[Arashi] Yuzurenai omoi wo kakae aruite yuku

Apr 01, 2013 10:35

Titolo: Yuzurenai omoi wo kakae aruite yuku (But I walk on holding the feelings I won't let go) [Everything - Arashi-]
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Aiba Masaki, Jun Matsumoto, Sakurai Sho
Pairing: Junba (friendship), Sakumoto, Sakuraiba
Rating/Genere: PG/ malinconico
Warning: slash
Wordcount 3.403 fiumidiparole
Note: la storia è scritta per la 500themes_ita con il prompt ‘Cuore fragile’. Ed è ispirata al prompt “Mi sento come se avessi perso qualcosa” - {Eden -Kanjani8} suggerito da yukiko_no_niji.
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella: 500themes_ita

Finalmente ce l'ho fatta, anche se con due giorni di ritardo (imperdonabile da parte mia lo so) per fare i miei più sinceri e affettuosi auguri di buon compleanno a rosa_elefante Fede, tanti auguriiii!!
Avrei voluto regalarti qualcosa di più carino e un po' più romantico >< Mi farò perdonare presto!!

“Bentornati!”
Aiba aveva accolto i due amici con un grande sorriso, andando loro incontro per aiutarli con le buste; Jun gli aveva teso i manici della propria, sorridendogli in un modo che al più grande non piacque per niente.
Masaki lo osservò con espressione confusa e Jun, come leggendogli nei pensieri, scosse il capo, evitando di guardarlo in viso, scusandosi prima di andare nella propria camera; per fortuna che la sorte aveva affidato a lui l’unica libera o sarebbe stato un problema, visto che in quel momento tutta l’eccitazione per la breve vacanza di due giorni che li attendeva era completamente scemata.
Non voleva vedere nessuno e per riprendersi al più presto e fingere che andasse tutto bene, aveva bisogno di un po’ di tempo per sé.
Aiba lo vide salire le scale di legno del cottage che avevano affittato per quel fine settimana e si intristì un poco per il cambiamento d’umore dell’amico. Una strana sensazione gli strinse la bocca dello stomaco, mentre Sho gli passava vicino, togliendogli di mano la spesa, andando a sistemarla in cucina dove Nino e Ohno avevano iniziato a preparare i piatti per quella sera.
Masaki si prese qualche secondo per riflettere sul da farsi, prima di decidere di accantonare momentaneamente i brutti pensieri e raggiungere gli altri.
L’idea di passare quel week-end lontani da tutto e da tutti era nata quasi per caso, dopo un’estenuante giornata lavorativa al termine della quale si erano riuniti tutti e cinque per bere qualcosa insieme; Masaki non ricordava di preciso da cosa o da chi tutto fosse partito, ma certo era che lui il giorno dopo aveva ricevuto la telefonata di un collega che gli assicurava che aveva messo una buona parola e il proprietario del cottage metteva loro a disposizione la sua vecchia casa di campagna, facendogli un prezzo di favore.
E così, quel pomeriggio, dopo aver noleggiato un fuoristrada di modo da viaggiare tutti insieme, erano partiti entusiasti.
Una volta arrivati a destinazione, avevano sistemato le proprie cose nelle stanze, dopo aver deciso a sorte a chi sarebbe toccata la fortuna di avere l’unica singola, mentre gli altri avrebbero dovuto condividerla con un compagno. Poi, organizzando quello che Aiba si era divertito a chiamare gioco di squadra, Jun e Sho erano stati mandati a fare la spesa nel paese vicino che distava pochi chilometri, Ohno e Nino si sarebbero occupati di dare una rinfrescata alla casa, mentre lui era stato ben felice di perlustrare il bosco circostante alla ricerca di legna per il caminetto.
Ed era proprio intento ad accendere il fuoco quando aveva visto i due compagni rientrare; Aiba osservò un’ultima volta le scale di legno dalle quali era sparito Jun, prima di raggiungere il Riida e gli altri e aiutarli a preparare la tavola e i piatti.
