Titolo: Body Gym
Fandom: RPF - Hey!Say!JUMP
Betareader: ---
Rating: PG
Genere: fluff
Personaggi: Yabu Kota, Inoo Kei
Pairing: Inoobu
Wordcount: 2.205
fiumidiparoleTabella: Luoghi
Prompt: 03. Palestra
Disclaimer: I personaggi non sono miei, non li conosco personalmente e quanto di seguito accaduto non vuole avere fondamento di verità. La storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.
Warning: slash
Note: //
Introduzione: Kei aveva iniziato a essere geloso di Yabu, in modo quasi ossessivo.
“Kei, io vado!”
Yabu, già sulla porta di casa, si stava infilando le scarpe; la borsa da ginnastica a tracolla, quando sentì Kei raggiungerlo di corsa.
“Kota, aspetta!” lo fermò il più piccolo. “Vengo con te!” gli sorrise Inoo e Yabu notò lo zaino sportivo che teneva in mano.
“Come?” si stupì Yabu. “Non devi studiare?” domandò.
L’altro annuì.
“Sì, però sono a buon punto, posso permettermi di rilassarmi per qualche ora” assicurò.
“E sei sicuro di volerti rilassare venendo in palestra con me?” continuò Yabu, ancora incredulo.
Inoo gonfiò le guance, spostando i manici della borsa all’altro braccio.
“Certo che sì! In questo modo possiamo passare del tempo insieme. Ho anche già prenotato la lezione prova.”
“Sì, però…” Yabu non era molto convinto.
“Non ti darò noia, te lo prometto. E non ti starò neanche tanto vicino” promise.
Yabu posò un istante la sua borsa per terra e si avvicinò al più piccolo.
“Che dici, Kei, non mi fraintendere. A me fa piacere passare del tempo con te, non mi dai alcun fastidio. Solo, mi preoccupo per i tuoi esami e non vorrei che ti stancassi” spiegò.
Kei gli sorrise, sporgendosi per baciarlo sulle labbra.
“Non ti preoccupare, non avrò alcun problema con l’università. Te l’ho detto, mi sono portato avanti e, poi, se mi piace, vorrei poter fare qualcosa di nuovo. Tra il lavoro, i miei corsi e i tuoi programmi passiamo insieme così poco tempo che mi manchi, Ko” confesso. “Mi sento un po’ solo, ecco, te l’ho detto” gli disse tutta la verità.
Yabu si intenerì e lo abbracciò baciandogli la fronte.
“Scemo, potevi dirmelo. D’accordo, andiamo adesso o faremo tardi” lo spronò, tendendogli la mano, stringendola fino a che non arrivarono al cancello per poi salire in macchina. Kei prese posto e sorrise a Yabu, prima di guardare fuori dal finestrino, perdendosi subito nei suoi pensieri.
Era vero che aveva scelto di fare quella prima lezione per tutti i motivi che gli aveva detto, ma ne aveva nascosto uno al più grande, ma se gli avesse detto proprio proprio tutto, Yabu l’avrebbe preso in giro per quei pensieri e non voleva, inoltre, che pensasse che non si fidasse di lui.
Già, perché da quando Yabu aveva iniziato ad andare in palestra, tre mesi prima, Kei aveva notato come il suo corpo si fosse irrobustito e abbellito. A volte, quando si cambiavano nei camerini con gli altri, Kei doveva fare attenzione che nessuno si accorgesse di come lo guardava, di come indugiava un po’ troppo sui pettorali, sullo stomaco, sulle braccia e doveva tenere a freno la fantasia per non immaginare con quale forza dolce quelle stesse braccia lo cullassero e lo stringessero la notte, prima di addormentarsi o mentre facevano l’amore.
E se capitava a lui di non riuscire a controllare quegli istinti, poteva succedere a chiunque.
