Part. 01 “Kei… sei già arrivato!”
Quando Yabu tornò dal bagno trovò Kei già nella stanza che, come la prima volta, guardava fuori dalla finestra.
“Ah, io…” Kei si interruppe, squadrandolo. “Scusa!” si imbarazzò per un istante Yabu, passandosi una mano tra i capelli leggermente umidi e stringendo meglio la cinta dell’accappatoio. “Sono uscito di fretta dall’ufficio e avevo bisogno di una doccia. Credevo di fare a tempo, prima del tuo arrivo.
“Ah” Kei mosse le mani avanti a sé. “Non ti preoccupare. Se vuoi…” gli fece cenno verso le proprie cose, ma Yabu si avvicinò a lui senza accogliere quel suggerimento.
“Hai qualcosa per me?” domandò e Kei restò qualche istante spaesato per quella improvvisa vicinanza e il profumo di buono che emanava la sua pelle.
“Ah… sì, sì, ecco!” disse, prendendo dalla tasca dei jeans un foglietto ripiegato in quattro e mostrandolo al più grande.
Yabu scorse con lo sguardo velocemente le poche righe e sorrise, prima di sospirare.
“Va… vanno bene?” domandò Kei, titubante.
“Sì, Kei, vanno più che bene, devo fare dei controlli e poi inizierò a muovere le mie pedine! Sei stato molto bravo, grazie!” gli disse il poliziotto, spostandosi poi sul letto a finire di leggere le carte, prendendo poi il cellulare e portandolo all’orecchio per fare alcune chiamate.
Inoo si sedette accanto a lui, osservando il profilo serio, mentre con il telefono intrappolato tra la spalla e la testa prendeva distrattamente appunti, ligio al dovere.
Quando terminò la chiamata, Kota ripose tutto sul tavolo e sospirò ancora, fissandosi le mani perso in chissà quali ragionamenti; Kei allora si inginocchiò sul letto, sistemandosi dietro di lui e posandogli le mani sulle spalle, iniziando un lento massaggio.
“Lo sai che se sospiri in questo modo mandi via la felicità?” gli disse, sporgendosi a sorridergli quando Yabu si volse di lato per guardarlo.
“Cosa fai?” gli chiese.
“Ti faccio rilassare un po’, sono bravo sai?” assicurò, muovendo le mani verso il centro della schiena, sotto il collo, scivolando leggermente con le dita verso il basso sulla spugna.
“Non lo metto in dubbio…” mormorò il poliziotto, sentendo ora Kei emettere un breve sospiro ironico, rendendosi presto conto di come le sue parole potessero suonare indelicate. “Ah, scusami, io non… non volevo dire…”
“Non ti preoccupare. In fondo è vero. È per questo che vengo pagato. Il mio lavoro è rendere felici le persone, permettere loro di distrarsi, farle sentire amate… farle stare bene” sfumò sulle ultime parole. “Posso?” chiese, scostando leggermente l’accappatoio, aprendolo sulle spalle per posare direttamente le mani sulla pelle di Kota, il quale si abbandonò a quei movimenti lenti e circolari, chiudendo gli occhi.
“Sei davvero bravo…” dovette dargli atto, risollevando le palpebre.
Kei ridacchiò, risistemandogli la spugna e sedendosi accanto a lui, tirandosi indietro fino al limitare del materasso e stendendo i piedi sul letto per poterlo guardare direttamente in viso.
“Quanti anni hai, Yabu Kota?” gli chiese sorridendo, infilando le mani sotto le cosce, muovendo i piedi scontrandoli tra loro.
“Trenta” gli rispose.
“Oh, anche io!”
Kota lo guardò stranito e Kei ridacchiò.
“Lo so, me li porto molto bene” si pavoneggiò e Kota si sporse, scontrando la spalla contro la sua, rimproverandolo.
“Posso chiederti una cosa?” domandò il poliziotto e Kei sorrise, annuendo. “Che c’è?” si fermò Yabu, vedendolo poi scuotere il capo.
“Vuoi chiedermi perché faccia questo lavoro, non è così?” lo precedette e Yabu annuì. “Debiti di famiglia” rispose semplicemente l’altro. “Molti dei ragazzi che sono stati presi sotto la custodia del Presidente hanno questo genere di passato. Anche Yamada” rispose semplicemente, prima di sollevare lo sguardo su di lui. “Tu, invece, fai parte dei buoni. Cosa ti ha spinto a voler fare il poliziotto?” domandò. “Ah, non che tu sia tenuto a rispondere delle tue cose a un estraneo…” aggiunse, ma Yabu gli rispose senza esitazione.