Quando fu quasi tutto pronto, Jun fece nuovamente capolino nel salone, scusandosi con gli altri per il ritardo: “Mi dispiace avervi lasciati soli a preparare tutto, mi sono fatto una doccia e mi sono addormentato” spiegò loro.
Aiba gli andò vicino, scompigliandogli i capelli con una mano, sorridendogli per rassicurarlo: “Non ti preoccupare, Jun-kun, ce la siamo cavata benissimo, vero?!” si rivolse agli altri quattro con un sorriso smagliante.
Il Riida annuì, mentre Nino con un sorrisetto ironico dava il suo assenso. Sho, invece, non aveva proferito parola, spostandosi a portare le pietanze in tavola, trattenendosi a sistemare le pieghe immaginarie della tovaglia, tergiversando.
Matsumoto gli rivolse uno sguardo che Aiba non faticò a definire malinconico e triste, mentre di nuovo quella strana sensazione di impotenza e incredibile tristezza si impossessasse di lui.
Quella sarebbe dovuta essere un’occasione di gioia per tutti, era da tanto tempo che non passavano una serata tranquilla tutti insieme, senza essere ossessionati dall’orario di lavoro o da impegni vari dipendenti dai loro altri impegni oltre a quelli che avevano come gruppo. Invece, sembrava che più che rilassarli stesse sortendo l’effetto contrario.
L’aria era pesante, la tensione quasi palpabile: ad Aiba non piaceva per niente quella situazione, sembrava che fossero tornati indietro nel tempo a quando Sakurai e Matsumoto non si parlavano, se non lo stretto indispensabile per andare avanti con il lavoro e per il resto erano solo silenzi, parole non dette, frasi trattenute, sguardi bassi e sospiri.
Non voleva che una cosa del genere si ripetesse.
“Posso darti una mano?” la voce di Jun, apparentemente tranquilla, mentre si rivolgeva a Nino per aiutarlo a sistemare gli antipasti nel piatto da portata, lo riscosse.
Masaki lo osservò: sembrava tornato lo stesso di sempre, ma conosceva molto bene l’amico e sapeva che non era per niente rilassato.
A ogni modo, decise di soprassedere per il momento, non voleva che Jun si sentisse messo alle strette o sotto pressione, non voleva, inoltre essere la causa di eventuali ulteriori malumori, se anche lui si lasciava andare ai cattivi pensieri il week-end sarebbe stato realmente rovinato e quella era l’ultima cosa che voleva che succedesse.
Contro ogni aspettativa, comunque, la serata era stata divertente, insieme avevano riso, scherzato e parlato di loro. C’era stato un momento in cui avevano anche buttato giù delle idee per la nuova puntata, da sottoporre all’approvazione degli altri dello staff, prima di ravvedersi e lasciare per un momento da parte la loro vita di idol.
“Questa si chiama deformazione professionale, lo sai, Matsujun?” gli si era rivolto Sho , prendendolo un po’ in giro, bevendo un sorso di birra, facendo ridere i compagni, una volta sistemati a sedere per terra accanto al camino, dopo aver steso delle coperte sul pavimento per non prendere freddo. Il più piccolo si era stretto nelle spalle, con un sorriso che Aiba faticò a decifrare a causa delle fiamme che disegnavano strani disegni sul volto dell’altro, donando ai suoi occhi un colorito particolare.
Subito dopo, un silenzio che aveva del surreale era calato velocemente nella stanza e la proposta di Nino di giocare a carte sembrò ad Aiba quasi provvidenziale. E, in effetti, così doveva essere, perché scorse nello sguardo del compagno un chiaro segno che anche lui aveva capito che ci fosse qualcosa di strano in tutta quella situazione quella sera,
Dubbi che se tali erano vennero confermati dalle successive parole di Jun che, per l’ennesima volta, scusandosi con tutti, si ritirò per primo in stanza.
“Jun-kun, cos’hai?” gli domandò Aiba, prendendogli un polso per trattenerlo con loro. “È da prima che ti osservo, stai male?” gli chiese, guardandolo con espressione preoccupata.
