Una storia sbagliata 7/7

Nov 27, 2013 09:48

06

“Yuri Chii-chan hai una casa davvero grande!” esclamò Yamada, guardandosi attorno.
Yuya sorrise a quell’osservazione.
“La tua lo è sicuramente di più. La tua mamma è ricca!”
“Yuri!” lo riprese Yuya, poggiando i loro zainetti su una seda.
“Scusa!” fece ammenda il più piccolo.
“Allora, volete la merenda?” chiese Yuya e i due bambini esultarono.
“Andiamo a lavarci le mani!” lo istruì Chinen, prendendo Yamada per mano, scortandolo in bagno.
Yuya li osservò e sorrise, tagliando loro un pezzo di torta che Yabu gli aveva chiesto di ritirare in una pasticceria lì vicino per sdebitarsi per aver chiesto a Yuya il favore di prendere Yamada all’asilo e tenerlo fino al suo arrivo: aveva una riunione importante e nessuno poteva andare a prenderlo, giacché anche la madre era nuovamente fuori per lavoro.
Quando i due bambini tornarono, osservarono con espressione sognante i due pezzi di torta che Yuya aveva preparato loro.
“Ci sono le fragole e la panna!” le indicò Yamada, rivolgendosi a Yuya. “Come al mio compleanno!” gli disse.
“Avevi una torta così?” chiese Yuya, avvicinandogli anche un bicchiere di succo di frutta.
“Sì!” annuì Yamada, prendendo una bella forchettata di dolce e sporcandosi la faccia.
“L’abbiamo mangiata io e papà, insieme a Hikka-sensei!” affermò, continuando il suo raccontare. “Poi ne abbiamo lasciato un pezzo alla mamma. La mamma ne ha prese due fette!” spiegò, mostrando la quantità con le dita, prendendo il bicchiere e bevendo un lungo sorso.
Yuya aveva ascoltato quel suo raccontare un po’ stranito, specialmente quando aveva fatto il nome del loro insegnante, ma non vi aveva badato molto.
“Sei sporco qui!”
Chinen gli diede un fazzoletto per ripulirsi, ma Yamada lo fece con la lingua, leccandosi il labbro superiore.
“Fatto! Ancora?” chiese a Chinen, mostrandogli la bocca.
“Che schifo, non si fa così! Vero, Onii-chan?”
Yuya annuì, tendendo all’altro un fazzoletto di carta e Yamada lo guardò dubbioso.
“Ma Hikka-sensei mi ha insegnato così” affermò.
“Non è vero!” lo smentì Chinen. “A scuola dice sempre di usare la carta!”
Yamada scosse il capo.
“Me l’ha fatto vedere quando è venuto a casa mia! Hikka-sensei, viene sempre a casa mia!”
“Non è vero! Hikka-sensei ha la sua casa.”
“Invece sì!” insistette Yamada che iniziava a spazientirsi di venire sempre contraddetto.
“Bambini, calmatevi e finite di mangiare.”
“Yuuyan Onii-chan, ma è vero!” continuò Yamada. “Hikka-sensei è venuto a casa mia per il mio compleanno, mi ha fatto una sorpresa!” insistette. “Lui è amico del mio papà!”
“Hikka-sensei è il fidanzato di Onii-chan! Hanno avuto un appuntamento” gli disse Chinen, spingendolo quando Yamada si alzò sulla sedia, per dare probabilmente maggior peso alle sue affermazioni.
Yuya si alzò, fermando il fratello, cercando di placarli, mettendo a sedere di nuovo Yamada.
“Ma Hikka-sensei è amico del mio papà” ripeté Ryosuke, con le lacrime agli occhi, cercando di spingere a sua volta Chinen, il quale allungò una mano per tirare i capelli di Yamada, ma fermato da Yuya che non comprendeva come mai la situazione fosse degenerata in quel modo, sfuggendogli di mano.
“Io li ho visti darsi i bacini l’altra mattina, siamo stati insieme nel lettone di papà e poi siamo andati alla festa insieme! Loro sono amici!” ripeté Yamada, muovendo i piedi con fare nervoso e iniziando a piangere.
“Onii-chan e Hikka-sensei sono innamorati!” continuò a obiettare Chinen, a sua volta sull’orlo delle lacrime.
Yamada scosse il capo.
Yuya, però non aveva fatto caso all’obbiezione del fratello, ma all’affermazione dell’altro bambino guardò Yamada, spalancò gli occhi, chinandosi verso di lui.
“Ryo-chan? Ryo-chan cosa…?” Non riusciva a formulare la domanda, in un attimo, tutte le strane sensazioni avvertite in quei giorni, le domande che, dopo che Hikaru era letteralmente fuggito da casa sua, avevano iniziato a formarsi nella sua testa, trovavano una specie di risposta.
“Amici… il mio papà è amico di Hikaru-sensei, quando c’è Hikaru-sensei, papà è contento” continuò il piccolo, stropicciandosi gli occhi e Yuya, sebbene non riuscisse a comprendere e fosse ancora confuso, strinse a sé il piccolo Yamada, per consolarlo.
“Onii-chaaaan” si unì anche Chinen a quel piagnisteo, aggrappandosi alla schiena del fratello.
Yuya allungò una mano per dare conforto anche a lui, stringendolo, sentendosi a sua volta sull’orlo delle lacrime.