“Mio padre è un famoso avvocato, ha scelto per me pressoché tutto e io non avevo, e tutt’ora non ne ho, alcuna voce in capitolo. Mi adatto. Non sono poi una buona persona come pensi” gli confidò.
“Io invece penso che tu lo sia” lo contraddisse. “Quando ti ho chiesto perché ti impegnassi tanto mi hai detto che lo facevi per te. Non so bene i motivi e non sono di certo la persona adatta a dare consigli sulla propria vita, ma quello che vedo io quando ti guardo è un uomo coraggioso e buono.” Allungò una mano posandogliela sul petto, fissando le proprie dita. “Vedo un ragazzo dal cuore grande che aiuta un amico, tiene alla sua felicità e che, pur senza magari esserne pienamente consapevole, aiuta anche tante altre persone che per lui non sono nessuno, ma che gli saranno riconoscenti per tutta la vita” disse, sollevando poi lo sguardo sul viso di Kota, trovandolo a osservarlo attento.
Un silenzio quasi irreale ma non pesante cadde su di loro dopo le parole di Kei, il quale non si era ancora mosso, salvo poi spostare la mano e accarezzare con le dita la stoffa morbida, risalendo sulla spalla e spostandosi verso il collo del poliziotto, fino a circondarglielo, tendendosi verso il volto di Kota e aspettando un cenno che lo fermasse dal proseguire, cosa che però non avvenne. Sentendo il cuore battere veloce, così come da tempo non ricordava potesse essere in grado di fare, Kei si sporse a sfiorargli le labbra, chiudendo gli occhi stavolta, aprendo leggermente la bocca per poterlo sentire.
Dapprima Yabu non aveva reagito, poi aveva mosso le labbra piano su quelle di Kei, il quale le schiuse completamente, per sentire maggiormente quel contatto contro di sé, andando incontro a quella lingua calda che stuzzicava la sua.
Reggendosi al collo di Yabu, Kei si sollevò, cambiando posizione, sedendosi cavalcioni su una gamba del poliziotto, abbracciandolo completamente, infilandogli una mano tra i capelli e sospirando pesantemente quando si separarono, per riprendere fiato.
Kei poggiò la fronte contro quella di Yabu, sentendo la testa leggera, come se fosse stata svuotata da ogni pensiero razionale, in ascolto semplicemente del rimbombo del proprio cuore nelle orecchie.
Aprì gli occhi, trovando quelli di Kota che lo fissavano e portò indietro le labbra, in un gesto inconsapevole, alzandosi e inginocchiandosi lentamente tra le gambe di Yabu; si tese con il busto, attirandolo di nuovo verso di sé, per baciarlo ancora, assolutamente stanco, sentendo l’altro lasciarsi andare subito e portargli le mani tra i capelli, prima di svicolare ad accarezzargli le guance. A sua volta, Kei allentò la cinta dell’accappatoio e passò le mani sul petto, a contatto con la sua pelle, scivolando sulla pancia e tra le gambe, sentendo il suo corpo fremere impaziente per un contatto più deciso. Scivolò con le labbra lungo la gola, sullo sterno, mentre con le dita circondava il suo sesso, stringendolo e abbassandosi ancora, sentendo Yabu sospirare, fino a ritrovarsi in ginocchio davanti alla sua erezione.
“No, Kei, fermo!” lo trattenne la voce di Yabu, quando si chinò su di lui. “Io non voglio questo da te” gli disse, guardandolo.
“Ma è quello che voglio io…” mormorò Kei. “Per una volta, una volta sola, permettimi di pensare a me ed essere egoista” gli chiese, abbassandosi poi su di lui e iniziando a muovere la bocca e la lingua su di lui, piano, attardandosi a torturarlo solo per il gusto di sentirlo gemere sottovoce, cercando di trattenere il piacere.
Si spinse su di lui fino in fondo, fino a che la punta non gli sfiorò la gola e allora si fermò, risalendo a labbra strette, ridiscendendo, assaporando con la lingua quella carne dura, massaggiandolo anche con le mani, costringendolo, dopo minuti che a entrambi parvero interminabili, a venire nella sua bocca.
*
“Bentornato!”
Yamada andò incontro a Kei, quando lo vide entrare nella stanza, muovendo gli ultimi passi di corsa.