Matsumoto guardò prima Masaki, poi fece scorrere velocemente lo sguardo addosso agli altri compagni, sorridendo di nuovo al più grande che ancora lo tratteneva.
“Nulla di preoccupante, Aiba-chan, sono solo un po’ stanco, è stato un viaggio abbastanza lungo, probabilmente ho preso freddo. Con una bella dormita mi passerà!” cercò di rassicurarlo. Poi, rivolgendosi agli altri: “Scusatemi, non volevo far preoccupare nessuno, voi continuate pure a giocare, io andrò a riposare. E non fate tropo tardi!” scherzò, allontanando con la mano libera, quella di Aiba, sentendo la stretta su di sé, scivolare via in una leggera carezza.
Masaki continuò a fissare il più piccolo con aria preoccupata, ma annuì, incupendosi un poco quando lo vide di nuovo andarsene.
“Aiba-chan” si sentì chiamare dal Riida, “non crucciarti in questo modo, Matsujun ha detto di stare bene, sai come è fatto, ha bisogno dei suoi spazi e di stare da solo. Forse preferisce andare a riposare presto adesso che può farlo, non ti devi preoccupare o se si accorge che tu sei stato tutto il tempo a rimuginare sulla cosa, si sentirà in colpa” gli spiegò, sorridendogli incoraggiante.
Aiba vide Nino annuire, intento a mischiare le carte e sentì la mano di Sho posarsi premurosa sulla spalla.
Forse avevano ragione, probabilmente le sue erano solo delle inutili paranoie, doveva smettere di pensare così tanto e fasciarsi la testa prima di essersela rotta.
Inoltre, doveva avere più fiducia in Jun, loro erano amici e confidava che se l’altro avesse avuto qualche problema, gliene avrebbe parlato. In fondo, lui era il primo che riusciva a mascherare dietro un sorriso i mille pensieri che gli passavano per la testa e non veniva mai forzato dagli altri ad aprirsi.
“Avete ragione!” si convinse alla fine. “Domani mi alzerò presto e preparerò per tutti la colazione, così anche Jun-kun sarà felice!” si entusiasmò, riacquistando il suo buonumore. “Adesso, giochiamo!” decise, prendendo le carte che Nino stava dividendo, iniziando a sistemarle.

***

La mattina dopo, quando Aiba si svegliò, ci mise un po’ a capire dove si trovava, cercò di voltarsi, ma la schiena gli doleva, quindi rimase ancora per alcuni istanti steso sul fianco, valutando il da farsi. Non riconosceva l’ambiente intorno e quando sentì qualcosa muoversi accanto a lui e un piede colpirgli una spalla, ricordò: la sera prima lui e gli altri avevano giocato a carte e bevuto fino a notte tarda e, senza che neanche se ne rendessero conto si erano addormentanti tutti lì, vicino al camino che adesso si era quasi spento.
Si mise a sedere con calma, cercando di non svegliare i suoi compagni di branda e si alzò. Prese una coperta e la sistemò sulle loro spalle in modo che non avessero freddo, ravvivando il camino. Dalla poca luce che filtrava dagli scuri dimenticati aperti, doveva essere ancora molto presto, ma non si sentiva stanco era come se avesse dormito per giorni, una sensazione stranissima che non aveva mai provato.
Gironzolò in cucina, decidendo cosa preparare per colazione, così come aveva promesso di fare la sera prima, pensando al modo migliore per svegliare gli altri.
Lanciò un’occhiata distratta alle scale che portavano al piano superiore dove c’erano le camere da letto e si incupì, pensando a Jun e a quello che era successo la sera prima, al suo cambiamento di umore una volta arrivati a destinazione, ai suoi sorrisi e al suo modo di lasciarli fin troppo spesso dopo la cena.
Non sapeva cosa pensare, non sapeva cosa fare e non sapeva se ci fosse o meno qualcosa che fosse realmente in grado di fare per l’amico. Voleva aiutarlo, ma non aveva idea del modo in cui doveva approcciarsi a lui.
