Una storia sbagliata 3/7

Nov 27, 2013 09:44


02

“Questa è casa tua, Ryo-chan?” domandò Hikaru, una volta fermato il motorino.
Yamada annuì e il casco gli scivolò davanti al viso; Hikaru si affrettò a sollevarlo e lo slacciò, guardando di nuovo la facciata della villetta di quella grande tenuta.
“È tutta vostra?” chiese, aiutandolo a scendere, smontando a sua volta, conservando il casco sotto il sellino. “Caspita” mormorò, prendendo poi per mano Yamada, avvicinandosi al cancello.
Bussò e attese invano per diversi minuti, nessuno aveva risposto e le finestre chiuse gli facevano intendere che, molto probabilmente, Yabu non fosse ancora tornato.
“Non c’è!” affermò Yamada.
“Già!” disse Hikaru, preoccupato, guardando nuovamente l’ora. “Cosa devo fare?” si interrogò, sospirando, stringendo la mano di Ryosuke, sentendosi poi strattonare dal bambino.
“Papà!” chiamò, allegro.
Hikaru si volse, vedendo un’auto entrare nel vialetto e fermarsi dietro il proprio motorino.
Yamada si liberò dalla sua presa, chiamando ancora il padre, saltandogli in braccio, quando questi scese dall’auto.
Hikaru rimase fermo a guardare il volto perplesso di Yabu quando si tolse gli occhiali da sole dal viso; e ancora di più lo fu il più grande quando si accorse della presenza di Hikaru. Questi accennò un breve inchino, vedendo Yabu avvicinarsi.
“Cosa è successo?” gli chiese e Yamada gli rispose entusiasta.
“Hikka-sensei mi ha accompagnato a casa! È stato divertente, Hikka-sensei ha una moto, papà!” gli disse, indicandola, investendolo di parole.
Yabu guardò prima il figlio, poi l’insegnante e solo allora parve realizzare.
“Oh, dannazione! Mi dispiace infinitamente, mi sono dimenticato. Keiko oggi aveva quella riunione e io… mi dispiace davvero tantissimo di averti creato tutto questo disturbo” si scusò, stringendo Ryosuke che rideva contento e chinandosi, dispiaciuto.
“Oh, ma no, ma no, non ti preoccupare. Non è stato un problema, davvero, sono felice che non sia successo nulla di grave. Ho chiamato tua moglie, non… non ti ha avvisato?”
Yabu scosse il capo e l’espressione che fece, Hikaru non riuscì ad afferrarla appieno, ma non gli piacque; c’era qualcosa nell’aura di Yabu che lo disorientava.
“Beh, visto che ora sei qui, io posso andare!” gli sorrise.
Yabu si volse, dopo aver aperto il cancello e aver lasciato Yamada a correre verso la porta di casa, affrettandosi a parlare.
“No, aspetta. Entra in casa, ti offro qualcosa.”
“Non ti preoccupare, non c’è problema!” rispose imbarazzato Hikaru.
“Davvero, insisto, mi sento troppo in colpa per essermi dimenticato e averti dato questo disturbo!” cercò di convincerlo.
Hikaru notò la sua espressione e, comprendendo il suo stato, annuì; in fondo, neanche lui voleva andarsene, quella stessa aura che avvolgeva il più grande e che lo confondeva, lo attirava davvero tanto: non sapeva come potesse essere possibile, l’aveva visto poche volte, ma in qualche modo, voleva sapere qualcosa di più di lui, voleva vedere sul suo viso un’espressione serena, per una volta. Un’espressione come quella che aveva quando guardava il figlio, la stessa che gli aveva visto ogni volta che era stato a prendere Yamada, ma che era sempre mista a malinconia, soffusa, impalpabile, ma c’era sempre e a Hikaru faceva male.
“D’accordo” annuì, “mi fermo volentieri” rispose, sorridendo e vide Yabu ricambiare.
“Papà, papà!” Yamada richiamò l’attenzione di Yabu il quale stava portando in salotto un vassoio con tre bicchieri, una birra e un succo di frutta.
“Dimmi, Ryo, ma non saltellare in quel modo, dai fastidio a Hikaru-sensei!” lo riprese, vedendolo che si agitava tra le gambe di Hikaru, il quale si era seduto sul divano. Il piccolo salì sui cuscini e passeggiò avanti e indietro in attesa che il padre prendesse posto con loro.