“Ti ho preparato un bagno caldo!” gli disse, prendendogli le mani, tirandolo verso la toilette. “Questa è più grande dell’ultima volta” lo informò, prima di fermarsi, sentendo l’altro fermarsi. “Kei?” lo guardò dubbioso, scorgendo una strana espressione sul suo viso; il più grande gli lasciò andare la mano e si sedette sul letto, tremava appena.
“Kei-chan, stai bene?” domandò, posandogli una mano sulla fronte e sedendosi accanto a lui sul letto.
Kei scosse il capo velocemente e poi annuì.
“Sì, sì, Yama-chan, sto bene!” disse sorridendogli. “Io… mi è capitata una cosa stasera…” esordì e Ryosuke lo guardò preoccupato.
“Kei” gli parlò piano. “Cosa è successo? Ti hanno fatto del male per caso?” provò, cercando di spogliarlo, prendendogli il polsino della felpa e abbassandogli la zip, quando Kei negò di nuovo con un cenno della testa.
“No, non mi hanno fatto nulla e non voglio nasconderti niente” gli disse, posando una mano sulla sua, guardandolo poi con un sorriso, “io non… non voglio lavarmi” spiegò.
“Eh, perché?”
Yamada non capiva: come lui, Kei era sempre solito, appena tornato da un appuntamento, lavarsi velocemente per eliminare ogni traccia estranea dai loro corpi e da che Ryosuke ricordava, non aveva mai visto Kei comportarsi in modo così particolare dopo un incarico; l’aveva sempre trovato molto tranquillo, sebbene capisse che non doveva esserlo fino in fondo e che, molto spesso, lo faceva per lui, per tranquillizzarlo ed essergli di supporto, e quindi quel suo modo di fare lo disorientava.
“Non voglio che vada via il suo odore…” mormorò piano con espressione sognante e Yamada spalancò gli occhi.
“Cosa?” gli chiese, sollevando appena il tono di voce in un moto di sorpresa.
Kei lo guardò sorridendogli ampiamente, uno dei suoi rari sorrisi sinceri, prendendogli le mani tra le sue.
“Ryo” mormorò emozionato, abbracciandolo e stringendolo a sé. “Sono felice” disse semplicemente parlando contro il suo collo.
Yamada gli circondò la schiena con un braccio, stringendolo per quanto poteva e poi cercò di separarsi da lui per chiedergli spiegazioni.
“Kei, io non capisco, spiegami cosa è successo, l’uomo che ti ha richiesto lui…”
Kei lo interruppe, scuotendo il capo: “Mi dispiace Ryo-chan, ma non posso parlare” fu costretto a tacere, continuando a sorridergli. “E le regole stavolta non c’entrano, ma devi fidarti di me. Io…” si sedette meglio sul letto portandosi le mani all’altezza del cuore. “Io non so bene cosa mi sia successo, ma so che non mi sono mai sentito così. È come se fossi malato, è come se avessi la febbre è… è come se mi sentissi vivo per la prima volta dopo anni. Io…” guardò il più piccolo, prendendogli di nuovo le mani nelle sue, stringendogli le dita, come se non potesse fare a meno di stare fermo o di evitare un contatto. “Io oggi credo di aver fatto l’amore per la prima volta!” confessò, arrossendo appena.
Yamada lo guardò allibito, mormorando il suo nome e Kei continuò a parlare.
“Io lo so che è impossibile, ma devi credermi Ryo, quello che sento…”
“Lo so” lo fermò Ryosuke, chinando il capo, muovendo le loro mani. “Lo so, so bene come ti senti e non è impossibile, ma Kei non devi!” gli si oppose, sollevando il capo di scatto. “Ti prego… non sai praticamente niente di lui, cosa… cosa ti ha fatto per…”
“Niente!” Kei si affrettò a difendere il proprio cliente. “Non ha fatto niente… non ancora, ma…” si morse le labbra, indeciso, voleva parlare chiaro a Yamada, ma sapeva di non poterlo fare, l’aveva promesso a Kota, ne andava del loro futuro e della riuscita dell’operazione. “Mi dispiace non poterti dire di più” si scusò.
“Kei, non voglio i dettagli, io voglio solo che tu stia attento, non devi lasciarti coinvolgere, perché io…” si fermò, portandosi una mano al petto. “Fa male, Kei, fa male toccare la felicità e poi vedertela portata via di viva forza e tu non puoi fare niente per impedirlo, è come se una parte del tuo cuore ti venisse strappata. Io non voglio che tu soffra così come sto soffrendo io” concluse.
