Titolo: Itsudemo te wo tsunaide ita (Forever I’ll hold your hand) [Super Delicate - Hey! Say! JUMP]
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Yabu Kota, Inoo Kei
Pairing: Inoobu
Rating/Genere: PG/ AU, romantico
Warning: slash
Wordcount 1.552
fiumidiparoleNote: la storia è scritta per la
diecielode per la tabella wTunes - Playlist con il prompt ‘Ed io da qui ti sentirò vicino’ e per la
500themes_ita con il prompt ‘ricordi che si srotolano nella mente’.
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella:
500themes_itaTabella:
wTunes - Playlist “Kei-chan, me lo fai un sorriso?”
Kota chinò il capo, cercando di guardare in viso l’amichetto che, si vedeva chiaramente, era sull’orlo delle lacrime e cercava con tutte le sue forze di non scoppiare a piangere.
“Kei, saluta Yabu-kun, non vuoi dirgli ciao?” la madre strinse la mano del figlio, incoraggiandolo a congedarsi dall’amico di giochi con un sorriso, ma Kei era troppo triste per riuscire a fingere.
Lui non se ne voleva andare da quella casa, non voleva lasciare Kota!
“Kei-chan!” ancora una volta fu il bambino più grande a parlare, prendendo la mano di Inoo e legandogli al polso un orologio di colore verde scuro, lasciando il bambino sorpreso per quel regalo tanto che finalmente Kei alzò lo sguardo verso di lui.
Yabu gli sorrise, mostrandogli il proprio polso sul quale spiccava un accessorio identico ma di colore blu.
“Vedi? Sono due orologi magici!” gli disse Kota, attirando l’attenzione di Kei, premendo un bottone sul lato del quadrante che fece separare la parte con i numeri e le lancette dal cinturino.
Kei guardò sorpreso quel particolare orologio e Kota sorrise.
“Ci ho messo una nostra foto” gli spiegò, indicandogli il piccolo ritaglio che li vedeva sorridere entrambi alla macchina da presa. “Così se ti sentirai solo o triste la guarderai e ti ricorderai di me” esclamò. “Ed anche io da qui ti sentirò vicino!” aggiunse, annuendo con convinzione, vedendo finalmente Kei sorridergli, gettandogli poi le braccia al collo.
“Ti voglio bene, Ko-chan. Arrivederci!” lo salutò, mandando giù un groppo nostalgico, ma con il cuore emozionato.
“Addio, Kei-chan!” lo salutò di rimando il più grande.
*
“Kei!”
Una voce divertita e una leggera scossa sulla spalla fecero in modo ch Kei si svegliasse, sollevando la testa dal banco, guardando sorpreso l’aula vuota.
“Eh eh, ben svegliato, principessa!”
“Dai-chan… che ore sono?” gli chiese, stiracchiandosi e coprendo uno sbadiglio con la mano.
“Sono finite le lezioni del pomeriggio e tu hai passato l’ultima ora a sonnecchiare. Ho cercato di svegliarti, ma dormivi profondamente, stavi sognando qualcosa di bello per caso?” gli chiese, aspettandolo mentre lo vedeva prendere le sue cose.
“Mh… più o meno. Mi sono ricordato di una cosa successa diversi anni fa quando ancora vivevo a Iruma…”
“Ricordi d’infanzia quindi! Chissà come mai questa nostalgia!” Arioka sorrise, mentre camminavano per i corridoi.
“Rientriamo a casa insieme?” domandò Inoo, quando varcarono il cancello principale e Daiki si voltò verso di lui con un leggero imbarazzo.
“Ehm… ecco, oggi veramente non posso, devo andare in un posto!” spiegò.
“Oh!” Kei sorrise, dandogli una leggera gomitata al braccio. “Devi vedere Ryo-chan per caso? È un appuntamento?” indagò malizioso e Daiki lo spinse per una spalla, impacciato.