“Ryo, lo sai che la mamma non vuole a salire sul divano!” lo riprese.
“Ma sono scalzo!” obbiettò Yamada e Yabu lo guardò con rimprovero.
“È la stessa cosa, siediti composto, fa’ vedere a Hikaru-sensei come sei bravo!”
Yamada fece un salto e si lasciò ricadere seduto, muovendo i piedi e scontrandoli tra loro.
Il padrone di casa offrì un bicchiere con della birra fresca a Hikaru e ne versò un po’ per sé.
“Aaah, ci voleva proprio. Grazie mille!” esclamò Hikaru, posando il bicchiere e sollevandosi un istante per prendere il cellulare dalla tasca.
Yabu lo imitò e ricordò.
“Allora, quando sei pronto ti do il mio numero personale, così evitiamo altri spiacevoli inconvenienti, sperando non ce ne sia bisogno!” gli sorrise.
Hikaru annuì con la testa e Yabu gli dettò il proprio indirizzo e-mail e il numero.
Yamada li osservava curioso, prendendo poi il cellulare dalle mani del padre quando sentì Hikaru dargli i suoi dati.
“Io! Io, papà, io voglio la foto!”
“No, Ryo, non ci puoi giocare adesso, è una cosa importante, non dobbiamo fare le foto!” gli spiegò, allontanandogli il cellulare di mano, nonostante il bambino continuasse a tendersi verso di lui.
“Foto, papà! Foto!” continuava a chiedergli, fino a che non cedette; in fondo, per lui era davvero difficile riuscire a dire di no al suo Ryosuke.
“Avanti, una sola, mettiti in posa!” gli disse e Yamada sorrise.
Si sollevò sul divano, spostando le braccia che Hikaru teneva sulle proprie gambe, prendendovi posto lui stesso, sorridendo subito verso il padre, pronto per essere immortalato.
I due più grandi rimasero per qualche istante perplessi, poi Hikaru esclamò.
“Con me?” chiese a Ryosuke, il quale lo guardò e annuì.
“Quando la mamma chiama papà sul cellulare, esce la foto. Così quando Hikka-sensei chiamerà, papà vedrà la nostra foto” constatò semplicemente e Yabu sorrise a Hikaru.
“Mi dispiace” gli disse, ma l’altro scosse il capo, tranquillizzandolo.
“Non fa niente, Ryo-chan è davvero adorabile” disse, mettendosi a sua volta in posa e sorridendo guardando verso l’obbiettivo del cellulare di Yabu.
“Fatto!” disse il più grande, vedendo Yamada avvicinarsi a lui, gattonando sul divano e prendendo posto sulle sue gambe, volendo vedere lo scatto appena fatto.
Quando il piccolo vide il proprio volto sorridente e quello del sensei, si volse a guardare il padre entusiasta.
“Papà! Io da grande sposerò Hikka-sensei!” affermò.
“Davvero?” Yabu sorrise.
“Sì, me l’ha detto Hikka-sensei!” rimarcò, volgendosi ora verso l’insegnante.
“Davvero?” chiese di nuovo Yabu, guardando Yaotome.
Hikaru prese nuovamente un sorso di birra e sorrise.
“Ryo-chan ci teneva molto.”
“Ma come facciamo con Chii-chan?” chiese Kota al più piccolo, tendendogli un bicchiere con del succo di frutta alla fragola.
Yamada bevve e poi scosse la testa.
“Yuri Chii-chan ha detto che sposerà Yuuyan Onii-chan” spiegò, aggiornando il padre sugli ultimi sviluppi.
“Ryo-chan?” Hikaru lo chiamò e quando Yamada si volse verso di lui, portando di nuovo la tazza alla bocca per bere, gli spiegò. “Ti confido un segreto. Chii-chan non può sposare Yuuyan, perché è suo fratello, quindi tu devi diventare un bravo bambino per far innamorare Chii-chan di te” gli disse.
Yamada lo ascoltò attento e poi piano annuì; Hikaru lo trovò molto tenero, sotto sotto non era poi molto convinto di quella loro unione di ripiego e scoppiò a ridere.
“Perché ridi?” gli chiese Yamada e Hikaru lo guardò, continuando a sorridere.
“Sei sporco qui” gli disse, allungando fuori la lingua e passandola sulle proprie labbra, vedendo Yamada imitarlo e così ripulirsi.