Kei scosse il capo e sorrise all’amico: capiva perché gli parlava in quel modo, aveva vissuto in prima persona la sua sofferenza in quei mesi e non poteva dargli torto, ma lui ancora non sapeva, non poteva capire che presto il loro sarebbe stato un lieto fine.
“Ryosuke…” tentò di parlare, quando un bussare indelicato alla porta li interruppe.
Si voltarono e Yamada sorrise mestamente.
“Devo andare… il lavoro mi chiama” disse, alzandosi dal letto e stringendo le mani di Kei il quale annuì.
“Vai… ci vediamo dopo” gli disse e Yamada, prima di uscire lo guardò di nuovo, salutandolo con un cenno della mano.
*
L’albergo nel quale avrebbe lavorato quella sera era molto lussuoso, ma Ryosuke non perse tempo a stupirsi dei dettagli, la facciata esterna poteva anche essere splendente, ma quello che succedeva al suo interno, non aveva nulla per la quale valesse la pena brillare così tanto.
Avrebbe voluto stare a casa quella sera, avrebbe voluto stare con Kei, insieme a lui, Kei era la sua casa, Kei era tutta la sua famiglia e non gli era piaciuto per niente il discorso che gli aveva fatto. Per quanto fosse quello con minore esperienza, Yamada si sentiva in quel momento, invece, autorizzato a proteggerlo, a tenerlo lontano da quel dolore che lui aveva provato e che andava consumandolo giorno dopo giorno; era stato poco attento, conosceva Kei da diverso tempo e non capiva come avesse potuto non accorgersi che qualcosa in lui era cambiato così tanto, chissà quante volte aveva incontrato quello stesso cliente, chissà come aveva fatto quell’uomo a far innamorare Kei di sé: perché li conosceva bene quegli occhi Yamada, riconosceva il battere di un cuore innamorato e sapeva che Kei non era né uno sciocco né uno sprovveduto da farsi abbindolare dal primo arrivato. Avrebbe voluto stare con lui, avrebbe voluto sapere qualche dettaglio in più su quella storia, ma non poteva sottrarsi al suo lavoro; avrebbe dovuto dare il meglio di sé anche quella volta e non poteva permettere che i suoi problemi personali lo intralciassero.
Bussò alla porta bianca, abbassando la maniglia quando si accorse che era già aperta; entrò e si chiuse la porta alle spalle, osservando il grande salone davanti a sé. La stanza era avvolta nella penombra, illuminata dalla luna alta nel cielo che si scorgeva dai grandi finestroni; riuscì a intravvedere la presenza di un divano e di un basso tavolo al centro della stanza e una credenza a ridosso della parete di fianco a lui; avanzò nella stanza, discretamente illuminata da tre candele bianche poste sui comodini e che emanavano un dolce profumo speziato, mentre sul grande letto matrimoniale davanti a sé, sul copriletto erano sparsi dei petali di rosa rossa che conducevano un sentiero fino ai suoi piedi.
Osservò il contrasto di colore con la moquette scura, prima che un movimento attirasse la sua attenzione e Yamada sollevasse il capo.
“Yabu-san, non credo che tutto que-” si interruppe e spalancò gli occhi, mentre il respiro gli si mozzava in gola alla vista del nuovo cliente.
“Mi dispiace per il ritardo” mormorò solo questi, spostandosi davanti al letto e sorridendo dolcemente all’indirizzo di Ryosuke.
“Daiki…” mormorò quest’ultimo in un sussurro. “Daiki!” ripeté a voce più alta, azzerando velocemente la distanza di pochi passi che li separava, lanciandosi tra le braccia del ragazzo che aprì le proprie, accogliendolo contro il proprio petto, stringendolo, sentendosi sbilanciare all’indietro e cadendo insieme a lui sul materasso.
“Daiki. Daiki. Daiki. Daiki” Yamada continuava a mormorare il suo nome, senza prendere fiato, prima di sollevare il volto per guardarlo quasi non credesse ai suoi occhi e poi chinarsi sulle sue labbra, chiedendolo per un bacio che sembrava non dovesse avere fine.
Quando si separarono, Ryosuke tornò a guardare il ragazzo sotto di sé, passandogli le mani sul volto, tirandosi e torturandosi le labbra con i denti.
“Ehi, non rovinarmele” scherzò il più grande, passandogli le dita sulle labbra, sorridendogli.