Era ancora immerso in quegli arzigogolati pensieri quando un rumore all’esterno della casa attirò la sua attenzione, si infilò gli scarponi e, indossata la giacca pesante, uscì fuori. Si guardò attorno, prima di aggirare la casa e notare la piccola distesa d’acqua oltre la quale si intravvedeva un boschetto. Camminò, avvicinandosi al piccolo capanno di legno completamente aperto e vide una figura muoversi e tirare verso di sé una barca.
“Jun-kun!” lo chiamò, correndo verso di lui e aiutandolo con la corda a riportare verso la terra ferma una pesante barca di legno.
“Grazie!” si sentì dire, quando allacciarono la cima all’apposito piolo e Aiba sistemava nuovamente i remi in piedi accanto al muro.
Masaki scosse le spalle: “Figurati, cosa ci fai qui?” si stupì, guardandosi ancora attorno.
Jun gli sorrise, stringendosi nel cappotto e sedendosi sul bordo della barca.
“Come mai sei già in piedi?” chiese il più piccolo. “Ieri avete fatto le ore piccole immagino se vi ho ritrovati esattamente dove vi avevo lasciati!” lo prese un po’ in giro, sorridendogli.
Aiba infilò le mani nelle tasche e si sedette accanto a lui, ma non rispose alla sua domanda: era più forte di lui, aveva bisogno di sapere cosa passasse per la mente dell’amico, cosa lo avesse allontanato da loro la sera precedente. A guardarlo gli sembrava essere tornato lo stesso di sempre, ma Jun era molto bravo a fingere, era quello che si lasciava andare più di tutti, che non aveva peli sulla lingua, se era arrabbiato per qualcosa non lo nascondeva, se aveva un problema con qualcuno di loro, fosse anche per una la più piccola sciocchezza, era solito parlarne ed era questo che ad Aiba dava da pensare, non voleva che, però, si tenesse dentro qualcosa che lo faceva stare male e che lo rendeva ai suoi occhi irriconoscibile.
“Jun-kun…” lo chiamò, dopo aver atteso qualche attimo, guardandosi le punte dei piedi, prima di sollevare lo sguardo e parlargli direttamente. “Vuoi dirmi cosa è successo ieri?” chiese, affrettandosi poi ad aggiungere, sollevando le mani e prendendo quelle del più piccolo. “Lo so che non dovrei, lo so che non vuoi che mi preoccupi, ma io ci penso lo stesso. Non voglio costringerti a parlare se non vuoi, ma voglio aiutarti, sai che ti puoi fidare di me e non ti giudicherò se è-”
“Aiba-chan!” Jun interruppe quel fiume di parole in piena, sorridendogli, posandogli una mano sulla spalla. “Calmati, Masaki, io sto bene!”
“No, non è vero!” lo interruppe di nuovo. “Tu sei triste!” affermò.
Jun lo guardò ancora, indeciso su come comportarsi, prima di capitolare; sospirò, scostandosi da lui e mettendosi in piedi, dandogli le spalle.
Ci furono attimi ancora di silenzio, poi il più piccolo riprese a parlare: “Si tratta di Sho-san” esordì, sempre senza guardarlo.
Aiba sobbalzò, perché la sera prima aveva immaginato giusto sul motivo del malumore dell’amico, ma non credeva che ci fosse altro ancora in sospeso tra i due, credeva ci avessero entrambi messo una pietra sopra, ma forse non era così.
Attese, avrebbe atteso ore, se questo significava permettere all’altro di trovare pace, anche solo dando voce ai suoi pensieri.
“Ieri sera mentre eravamo al negozio abbiamo incontrato due ragazze, due fan, non credevamo di poterne trovare anche qui in questo paesino. Si sono avvicinate per stringerci la mano e una di loro ha detto una cosa buffa” Jun fece una pausa e anche se Aiba non lo poteva vedere in viso, percepiva il sorriso triste che gli aveva incurvato le labbra. “Ha detto che, visti così, davamo l’idea di essere una coppia di amici molto intima.”
