Bugia.

«Mi dispiace, ma non posso tornare, non ora, non in quest’epoca. Cancellerò questi tuoi ricordi, mascherandoli con falsi. Questo incontro non è mai avvenuto, l’ultima volta che ci siamo visti… Ti ho tradito definitivamente. Da quel giorno non è rimasto più niente che ci poteva legare, né i sentimenti, né un giuramento, niente. »
Giotto spalancò gli occhi, provò a ribattere ma una sonnolenza improvvisa si impossessò di lui, impedendogli di protestare di fronte a quella costrizione così orrenda, probabilmente anche sofferta da Daemon.
E l’oscurità torno a prender possesso di lui.

***

«Primo, devo darti una notizia. Daemon Spade è morto, dicono di aver trovato il suo cadavere.»
Giotto sollevò lo sguardo, di fronte a sé, G. e il resto dei Guardiani si erano presentati per comunicare la notizia, in una sorta di lutto collettivo.
Nessuno di loro pareva particolarmente triste o preoccupato, tanto meno Giotto non faceva trasparire una sensazione.
«Ho capito. Grazie.»
Giotto non si stupì, più che altro non ci credeva.
Era lui quello ad esser morto da troppo tempo, non Daemon.

khr, d.spade/giotto, fanfiction, reborn!

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