Yabu li osservava divertito.
“Ci sai davvero fare?” constatò, versandogli ancora da bere. “È molto che fai l’insegnante?” si informò.
Hikaru bevve un altro sorso di birra fresca e rispose: “No, questa a dire il vero è la mia prima esperienza. Volevo un lavoretto estivo per racimolare qualche soldo, sto ancora studiando all’università” spiegò. “Scienze politiche” gli disse, ridacchiando poi. “Non hanno molta attinenza l’uno con l’altro, vero?” si schernì.
Yabu scosse le spalle.
“È tutta esperienza!” constatò.
“Tu dove lavori? Ho parlato con la tua segretaria in ufficio, ma non ho fatto caso al nome della compagnia” disse Hikaru, facendo conversazione.
“L’azienda è di mio suocero, non ho un ruolo molto rilevante nonostante questo, tengo la contabilità e sistemo i registri, faccio archiviazione. Una cosa che mi rende una persona, molto, molto, molto noiosa” sottolineò.
“Ma dai, che dici, invece secondo me è molto utile. Non ci fossi tu a badare a queste cose, non andrebbero molto avanti. Io non ci capisco nulla, per esempio” cercò di tirarlo su, ma Yabu controbatté in tono mesto.
“Beh, non ci fossi io ci sarebbe sicuramente qualcun altro. Anzi, forse sarebbe anche più bravo di me” constatò e Hikaru non seppe cosa rispondere, se doveva o meno rispondere qualcosa: era come se Yabu si stesse in qualche modo sfogando con lui, come se quei discorsi se li fosse ripetuti chissà quante centinaia di volte, ma Hikaru non credeva di potersi permettere di chiedere oltre o di dire cosa pensasse veramente.
L’altro se ne accorse e si passò una mano sugli occhi.
“Perdonami, Hikaru-sensei, ho parlato troppo anche adesso. Finisco sempre per ammorbarti con le mie cose. Mi spiace anche per l’altra volta al locale” si scusò di nuovo.
Hikaru tese le mani davanti a sé.
“Affatto… non devi preoccuparti. Se hai bisogno di parlare, sono qui, non devi farti problemi, anche se sono l’insegnante di Ryo-chan, come hai detto tu, siamo entrambi ragazzi. Avendo a che fare con i bambini tutto il giorno, è il caso che ogni tanto mi rapporti ai miei simili. Per cui è okey, davvero!” lo volle rassicurare.
“Grazie, Hikaru-sensei!”
Hikaru rise.
“Ti prego, chiamami Hikaru e basta” suggerì.
Yabu rise e bevve un sorso di birra.
“E tu puoi chiamarmi Kota!”
“Eh? No, no, non ci penso proprio. Non è il caso.”
“Perché no?”
“Beh, perché sono il maestro di tuo figlio e…”
“Ah, va bene, Hikaru-sensei!” ripeté Yabu.
“Eddai!”
Hikaru lo spinse per una spalla, passando il braccio sopra la testa di Yamada che li guardava perplesso, muovendo il viso dall’uno all’altro.
“Che c’è? Perché io sì e tu no?”
“Perché non è la stessa cosa!”
“Invece è identica!”
“No!”
“Sì…”
Si guardarono per qualche istante, poi si misero a ridere; Hikaru si abbandonò allo schienale del divano e Yabu si coprì il viso con una mano.
“Con te non riesco mai a spuntarla, eh?” disse Hikaru, osservando Yabu che gli mostrò una faccia soddisfatta.
“A quanto pare!” concordò con lui, poi il telefono di Hikaru squillò e il ragazzo lesse il messaggio.
“Devo andare adesso!” si congedò, posando le mani sulle ginocchia, sollevandosi. “Grazie della birra!”
“Grazie a te, di tutto e scusami ancora per il disagio” ripeté Yabu.
“Di nulla, davvero, Ryo-chan è un bambino adorabile, mi fa tanto ridere. Ci vediamo domani, Ryo-chan!” disse, rivolgendosi al piccolo, ancora seduto sul divano, il quale annuì lentamente, aveva il visino stanco e non riuscì a trattenere uno sbadiglio.
I due più grandi lo osservarono e si sorrisero.
“Deve essere esausto. Adesso gli do la cena e poi lo metto a letto!” spiegò, accompagnando Hikaru alla porta.