“Non è un appuntamento, mi ha chiesto se fossi libero per accompagnarlo a comprare delle scarpe nuove per il club. Sono il manager e non potevo dire di no!”
“Sì, sì” Kei fece un movimento della mano a fargli intendere che non se la beveva e lo stuzzicò ancora: “Ma perché non glielo dici che ti piace?”
“Ma perché non è così!”
“A lui tu piaci.”
“Davvero?” Daiki sembrava stranamente interessato alla cosa e Kei lo prese in contropiede.
“Ma tanto lui non ti piace” lo citò. “Quindi non importa…” guardò l’altro con la coda dell’occhio e lo vide indeciso se abbassare o meno completamente le proprie difese ed esporsi.
Kei rise e gli batté una mano sulla spalla: “Sta solo aspettando che ti decida tu!”
“Cosa? Non ci credo!”
“Invece sì, me l’ha detto!”
“Eh?”
Kei annuì con la testa.
“Perché ti avrebbe detto una cosa del genere?”
Kei si strinse nelle spalle: “Non lo so, forse perché vede che siamo sempre insieme e magari pensava che tra noi ci fosse qualcosa!”
Daiki scoppiò a ridere: “Ma dai! Io e te?”
“Non sei per niente carino. E se io fossi stato segretamente innamorato di te, ma fossi stato bravo a fingere? In questo momento potresti avermi appena spezzato il cuore!” gli disse, incrociando le braccia al petto.
Arioka sorrise e si ricompose: “Avrei potuto anche crederci se solo tu non portassi ancora quell’orologio al polso” gli fece notare indicando quell’accessorio al quale, dopo anni, dopo tanto tempo, Kei teneva più che a qualsiasi altra cosa.
Kei lo guardò e sorrise, salutandolo poi con un cenno della mano, lasciandolo andare al suo non-appuntamento con Ryosuke, dirigendosi verso casa, sentendosi invaso da una sensazione di nostalgica malinconia, mentre il pensiero di giorni passati erano piacevoli ricordi che si srotolano nella mente ancora vivi. Sapeva che era una cosa strana da parte sua, ma i giorni trascorsi nella sua città natale, quelli passati insieme a Kota, quel bambino di cui Kei ricordava perfettamente ogni cosa, erano i più belli che Kei ricordasse e li custodiva gelosamente nel cuore; spesso apriva quell’orologio e osservava quella vecchia fotografia, sentendosi bene.
Gli piaceva l’idea o anche il solo pensare che da qualche parte forse neanche quel bambino anche lui cresciuto e diventato adolescente l’avesse dimenticato.
In realtà, forse neanche si ricordava di lui, ma l’immagine che Kei aveva di Kota nella sua mente era qualcosa che al solo ricordo gli avrebbe sempre fatto bene al cuore.
“Mamma, sono a casa!” si annunciò, togliendosi le scarpe e vedendo che un altro paio, che Kei non conosceva, erano accostate all’ingresso. “Abbiamo ospiti?” chiese alla donna, entrando in cucina e trovandola seduta al tavolo con un ragazzo.
“Kei, tesoro, bentornato!” lo accolse la madre sorridendo. “Guarda un po’ chi è venuto a trovarci? Ti ricordi di lui? O, forse eri troppo piccolo… è Yabu-kun, il nostro vicino di casa a Iruma. Anche loro si sono trasferiti, sai? Vivono vicini al centro, ma come è piccolo il mondo! Akane-chan con cui sono rimasta in contatto gli ha detto che eravamo qui ed è venuto a salutare, non è stato carino?”
La donna lo riempì di parole, ma Kei aveva captato solo superficialmente quelle informazioni, troppo concentrato a impedire al proprio cuore di fuggirgli dal petto, continuando a osservare Kota: era così cambiato, era così cresciuto e sembrava così diverso, nonostante quel sorriso fosse identico a quello di cui Kei si era innamorato.