“Daiki” lo chiamò, invece per tutta risposta.
“Ryosuke” mormorò lui di rimando, accarezzandogli i capelli e sollevando la testa per baciarlo di nuovo, stavolta in modo lento, perdendosi in quelle magnifiche sensazioni, assaporando di nuovo il gusto buono di Yamada, mescolandolo al proprio, succhiandogli a lungo le labbra, fino ad arrossarle, carezzandogli gentilmente la lingua con la propria, allontanandosi da lui con un sospiro, come se avessero ripreso entrambi a respirare solo in quel momento che i loro fiati potevano nuovamente mescolarsi e fondersi.
“Sei tornato…” sussurrò il più piccolo, stentava ancora a credere ai suoi occhi, continuava a guardarlo, a cercarlo con le labbra, a sfiorarlo come per accertarsi che tutto quello non fosse un sogno, ma che fosse reale.
“Sì, mi dispiace averti fatto aspettare a lungo. Mi sei mancato tantissimo!” confessò.
“Mi sei mancato tantissimo anche tu. Credevo che non ti avrei più rivisto!” esclamò, sollevandosi da lui e permettendo a Daiki di sedersi, ma senza allontanarsi, prendendo posto tra le sue gambe, incastrandovi le proprie, mantenendo un contatto.
“Come hai fatto a trovarmi, insomma, come…?”
Daiki sorrise della sua sorpresa e gli accarezzò il volto e il collo, per tranquillizzarlo.
“Sono qui e non ho intenzione di andarmene” precisò, baciandolo sulle labbra, vedendo il più piccolo chiudere un istante gli occhi. “Ho chiesto aiuto a un amico” esordì, iniziando a spiegare, per scacciare l’espressione confusa dal volto di Ryosuke. “Devo dirti una cosa, Ryo e mi devi ascoltare attentamente!” precisò e il più piccolo annuì.
“Ho lasciato il mio lavoro e in questi mesi mi sono messo a cercare in diversi studi giudiziari qualcuno che mi permettesse di completare il percorso che avevo scelto come apprendista avvocato. Io volevo tirarti fuori da lì al più presto, ma nella mia situazione al tempo non mi era possibile. Non è stato facile vedersi sbattute in faccia tutte quelle porte, poi ho incontrato Yabu” spiegò.
“Il ragazzo che mi ha richiesto stasera?”
“Esatto… eravamo compagni alle superiori ed è il figlio dell’avvocato, uno dei più importanti in città, che mi ha preso a lavorare con lui. Kota è un poliziotto e mi sta aiutando per riuscire a tirarti fuori da quel posto!” gli spiegò. “Non ho potuto farmi avanti prima perché avevo paura che potessero risalire a me. Non ho mai smesso di pensarti Ryo, non c’è stato giorno in cui tu non mi sia mancato così tanto che mi sembrava di impazzire” confessò, prendendogli il volto con le mani e poggiando la fronte alla sua. Yamada gli prese le mani, intrecciando le loro dita, stringendole. “Ma non potevo lasciarmi prendere dall’impazienza e dalla fretta e ho dovuto aspettare. Ho dovuto aspettare che fosse Yabu a darmi il via libera per vederti.”
“Questo… questo vuol dire che ha trovato un modo per…”
“Sì” annuì Daiki sorridendogli. “Sì, Ryo e non è tutto… c’è anche un’altra persona coinvolta in tutto questo che ci ha aiutato.”
Yamada lo guardò chinando appena il capo e Daiki sorrise: “Kei…”
“Kei?” Yamada era sbalordito.
“Sì, quasi un mese fa ormai, si è incontrato con Kota, diverse sere per fargli le informazioni che gli servivano. Ha rischiato molto” ammise. “Però non poteva dirti niente, tutto doveva sembrare normale.”
Yamada annuì piano e sorrise appena.
“Adesso si spiega tutto” mormorò e fu Arioka adesso a guardarlo senza capire.
“Lascia stare, non importa” lascò correre Yamada, “devo ricordarmi di ringraziarlo allora.”
Daiki annuì e si tese di nuovo per baciarlo, quando il più piccolo parlò di nuovo: “Ma, senti… questo Yabu lui, ecco… che tipo è?”
“Mh?”
“Insomma… quello che voglio dire è…”
Daiki non gli permise di finire, baciandolo e interrompendolo.
“Ryo…” mormorò, allontanandosi da lui e sfiorandogli le labbra, mentre parlava.
“Cosa?”