*

“Cos’è successo?”
Hikaru entrò preoccupato in casa di Yuya, togliendosi le scarpe.
“Ho letto la mail, sembrava una cosa urgente? Ryo-chan e Chii-chan stanno bene?” domandò, non vedendoli in salotto.
“Sì, stanno bene… sono in camera mia che dormono, erano stanchi.”
“Mi hai scritto che hanno litigato…”
“Sì, erano entrambi abbastanza nervosi” continuò Yuya, con tono pacato, prendendo un oggetto dalla credenza e tendendoglielo.
“Questo è tuo” gli disse, mostrandogli un orologio da polso.
“Ah, ecco dov’era” sorrise appena Hikaru, allungando una mano per prenderlo, ma Yuya portò indietro il braccio.
“Non mi hai chiamato. Non hai risposto alle mie mail, né alle mie chiamate. È una settimana che fai in modo di non incontrarmi.”
“Yuu…”
“Eri con lui?”
“Eh?”
“Quando avevi intenzione di dirmelo?”
“Yuya, io non…”
Yuya fece uno scatto nervoso, vedendo che Hikaru sembrava non voler capire e si passò una mano tra i capelli con fare seccato.
“Ho passato l’ultima mezz’ora a consolare due bambini in lacrime perché uno affermava che Hikka-sensei è il fidanzato del suo Onii-chan e l’altro che Hikka-sensei è amico del suo papà, tanto amico del suo papà” fece una pausa, iniziando a ridere nervosamente. “E ne era così convinto perché ha visto il suo papà e Hikka-sensei darsi i bacini nel lettone del suo papà” ripeté in una cacofonica cantilena le parole di Yamada.
“Yuya…”
“Yuya un bel niente, Hikaru!” lo interruppe il più grande. “Quando avevi intenzione di dirmelo?”
“Mi dispiace” fu l’unica cosa che l’educatore riuscì a dire.
“Questo l’hai già detto, Hikaru. Io… io non so come tu abbia potuto… come hai potuto farmi questo?” gli chiese e dovette trattenersi dall’urlare solo perché non voleva che i bambini si svegliassero e assistessero alla scena.
“Io non volevo, davvero, ma…”
“Ma? Ma cosa, Hikaru?” sbottò, senza dargli tempo di spiegarsi, perché le sue spiegazioni non gli interessavano, lanciandogli contro il suo orologio che Hikaru prese al volo, sentendo uno strappo al polso. “Come hai potuto tradirmi in questo modo? Eppure… eppure sai la mia storia, sapevi cosa ha fatto mio padre, io ti ho parlato di come mi ha fatto sentire. Sai quanto io non lo rispetti… perché? Perché hai dovuto essere così idiota?” gli chiese.
Hikaru chinò il capo: Yuya aveva ragione a trattarlo in quel modo, aveva ragione a urlargli quelle parole a insultarlo e sapeva che si stava anche trattenendo; la sua rabbia la comprendeva tutta, ma non sapeva neanche lui come spiegarsi, non c’era una spiegazione logica in tutto quello che sentiva, in quello che lo spingeva in quel modo verso Yabu e Ryosuke e che l’aveva portato ad agire come aveva fatto, tradendo la fiducia di Yuya a ferirlo, nonostante sapesse cosa aveva dovuto passare.
Se aveva qualcosa da dire, Hikaru, avrebbe dovuto parlare in quell’istante, fosse anche solo per domandargli scusa un’altra volta, sebbene sapesse che non sarebbe servito a niente, ma non ne ebbe il tempo.
“Onii-chan?”
“Yuri… vieni qui” lo chiamò Yuya, abbracciandolo.
Il bambino, ancora mezzo addormentato si era seduto sulle sue gambe, stringendolo. “Ti ho svegliato io?” gli chiese dolcemente il fratello maggiore.
“Ho sentito la tua voce, Onii-chan. Volevo stare con te” gli disse e Yuya lo strinse forte contro di sé, cullandolo.
Poi, senza guardarlo si rivolse a Hikaru.
“Ryo-chan è in camera, suppongo tu conosca la strada e anche quella di casa sua, per cui, ti sarei grato se lo riaccompagnassi tu” gli chiese.
Hikaru non disse niente, si limitò ad annuire e, poco dopo, fu di ritorno con Ryosuke ancora addormentato tra le braccia.
Yuya si alzò, tenendo a sua volta il fratello in collo, accompagnando i due alla porta e senza neanche un saluto da nessuna delle due parti, Yuya e Chinen rimasero nuovamente in casa da soli.

