Titolo: Your innocence is mine
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Arioka Daiki, Inoo Kei, Yamada Ryosuke
Pairing: Dainoo
Prompt: Your innocence is mine
Genere: angst
Rating: nc-17
Warning: slash, non-con
Conteggio parole: 1.913 (
fiumidiparole wordcount)
Note: la storia inoltre è scritta per il
mmom_italia e per la seconda settimana del BadWrong Weeks con il prompt non-con indetto da
maridichallenge.
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella:
Misc Mosaic A volte essere buoni non porta a nulla.
Nella vita non serve poi a molto essere corretti, fare sempre la cosa giusta per il bene degli altri se poi tu sei il primo a soffrire.
Il mondo è pieno di gente egoista che pensa solo a se stessa a discapito della felicità altrui e Daiki questo l’aveva imparato a proprie spese.
Era sempre stato una persona onesta e gentile, ma proprio per queste sue qualità sembrava che tutti se ne approfittassero; lo vedevano sempre con il sorriso, sempre disponibile ad ascoltare gli sfoghi degli altri, a gioire delle loro gioie, ma nessuno pensava a come si sentisse realmente Arioka Daiki.
E Daiki non sopportava in special modo che mancanze del genere, nei suoi riguardi, venissero fatte da persone che lo conoscevano da anni, da persone che avrebbero dovuto capire tutto di come lui si sentisse solo guardandolo negli occhi.
Inoo Kei era una di queste persone. Kei era il suo migliore amico, Kei avrebbe dovuto sapere quando non stava bene, eppure Kei pareva non accorgersene. Era sempre stato molto perso nel suo mondo Kei, a Daiki piaceva quell’aria un po’ assente che aveva, quello sguardo perso con il quale si estraniava dal resto del mondo anche quando era insieme agli altri; quelle sue stranezze erano state spesso motivo di chiacchiera tra i loro coetanei, ma Daiki, e lo stesso Kei, non vi avevano mai dato peso.
A Daiki, Kei piaceva esattamente così com’era e fino a quando le cose erano proseguite su questa linea, tutto era andato bene; era andato tutto bene fino a che non era arrivato lui e il mondo di Daiki, quella realtà che aveva costruito, era crollato come un castello di sabbia, spazzato via dalla marea troppo alta.
Quando Yabu Kota era arrivato nella loro vita, quando si era insinuato in quella di Kei, tutto era cambiato per Daiki.
Aveva visto quanto Kei fosse rimasto affascinato dal nuovo ragazzo, quanto i due andassero d’accordo, quanto Yabu, a differenza di tutte le altre persone, riuscisse a capire Kei, prerogativa che fino a quel momento era sempre appartenuta a Daiki. Era lui l’unico che era riuscito ad accettare Kei per quello che era, finora, era lui il solo a cui Kei riservava quei sorrisi riconoscenti, quelli apparentemente un po’ sciocchi, quelli che nessuno comprendeva.
Adesso invece, l’attenzione di Kei non era più solo sua, l’affetto di Kei era diviso tra lui e Yabu e Daiki non riusciva a sopportarlo. Non riusciva a farsene una ragione.
Li aveva visti avvicinarsi giorno dopo giorno, diventare sempre più amici, sviluppare un affiatamento sul luogo di lavoro e fuori da esso, così forte da farlo sentire escluso, anche se così non era. Anche se Kei continuava a cercarlo, continuava a coinvolgerlo, continuava a volere che anche lui facesse amicizia con Yabu.
Però Daiki non voleva, in tutti i modi aveva cercato di farglielo capire, ma Kei non aveva colto i segnali, deludendolo.
Quello che poi era peggio era il fatto che Kei proprio non si sforzasse di capire, ma continuasse ad andare da lui e parlargli come se non sapesse come lo faceva sentire quando gli parlava di Yabu, quando gli raccontava cosa avessero fatto il pomeriggio precedente insieme dopo il lavoro e quanto si fosse dispiaciuto che anche lui non fosse stato con loro.
Certo, come se gliene importasse realmente qualcosa.
Anzi, molto probabilmente il fatto che lui non fosse stato con loro aveva reso la serata ancora più divertente.
Daiki era stanco di tutto quello: come faceva Kei a non capire? Come poteva fare così tanto affidamento su Yabu, una persona che conosceva sì e no da qualche mese, come aveva potuto sostituirlo a lui, alla loro amicizia che durava da anni. Come poteva Kei preferire Yabu a lui? Non riusciva a farsene una ragione.
