Fandom: originale
Titolo: “Prigione”
Rating: verde
Conto parole: 500
Personaggi: Lucio
Genere: storico, introspettivo, surreale
Avvertimenti: nessuno, direi
Prompt: Notte prima degli esami - materia: St. dell’Arte
Beta: la meravigliosissima
kuruccha Note: Il protagonista di questa storia è Lucio Fontana, artista italiano del Novecento, fondatore del
movimento spazilista, nonché autore dei famosi *tagli nelle tele*, i vari
"Concetto spaziale".
La storia è ambientata attorno al 1919/20, epoca in cui il giovane Fontana studiava a Milano, prima di iniziare a lavorare nello studio di suo padre Luigi e poi arruolarsi come volontario nell’esercito durante la Prima Guerra Mondiale.
Per leggere questa storia occorre avere presente la
Sala dei Giganti, affrescata da Giulio Romano.
Fontana ha sempre dichiarato di aver tratto ispirazione, per le sue opere, dal Barocco. Da quelle figure che pare abbandonino il piano e continuino nello spazio. Ed è stata questa sua frase a ispirarmi.
So che l’opera di Giulio Romano è definita più propriamente come Manierista, ma credo che sia alla base del Barocco stesso.
“Prigione”
Gli occhi di Lucio erano spalancati nel buio. Ascoltava le gocce di sudore scivolargli lungo la schiena, mentre il lamento di un vento caldo si intrufolava dalle imposte socchiuse.
L'indomani avrebbe sostenuto l’esame per il diploma, ma non se ne preoccupava.
Era il dopo a farlo riflettere.
Qualcuno parlava della Guerra. Dicevano che prima o poi sarebbe successo qualcosa. Dicevano che l’Italia era un grande paese. E che bisognava dimostrarlo.
Lui era d’accordo, certo. Ma non si era mai immaginato con una carabina in mano. Non si era mai immaginato in nessun modo se non spalla a spalla con suo padre, chinato su una forma di marmo, con uno scalpello in mano e la polvere negli occhi. In Argentina, magari.
E mentre pensava alla distesa d'acqua che lo separava dal paese in cui era nato, sentì le palpebre farsi pesanti.
Il vento non sibilava più e tutto scivolava via, come inghiottito da qualcosa.
Lucio si ritrovò nell’atelier di suo padre. Non era quello di Milano, però. Era lo studio che aveva a Rosario.
Lo riconobbe dalle incrostature sui muri. Da quella luce bianca che invadeva ogni spazio.
L'aria era irrespirabile. Odorava di vernici, polveri di marmo e carboncino.
Su un tavolo di legno, abbandonato contro una parete, c’erano appoggiati alcuni attrezzi. Una bocciarda, delle raspe.
Lucio abbassò gli occhi sulle piastrelle del pavimento e quando li alzò di nuovo, il tavolo non c'era più. Era rimasto solo il muro.
Lo guardò e le incrostature sulla superficie, iniziarono a modellarsi come creta, formando dei disegni.
Su tutta la parete si stavano accalcando figure corpulenti, tratteggiate con colori pastello. Rosa antichi e verdi di ogni tonalità.
Lo Sala dei Giganti, pensò stupefatto. L’aveva vista in un libro, una volta, e ne era rimasto profondamente colpito.
Quegli uomini giganteschi, aggrappati alle rocce, sembravano voler uscire dalla parete. Rompere qualunque barriera per sgusciare nella realtà.
Lucio sorrise, sentendosi quasi in pericolo nel guardarli. L’arte non dovrebbe essere relegata a una superficie, si disse. E mentre lo pensava, notò che la mano del Gigante in primo piano sembrava quasi muoversi.
Si accostò alla parete, per fissarla da vicino. La mano era immobile, ma a Lucio parve più plastica. Come se fosse in rilievo sulla parete. Strizzò gli occhi, posandoli di nuovo sull’affresco. E fu allora che quel palmo enorme si aprì.
Il Gigante in primo piano iniziò a dimenarsi, cercando di forzare la dimensione a cui era relegato con la forza delle braccia. Urlava, si contorceva come se stesse soffrendo.
Lucio aveva paura, ma non riusciva a smettere di guardare. Sperava davvero che il Gigante si liberasse da quella prigione bidimensionale.
Quando riaprì gli occhi era l’alba. Suo padre lo stava chiamando.
Si portò una mano alla fronte per asciugare il sudore e guardò il soffitto ancora preda del sogno.
Non rilegherò mai un’opera d’arte in una dimensione finita, giurò a se stesso. E poi rise, pensando a quanto fosse assurda una idea simile.