*

“Sono io.”
“Kota.”
“Come stai?” un tono di voce basso, malinconico per quella domanda retorica di cui sapeva già la risposta.
“Bene” mentì, perché quella era la sola cosa che potesse fare. “Sto andando a un colloquio di lavoro.”
“Vorrei che le cose fossero andate diversamente” ripeté piano la voce di Kota al telefono.
“Lo so… l’avrei voluto anche io.”
“Gli manchi… tantissimo, non fa altro che chiedermi di te” mormorò ancora.
Hikaru sospirò piano, passandosi una mano tra i capelli.
“Anche voi… anche voi mi mancate tantissimo, Kota” bisbigliò, cercando di non far tremare la voce, portandosi una mano alla bocca e mordendosi le labbra.
“Hikka…” l’altro parve accorgersi del suo disagio e lo chiamò. “Hikka, perdonami” gli disse, ancora una volta, apprensivo.
Il più giovane scosse il capo.
“Non… non devi, insomma, non è colpa tua” lo rassicurò.
“Mi dispiace” gli ripeté invece Yabu.
“Non potevamo fare altrimenti, siamo… siamo stati poco attenti e troppe persone che non avrebbero dovuto ci sono andate di mezzo.”
“Ti amo, ti amo e non sono riuscito a…”
Una pausa e a Hikaru si strinse il cuore, perché sapeva cosa provava, lo sapeva fin troppo bene, perché erano cose che sentiva anche lui. “Anche se ti amo, io… me l’avrebbe portato via, capisci?”
“Lo so. Lo so e…” un’altra pausa, un altro sospiro. “Ti amo anche io, Kota, e ti amerò per sempre.”
“Hikaru…” lo richiamò in fretta, sentiva che quel suo discorso non sarebbe finito bene, quella telefonata, lo avvertiva a pelle, sarebbe stata l’ultima.
“Devo andare adesso e anche tu” gli ricordò.
“Hikaru, aspetta, no, asp-”
“Mi dispiace, mi dispiace, Kota. Lo sai anche tu” gli disse con voce calma, non aveva alcun senso tergiversare ancora, farsi in quel modo male a vicenda, consapevolmente.
Era finita.
Dovevano farlo.
“Ti amo” mormorò Yabu.
“Ti amo” riuscì a dire il più giovane, sentiva che era davvero arrivato il momento e che presto sarebbe crollato. “Addio” gli disse.
“Addio, Hikaru.”

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