Nel pensarlo, Kei si riscosse, realizzando in quel momento cosa fossero tutte quelle sensazioni che provava, quello che si era portato dietro per anni, troppo spaventato di soffrire di più se l’avesse chiamato con il proprio giusto nome.
“Ah, Kei, fa un po’ di compagnia a Yabu-kun, io devo andare un attimo al negozio! Ho proposto a Yabu-kun di fermarsi a cena, così magari potrete parlare, sono certo che avrete tanto da dirvi. Eravate molto amici da piccoli!” continuò la madre di Inoo, incurante del tumulto di sensazioni che il figlio aveva dentro.
Solo quando finalmente rimasero da soli, Kei parve ritrovare il regolare ritmo del proprio respiro, che mutò ancora quando vide Kota alzarsi e avvicinarsi a lui.
“Ciao, Kei-chan, da quanto tempo” esordì l’ospite e Kei sorrise, sentendo il suono della sua voce, sentendo di nuovo quella voce pronunciare il suo nome, nessuno riusciva a farlo emozionare in quel modo come si sentiva quando era Yabu a farlo.
“Ciao, Kota…” gli rispose. “Ah, mia madre… ti avrà riempito di chiacchiere, parla sempre tantissimo, scusala!” disse, chinando leggermente il capo e sorridendo. “Così anche voi avete lasciato Iruma?” domandò, guardandolo curioso.
“Sì, mio padre è stato trasferito per lavoro e comunque le scuole superiori non erano il massimo lì.”
“Immagino… qui ti troverai bene, all’inizio forse ti sembrerà troppo grande, ma ci si fa presto l’abitudine e se hai bisogno di qualcosa non farti problemi a chiedere a me, mi farebbe piacere farti da guida!” si propose, cercando di non apparire troppo nervoso e imbarazzato.
“In effetti, ci contavo, non conosco praticamente nessuno.”
“Ragazzo fortunato allora!” rise Kei, guardando poi Yabu, aspettando che l’altro dicesse qualcosa.
“Ti trovo bene, Kei.”
“Sì, anche io a te e… scusami se sono sorpreso, ma sai è successa una cosa strana oggi perché all’improvviso in classe mi sono addormentato e ho sognato il giorno in cui me ne sono andato via da Iruma e poi ti trovo qui e fa uno strano effetto!” ammise, guardandolo poi negli occhi e lasciando che le parole uscissero dalle sue labbra naturalmente. “Me lo sentivo che ti avrei rivisto” confessò.
“Sì?”
“Sì, lo sapevo che non era un addio” specificò, intrecciando le mani tra loro e attirando in quel modo lo sguardo di Yabu alle sue mosse.
“Ce l’hai ancora…” si sorprese il più grande, notando l’orologio che gli aveva regalato, prendendogli il polso.
“Sì, sempre… lo so che sono passati anni e non dovrei ma…” si interruppe, quando Kota si sollevò la manica della giacca, mostrandogli il proprio polso.
“L’ho tenuto sempre con me, era un modo per sentirti ancora vicino a me, te l’avevo detto, no?”
“È un orologio magico” gli ricordò Kei, guardandolo, sentendosi improvvisamente bene conscio che presto qualcosa sarebbe cambiato nella sua vita.
“Sì, lo è… mi ha permesso di incontrarti di nuovo” mormorò piano Kota, avvicinandosi a lui di un passo, muovendosi piano, accarezzandogli una guancia.
“Mi sei mancato, Ko-chan” confessò Kei, piegando il capo in modo da sentire meglio il calore del palmo di Kota sul viso.
“Anche tu…” ammise l’altro facendosi più vicino, stringendolo in un abbraccio e avvicinando il volto a quello del più piccolo.
“Ti sembrerà strano che te lo dica adesso dopo quasi dieci anni, ma ti amo Kota” confessò Kei abbracciandolo in collo e Yabu sorrise.
“Non lo è affatto, invece, perché dopo dieci anni, Kei… ti amo anche io.”