“Ryo, ti voglio…” confessò, guardandolo con espressione seria e il più piccolo rise.
“Anche io, da morire” mormorò, ridacchiando dell’espressione sul volto del ragazzo, sollevandosi sulle ginocchia e riprendendo a baciarlo.
Daiki si mosse sul letto, spostandosi verso il centro e infilando le mani sotto la maglia del più piccolo, arrotolandola verso l’alto, scostandosi da lui per levargliela, scompigliandogli i capelli e sorridendo dolcemente. Yamada ne approfittò a sua volta, facendo lo stesso con lui, abbracciandolo poi in collo quando sentì le labbra di Daiki percorrergli la gola e scivolare sul petto ansimando pesantemente quando con la lingua prese a leccargli i capezzoli, attardandosi su quella parte, spingendosi verso di lui, sentendosi già incredibilmente eccitato. Gli passò le dita tra i capelli, tirandoglieli quando la mano del più grande si posò sopra il cavallo dei pantaloni e Daiki iniziò ad accarezzarlo da sopra la stoffa.
“Dai-chan” lo chiamò in quel modo così familiare che fece sorridere l’altro, il quale alzò il volto, baciandolo di nuovo sulle labbra. Yamada sollevò il bacino, permettendo a Daiki si spogliarlo completamente, lasciandosi poi osservare senza alcuno imbarazzo; gli occhi del più grande percorsero vogliosi il corpo del fidanzato, accarezzandolo prima con lo sguardo, poi con le mani, sentendolo fremere sotto i palmi e prendendolo poi per i fianchi, attirandolo sopra di sé, mentre tornava a stendersi all’indietro. Ryosuke si affrettò a levargli a sua volta i jeans e la biancheria, gemendo quando i loro corpi nudi ed eccitati entrarono in contatto.
Daiki allungò una mano tra le gambe di Ryosuke, iniziando ad accarezzarlo, sentendolo sospirare pesantemente e gemere piano il suo nome, come una nenia ipnotica, sentendolo subito sciogliersi nella sua stretta.
Yamada, con la testa contro la spalla di Daiki, si scusò imbarazzato.
“Mi dispiace, Daiki” sussurrò mordendosi le labbra. “Ma è da tanto che io… ecco…”
“Lo so, tesoro… ho capito, non preoccuparti” lo tranquillizzò, chiedendogli di sollevare il volto e baciarlo dolcemente.
“Ti amo, Dai-chan” confessò l’accompagnatore.
“Ti amo anche io, Ryo” gli rispose Arioka, ribaltando le posizioni e facendo stendere Yamada sotto di sé, riprendendo a baciarlo, chiedendogli di allargare le gambe, per permettergli di sistemarsi in mezzo, tornando ad accarezzarlo in modo lento, sentendolo eccitarsi di nuovo e riprendere a sospirare pesantemente. Tornò a percorrere il petto di baci, mordendogli i fianchi, mentre scendeva e soffermandosi qualche istante a torturarlo con la bocca, prima di scendere sempre più in basso. Fece scorrere le mani dalla schiena in discesa, sollevandogli il sedere e preparandolo con la bocca.
“Daiki!” Yamada quasi urlò, nel sentire l’unione della lingua e delle dita torturarlo a lungo e strinse gli occhi, mordendosi le labbra per non gridare troppo forte, cercando di trattenere il piacere, gemendo il suo nome piano, tirandogli i capelli, chiedendogli di porre fine a quella eccitante tortura il prima possibile. Daiki però continuò per diverso tempo, tornando ad accarezzare il suo sesso, passandogli poi la mano sullo stomaco e sul petto, risalendo fino al collo e sollevandosi per baciarlo, mentre si sistemava contro di lui e lo penetrava piano, dandogli modo di sentirlo completamente mentre avanzava nel suo corpo.
Ryosuke si lasciò andare a dei sospiri pesanti, infilandogli le mani nei capelli e abbracciandolo stretto contro di sé, quando fu completamente dentro di lui.
Daiki lo baciò, togliendogli quasi il fiato, iniziando poi a spingere, sentendo il corpo di Ryosuke rilassarsi e accoglierlo completamente. Yamada si sollevò sui gomiti, allungando le braccia a circondargli il collo e poggiando le spalle contro il muro, trovando un punto al quale appoggiarsi, incrociando le gambe dietro la schiena di Daiki, per permettergli di avere migliore possibilità di muoversi in lui. Arioka gli strinse le vita, tenendolo fermo contro la parete, mentre si tirava indietro, per poi spingersi di nuovo dentro di lui, facendolo prima sospirare e poi trasformando quei respiri in ansimi di piacere sempre più pesanti, sempre più forti, fino a lasciarlo di nuovo senza fiato, sentendolo venire per la seconda volta nella sua mano e poco dopo, raggiungere anche lui a sua volta l’orgasmo.
