[Hikame] Jitsu wa soko ni wa nani mo nakute no tsukuru gensou de

Oct 06, 2013 11:52

Titolo: Jitsu wa soko ni wa nani mo nakute no tsukuru gensou de (The truth is that nothing exists out there; it’s just an illusion that someone created) [Kaimu - One Ok Rock-]
Fandom: RPF - KAT-TUN/ Hey! Say! JUMP
Personaggi: Kamenashi Kazuya, Yaotome Hikaru
Pairing: Hikame
Rating/Genere: nc-17/erotico, malinconico
Warning: slash
Wordcount 1.843 fiumidiparole
Note: la storia è scritta per la 500themes_ita con il prompt ‘L’unico che nessuno vede’.
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella: 500themes_ita

“Otsukare-sama deshita!”
Hikaru si inchinò davanti ai membri dello staff, stringendo emozionato tra le braccia il mazzo di fiori che gli avevano consegnato come ringraziamento per il lavoro svolto in tutti quei mesi e che si concludeva con quella serata per l’ultima esibizione a teatro.
“Grazie a tutti, sono stato molto bene e mi sono divertito, è stato un piacere lavorare tutti insieme!” disse, sorridendo sincero e continuando a salutare i presenti mentre si allontanava, raggiungendo i camerini.
Si chiuse la porta alle spalle, poggiandovi stancamente la schiena, abbassando le braccia con fare fiacco, osservando la composizione floreale e passandosi una mano davanti al volto, sugli occhi chiusi e stanchi: era stata davvero una bella esperienza partecipare a quel butai, ma dopo tanto lavoro e dopo tutta l’adrenalina provata in quei giorni intensi, adesso che tutto era finito si sentiva privato di qualsiasi forza.
“Hikaru-kun!”
Una voce nota lo riscosse e Yaotome sollevò lo sguardo avanti a sé vedendo Kamenashi Kazuya avvicinarsi a lui sorridente.
“Kamenashi-kun” lo salutò, inchinandosi e ringraziandolo per il bel lavoro svolto insieme.
“Otsukare” gli rispose il più grande. “Sei devastato” gli disse Kazuya, scompigliandogli i capelli.
“Un po’ sì, devo ammettere e non posso neanche riposarmi più di tanto perché domani devo andare a registrare la nuova puntata dello School Kakumei” spiegò mesto, chinando il capo, allontanandosi dalla porta e iniziando a sistemare le proprie cose, indeciso se farsi subito una doccia o andare direttamente a casa e mettersi a dormire.
“Peccato che sia stanco… volevo proporti se ti andasse di bere qualcosa insieme, Tamamori e gli altri mi hanno già dato buca, speravo davvero in te” ammise, iniziando a sua volta a cambiarsi. “Però forse è meglio vedersi tutti insieme una prossima volta” ponderò, ci teneva davvero tanto a festeggiare la conclusione del lavoro con i suoi kohai.
“No, vengo!” rispose Hikaru senza indugiare troppo oltre.
“Davvero?” Kamenashi si volse verso di lui stupito. “Non devi forzarti se non ti va, se preferisci riposare…”
Hikaru lo fermò, scuotendo il capo e sorridendogli: “Mi fa piacere, sarà anche questo un modo per riprendermi e rilassarmi. Devo solo fare una doccia veloce, se mi puoi aspettare” spiegò e Kamenashi annuì.
“Ovviamente, fai con comodo, io intanto finisco di prepararmi e ti aspetto!” gli assicurò e il più piccolo si precipitò sotto la doccia.

