Titolo: Kimi ni aitakutte soba ni iku koto dekinakutte (I miss you but I can’t go to your side) - HSJ Deep night kimi omou
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Yabu Kota, Yaotome Hikaru, Inoo Kei
Pairing: Hikabu
Prompt: The undisclosed desires in your heart
Genere: angst
Rating: nc-17
Warning: slash
Conteggio parole: 1.728 (fiumidiparole wordcount)
Note: la storia inoltre è scritta per il
mmom_italia.
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella:
wTunes Desires Hikaru si trovava di nuovo davanti a quella casa, a quel cancello, fermo a leggere il nome sul campanello; quel nome che conosceva così bene. Quel nome tanto amato e tanto odiato, ma di cui non riusciva a fare a meno.
Sollevò il volto verso l’alto, sentendo le gocce di pioggia cadere leggere e sottili, bagnandogli le guance, imprigionandosi nelle ciglia, costringendolo a battere velocemente le palpebre.
Schiuse le labbra, passandosi la lingua prima sull’uno, poi sull’altro, assaporando il gusto amaro e malinconico della pioggia.
Sentì la porta aprirsi, ma non si mosse, attese, attese speranzoso, come faceva sempre, di sentire la sua voce. E così successe, dopo pochi secondi.
“Che cosa ci fai lì?” si sentì chiedere e Hikaru sospirò, chiudendo gli occhi, sentendo il proprio cuore appesantirsi d’un tratto.
Provava pena per se stesso, ma non riusciva a liberarsi di quelle catene che lui stesso si era posto e che continuava a stringere sempre di più.
“Sei in ritardo” si sentì riprendere quando i loro occhi si incrociarono e non era esattamente quello che avrebbe voluto sentirsi dire da lui.
Continuava ad aspettarsi una reazione diversa, continuava ad aspettarsi che cambiasse, che gli parlasse in modo diverso, con un tono più dolce, che lo guardasse e vedesse realmente quello che era e non quello che lui l’aveva fatto diventare.
“Entra!” gli ordinò, cono tono privo di trasporto, quando i loro sguardi si incrociarono, dandogli le spalle entrando in casa.
Hikaru sospirò, seguendo l’altro nel suo appartamento, chiudendo la porta. Si levò le scarpe, raggiungendo Yabu in salotto, trovandolo davanti alla finestra, intento ad accendersi una sigaretta.
“Come stai, Hikka?” gli chiese, mentre aspirava la prima boccata e si voltava verso di lui; le spalle poggiate contro il vetro, sedendosi sopra il davanzale, piegando una gamba, facendo perno sull’altra.
Si sporse per gettare la cenere nel posacenere accanto al tavolo e attese che l’altro gli rispondesse.
Il più piccolo sospirò stancamente, avanzando verso di lui, avvicinandosi, poggiando a sua volta la testa contro la finestra e sentendo il freddo contro la tempia smorzare un po’ l’emicrania che sentiva crescere ogni volta che metteva piede in quella casa.
Yabu gli tese con due dita la sigaretta, invitandolo a prendere un tiro, ma Hikaru scosse il capo, osservando l’altro stringersi nelle spalle e riprendere a fumare pigramente.
Rimasero in silenzio, Yabu a contemplare le gocce di pioggia che scivolavano sul vetro e Hikaru che si beava del profilo del ragazzo che amava, sapendo che aveva solo quel breve momento per farlo, per crogiolarsi nella sensazione che tutto andasse bene, per illudersi che tutto andasse bene nella sua vita.
Vide Yabu prendere un’ultima lunga boccata, prima di spegnere la sigaretta nel posacenere e allungare il braccio verso di lui e accarezzargli una guancia.
Hikaru sentì le dita infilarsi tra i capelli e accarezzarli, i polpastrelli fare pressione sulla nuca, per spingerlo in avanti, andandogli incontro con la testa, posando le labbra velocemente sulle sue, prima che Hikaru si scostasse.
“Yabu” lo chiamò in un mormorio, posandogli una mano sul dorso, come a volerlo scostare e allo stesso tempo trattenerlo contro di sé.