Quando Ryosuke aprì di nuovo gli occhi, ci mise alcuni istanti prima di capire dove si trovasse e sorridere. Volse appena il capo, trovando Daiki già sveglio che lo osservava con il mento poggiato sulla sua spalla e le braccia a circondargli la vita, stretto contro il suo petto.
“Buongiorno” mormorò con un sorriso, volendo girarsi per baciarlo, ma Daiki lo fermò.
“Aspetta” parlò a bassa voce, “resta così” gli chiese, lasciandolo andare e infilando la mano sotto al cuscino. “Solleva la testa” gli chiese piano, alzando poi le braccia e passandogliele di fronte al volto, legandogli qualcosa al collo: una catenina molto fine, dalla quale fece scorrere poi un cerchietto in argento, posandoglielo sul petto.
Yamada osservò l’anello e sbarrò gli occhi, prendendolo tra le dita, osservandolo emozionato.
“Daiki!” lo chiamò, voltando la testa verso di lui e trovandolo che gli sorrideva.
“Non è finita!” gli disse l’altro, tornando a stringerlo, petto contro schiena e allungando davanti a lui una mano, tendendogli con l’altra un secondo piccolo cerchio.
Ryosuke lo prese con la mano che appena tremava e misurò con il proprio il palmo di Daiki, baciandogli il dorso della mano, prima di far scivolare l’anello all’anulare; solo allora, Daiki gli permise di voltarsi nel suo abbraccio, incontrando lo sguardo emozionato, gli occhi appena lucidi di Ryosuke.
“Daiki…” provò di nuovo a parlare, ma Arioka gli posò due dita sulle labbra, chiedendogli di aspettare.
“Ti amo, Ryo… ti amo e voglio passare il resto della mia vita con te. Non mi importa se non possiamo ufficializzare la cosa, ma io ti amo e ciò che mi importa davvero sei solo e unicamente tu” dichiarò, avvicinandosi a lui e guardandolo dritto negli occhi.
“Io… io non so cosa dire, Daiki, tutto questo è… io non…”
“Potresti iniziare dandomi la tua risposta” lo aiutò il più grande, sorridendo e passandogli una mano sulla guancia.
Ryosuke sollevò le braccia e lo strinse in collo.
“Sì… la mia risposta è sì e non potrebbe essere nessun’altra” confessò a sua volta, baciandolo sulle labbra.
Si crogiolarono in quel momento e in quello scambio di promesse, quando Daiki parlò di nuovo.
“Mi ha mandato un messaggio Kota, prima. Ha detto che è quasi tutto sistemato e che tra qualche giorno potrà muovesi definitivamente. Ci ha richiesto solo un altro piccolo sacrificio…” gli spiegò
“Cosa?” si informò Ryosuke.
“Sì, ha detto che deve essere tutto il più normale possibile, di modo che nessuno sospetti nulla, per cui tu dovrai tornare all’agenzia, dovremo stare divisi ancora per un po’. Dovrai stare alle loro regole per un altro paio di giorni al massimo, ma poi tutto finirà” assicurò.
“Mh, ho capito” annuì Ryosuke, “Allora sarà meglio che vada!” disse, vedendo la luce del mattino farsi sempre più forte.
“Sì” mormorò Daiki, senza però allentare l’abbraccio, facendo ridere Ryosuke.
“Per farlo dovresti lasciarmi andare, però” gli fece notare, passandogli una mano tra i capelli e attirandolo leggermente verso di sé, baciandogli il mento.
“Non voglio lasciarti andare di nuovo” si lamentò il più grande, poggiandosi alla sua spalla e sentendo Ryosuke accarezzargli i capelli in modo lento.
“Conterò le ore che ci separano ancora, ma poi staremo sempre insieme… anche perché, sai una cosa?”
“Cosa?”
“Dal momento che l’agenzia chiude non avrei comunque un posto in cui andare” affermò, lasciandogli scorrere la mano lungo il braccio. “Quindi mi servirà un posto in cui stare” sorrise.
“Ma il tuo posto è esattamente qui!” rettificò Daiki abbracciandolo meglio, facendo arrossire Yamada che gli si strinse contro.