“Già, domani l’aspetta una giornata impegnativa. Ah, mi raccomando, ricordatevi della recita di fine settimana, i bambini si sono impegnati molto e ci tengono” gli ricordò.
“Hai fatto bene a rinfrescarmi la memoria. A che ora?” si informò.
“Alle tre. Ognuno dovrebbe portare qualcosa, se possibile” spiegò.
Yabu annuì, aprendo il cancello.
“Allora io vado!” ripeté Hikaru, una volta vicino allo scooter, prendendo il casco.
“Fai attenzione. E grazie!”
“Grazie a voi. Ci vediamo! Buonanotte!”

*

“Mamma! Papà!”
Yamada corse incontro ai genitori che fecero il loro ingresso nel cortile mano nella mano, sui loro visi campeggiavano dei sorrisi radiosi. Keiko si chinò sulle ginocchia, lasciando per un istante la mano del marito e prendendo in braccio il figlio, dandogli un bacio sulla guancia.
“Sei venuta!” si stupì Yamada, felice per quell’improvvisata.
“Ma certo, tesoro, non potevo di certo mancare alla tua recita!” gli disse, amorevole.
“Hikka-sensei, hai visto la mia mamma? È bella, vero?” gli chiese Yamada, stringendola in collo e guardando oltre la sua spalla, il proprio insegnante.
“Bellissima, Ryo-chan!” concordò e la donna annuì appena.
“Scusatemi un momento” si congedò da loro Hikaru, avviandosi verso la costruzione con lo scivolo dove Chinen aveva trascinato subito Yuya, non appena il fratello era arrivato.
“Ciao, Yuuyan!” lo salutò l’educatore, poggiandosi ai merli della casetta di plastica, guardando Chinen che giocava con la terra.
“Hikka, come stai?” gli sorrise affabile Yuya, guardando poi il giardino interno, scrutando i bambini che correvano di qua e di là e i loro genitori. “Avete davvero così tanti bambini?” domandò divertito e Hikaru annuì.
“Non ci possiamo rilassare neanche oggi, i bambini vanno seguiti anche se ci sono i parenti, vedi, alcuni di loro si fermano a chiacchierare con conoscenti e non badano ai figli” constatò.
Yuya rise, poi spostò lo sguardo su un bambino che rideva mentre giocava a dondolare reggendosi alle mani dei genitori e sorrise.
“Ryo-chan è in grande forma oggi. Sembra più allegro del solito!” affermò.
Hikaru annuì spostando a sua volta l’attenzione sul terzetto e osservandoli.
“La madre è davvero una bella donna, formano un grazioso quadretto, vero?” osservò, unendo le dita di pollice e indice di entrambe le mani come a volerli imprimere in un istantanea.
“Yuu” lo riprese Hikaru, prendendogli le mani e abbassandogli le braccia. “Non è bello fissare la gente” lo riprese, stringendogli senza farci molto caso le dita, lasciandolo andare quasi subito.
Poi a un cenno di una delle altre animatrici annuì vigorosamente e si rivolse a Yuya.
“Prendi il discoletto qui dentro, inizia lo show!” sorrise, allontanandosi e richiamando a sé l’attenzione dei bambini, chiedendo loro di mettersi in fila ordinatamente e in silenzio e ai genitori di seguirli, pazientando poi qualche istante affinché tutto fosse pronto, prima di entrare nella sala.
In cima alla fila, Hikaru osservò i suoi studenti eseguire gli ordini e Chinen e Yamada allinearsi buoni uno accanto all’altro, vedendo poi Yuri, per una volta, prendere l’iniziativa e stringergli la mano per camminare insieme, battendo sul tempo Yuma-chan che era intenzionato a prendere per mano Yamada.
Hikaru data la scena, lanciò uno sguardo divertito a Yuya il quale sorrise discretamente, entrando nella scuola; i parenti dei piccoli attori non dovettero attendere molto che Ichigo-sensei li chiamasse per farli accomodare, alcuni rimasero in piedi, per fare delle foto o dei video, sorridendo nel vedere i loro piccoli pronti per mostrare loro quanto avevano imparato.
Yuya fu tra quelli che non presero posto a sedere, sistemandosi sull’uscio della porta, accanto a Kota e Keiko, in piedi, davanti alla parete.
“Ciao!” salutò il più giovane, rivolto ai due coniugi.