Come quel giorno in cui Kei lo aveva attirato in disparte durante una pausa dal lavoro e gli aveva confessato quasi con imbarazzo che lui e Yabu si erano baciati.
“Volevo che fossi il primo a saperlo, Dai-chan!” aveva detto entusiasta. “Tu sei il mio migliore amico e io…” non avrebbe mai saputo Daiki cosa fosse per lui ancora, perché l’altro l’aveva abbracciato forte ed emozionato aveva sussurrato: “Sono così felice”.
Daiki non era riuscito a fare niente davanti a quella gioia, non era riuscito a dire nulla, a congratularsi con lui come magari lo stesso Kei si aspettava facesse, non aveva fatto niente e forse era stato anche un bene che li avessero richiamati quasi subito, perché, se avesse avuto modo di parlare, Daiki avrebbe sicuramente detto qualcosa che non avrebbe dovuto, qualcosa che avrebbe rovinato la loro amicizia.
E quella sera, due mesi dopo, quando Kei si era presentato a casa sua completamente su di giri Daiki aveva iniziato ad avere veramente paura.
Arioka l’aveva fatto accomodare in camera sua, come erano soliti fare, e Kei si era lanciato di peso sul letto, rotolando un po’ su se stesso, fermandosi disteso sulla schiena, portandosi le mani al volto, euforico.
“Che è successo, Kei?” gli aveva chiesto Daiki, sedendosi accanto a lui sul materasso, posandogli una mano sul fianco quando l’altro si era voltato di lato per guardarlo.
Kei aveva sorriso e Daiki aveva notato il rossore dapprima soffuso, poi sempre più acceso sulle sue guance quando, emozionato, gli aveva confessato in un fiato leggero: “Ho fatto l’amore con Kota.”
Daiki si era come congelato, il suo cuore aveva come smesso di battere e la mano si era fermata contro la stoffa, interrompendo la carezza.
Ho fatto l’amore con Kota.
Kota.
Quella frase, quel nome rimbombavano come un eco nella sua testa, torturandolo.
“Come?” aveva chiesto, ma non voleva risentire per la seconda volta quella frase pronunciata dalla sua voce.
Quella prima affermazione era stata sufficiente.
“Dai-chan, sono così felice. Io quasi non ci credo. È… è… non… io non so spiegarti come sia successo. Ma è stato bellissimo” era riuscito a dire, la voce che a tratti tremava per la felicità. “Io lo amo, Dai-chan e… scusami, magari non ti interessa, ma io dovevo dirlo a qualcuno e tu…”
“Io sono il tuo migliore amico” finì per lui Daiki in modo atono, fissando un punto del materasso.
“Sì” disse felice Kei, sollevandosi leggermente con il busto. “Io volevo che tu fossi il primo a saperlo” ripeté, come aveva fatto quel giorno.
Daiki iniziò a respirare pesantemente, stringendo le dita sulla stoffa della maglia del più grande, sollevandola, scoprendo il fianco, dando poi una spinta al corpo di Kei, salendogli cavalcioni sulle gambe, mentre l’altra mano premeva sulla spalla.
“Daiki!” lo chiamò spaventato Inoo, turbato dal repentino cambiamento dell’amico. “Che hai, Dai-chan?” gli domandò, con quel tono di voce carezzevole; anche in una situazione del genere, sembrava che non comprendesse, sembrava come se non ci fosse nulla da temere.
Perché lui era suo amico. Perché lui era il suo migliore amico e non avrebbe mai potuto fargli del male. Era così sicuro di conoscerlo così bene?
Quei pensieri non fecero altro che fomentare maggiormente la sua rabbia e la follia di Daiki che in quel momento si rese conto che non aveva più nulla da perdere e, realizzando solo in quel momento, che non avrebbe comunque potuto perdere qualcosa che non aveva mai avuto.
Spostò una mano dal fianco alla spalla, premendo maggiormente il corpo di Kei sul materasso e con quella libera, introdursi violento dentro i pantaloni.
Kei spalancò gli occhi, iniziando a dimenarsi, comprendendo la situazione per quello che era.
“Dai-chan che stai facendo, fermati! Lasciami, non è divertente!” protestò.