*

“Eccoci, arrivati!”
Kamenashi fece accomodare il suo ospite nel proprio appartamento e Hikaru lo ringraziò piano, cambiandosi le scarpe.
“Mi dispiace, Kamenashi-kun, io non so cosa mi sia preso, ti ho rovinato la serata!” si scusò ancora, così come aveva fatto nell’auto del più grande, per tutto il tragitto verso casa.
Erano andati a cenare fuori, Kazuya si era offerto di pagare anche per lui, sebbene Hikaru avesse insistito per voler fare da sé, ma mentre stavano chiacchierando tranquillamente Yaotome era stato poco bene, aveva iniziato a tremare e a sentire la testa girare, forse la stanchezza accumulata e complice il vino che avevano ordinato per festeggiare, avevano avuto la meglio su di lui.
“Mi dispiace darti anche questo ulteriore disturbo” continuò il più piccolo, mentre seguiva l’altro in casa, verso il bagno per potersi rinfrescare il viso e Kame gli dava un asciugamano.
“Non dirlo neanche per scherzo, sarei stato maggiormente in pensiero se ti avessi riportato a casa tua, sapendoti solo e in queste condizioni. Mi sento responsabile, non dovevo farti bere!” si accusò a sua volta.
Hikaru si tamponò il volto e scosse poi il capo.
“No, anzi, ti ringrazio per essere stato così premuroso. Ora sto un po’ meglio” gli disse, lasciandosi scortare nel salotto e sedendosi sul divano.
“Aaaah sono un caso perso!” si lamentò Hikaru abbandonando la testa all’indietro.
“Ma dai!” rise Kame, posandogli una mano sulla spalla, raggiungendolo e tendendogli un bicchiere d’acqua.
“Grazie!”
“Ti dispiace se io mi verso ancora del vino?” gli chiese il padrone di casa ridacchiando. “Stasera mi va di bere” ammise, prendendo un sorso di vino rosso e fermandosi poi a guardare Hikaru.
“Sei sicuro che vada tutto bene, al di là della stanchezza per il lavoro?” chiese il più grande, scrutando nel suo sguardo.
“Sì, sì, certo…” annuì Yaotome, piegando le gambe sul divano.
“Senti, Hikaru, io non voglio forzarti a parlare, ma conosco quello sguardo, conosco quei sospiri, fin troppo bene, credimi e so per certo che tenerti tutto dentro non ti farà assolutamente bene” cercò di consigliarlo, parlando con tono di voce basso, guardandolo negli occhi perché comprendesse quanto fosse serio. “Ti ho osservato per tutto questo tempo e so riconoscere quando c’è qualcosa che non va qui” gli disse posandogli un dito sul petto, a indicargli il cuore. “So quanto ci si possa buttare a capofitto nel lavoro pur di non pensare, ma non è la soluzione” concluse.
Yaotome tacque per qualche istante, prima di sorridere mestamente.
“Mi dispiace” ripeté ancora, portandosi una mano davanti al viso. “Non ne combino una giusta, non mi merito tutte queste attenzioni, davvero” sminuì.
“E perché? A me dispiace vederti così giù, lo so che magari non sono la persona giusta con cui ti sentiresti di confidarti ma… sono qui” gli disse, stringendosi nelle spalle, assaporando un altro sorso di vino.
“Perché questa è la mia vita, è la storia che si ripete, sempre sempre. Io sono l’unico che nessuno vede, è il mio destino” ammise mestamente.
“Non è comunque un bene” lo apostrofò Kazuya. “E non è neanche un bene essere visibile agli occhi degli altri. Non lo è se credi di essere tutto per una persona, non lo è se ti illudi che possa esistere un futuro e poi di punto in bianco vieni abbandonato a te stesso. Solo per renderti conto che invece per quella persona tu non sei mai stato importante come credevi. Renderti conto che per quella persona sei niente” sorrise tristemente Kamenashi.
“Kame, io…”
“Oh, non ti preoccupare, ormai ci ho messo una pietra sopra e dopo un po’ non fa più tanto male, ci si abitua. Anche perché” rise arreso a quelle parole. “O si fa così o per te è finita.”
Hikaru restò in silenzio ad ascoltarlo, non aveva compreso nei dettagli, ma non poté fare altro che concordare con lui, pensando alla propria situazione: spesso le persone sono così presuntuose da avere la pretesa di sapere come ci si sente, ma non è mai vero.
In quella particolare situazione però, Hikaru sapeva che, anche se non ne conosceva i dettagli, Kamenashi era l’unico in grado di comprenderlo.
“Aaaah, sono una persona deprimente e triste, forse dovrei bere anche io!” disse Hikaru, sporgendosi verso il tavolino e versandosi un po’ di vino nel bicchiere usato da Kamenashi, bevendo tutto d’un fiato.
“Ehi, Hikaru!” il più grande cercò di fermarlo ma non ne ebbe il tempo che Yaotome svuotò immediatamente il calice. “Fai piano, sei stato male e nello stato in cui sei non è consigliabile bere” lo rimproverò, togliendogli di mano il calice.