La donna lo guardò stranita e Yabu che le stava cingendo la schiena con un braccio le accarezzò dolcemente un fianco: “Tesoro, lui è Yuya, il fratello maggiore di Yuri. Ricordi, Ryo ci ha parlato tanto di lui.”
Keiko ci pensò un attimo, poi sorrise, affabile, tendendogli una mano.
“Ah, sì, Yuuyan Onii-chan, piacere, sono Keiko la madre di Ryosuke. Spero che mio figlio non sia troppo invadente” gli disse con educazione.
Yuya le strinse la mano dalla carnagione bianchissima e scosse la testa.
“Assolutamente no, anzi, sono felice che Yuri abbia trovato un amico come Ryo-chan, mio fratello non ha un carattere molto facile, ma a Ryo piace, ne sono felice” ammise, ricambiando lo sguardo. “Stavo pensando una cosa, se per voi non è un problema, mi piacerebbe uno di questi pomeriggi invitare Yamada a giocare con Yuri, lo prenderei io quando vengo a recuperare mio fratello e ve lo riporterei a casa. Ho la macchina!” disse. “Così non vi dovete disturbare, se avete problemi con il lavoro” si offrì.
Dopo essersi scambiati uno sguardo, marito e moglie annuirono e Yuya ne fu subito entusiasta, scrisse il proprio numero in un pezzo di carta e Yabu gli consegnò il proprio biglietto da visita.
“Meglio che contatti me, Kei-chan purtroppo ha un lavoro che non le permette troppe distrazioni” sorrise, voltandosi a guardare la moglie e dandole un bacio sulla tempia.
“Già, purtroppo ci sono da fare dei piccoli sacrifici, mi spiace soprattutto non avere troppo tempo da dedicare a mio figlio; oggi ho dovuto chiedere un permesso speciale per essere qui” spiegò, voltandosi poi verso la sala, quando Yukiko-sensei chiese loro un po’ di attenzione, facendo un breve discorso introduttivo.
Yuya prese la sua piccola videocamera per immortalare quello spettacolino, vedendo il fratello, Yama-chan e Yuma con dei grembiulini colorati, prepararsi in prima fila davanti agli altri, pronti per iniziare lo spettacolo.
I piccoli erano emozionatissimi e Yamada si distrasse un istante per salutare con la mano i genitori, iniziando a muovere i primi passi quando sentì la musica partire. Nonostante alcune imperfezioni, dovute all’imbarazzo, erano comunque riusciti a montare un grazioso balletto che fece commuovere la maggior parte dei presenti e anche qualche insegnante.
“Adesso, possiamo nuovamente recarci fuori dove abbiamo allestito un piccolo rinfresco. Grazie a tutti per la partecipazione, speriamo che sia stata di vostro gradimento. I piccoli si sono impegnati molto ed erano un pochino agitati, ma possiamo essere fieri di loro” concluse con quelle poche parole Nobuo-sensei.
Ciascun bambino corse nuovamente dalla propria famiglia e tutti poterono uscire per fare merenda, trovando Hikaru-sensei all’ingresso che mostrava loro dove poter trovare i lavori che i figlioli avevano eseguito durante quei giorni di campo scuola.
“Onii-chan, andiamo fuori!” Chinen tirò Yuya per un braccio esortandolo a seguirlo.
“Vai, poi vi raggiungo!” gli disse Hikaru, il quale aveva capito che l’altro gli volesse parlare, assicurandogli che poi avrebbe trovato un momento per lui.
Quando uscì a sua volta nel cortile, Hikaru si sentì chiamare da Chinen che agitava le braccia in sua direzione, chiedendogli di avvicinarsi.
“Hikka-sensei! Guarda! Sono un pirata!” disse, dalla sua postazione sopra l’albero.
Hikaru rise.
“A me sembri più una scimmietta! Che ci fai quassù?” gli chiese, scompigliandogli i capelli.
“Mi ha fatto salire Onii-chan!” rispose soddisfatto, allungando le mani verso la testa di Yuya che si avvicinò a lui, dandogli le spalle, facendo in modo che vi salisse sopra.
“Yuu, tra poco andiamo!” lo avvertì il fratello.
“Noo, Onii-chan, stiamo ancora un po’!”
“No, lo sai che devo andare a lavorare prima oggi” gli spiegò e Chinen annuì, posandogli le mani sulle guance, iniziando a giocherellarci con le dita.
“Non sapevo lavorassi” si stupì Hikaru.
