Rosa dei Venti - Prologo

Jan 04, 2008 22:07


Hm.

Vabbè lo faccio.

Tanto era da un po’ che ci rimuginavo su…

Dopo tutto, questo è il mio LJ e la Rosa è la mia storia: perché non dovrei postarla qui e averla sottomano ogni volta che voglio? (Paranoie mie: sopportatemi. Semmai chiudete la schermata e virate per altri lidi^^)

Dunque posto il prologo.

Lo posto?



Lo posto.

Come mai sono così nervosa ogni volta che posto un frammento di sta roba???

AAAAHHHHHHH!!!!!!!!

Okay, calma.

Posto.

Sotto il cut.

Credo.

Penso.

GRRRR!!!! E basta! Comportiamoci da seme dignitoso! Posto. Sotto il cut.



Mah.

Ci ho provato anche col GN, e la mia solita costanza ha dimostrato il dimostrabile: infatti ci sono solo 3 capitoli nel LJ, e partono da metà fic. C’è di che sotterrarsi… Prima o poi rimedierò. Forse.

Intanto, la presentazione per chi capitasse da queste parti e si avventurasse:

La storia è un’ original, yaoi, NC-17 come rating (e missà che andrà alzato di parecchio…).

La storia è mia e di Roh. Nostra. Guai a chi ce la tocca. Diventiamo violente!^^

I personaggi sono miei e di Roh. Se potremmo evirare chi ci frega la storia, chi meditasse di fregarci i personaggi sappia che rischia la vita. E non scherzo.

Roh muove: Vivian, Björn, Keith, Albert, Jude, Raven, Ashley e l’arpia (Megan^^).

Io muovo: Samuel, David, Carlos, Theo, Michael, Dylan e la pazza (Miss Molly^^).

Notare che delle tre donne della fic, una viene chiamata arpia, una pazza e l’ultima ha 1 anno *rolling-eyes*

Shin è il nostro beta ufficiale, e lo ringraziamo.
E qui è archiviato il prologo:

ROSA DEI VENTI

All men will be sailors then, until the sea shall free them.
Leonard Cohen, Suzanne

