Titolo: This is home
Rating: Giallo
Note: Scritta, se non sbaglio, un pomeriggio in cui angstavo paurosamente (che novità). E come solito c'è finito in mezzo John, poveraccio *patpat* Quasi sicuramente OOC, ma visto che qua ormai è diventato il mio personale muro della vergogna...
Però ammetto che non mi dispiaceva quando l'ho scritta e non mi dispiace neanche ora che l'ho ritrovata, giaggià.
Lo trovò sdraiato nel suo letto. Rannicchiato sotto le coperte come un bambino; tremava vistosamente.
Aveva provato ad avvicinarsi e parlargli, ma il suo sguardo era vacuo, lontano, come se potesse vedere qualcosa che a lui, per la prima volta in vita sua, sfuggiva in un modo incomprensibile.
Aveva allungato una mano a sfiorargli uno zigomo e solo in quel momento John sembrava essersi risvegliato, scattando e sbarrando gli occhi, allontanandosi dal braccio teso e rannicchiandosi, se possibile, ancora di più.
“N-non m-mi t-toccare.”
Aveva lasciato ricadere il braccio sulle coperte, sconfitto da quello sguardo improvvisamente attento, improvvisamente vigile; da quella reazione di rigetto automatico per il tocco di un essere umano. Le sue rotelle avevano cominciato a girare talmente veloce che per una volta non riusciva a trarne le giuste informazioni, solo qualche dato qui e là in attesa del verdetto finale che gli avrebbe detto come agire.
E poi, come una lampadina nel buio, si era accesa la risposta.
“Moriarty.” Cercò di trattenersi il più possibile. John era già abbastanza spaventato, shockato, traumatizzato, senza che lui si mettesse a ringhiare. Anche se avrebbe voluto farlo.
Dannazione, se avrebbe voluto.
“John…”
Tremava ancora, come scosso perennemente da un terremoto interno, inarrestabile, che gli devastava la coscienza ogni volta che provava a tirarsene fuori.
Sherlock allungò di nuovo il braccio, più lentamente questa volta.
Arrivò a sfiorare il braccio di John con la punta delle dita, prima che questi si riscuotesse improvvisamente e prendesse a fissarlo, quasi a prendere coscienza solo in quel momento di chi si trovava di fronte.
“Sherlock…”
E poi, veloce come credeva non sarebbe mai stato, John aveva scostato le coperte con un unico gesto, fiondandosi fuori dal letto e salendo in braccio a Sherlock, aggrappandosi alla sua spalla e appoggiandosi alle ginocchia piegate. Il movimento li fece inevitabilmente cadere a terra: Sherlock seduto - era il suo turno di avere gli occhi spalancati, ma dallo stupore - e John abbarbicato al suo collo, il viso affondato tra la spalla ed i ricci dell’altro.
Sherlock rimase immobile, preso in contropiede, cercando di ricordare gli abbracci di quand’era bambino, quando, nonostante le sue proteste, la madre lo stringeva cercando di inculcargli un minimo di affetto, un minimo di umanità in quel bambino che sembrava sempre così freddo dall’alto dei suoi sei anni.
Seguì i vecchi insegnamenti, avvolgendo le braccia attorno ala vita di John e chiudendo gli occhi.
Ecco, la sensazione era quella.
La stessa che provava quando ad abbracciarlo era sua madre; sensazione di casa, di calore.
Quando la sua mano destra incontrò le pieghe della camicia di John, riaprì immediatamente gli occhi, vigile come se non li avesse mai chiusi.
Solo in quel momento sembrò rendersi conto delle condizioni di John. La camicia era fuori dai pantaloni, sgualcita, mezza strappata e con qualche bottone mancante qui e là; del maglioncino che indossava di solito non vi era nemmeno traccia, i pantaloni erano slacciati a mostrare l’intimo.
Fece un paio di respiri profondi per calmare l’istinto omicida che improvvisamente era nato dentro di lui quando aveva visto John in quello stato.
Si avvicinò al suo orecchio, cercando di non agitarlo ulteriormente.
“John, cosa è successo?” chiese, sussurrando.
La stretta attorno al suo collo si strinse ulteriormente, mentre John quasi diventava un tutt’uno con l’attaccatura dei suoi capelli.
Gli venne istintivo cominciare ad accarezzargli i capelli, e rimase più scioccato dall’istinto in sé più che dal movimento. Sherlock Holmes non aveva istinti affettuosi. Nemmeno verso i cuccioli.
Ma quello non era un cucciolo, era un esemplare particolare, era semplicemente… John. Solo per lui poteva permettersi di mancare un ragionamento - gli bloccava qualunque pensiero coerente - e di avere istinti quasi… umani.
Allo stesso tempo in cui il primo singhiozzo sfuggì alle labbra di John, la presa sul suo collo si rafforzò se possibile ancora, in modo direttamente proporzionale alla stretta sulla vita del medico.
E mentre una mano lo teneva stretto, saldo a questo mondo, a lui; l’altra affondava tra i suoi ciuffi chiari, cercando di rassicurarlo.
“Va tutto bene, John, tutto bene…” prese a mormorare al suo orecchio in una sorta di preghiera, finendo inevitabilmente per appoggiare il viso alla sua tempia e chiudere nuovamente gli occhi.
Perché, nonostante la situazione fosse critica, quel posto era ciò che il suo cuore - quello che fino a quel momento era stato quasi certo di non avere - etichettava come casa.
E fuori dalla porta, sopra lo zerbino, avrebbe fatto in modo di posizionare il cadavere di Moriarty.