Titolo: Heart in peace
Fandom: RPF - Arashi
Pairing: Junba
Personaggi: Jun Matsumoto
Prompt: “Cuore in me che il corpo ha dilaniato”
Rating: R (per i contenuti)
Genere: angst, malinconico
Warning: death!fic, slash
Conteggio parole: 996 fiumidiparole
Disclaimer: i personaggi non sono miei, nulla di quanto è descritto è reale. Non ci guadagno niente.
Tabella:
qui Rientrato a casa da lavoro, ad accoglierlo c’era solo il silenzio e il vuoto. Non si preoccupò neanche di accendere la luce, avanzando nel buio del salotto senza urtare alcun oggetto. Conosceva alla perfezione quelle stanze, anche se all’inizio, quando era andato ad abitarci, inciampava sempre su qualcosa: una scarpa dimenticata dalla sera prima, maglie sparse disordinatamente sul pavimento, perse nel tragitto fatto per raggiungere la lavatrice. Inizialmente si era infastidito non poco, poi, pian piano si era abituato a quel quotidiano disordine di nome Aiba.
Stavano insieme da poco tempo quando il più grande se ne era uscito con quella proposta.
“Vuoi venire a stare da me?” gli aveva domandato e Jun l’aveva guardato stranito, cercando di interpretare il rossore sulle sue guance. In quel momento Aiba gli aveva fatto tanta tenerezza.
Non era un passo poi così grande, contando il fatto che Jun si ritrovava a essere spesso ospite a casa del fidanzato, ma appunto era un visitatore, con quella semplice domanda, fatta con leggero imbarazzo, Aiba aveva voluto dare nome, dare forma a quel loro legame.
Jun si era limitato ad annuire con un sorriso e Aiba, emozionato, gli aveva gettato le braccia al collo, stringendolo, felice.
Già, Aiba sembrava felice in quel momento e Jun aveva stupidamente creduto che quella situazione di pace e serenità sarebbe durata per sempre, perché in quel momento non c’era niente che non potesse andare tra loro.
E quando erano andati a vivere insieme, avevano reso ufficiale la cosa anche con i compagni.
Jun aveva visto il sorriso del Riida, lo sguardo malizioso che Nino aveva lanciato loro e non poteva dimenticare a tutt’oggi l’espressione di Sakurai.
Jun sapeva come l’altro la pensasse e aveva catalogato quella reazione come disapprovazione nei loro confronti, per quel legame che credeva sbagliato.
Quanto si sbagliava! Non si era mai sbagliato così tanto in tutta la sua vita.
Eppure, aveva deciso di soprassedere e ignorare, quello che era importante non era cosa pensasse Sho di loro, l’importante era Aiba, era il loro amore, la loro felicità.
Da quando erano andati a convivere, ogni notte era passione, ogni notte erano gemiti e ansimi, ogni notte Jun si sentiva finalmente parte di qualcosa, parte di qualcuno che era riuscito a vedere oltre la facciata e l’aveva fatto sentire finalmente importante.
Avvolto nell’oscurità, si diresse in cucina anche se non aveva fame, aveva perso l’appetito dal giorno in cui era rimasto solo.
Agli studi tutti erano preoccupati per la sua salute, Jun si sforzava di continuare a lavorare, di essere professionale, come si era sempre imposto di essere, ma ormai non ce la faceva più.
Si sentiva ogni giorno più stanco, sentiva ogni giorno di più le proprie forze abbandonarlo, sfiancato dai pensieri che non lo lasciavano riposare neanche la notte.
Non trovava più pace.
Sentiva il cuore pesante e ogni volta che posava gli occhi su Aiba, ogni volta che lo scopriva a guardarlo e sul suo volto leggeva pena e colpa, una nuova ferita si aggiungeva al suo animo, riaprendo quelle non ancora cicatrizzate. E faceva ancora più male ripensare al tempo in cui era stato soltanto suo, doloroso, ripercorrere tutte le bugie che gli aveva detto, mentre lo possedeva, mentre dichiarava di amarlo e che avrebbe amato solo lui per sempre.
Bugie che gli laceravano il cuore, mentre il suo corpo godeva di piacere. In quel momento era convinto che le sue parole avrebbero potuto sistemare ogni cosa, era convinto che Aiba avrebbe capito, tornando da lui e, invece, così non era stato.
Con rabbia e frustrazione, prese dal cassetto un coltello, spostandosi verso il frigo, venendo investito dalla luce dell’elettrodomestico. Socchiuse gli occhi, infastidito, allungando una mano ad afferrare qualcosa, tra quel poco che aveva ancora come scorta, quando si fermò, incantato dalla lama che gli restituì sfocato il riflesso dei propri occhi.
E Jun pensò che era esattamente così che doveva essere, quello che ormai era diventato era solo un’ombra di ciò che era, una figura sbiadita che continuava a strisciare giorno dopo giorno, senza vivere più, perché mai si sarebbe ripreso da quel tradimento.
Scivolò lentamente a terra, piegando le gambe, osservando ancora il coltello, come affascinato.
Sentì il cuore riprendere a battere, come ispirato da nuovi intenti, il corpo rabbrividì, facendolo sentire inspiegabilmente vivo, come se quel pensiero che era stato così fugace, gli avesse nuovamente dato una nuova speranza in cui credere.
Sorrise, un ghigno inquietante nella penombra, sollevando completamente la manica e poggiando il filo della lama contro il braccio; accarezzò piano la pelle, osservando quelle linee bianche scomparire in fretta, troppo in fretta.
Sospirò, sentendo l’eccitazione iniziare a scorrergli sottopelle, il cuore battere in modo insolitamente normale.
Puntò nuovamente la lama contro la carne e stavolta impresse una forza maggiore, scendendo lungo l’avambraccio, verso l’incavo del gomito.
Sospirò, vedendo il sangue iniziare a scivolare lungo la pelle chiara, un contrasto che aveva un che di eccitante, pensò.
Pose momentaneamente il coltello sul pavimento, levandosi completamente la maglia, restando a petto nudo, iniziando a ferirsi anche lì. Piccoli segni, disordinati ma precisi. Jun osservò il proprio corpo ferito, sentiva il sangue colare sul petto e lungo il braccio.
Sentiva freddo, la mano iniziò a tremare mentre tracciava altri segni sulle braccia e sul petto.
Jun, le spalle contro il muro, la testa alta, fissava il vuoto, ormai non vedeva più neanche la debole luce proveniente dall’elettrodomestico dimenticato aperto.
Paradossalmente il suo ultimo pensiero andò ad Aiba, ai giorni che avevano trascorso insieme, ai momenti felici e a quelli più bui di quell’ultimo periodo.
Sentendo le forze abbandonarlo lentamente, lasciò andare il coltello, suo unico compagno a testimoniare quel momento di lucida follia.
Si portò una mano al petto, posandola sul cuore, cercando di percepire gli ultimi battiti, sorridendo tristemente.
“Cuore in me, che il corpo ha dilaniato, trova finalmente la tua pace” aveva mormorato con un filo di voce, prima di chiudere per sempre gli occhi e sentire la propria vita scivolare via insieme a un’unica lacrima sul viso.