Prologo

L'aria era gelida. Affilata e trasparente, pareva incidere la pelle come un coltello - o un ricordo, perché non sempre le lame più pericolose sono forgiate nell'acciaio.
Intorno a loro, la notte sfarinava luci roboanti sotto un cielo nero, pesante d'ombra.
In piedi sul marciapiede, Björn strinse gli occhi contro il fumo. "Cristo, Mike! Devi proprio soffiarmelo in faccia?" Tossendo appena, alzò una mano a schermarsi il volto mentre l'amico finiva di espirare, piano.
"Sei strano stasera, Bj. Qualche problema?"
"Figurati. Sono solo stanco."
"Vediamo se non ti riprendi, nel locale. Mi han detto che girano delle ragazze capaci di far resuscitare i morti!"
Björn scrollò il capo, spingendo a fondo le mani nelle tasche. "Io magari me ne torno a casa."
"Eddai, non farmi la checca anche stasera. Che la trovi pure tu una che ti piace, là dentro." Mike prese una nuova boccata, poi lo guardò dritto negli occhi. "A meno che non preferisci davvero un po’ di cazzo."
Björn sentì un brivido scorrere lungo la spina dorsale. Chiuse gli occhi.
L'aria parve farsi più fredda, mentre la lama tagliava in profondità - cercando il sangue, il cuore, la vita - e dentro il suo orecchio un'altra voce rincorreva quelle stesse parole, soffiando fiato umido contro il lobo, sulla bocca, e quella maledetta mano…
Sulla spalla.
Aprì gli occhi. Mike sembrava perplesso, mentre lo scrollava delicatamente.
"Ehi, bello. Ohi. Stavo scherzando. Björn, che diavolo ci combini?"
Lui mosse un passo indietro stringendo i denti, capo basso e pugni chiusi. "Niente. Niente, ve l'ho detto. Non sto bene oggi, ok?"
"Se vuoi andare…"
"No, tranquillo. Adesso mi passa."
"Così mi piaci, amico. Bello tosto, sempre."
Un gruppo di ragazzi rideva sguaiatamente, poco distante. Grida e bestemmie, bottiglie di birra calciate nel vicolo scuro.
Björn abbozzò un sorriso e lasciò che l’amico gli si aggrappasse al collo. Pensò che Mike non aveva davvero la minima idea di quanto tosto fosse stato - in passato. Pensò che non avrebbe saputo mai, neanche per sbaglio, quanto fragile fosse. Sempre.
Sforzandosi di scacciare le voci e i tocchi del passato - calciare i ricordi dentro un angolo, cementarli dietro un muro fatto di distrazioni - alzò gli occhi sull'insegna del locale. Neanche con tutta la buona volontà del mondo avrebbe potuto trovarla intrigante, o sentirsene attratto. Lanciò uno sguardo ai compagni: Phil sembrava imbarazzato quanto lui, mentre Mike prendeva l'ultimo tiro dalla sigaretta. Dopo aver gettato il mozzicone in un angolo, si sfregò le mani e sorrise al loro indirizzo.
"Beh, allora che si fa? Entriamo?"
Non pretendeva risposte, quella domanda: basta un cenno per venderti l'anima, Björn l’aveva sempre saputo.
E di anime dannate lì dentro ce n'erano a centinaia - tutte stanche, rattrappite, aggrappate a spalle ampie nel tentativo di reggersi in piedi. Alcune avevano aspetto splendido e occhi vuoti; altre erano corrose dagli acidi, drogate dal denaro, bevute nel nulla in cui sapevano trascinarti.
E altre ancora mostravano lineamenti così giovani da far male al cuore.
Phil al suo fianco si muoveva nervoso. "Che schifo," sussurrò, mentre gli occhi di Mike già si perdevano in qualche scollatura. Lui annuì quieto, cercando di reprimere il moto di disgusto che tutto l'intorno gli sollecitava.
Non troppo lontano da loro, una ragazzina stava seduta a cavalcioni della coscia di un uomo. Björn si prese qualche istante per osservarla - di schiena, vedeva solo la linea delicata dei fianchi quasi inesistenti, la curva armoniosa delle natiche e, più in alto, una cascata di capelli biondo chiaro piuttosto lunghi, piuttosto spettinati. Molto belli.
Immaginò che sotto il sole dovessero brillare come se fossero tessuti in oro bianco e si chiese se quella bellezza sapesse reggere un confronto frontale. Per una frazione di secondo lo squallore del locale scivolò via: rimase soltanto l'armonia di quel corpo sottile, la luminescenza di quei capelli e la commozione lieve che gli chiudeva la gola nel guardarli.
Poi Phil tossì, Mike mugugnò qualcosa e lui sbatté le ciglia, rimettendo a fuoco l'uomo - le mani aperte a coprirle quasi del tutto il sedere, i movimenti inequivocabili del suo bacino, la rigidezza delle spalle che parlavano di anni invecchiati male.
La mano della ragazzina risaltava pallida contro il nero della sua giacca, portando l'attenzione sulla sottigliezza delle dita e sull'eleganza perlacea delle unghie trasparenti.
Accanto a lui la voce di Phil sibilò, improvvisa: "Ma quanti cazzo di anni avrà, quella?"
Björn scosse la testa, la gola troppo secca per poter parlare.
Quanti anni? Esattamente l’età che aveva lui quando…
"E i suoi genitori? Porca puttana, è una bambina e…"
I genitori? Come i suoi, sicuramente, ciechi e sordi e sconosciuti…