Aiba lo sentì ridere appena, prima di voltarsi verso di lui, ma non lo interruppe.
“Pensa come dev’essere suonato strano alle nostre orecchie! Perché proprio a noi due ha detto una cosa del genere?” lo interrogò Jun, ma Masaki sapeva che non si aspettava da lui una risposta.
Jun rise nervosamente, riprendendo a parlare.
“La cosa divertente è che nonostante sapessi di non doverci dare alcun peso, non sono riuscito a trattenermi” continuò. Alzò uno sguardo dolcemente malinconico sull’amico e si confidò. “Perché io lo amo ancora, nonostante il suo rifiuto e nonostante tutti questi anni. Non riesco a smettere di amarlo, Aiba-chan.”
Masaki si mise a sua volta in piedi, avvicinandosi di un passo Jun.
Il più piccolo aveva gli occhi lucidi, mentre continuava a raccontare: “Non sarà mai mio…”
“Eh?”
Aiba si fermò a un passo da lui, guardandolo confuso.
“Ho perso, Masaki. Sho-san ha trovato qualcuno.”
Aiba spalancò gli occhi, guardando l’altro intensamente, sentì il proprio cuore accelerare i battiti e le gambe rimpiangere il sostegno di legno sul quale era precedentemente seduto.
“Quando mi ha rifiutato, credevo che il problema fosse perché siamo entrambi due ragazzi e, anche se è stato difficile, anche se mi ha fatto comunque male, me n’ero fatto una ragione, sai… sapevo che non c’era nulla che io potessi fare per farlo innamorare di me, mi sono convinto che mi bastasse restargli vicino come amico. Che era meglio di niente, ma sapere che c’è qualcun altro al mio posto, fa male. Tutto quello in cui ho sempre creduto e che mi ha aiutato ad affrontare quel rifiuto è stato spazzato via, e mi sento come se avessi perso qualcosa. Lo odio, perché allora questo vuol dire che sono io il problema!”
Aiba tremò appena nel sentire quello sfogo amaro, mosse un passo in avanti, mentre Jun gli sembrava così piccolo e indifeso, così triste; le spalle basse, sotto il peso di quell’amore tormentato e schiacciato dal dolore dell’ennesimo rifiuto.
“Non è colpa tua, non sei tu, Jun-kun” gi parlò, racchiudendolo in un abbraccio, la voce gli tremava e lottava contro le lacrime perché non uscissero, perché non era giusto per lui versarle.
Si sentì stringere a sua volta, una presa debole, mentre le parole del più piccolo gli arrivavano basse contro il viso: “Perché non gli vado bene? Perché fa ancora così male?” lo interrogò, stringendolo maggiormente.
Aiba lo abbracciò con forza, per consolarlo, se avesse potuto non lasciarlo andare mai e levargli tutto il dolore che stava provando l’avrebbe fatto, ma sapeva che non era possibile.
Lo strinse e non riuscì a trattenersi, piangendo per lui.
“Mi dispiace” gli sussurrò piano. “Mi dispiace, Jun.”
Rimasero così, vicini, dondolando leggermente sul posto, fino a che non fu Jun a sciogliere l’abbraccio e, sorridendo, gli occhi leggermente lucidi, guardò Aiba.
“Ehi” lo chiamò piano e Aiba tirò su col naso, asciugandosi il viso. “Sono io quello che deve scusarsi ti ho fatto piangere, mi dispiace” parlò Matrumoto, stringendo l’altro per la spalla, consolandolo a sua volta.
Masaki sorrise di rimando, scuotendo il capo, senza riuscire a dire nulla, non sapeva se la propria voce avrebbe retto o meno.
“Sarà meglio rientrare adesso, ok?” propose Jun, cercando di guardarlo in viso. Masaki prese un bel respirò e annuì.
“Vai prima tu, io devo cercare di calmarmi” consigliò, spingendolo appena per le braccia.
“Stai bene?” gli chiese Jun e Aiba rise appena.