“Ogni tanto, vado a dare una mano a un mio amico, ci conosciamo fin da quando eravamo piccoli. La famiglia gestisce un piccolo ristorantino tipico, fanno tante specialità diverse di ramen!”
“Dai-chan!” esclamò Yuri, sentendo il fratello parlare e Yuya portò un po’ indietro la testa per guardarlo.
“Esatto!” affermò, poi tornò a guardare Hikaru. “Hikka, tu che programmi hai per stasera?” gli chiese.
Il più piccolo ci pensò su un attimo e scosse il capo.
“Al momento ancora nessun programma. A parte buttarmi sotto la doccia e rilassarmi per il resto della serata, perché?”
“Non credo di finire tardissimo oggi, ti andrebbe di cenare con me, al ristorante di ramen? Offro io” propose.
“Sìì!” una vocina allegra e un movimento piuttosto pericoloso da sopra le spalle di Yuya attirò l’attenzione dei due ragazzi.
“Non tu, Yuri, ho chiesto a Hikaru-sensei.”
“Anche io!”
“No, io devo lavorare!”
“E lui?” obbiettò giustamente.
“Metterò a lavorare anche Hikaru-sensei!”
“Dai-chan non vuole!” gli rispose prontamente il fratello e Yuya lo fece scivolare verso il basso, davanti a sé, capovolgendolo a testa in giù.
“Noo, Onii-chan, ho paura!” si lamentò il piccolo Yuri, reggendosi con entrambe le mani alle braccia del fratello, il quale rideva.
“Ti arrendi?” gli chiese e Chinen, nonostante non avesse intenzione di farlo, fu costretto a cedere per riuscire a tornare con i piedi per terra.
Yuya rise e sollevò di nuovo lo sguardo su Hikaru.
“Che dici?” chiese.
L’altro annuì entusiasta, guardando poi Yuri si chinò sulle ginocchia e, dispettoso, mormorò al suo orecchio: “Io ho un appuntamento con Yuuyan Onii-chan!” lo prese in giro.
Il piccolo tirò indentro le labbra e allungò le mani per spingerlo, ma Hikaru lo intercettò, prevenendolo.
“Hikka-sensei!” la voce di Yamada che correva verso di lui lo distrasse un istante dalla sua contesa con Yuri.
“Ryo-chan, dove sono mamma e papà, cosa succede?” gli chiese.
“Hikka-sensei, non lo so, stavo giocando sull’altalena con Yuto-kun e non c’erano più. Devo fare la pipì, mi scappa, Hikka-sensei!”
“Oh, sìsì, andiamo, subito, vieni!” si risollevò velocemente, prendendolo in braccio, sentendosi richiamare da Yuya.
“Hikka!”
“Stasera alle nove. Ti mando una mail quando sto per partire da casa così mi spieghi dov’è! Scusami!” disse velocemente, entrando a passo svelto dentro l’asilo con Yamada.
“Presto! Presto! Presto!” ripeteva Hikaru, facendo ridere Yamada.
“Hikka-sensei! Sono bravo, ce la faccio!” gli disse Ryosuke, stringendo le gambe.
Hikaru mise mano alla maniglia della porta del bagno, scostandola appena, prima di bloccarsi nell’udire un vociare poco tranquillo.
“Basta, sono stufa!”
“Aspetta, Keiko!”
“No, Kota, voglio tornare subito a casa.”
“Ma Ryosuke…”
“Non mi interessa. Ho del lavoro da portare avanti io. E adesso basta, andiamocene, questa farsa della famigliola felice è durata anche abbastanza!”
“Kei-chan!”
Hikaru si scostò vedendo la porta aprirsi di scatto, appena in tempo per non venire investito dalla donna che, furiosa, usciva dalla toilette.
“Mamma…” mormorò Yamada, guardando la donna che neanche parve averlo sentito e Hikaru strinse di riflesso il corpo del bambino a sé, come a volerlo proteggere; sperava Hikaru che Yamada non avesse compreso, ma qualcosa gli diceva che, invece, il bambino aveva capito e anche molto bene e che non fosse neanche la prima volta che assisteva a scene del genere.
La donna li sorpassò, incurante dello sguardo del figlio e di quello spaesato di Hikaru, il quale poi sobbalzò, sentendo anche Yabu raggiungerli.
“Kei-chan!” urlò Kota, richiamando la moglie, prima di rendersi conto di chi avesse davanti.