Mike riemerse dalla scollatura per lanciare uno sguardo distratto nella direzione della coppia. "Cristo. Bisogna essere malati, per fare certe cose." Strinse gli occhi, e uno strano sorriso gli curvò le labbra. "Ma poi avete visto bene? Guardate che quello è un maschio."
Phil si aggiustò gli occhiali. "Ma dai."
"Oh, lo riconosco io, il culo di una donna. E quello è un ragazzo, 'scolta me."
Björn sentì la nausea farsi più forte.
Bisogna essere malati.
È un maschio.
Quanti anni avrà?
Riconosco il culo di una donna…
E i suoi genitori?
È un maschio…
I capelli biondi ondeggiarono insieme al capo - un movimento di anca, e si intravide il profilo.
Occhi azzurri.
Bjorn sentì il respiro strozzarsi in gola.
Fottutissimi occhi azzurri che lui conosceva fin troppo bene. Ed una bocca ed un naso e quello zigomo che - Dio! - quante volte aveva baciato…
"Bj? Che cazzo stai facendo? Torna qua, dove…"
Ricordava perfettamente quella bocca premuta sulla sua guancia - ricordava quegli occhi socchiusi in una risata. E quelle mani gli si erano intrecciate nei capelli mille volte, quella testa gli aveva dormito addosso per anni e anni e…
"Björn! Non fare stronzate, dacci un taglio, non…"
Ricordava quella stessa posizione. Ricordava il sole che batteva fuori dalla finestra mentre lui entrava in casa, senza bussare. Ricordava quella stessa posizione. E il sole. E lo schifo nello stomaco, la sua voce, un grido, e il pianto di Vivian e il sangue di Roger sulla mano. Il labbro del figlio di puttana spezzato, il suo corpo caduto a terra. E Vivian in lacrime, e lui a vomitare dietro l'angolo, aggrappato al muro.
Ricordava. Occhi fissi nei suoi dentro l'aula del tribunale. Occhi odiati, ed il caldo afoso intorno, l'estate, la mano di Vivian stretta nella sua da dietro. La calma placida di sua madre, che ancora non faceva niente. Che ancora non diceva non vedeva non capiva. Non credeva.
Ricordava.
E mentre stringeva la presa sulla spalla di suo fratello non gliene fregava un cazzo di fare piano. Non gliene fregava un cazzo di fare piano mentre lo colpiva al viso con un ceffone, strattonandolo in piedi senza alcuna premura.
Non gliene fregava un cazzo di niente mentre lo sollevava per la maglia fino a piantagli gli occhi dentro gli occhi - pupille annebbiate, iridi di ghiaccio - fino a sibilargli sulle labbra:
"Che. Diavolo. Stai. Facendo?"
Vivian sbatté le ciglia, come se si fosse svegliato in quel momento. "Björn?"
Lui lo allontanò appena e abbassò lo sguardo sui suoi vestiti. Sui suoi capelli. Sul suo viso. Piantandogli le dita nella carne se lo tirò contro, spingendolo avanti.
"Ehi tu, dove credi di…"
L'uomo si interruppe di fronte alla sua espressione, mentre lui tra i denti sussurrava: "Toccalo un'altra volta e sei morto."
"Bj, cosa ci fai qui?" chiedeva intanto Vivian, stropicciandosi gli occhi.
E lui sentì, improvvisa e violenta, la voglia di fargli male. Di prendere a schiaffi quel suo faccino d'angelo e lasciargli i segni a vita, di chiuderlo dentro una stanza e non farlo uscire, non più, mai più, non…
Di ucciderlo, anche. Ma di non lasciarlo più sfiorare da nessuno.
Respirando profondamente chiuse gli occhi, e quando li riaprì Vivian lo stava ancora guardando, deliziosamente confuso. E felice.
Björn riconosceva la luce che cominciava ad accendersi dietro quelle pupille, man mano che l'alcool evaporava.
E l'unica cosa che avrebbe voluto fare in quel momento sarebbe stata crollare in ginocchio ai suoi piedi, nascondergli il viso tra i capelli e respirare a fondo il suo odore, coprirlo di baci dappertutto e vestirlo d'amore. E stringerlo tanto forte da farselo entrare dentro. Berlo tutto. Per non doverlo dividere con nessuno.
Allentò la presa sulla sua spalla, quasi inconsciamente, e Vivian alzò un braccio verso il suo viso. "Cosa ci fai qui?" chiese di nuovo.
Bjorn si sottrasse al tocco con uno scatto del capo; lasciò scivolare la mano fino a cingergli il bicipite, poi rinsaldò la stretta. Spingendolo avanti si mosse verso l'uscita. "Con te facciamo i conti a casa."
Incrociò lo sguardo di Mike e Phil, i loro occhi sgranati ed increduli. Si limitò a scuotere la testa, indicando l'uscita con il mento, senza spiegare altro. Senza cercare giustificazioni. Al momento di rivederli l'avrebbero seppellito di domande, pretendendo risposte che lui non avrebbe dato, ma adesso non gli importava. Perché al suo fianco Vivian camminava e ridacchiava e diceva: "Non pensavo di trovarti qui" e lui si sentiva egualmente diviso tra la voglia di prendere a pugni tutti quelli che gli avevano offerto da bere - tutti quelli che l’avevano guardato - e quella di chiedere scusa per il tempo lasciato passare dall'ultima corsa fatta a casa.
Avrebbe dovuto essere più presente. Anche da lontano. Rendersi conto che sarebbe successo.
Prevedere.
Guardarlo negli occhi, e riconoscere i segni. I sintomi.
Capirlo.
"Mamma sa che sei uscito?" chiese avviando l'auto, e lanciandogli un’occhiata.