E Kei aveva iniziato a essere geloso di Yabu, in modo quasi ossessivo. Aveva cercato di controllarsi, ma non ci era riuscito, non quando, per caso, un pomeriggio che era uscito presto dalla biblioteca, che si trovava a qualche isolato di distanza dalla palestra in cui andava Yabu, aveva voluto andare da lui per fargli una sorpresa. Gli sarebbe piaciuto tornare a casa insieme quella sera, se non fosse che, poco dopo che Yabu era uscito dall’edificio, un ragazzo l’aveva invitato fuori a bere insieme ad altri del corso.
Kei aveva visto Yabu prendere il cellulare e aveva sentito il proprio vibrare nella tasca; aveva risposto e aveva visto e sentito Yabu, allegro, chiedergli se non gli spiacesse che tardasse.
L’aveva chiamato e gli aveva detto la verità, Kei non dubitava mai della sincerità del fidanzato e, proprio per quello non gli aveva detto niente, non gli aveva detto che lui in realtà era dall’altra parte della strada ad aspettarlo e che gli sarebbe piaciuto stare insieme.
Ripensandoci, non aveva saputo dire perché fosse rimasto nascosto, però l’aveva fatto, dicendogli che non doveva preoccuparsi per lui, che avrebbe studiato di più.
Era tornato a casa da solo e si era messo a pensare: era geloso, però, nonostante tutto non poteva fare nulla. Non avrebbe avuto senso fare alcuna scenata o proibire a Yabu di uscire con quei ragazzi, ma qualcosa doveva fare. E, così, si era informato e aveva prenotato la lezione prova per quel giorno.
Yabu parcheggiò l’auto nello spazio sotterraneo e insieme i due presero l’ascensore che li avrebbe portati al piano superiore.
“Che corso hai scelto, Kei-chan?” si informò Yabu curioso.
“Il tuo!” gli rispose il più piccolo, entusiasta.
“Come il mio?”
“Sì, te l’ho detto che volevo passare del tempo con te!”
“Ma Kei… il mio è un corso avanzato. Tu…” lo guardò pensieroso. “Ecco… tu non sei allenato, insomma” Yabu non sapeva come dirglielo, non voleva che fraintendesse sul serio le sue parole. Era preoccupato per la sua salute. “Hai detto alla ragazza che non hai mai fatto palestra?” gli domandò.
“Sì, cioè… lei mi ha chiesto se avessi mai fatto e in effetti è così.”
“Quando Kei?” Yabu lo guardò pensieroso.
“Ero alle medie. Ho fatto un mese, poi però non ero bravo, tutti mi prendevano in giro e ho mollato” disse.
Yabu si portò una mano alla fronte.
“Ma Ko!” si affrettò a spiegare Kei. “Non ti preoccupare, vedrai che stavolta andrà bene, perché sono più motivato e ci sei tu con me. E poi quando proviamo le coreografie riesco a tenere il ritmo, vedrai che non avrò problemi” annuì con vigore, prendendo l’altro per un braccio.
“Kei non è proprio la stessa cosa” lo corresse Yabu, ma vedendo il fidanzato così determinato non ebbe cuore di insistere oltre, sembrava proprio deciso e sperava che andasse tutto bene quel pomeriggio e che non accadesse niente di sconveniente.
Entrarono negli spogliatoi e Yabu salutò i ragazzi presenti che lo accolsero entusiasti, guardando poi curiosi Kei alle sue spalle.
“Lui chi è? Un nuovo?” domandarono.
Yabu fu colto in contropiede, ma Kei avanzò verso gli altri, inchinandosi leggermente.
“Piacere di conoscervi. Sono Inoo Kei, un collega di lavoro di Yabu-kun” rispose affabile ed educato, apparentemente gentile, ma Yabu conosceva la sfumatura di quella voce e non era un buon segno. Cercò comunque di non badarci, iniziando a cambiarsi. Si levò la maglietta, restando per qualche secondo a torso nudo, infilandosi la canotta. Kei lo osservò, gettando uno sguardo agli altri presenti: era lì per controllare la situazione e li avrebbe tenuti d’occhio, tutti quanti.