“Papà…” Yamada chiamò il genitore, con espressione triste.
“Ryo-chan” Yabu tese le mani verso il figlio che si sporse, lasciando il proprio insegnante, per abbracciare il padre e stringersi a lui, iniziando a piangere silenziosamente. “Mamma è arrabbiata con me” disse sottovoce.
“No, tesoro, non è vero. La mamma…” Yabu guardò un momento Hikaru negli occhi e poi li socchiuse, concentrandosi sul figlio, guardandolo in viso. “La mamma aveva un po’ da fare ed è dovuta tornare prima a casa.”
“Anche noi, andiamo a casa, papà!” gli chiese, nascondendo il viso contro il suo collo.
Yabu lo cullò, passandogli dolcemente una mano sulla schiena.
“Sì, Ryo-chan, adesso andiamo” assicurò, superando Hikaru, con sguardo basso.
“Kota!” lo chiamò l’altro e il più grande si volse verso di lui.
“Scusami!” gli disse semplicemente, prendendo lo zainetto del figlio e uscendo dall’asilo.

*

Quando uscì dalla doccia, Hikaru si sentiva esausto, invece di aver riacquistato le forze, era come se le avesse completamente perse, come se, oltre a mandare via lo stress e la stanchezza di quella giornata, i pensieri gli si fossero ancorati addosso ancora di più.
Non avrebbe mai voluto assistere a quella scena nei bagni tra i genitori si Yamada: l’impressione che aveva avuto di Keiko a prima vista era stata ampiamente confermata, non comprendeva come mai una madre di famiglia potesse rivolgere al marito simili parole, simili parole nei confronti del proprio figlio. Un bambino non meritava quel tono e quei pensieri. Ryosuke non meritava quelle affermazioni. Era una cosa di cui Hikaru non riusciva a capacitarsi.
Avrebbe voluto dire qualcosa a Yabu, ma non c’era riuscito, non gli sembrava giusto, non era affar suo, questo lo sapeva bene; sapeva che non doveva immischiarsi in cose così personali, era pressoché un estraneo per quella famiglia, conosceva Ryosuke da poche settimane e anche se con Yabu aveva parlato diverse volte, questo non faceva di lui un suo amico. Inoltre, gli sembrava davvero indelicato e poco professionale impicciarsi. Aveva le mani legate, non poteva farci niente.
Si distese sul letto, indossando ancora l’accappatoio, allargando le braccia, chiudendo gli occhi: non poteva dimenticare il volto triste di Ryosuke, l’espressione dispiaciuta e quasi arresa di Yabu, quella malinconia sul suo viso, comparsa ancora una volta, come se, anche volendo fare qualcosa, non potesse farlo, come se lui per primo non avesse via di scampo.
Il cellulare vibrò risvegliandolo da quei pensieri e Hikaru lesse la mail di Yuya che gli spiegava come arrivare al ristorante di ramen del suo amico.Yaotome si posò un braccio sugli occhi, sospirando: non aveva più molta voglia di uscire, non dopo che quelle sensazioni di malinconia e disagio l’avevano avvolto, eppure sapeva di non volere comunque restare a casa ad arrovellarsi di pensieri:.Yuya gli piaceva, era da tanto tempo che non incontrava una persona come lui, capace di interessarlo da subito, capace di farlo stare sereno come quando lo era parlamdo con lui. E Yuya non aveva mai fatto mistero di avere degli interessi per lui, Hikaru si sentiva lusingato.
“Sono rientrato da poco a casa, mi faccio bello e arrivo. Ho capito dove si trova il ristorante” gli rispose, in automatico, senza pensarci due volte. Aveva voglia di svagarsi.
“Più bello di così? Non voglio di certo sfigurare, qui le ragazze vengono solo perché ci sono io. Quindi metti la prima cosa che ti capita, andrà benissimo.”
La mail con tanti smile di Yuya lo fece scoppiare a ridere.
“Infatti era proprio quello che pensavo di fare.”
“Modesto!”
“Sono realista.”
“Scemo! I miei dieci minuti di pausa sono finiti, devo riprendere a lavorare. Ti aspetto, Hikka.”
Chiuse il cellulare e sorrise: sì, doveva veramente uscire e lasciarsi alle spalle ogni cosa, quella sera, doveva riuscire a pensare solo a divertirsi.

04

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