Vivian aveva smesso di ridere e teneva la tempia poggiata contro il finestrino. Respirava profondamente, guardando fuori. "Mi sento male."
"Vuoi che mi fermo?"
"Mi sento male sempre."
Strinse la presa sul volante, ripetendo la domanda: "Ljus, mamma sa che sei uscito?"
Questa volta suo fratello alzò le spalle. "Non lo so. Non ricordo se gliel'ho detto."
Björn annuì, cambiando marcia.
Le strade scivolavano via leggere, nella notte. Il respiro di Vivian, al suo fianco, era una musica dolorosa, e quando parcheggiò di fronte al cancello di casa nessuno dei due si mosse.
"Lj?" disse Björn infine, voltandosi a sfiorargli la guancia.
"Adesso te ne andrai di nuovo?"
Lui strinse i denti. "Scendi dalla macchina, Ljus."
"Se scendo te ne vai. Lo so. Lo fai sempre."
Björn si sganciò la cintura. "Ti accompagno dentro. Devo parlare con la mamma."
La casa sembrava innaturalmente silenziosa, quando entrarono. Björn sentì Vivian prendere un'altra direzione, muoversi nel buio tra i corridoi; aprire una porta, accendere una luce, richiuderla. Si sforzò di non seguirlo, proseguendo invece per la sua strada.
Il soggiorno palpitava di un’alienante luce azzurra. Quando lui mosse un piede incontro al divano, sua madre chiese: "Sei tornato, Vivian?"
Björn si schiarì la gola. "Sono io, mamma."
"Oh. Björn."
La donna lo guardò senza interesse e lui le sedette accanto, con cautela. "Ho incontrato Vivian; te l'ho riportato a casa."
"Mh. Bravo. Hai fatto bene."
Björn respirò profondamente una volta, poi due. "Non dovrebbe stare fuori così tardi. È troppo piccolo."
"Sai com'è tuo fratello. Fa sempre di testa sua."
"Dovresti importi di più. Controllarlo."
Sua madre restava in silenzio.
"Non era un bel posto, quello dove l'ho trovato."
"Ha bisogno di suo padre."
Björn strinse i pugni tra le ginocchia, il fiato corto d'improvviso. "Avrebbe bisogno di un padre. Questo sì."
"Tu gliel'hai portato via."
Occhi chiusi, era uno stillicidio. Ogni battito di cuore, pulsare di vena, torcersi di stomaco. E non si poteva tornare indietro. Non esistevano soluzioni.
"Roger non era un padre."
Detto con la lingua tra i denti, per morder le parole.
"Tu l'hai sempre odiato. Sempre," cantilenava sua madre.
Björn si alzò in piedi. "E tu non l'hai mai guardato in faccia. Non hai mai visto niente."
La donna tacque d’improvviso.
Lui si fermò un istante, prima di uscire dal soggiorno; poggiando il palmo della mano sul muro, si voltò a guardarla. "Dovresti smetterla di bere," sussurrò quietamente. Poi entrò nel buio.
Muovendo un passo dopo l'altro lungo il corridoio, ebbe l'impressione di percorrere, per l'ennesima volta, una strada di penitenza e sgomento. Gli sembrò di tornare ragazzino, di cercare nuovamente spigoli e curve a tentoni, nella notte. Si rese conto, con un senso di nausea crescente, di conoscere a memoria ogni svolta, ogni angolo. E ricordò - incapace di soffocare il passato - i piedi scalzi di un ragazzino tredicenne, i suoi occhi lucidi e spalancati sul mondo, le sue labbra tremanti per il freddo e i denti stretti, a trattenere i singhiozzi.
Posando la mano sulla maniglia, per un attimo gli parve che le sue dita fossero le stesse di allora - sottili e lunghe come quelle di Vivian, scosse da brividi e strette in una presa convulsa.
Prese un respiro profondo, aprì la porta ed entrò nella stanza.
La luce sciolse ogni fantasma, la voce di suo fratello scaldò l'aria.
"Te ne vai?"
Vivian sedeva con la schiena alla parete, il viso basso e nascosto dai capelli. Björn si concesse un momento per osservarlo - per mettere distanza tra le sue due vite - poi si diresse in fretta verso l'armadio, l'aprì, afferrò qualche vestito a casaccio. Lanciandoli addosso a suo fratello mormorò: "Ficca qualcosa in borsa e muoviti, che ho sonno."
Sentiva quegli occhi chiarissimi fissi sulla schiena, increduli e quasi disperati; prese un respiro profondo e si voltò, incrociando le braccia al petto e guardandolo seriamente. "Tu in questa casa non ci resti un minuto di più."
Stringendo le dita sulla maglietta agguantata al volo, Vivian sbatté le ciglia. "Dici sul serio?"
"Ti aspetto in macchina."
"E vengo a stare con te?"
Lui aveva già raggiunto la porta; si fermò di spalle, per non doverlo guardare.
"Finché non trovo una soluzione migliore."
Poi di nuovo il silenzio del corridoio buio, e la luce della strada che filtrava attraverso i vetri, al fondo. Ogni passo che muoveva, diretto verso l'uscita, pareva mordere via qualche pezzo di incubo rimasto incastrato ai muri.
Forse, pensò Björn, un giorno non resterà più segno di quei passaggi. E allora, finalmente, potrà essere libero anche lui.

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E vediamo se stavolta riesco a postare tutti i capitoli in modo dignitoso…^^

Ce la farò?
Hmmm…

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