“Kocchan, andiamo! Ci riscaldiamo insieme?”
Kei sentì uno dei ragazzi chiamare il suo Kota e sobbalzò per il modo amichevole con il quale gli si era rivolto. Gli rivolse un’occhiataccia di sbieco, muovendosi a cambiarsi a sua volta, per andare con loro in palestra.
La sala era ampia, grandi specchi a parete occupavano i due lati e delle corde elastiche pendevano dal soffitto.
Kei vide quello che facevano gli altri e iniziò con una corsa lenta per riscaldarsi; Yabu aveva ragione, era anni che non faceva quel tipo di esercizi sotto sforzo e, di certo, per quanto estenuanti, le prove di ballo con il gruppo non potevano essere usate come paragone.
Voleva andarci piano, non aveva intenzione di far preoccupare Yabu per niente.
“Tutto ok, Kei-chan?” gli domandò Yabu, raggiungendolo per unirsi a lui nella corsa lungo il perimetro del salone.
“Certo, Ko!” assicurò Kei con un sorriso. “Tu, però, se vuoi puoi andare anche più veloce. Non devi stare dietro a me. Non ti voglio rallentare!” gli disse.
Yabu ci pensò un po’, studiando il volto leggermente rosso di Kei che aveva iniziato il terzo giro, prima di annuire e aumentare l’andatura.
Inoo rimase in disparte, osservando Yabu e gli altri fare stretching mentre lui riprendeva fiato; iniziava a pensare che non fosse stata una buona idea la sua, ma ormai era là e sarebbe arrivato fino in fondo.
Quando poi l’istruttore entrò nella palestra, radunò tutti davanti a sé, chiedendo che si disponessero in diverse file sfalsate e Kei sorrise nel vedere che Yabu l’aveva cercato con lo sguardo per raggiungerlo e posizionarsi accanto a lui, a debita distanza per non intralciarsi nei movimenti, per svolgere insieme gli esercizi.
Con il riscaldamento e la sessione per sciogliere i muscoli e prepararli allo step successivo, Kei non se l’era cavata poi male, anzi, iniziava a pensare che non sarebbe stata una cattiva idea iscriversi sul serio a quello stesso corso con Yabu.
Solo che tutti i suoi buoni propositi e il suo ottimismo vennero resi vani quando il capo istruttore li aveva divisi a coppie, separandolo da Kota, per fare flessioni e piegamenti. Kei era finito a lavorare con lo stesso ragazzo con cui aveva visto Yabu quel pomeriggio fuori dalla palestra; non ricordava come si chiamasse e neanche gli importava poi molto: lui era lì per Yabu, anche se, paradossalmente, non aveva tempo per stare con lui come si era immaginato; gli esercizi erano difficili e faticosi e Kei iniziava a non farcela più.
Chissà se si poteva iscrivere lo stesso e stare semplicemente a guardare, se pagava comunque la sua quota di iscrizione, magari non gli avrebbero fatto problemi.
Quando anche i minuti di quegli esercizi terminarono, Inoo tirò quasi un sospiro di sollievo, sensazione di agio che svanì immediatamente quando si rese conto che avrebbe dovuto fare il circuito con i macchinari: tapis-roulant, step e usare quegli strani aggeggi con i pesi di cui ignorava nome e funzione.
Sarebbe morto prima, si sentiva già stanco così e ancora gli restavano venti minuti di allenamento. Sentiva su di sé lo sguardo preoccupato di Yabu, ma non poteva permettersi che pensasse a lui, quindi eseguì con stoico coraggio ciò che gli era stato detto di fare, scrupoloso. Non si sarebbe arreso, anche perché non voleva cedere davanti a quegli altri bell’imbusti che, lo sentiva, parlottavano tra loro alle sue spalle, come quei bambini dai quali un tempo era fuggito.
Ma non voleva scappare ancora.