“Puoi chiamarmi per nome, quando siamo soli, lo sai?” concesse. “So che ti piace, conosco quali sono i desideri inespressi del tuo cuore” mormorò suadente, e sorrise, come per incentivarlo.
“Kota” ripeté Hikaru, scostandosi completamente, per dare maggior peso alle sue parole, ma Yabu non gli e ne diede il tempo.
“Zitto e baciami” gli ordinò, attirandolo completamente contro di sé, posando violentemente le labbra sulle sue e costringendolo a schiuderle, a ricambiare il bacio con urgenza.
E Hikaru non poté più opporre resistenza, perché quello era ciò che aveva sempre sognato e sentire il sapore di Yabu, il suo profumo, averlo così vicino, averlo suo finalmente per un attimo lo rendeva felice. Continuava a fingere che lo desiderasse che avesse bisogno di quel contatto perché era lui e non un sostituto con il quale sfogare le proprie frustrazioni.
Gli mise una mano sul collo assecondando quello che gli diceva l’istinto, ma lasciandole troppo presto quando le mani di Yabu, con fermezza, si posarono sulle sue spalle, spingendolo via e premendo affinché il più piccolo si inginocchiasse davanti a lui.
Hikaru lo guardò, dal basso verso l’alto, mentre Yabu spostava le mani dalle spalle al collo, accarezzandolo, risalendo sulla nuca, per attirarlo contro di sé.
“Che c’è?” gli chiese il più grande, notando la sua titubanza.
“Kota, io non so se…”
“Sai benissimo cosa devi fare, Hikka” lo incentivò, premendo le mani sulla sua testa, spostandone una per slacciarsi i pantaloni, guardandolo.
Il più piccolo lo fermò, portando le proprie mani a sostituire la sua e slacciando il bottone, facendo scendere la zip.
Yabu sorrise, compiaciuto, mentre sentiva le mani di Hikaru passare sul suo sesso, accarezzarlo, dopo averlo liberato dalla costrizione di stoffa e giocare con la sua erezione, scivolare con le dita su di lui, premere sulla punta, circondarne la base, muovendo la mano in un moto dal basso verso l’alto, sentendolo duro, sentendolo crescere ed eccitarsi nel proprio palmo, prima di aprire la bocca e scendere su di lui, fino a sentirlo completamente in fondo alla gola; perché era così che piaceva a Yabu, era così che gli piaceva godere, raggiungendo un piacere momentaneo, veloce.
Hikaru sentiva le mani di Yabu premere sulla sua testa, tirargli i capelli, dettando il ritmo degli affondi, mentre si spingeva in lui sempre più a fondo, inebriato dal piacere, lo sentiva gemere e sospirare. La testa gli doleva, sentiva le unghie premere sulla cute, mentre il corpo di Yabu tremava: era vicino al raggiungimento del piacere e Hikaru lo sapeva, voleva continuare, voleva permettergli di venire, voleva assaggiarlo, voleva anche lui la sua parte, ma sapeva che, come sempre, Yabu non glielo avrebbe permesso.
Si sentì tirare via per i capelli quel tanto che bastava per scostarlo da sé, ma costringendolo vicino con la mano libera Yabu corse al proprio sesso, accarezzandosi velocemente, muovendo le dita avanti e indietro, frizionando con il palmo, venendo sul suo volto.
“Kei” lo sentì gemere, con tono roco, mentre muoveva i fianchi e stringeva il proprio sesso, svuotandosi completamente, raggiungendo la piena soddisfazione.
Hikaru si sollevò nuovamente in piedi, passandosi una mano sul viso, ripulendosi dello sperma di Yabu, il quale gli passò una spugna; il più piccolo la prese, con un gesto stizzito prima di andare al bagno e sciacquarsi il viso, guardandosi poi allo specchio disgustato di se stesso: non poteva andare avanti così, non poteva continuare in quel modo a subire, sopprimendo quelli che erano i suoi reali desideri, quelli non detti e che lo facevano stare così male. Ne andava della sua felicità e Hikaru non si voleva così tanto male da continuare a farsi calpestare, da continuare a soffrire per qualcuno che, per quanto amasse più della sua stessa vita, non aveva la minima intenzione di capirlo.