“Sono io che dovrei chiederlo a te… sono il più grande e invece di tirarti su mi faccio consolare” si schernì.
Fu Matsumoto stavolta a negare con un cenno della testa: “Ti ringrazio, invece, perché mi hai ascoltato e… hai pianto per me. Grazie” pronunciò ancora. “Ci vediamo in casa, preparo la colazione per tutti!” si offrì, prima di dargli le spalle e iniziare a incamminarsi.
Aiba lo osservò, fissò a lungo quella schiena allontanarsi, fino a che non lo vide sparire dietro la casa. E, solo allora, si lasciò cadere esausto sulla terra, tra le foglie secche cercando di controllare il battito accelerato del proprio cuore e le lacrime che ancora premevano per uscire.
Sentì un fruscio dietro di sé e non ebbe bisogno di alzare lo sguardo per capire chi fosse.
“Da quanto sei qui?”
“Abbastanza…” gli rispose una voce maschile, poi si sentì cingere le spalle con un braccio; due labbra calde si posarono sulla tempia, baciandolo dolcemente. Aiba sollevò le braccia a cingergli il collo, prima di parlare con voce strozzata.
“Mi dispiace, Sho-chan, mi dispiace, non ce l’ho fatta! Non potevo fargli questo.”
“Ssht, va bene così, Masaki, va bene così. Non dovevi fare niente” la voce morbida e gentile di Sho fu come una carezza sul suo cuore triste.
Aiba si scostò dal ragazzo quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi e Sho gli asciugò le lacrime con i pollici.
“Non volevo ferirlo, non volevo che succedesse tutto questo” continuò a recriminare verso se stesso.
“Non è colpa tua, Masaki” cercò di rassicurarlo il più grande.
“Ma io sono suo amico, io sapevo cosa provava per te e lui ti ama ancora così tanto, Sho!”
“Vuoi che ci lasciamo? Staresti meglio se non stessi più con me?” gli domandò Sakurai, serio.
“No” si affrettò a negare Aiba, stringendogli il giubbotto pesante. “Non voglio questo, io ti amo, però mi sento terribilmente in colpa nei confronti di Jun e non so cosa devo fare, come comportarmi con lui” spiegò, chinando la testa.
“Lo so, Masaki, nessuno sa meglio di me come ti senti. So quali sono i tuoi pensieri, ogni giorno, so quanto sia stato difficile per te accettare di amarmi e sentirti amato da me. Perché metti sempre gli altri davanti a te stesso, ma se anche tu rinunci e soffri in silenzio, il tuo dolore non allevierà quello degli altri” gli spiegò. “E poi, ricordati che non sei solo, ci sono io con te e ci sarò sempre” promise.
“Mi dispiace” ripeté il più piccolo, tornando ad abbracciare il compagno, lasciandosi stringere, imprimendosi addosso il suo calore.
Perché quello che Sho aveva detto era vero, se anche si fossero lasciati, Sakurai non avrebbe mai ricambiato i sentimenti di Jun e il dolore dell’amico non sarebbe diminuito.
Si sentiva un traditore ed era un codardo perché non riusciva a dire a Jun tutta la verità, ma, se anche l’avesse fatto, non sarebbe cambiato niente, anzi, avrebbe inferto al suo migliore amico ancora più dolore e non voleva recare altra sofferenza a quel suo fragile cuore di innamorato, non aveva la forza di caricarsi anche quel dispiacere e per quello preferì ancora una volta tacere.
Si diceva che era meglio così, che per Jun e per tutti loro era la cosa migliore da fare, era riuscito ad andare avanti fino a quel momento e avrebbe continuato a vivere quell’amore in silenzio, pagando segretamente lo scotto di quella colpa.

comm: 500themes_ita, genere: oneshot, present-o, arashi: sho sakurai, pairing: sakuraiba, genere: malinconico, fanfiction: arashi, tabella: 500themes, rpf, pairing: sakumoto, arashi: aiba masaki, warning: slash, arashi: jun matsumoto

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