Il suono del fischietto dell’istruttore li avvisò che la lezione era terminata e potevano smettere di lavorare, e Kei si abbandonò disteso sulla panca del bilanciere, abbandonando le braccia per terra: era esausto!
Si mise a sedere sentendo tutti andarsene, solo che, dopo essersi alzato, la testa iniziò a girargli e fu costretto a sedersi per terra, cercando di riprendere fiato, portandosi una mano al polso per controllarne i battiti.
La testa gli faceva male e aveva caldo, era sudato e stanco; cercò di tenere sotto controllo il respiro, sentendo le voci degli altri ragazzi parlottare e qualcuno chiedere a Kocchan di raggiungerli.
“Andate, pure, adesso arrivo!” aveva sentito dire a Yabu, prima che qualcosa di fresco gli si posasse contro la fronte.
Kei aprì gli occhi e vide Yabu accovacciato accanto a lui, che lo guardava con un leggero sorriso.
“Kota!” ricambiò Inoo, cercando di assumere un’aria sveglia. “Adesso andiamo!” fece per alzarsi, ma l’altro lo tenne fermo per una spalla.
“Stai seduto, Kei!” lo ammonì, facendo scorrere la bottiglia d’acqua fresca sulla sua guancia e sul collo.
Kei si lasciò scappare un sospiro che era davvero poco inequivocabile circa le sue condizioni e Yabu lo guardò con rimprovero.
“Dovevo portarti a casa o chiederti di fermarti. Perché ti sei forzato tanto, Kei?” gli chiese poi con tono dolce, sedendosi a gambe incrociate davanti a lui.
Kei abbassò le braccia, prendendo la bottiglietta che Yabu gli tendeva, rinfrescandosi i polsi: aveva sete, ma non osava bere ancora o si sarebbe seriamente sentito male.
Avrebbe voluto negare, ma non avrebbe avuto molto senso ormai, Yabu aveva capito che ci fosse sotto qualcosa di più di quello che gli aveva detto.
“Kei-chan?”
“Ero geloso!”
“Eh?”
Kei sollevò lo sguardo su Yabu.
“Mi spiace, non è perché non mi fidi di te, anzi, ma ecco… sei diventato più bello da quando vieni qui regolarmente e una volta ti ho visto con loro e…”
“Quando? Perché non mi hai chiamato?” si stupì Yabu.
Inoo scosse il capo, allungando una mano e prendendo a giocherellare con le dita del più grande.
“Non importa. Però ecco, ho pensato che volevo essere più presente nella tua vita e condividere le stesse cose, ma io non sono come te. Oggi… oggi sono morto dopo neanche due giri di campo” ammise.
Yabu sorrise, rincuorandolo.
“È perché sei fuori allenamento e poi… tu sei quello intelligente della coppia” scherzò, vedendo finalmente anche Kei fargli un sorriso sincero.
“Mi spiace averti fatto preoccupare, dovevi dirmelo.”
“Ma io non sono preoccupato, Ko. Mi fido di te, ma non riesco a non essere geloso. Ti amo troppo” confessò d’istinto.
Yabu allungò un braccio, posandolo sulle spalle del più piccolo, parlando sottovoce: “Anche io ti amo, Kei.”
Si allontanò poi da lui e parlò: “Mi farò cambiare turno, verrò solo due volte in palestra e un giorno lo dedicherò a te” propose. “Possiamo studiare insieme o andare ad allenarci al parco, che dici? Così io mi tengo in forma e anche tu ti irrobustisci” sorrise.
Kei lo guardò felice e concordò.
“Ci sto!”
Yabu annuì, sollevandosi poi in piedi e tendendo una mano a Kei.
“Andiamo a casa!”
“Non ci laviamo prima?” domandò Kei, afferrandogli le dita e tirandosi su.
Yabu lo prese per mano e sorrise.
“No, preferisco farmi la doccia a casa, nel nostro bagno, con te” mormorò.
Kei ridacchiò, stringendogli maggiormente la mano, felice.
Sì, quel piano decisamente piaceva di più anche a lui.