Quando tornò in salotto, vide Yabu sempre fermo davanti alla finestra che fumava un’altra sigaretta; non appena lo sentì arrivare, il più grande si volse verso di lui e Hikaru precedette qualsiasi cosa gli volesse dire.
“Kota” lo chiamò, perché alla fine il suono che aveva quel nome pronunciato dalle proprie labbra aveva un sapore davvero intenso. “Dobbiamo parlare” esordì, fermo.
“Di cosa?” domandò Yabu confuso.
“Di cosa?” rise Hikaru, nervoso. “Di quello che è successo questa sera, di quello che succede da mesi ormai e di questa situazione che non è più sostenibile, di te, di me… di noi.”
“Non c’è nessun noi, Hikaru” gli spiegò Yabu, spegnendo la sigaretta e muovendo un passo in avanti, per raggiungerlo e fronteggiarlo. “Non c’è mai stato e mai ci sarà” chiarì, senza dargli il tempo di rispondere. “Sapevi benissimo a cosa andavi incontro. Sai benissimo cosa voglio da te quando ti chiamo, se non ti sta più bene, puoi benissimo ignorarmi” gli disse.
“Io non voglio ignorarti, Kota. Io ti amo!” confessò. “Perché non capisci? Perché non ti basto io, Yabu?” gli chiese, sentendosi vicino a una crisi, per tutto quello che aveva dovuto subire in quei mesi, per quello che aveva permesso a Yabu di fare e per quello che lui stesso aveva permesso che accadesse.
“Perché non sono innamorato di te. È semplice” gli rispose, stringendosi nelle spalle.
“Ma Kei non ti amerà mai, lui sta con Daiki! Non si accorgerà mai di te? Perché continui a farti del male? Ti stai solo illudendo!”
Yabu sorrise, derisorio.
“Non lo so, Hikaru, spiegamelo tu. Tu come hai fatto in tutti questi anni? Come riesci a convivere ogni giorno con il peso dei tuoi sentimenti per un amore che non sarà mai corrisposto? Come ci si sente a vendersi per dei momenti di pura illusione?” lo interrogò a sua volta sarcastico.
Hikaru si morse un labbro, ferito da quelle parole.
“Perché Kota?” gli chiese. “Perché mi dici questo?”
“Perché mi sono stancato, Hikaru, sono stufo di come mi guardi ogni volta, sono stufo di come tratti Kei, sono stufo di questo tuo continuo non fare niente e sottostare alle mie voglie. Io chiamo tu accorri. Ti lamenti ogni volta, ma non fai mai niente per cambiare le cose. Cosa vuoi da me, esattamente?” gli chiese infine.
Hikaru rimase spiazzato da quelle affermazioni, non pensava che il suo Yabu avrebbe mai potuto rivolgergli parole del genere, non lo riconosceva più.
“È stato un errore” disse Yaotome, senza riflettere ma finalmente consapevole.
“Vuoi lasciarmi?” gli chiese Yabu, incrociando le braccia al petto.
“Io non ti posso lasciare. L’hai detto tu stesso, non c’è un noi, non c’è mai stato niente. Solo sesso, solo una scopata occasionale, è questo che sono io per te, no?”
Yabu non rispose subito, guardò Hikaru negli occhi e poi mormorò: “Mentirei se ti dicessi che mi dispiace. Perché io non sono così perfetto come tu mi dipingi, Hikaru” gli disse, senza effettivamente rispondere alla sua domanda.
Il più piccolo sentì il proprio cuore spezzarsi, ma non aggiunse altro. Cosa altro c’era da dire ancora? Voleva davvero sentirsi dire che per Yabu lui non aveva mai significato nulla?
Non c’erano bisogno di parole, non aveva bisogno di una risposta Hikaru, sapeva già quale sarebbe stata e per quanto gli facesse male doveva iniziare a pensare un po’ più a se stesso e alla propria felicità, quella vera, quella reale e non quella che si era fino a quel momento illuso che fosse Yabu Kota.