Daiki sorrise, sarcastico.
“Come no? Vedrai come sarà divertente adesso” disse, iniziando a muovere la mano su quella carne calda.
“No, non voglio Dai-chan, fermati, che ti succede? Perché fai così? Io… io non ti riconosco più!” gridò, sperando in quel modo, con quelle parole, di arrivare fino al suo cuore.
La risata isterica di Daiki fu tutto quello che ottenne, invece, mentre Arioka lo stringeva con più forza, sentendo finalmente il suo corpo reagire, anche se lentamente. Passò la mano su di lui con maggiore impeto, stringendo bene la presa, muovendo il palmo su e giù a ritmo incessante. Non vi era nulla di gentile, nulla di buono in quei gesti.
“Non mi riconosci più, dici?” rise sprezzante, in modo quasi folle, continuando a premere le dita sul suo sesso. “Tu non mi hai mai conosciuto Kei, non hai mai capito niente di me!” gli urlò addosso, strattonandogli via i pantaloni e portando due dita sotto la sua schiena, cercando la sua apertura.
Kei boccheggiò, comprendendo quello che l’altro stava per fare, iniziando a piangere, senza riuscire a impedirselo: non riconosceva la persona che aveva davanti e non trovava ragione alcuna che spiegasse quel comportamento.
“Dai-chan” singhiozzò. “Dai-chan, non farlo!” gli disse tra i lamenti, mentre Daiki infilava due dita in lui e lo preparava violentemente, quel tanto che bastava perché Daiki potesse mettere a tacere i propri sensi di colpa. Anche se Kei si meritava quel trattamento, lui era comunque una brava persona e voleva essere corretto.
Kei avrebbe dovuto essergli grato.
Quando si ritenne soddisfatto, Daiki sfilò le dita dal corpo di Kei e si spinse in lui completamente, facendolo inarcare, stringendogli un fianco e il sesso, muovendo la mano su di lui in modo aritmico, costringendolo a venire nel suo pugno.
E iniziò a spingere, spinse, artigliandogli i fianchi, muovendosi dentro di lui, assecondando quella belva che era nata dentro di lui in tutti quegli anni di frasi non dette, di sorrisi falsi, di illusioni che da solo si era costruito giorno per giorno.
“Dai-chan, perché?” gli chiese piangendo.
Daiki emise un mugugno roco: come poteva? Come poteva chiedergli una cosa del genere? Perché non capiva il motivo della propria sorte? Era stato lui stesso causa del suo male.
“Perché io ti amo Kei, ti ho sempre amato e saresti dovuto essere mio. Io ci sono sempre stato per te, sempre, ma tu sei come tutti gli altri, egoista ed egocentrico” affermò, uscendo da lui e spingendosi un’ultima volta, prima di raggiungere l’orgasmo.
Ricadde stremato sul corpo esausto di Kei, il quale trovò comunque la forza per spingerlo finalmente via da sé, rannicchiandosi poi su se stesso, vicinissimo al bordo del letto.
Lo sentiva piangere, singhiozzare e tremare come un cucciolo abbandonato e indifeso alla ricerca di calore, immagine che Daiki aveva sempre avuto di Kei: perché era quello ciò che Kei con la sua innocenza era stato per lui, qualcuno da proteggere e salvare dalla perversione del mondo esterno, perché restasse sempre così puro e solo suo.
Arioka si mosse piano, avvicinandosi a lui, allungando un braccio per cingerlo; Kei si scostò, mentre i singhiozzi divenivano più alti, ma Daiki non demorse, lo attirò a sé, poggiando il petto contro la sua schiena e lo strinse.
Non era stato il primo ad averlo, era vero, ma da quel momento in poi sapeva che ci sarebbe stato solo lui nella sua vita, Kei sarebbe stato solo suo.
Quello che era da sempre stato il sogno della sua vita si sarebbe avverato, perché adesso Kei non era più il ragazzo di cui Yabu si era innamorato, Kei non sarebbe tornato così sporco da Yabu, perché se una cosa di Kei Daiki l’aveva realmente capita era che amava Yabu, lo amava così tanto che non l’avrebbe mai fatto soffrire, l’avrebbe lasciato e in quel modo quell’innocenza che Yabu gli aveva rubato e quella che lui gli aveva preso contro la sua volontà, sarebbe stata per sempre sua.