“Beh, forse questo mi aiuta a non pensare…” parlò piano il più piccolo. “Inoltre ho rovinato la serata a entrambi” disse poi d’un tratto. “Sarà meglio che vada!” si alzò all’improvviso dal divano, barcollando per il movimento improvviso, sentendo di nuovo la testa girare.
“Ehi, fai piano e smettila per un istante di pensare queste cose!” lo rimproverò, prendendolo per un braccio, tirandolo verso di sé. “Non mi stai disturbando, non stai facendo niente di male. E, soprattutto, io non voglio che tu te ne vada via” modulò il tono di voce, ammorbidendolo.
Hikaru sollevò la testa, posandola sulla spalla del più grande per riuscire a guardarlo in viso, Kamenashi gli sorrise, spostando le braccia per riuscire ad abbracciarlo meglio e dargli conforto e Hikaru fissò i suoi occhi, che vedeva così simili ai propri. Senza dare conto di quello che faceva al proprio cervello si tese, raggiungendo le labbra del più grande con le sue, dandogli un breve bacio.
“Scusami…” realizzò poi, cercando di scostarsi, ma sentendo le mani di Kame premergli sul petto.
“Aspetta” lo fermò il senpai. “Tu non sei solo, Hikaru… Non è vero che sei invisibile, perché io ti vedo e se tu me lo permetterai io…”
Hikaru non gli concesse di finire di parlare, sollevandosi e voltandosi in quell’abbraccio, cingendogli il collo posando ancora una volta le labbra sulle sue.
Kamenashi lo tenne per i fianchi, lasciandosi andare all’indietro e tirando Yaotome sopra di sé, chiedendo accesso alla sua bocca, cercandogli la lingua per duellare con la propria, baciandolo in modo urgente, da togliergli il fiato.
Si separarono un solo istante per guardarsi negli occhi, il tempo di leggere nei reciproci sguardi e lasciare andare ogni inibizione, ogni facoltà razionale, per trasformarsi in puro istinto.
Si tolsero i vestiti e Kamenashi ribaltò le posizioni, stendendosi sopra il corpo di Hikaru, lasciando scivolare una mano tra le sue gambe, accarezzandolo e scendendo con le dita verso il basso, cercando la sua apertura.
Yaotome sospirava impaziente, chiedendo fin da subito al più grande di accontentarlo, di non lasciarlo ancora privo di qualcosa di più: non aveva bisogno di tante attenzioni, perché in quel momento quello che stava provando era così grande e intenso che ne voleva di più, voleva sentirsi vivo, voleva sentire il proprio corpo accendersi, voleva sentire ancora una volta il suo cuore battere per qualcosa di bello.
E Kazuya parve comprenderlo, perché lo preparò ancora per qualche istante, prima di sostituire le dita con il proprio sesso e spingersi dentro di lui, aprirlo piano, facendo attenzione a non essere troppo brusco ma permettendogli di gridare e ansimare di piacere.
Hikaru gli strinse le braccia, allacciandogli le gambe dietro la schiena, cercando di assecondarne i movimento, arcuandosi con il busto verso di lui e andandogli incontro quando il più grande iniziò quasi da subito a spingere con impazienza.
Hikaru gridava e invocava il nome di Kamenashi come fosse una nenia capace di tranquillizzarlo, mentre le mani del più grande erano ovunque su di lui, atte a vezzeggiarlo, attente a dargli quanto più piacere possibile.
E Hikaru gli fu grato, fu grato a quel ragazzo per quello che stava facendo per lui, che quando raggiunse l’orgasmo pianse, sciogliendosi nella sua stretta e mugolò quando dopo diversi istanti, dopo altre secche spinte Kazuya venne dentro di lui.
Si lasciò andare spossato sul divano, un braccio lungo il fianco e uno a circondare la schiena di Kamenashi, distesosi su di lui per riprendere a sua volta fiato.
Quando sentì il più grande sollevarsi da lui, sfilandosi dal suo corpo, Hikaru sospirò, sentendo le mani di Kamenashi accarezzargli una coscia, scivolare sul ginocchio e ripetere gli stessi movimenti, mettendosi poi seduto.
“Va un pochino meglio?” domandò il padrone di casa sorridendogli e Hikaru annuì, imbarazzandosi un istante, abbassando lo sguardo.
“Forse dovrei…”
“Perché non ti fermi a dormire qui stanotte?” lo interruppe Kamenashi, anticipando qualsiasi sua idea e si alzò, tendendogli una mano, facendogli capire in quel modo che la risposta che si aspettava da lui era una soltanto.
Hikaru lo guardò e ancora una volta gli fu interiormente riconoscente, si limitò allora ad annuire conscio che Kame avrebbe nuovamente inteso i suoi intimi pensieri e sorrise, prendendogli la mano e intrecciando insieme le loro dita.

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