“Così però adesso sono io che non me ne voglio andare!” si lamentò, tirandogli appena i capelli e stendendosi sulla schiena. Daiki sorrise, spostandosi sopra di lui e baciandogli le labbra, prima di lasciarlo libero di andare a prepararsi.
*
“Dai-chan!”
Yamada si lanciò letteralmente tra le braccia del fidanzato, una volta fuori dalla stazione di polizia.
“Siete stati trattenuti fino a quest’ora?” chiese al più piccolo, scostandolo da sé e vedendo Kei raggiungerli.
“Sì, ma è finita adesso” mormorò piano Ryosuke, sorridendogli, prendendogli la mano e spostandosi al suo fianco.
“Come va, Kei?” gli chiese Daiki, salutandolo e vedendo il più grande annuire.
“Bene. Adesso bene!” affermò con un sorriso. “Grazie a te!”
“Oh, io non ho fatto niente, è merito di Kota!”
“Ehi, ehi, adesso non esageriamo, è stato un ottimo lavoro di squadra, mettiamola così!” trovò un accordo e Yamada storse la bocca.
“Mh, ma io non ho fatto niente lo stesso!” si imbronciò e gli altri tre scoppiarono a ridere.
“Stavo pensando una cosa” propose Daiki guardando i presenti, “perché non andiamo tutti insieme a mangiare qualcosa per festeggiare la conclusione del caso?”
“Oh, sì, io ho proprio fame!” affermò Yamada entusiasta e Kei prima di rispondere guardò Yabu.
“Vuoi andare?” gli chiese questi.
“Sì… cioè, mi farebbe piacere, se va anche a te, ma se tu non…”
“Ok, andiamo!” decise Yabu, rivolgendosi a Daiki.
Ryosuke osservò la scena appena svoltasi chinando di lato il capo e poi sbarrò gli occhi.
“AH!” esclamò, facendo voltare tutti verso di sé, prima di lasciare andare la mano di Daiki prendendo quella di Kei, tirandolo in disparte, lontano dai due.
“Ti devo parlare!” gli disse, poi abbassando il tono quando furono a debita distanza.
“Che c’è?”
“È Yabu-san?”
“Chi?” Kei finse di non capire.
“Lo sai cosa voglio dire” lo smascherò Yamada, vedendolo arrossire e poi annuire piano.
“Lo so che non avrei dovuto, che è improvviso e l’ho visto solo poche volte, ma c’è qualcosa che mi attira in lui e non è… non pensare che sia perché ci ha aiutato, ma…”
“Ehi, ehi, Kei” lo tranquillizzò Yamada, “non lo penso, non penso niente di tutto questo, penso che sia bellissimo che finalmente abbia trovato anche tu qualcuno Kei, perché te lo meriti e sono sicuro che Yabu-san sia la persona fatta apposta per te, perché l’hai scelto!”
“Grazie!” Kei gli sorrise grato, prendendogli le mani e lasciando ondeggiare le braccia. “Ah… visto che ci siamo, forse è il caso che te lo dica, ecco io… dal momento che non abbiamo più un posto dove andare, lui ecco, mi ha proposto di appoggiarmi a casa sua, ha detto che ha una casa grande e che avrei una stanza tutta mia. Mi aiuterà a cercare lavoro e… pensi che dovrei accettare? Pensi che questo vada bene?”
Yamada fermò quel dondolare e iniziò a saltellare sul posto.
“Penso che sia meraviglioso, Kei e sono tanto felice per te!” gli disse, abbracciandolo e sollevandosi sulle punte dei piedi per arrivare a poggiare le labbra sulle sue.
“Yamada-kun!”
“Ryo!”
Le voci dei due ragazzi che erano rimasti a osservare i due amici parlare ripresero il più piccolo, avvicinandosi a passo svelto e Yamada si grattò la testa a disagio.
“Ops…. È l’abitudine!” mormorò a Kei, ma non tanto piano da non essere udito anche da Kota e Daiki che sbarrarono gli occhi.
“C’è qualcosa che mi devi dire, Ryo-chan?” lo interrogò Daiki, tirandolo via lontano da Kei.
“No, no… è che Kei è come un fratello per me e…”
“Non è una giustificazione, non sono cose che si fanno con i fratelli quelle!”
“Perché?” si stupì il più piccolo e Arioka scosse il capo, guardando perplesso Kei.
“Ryo-chan nonostante tutto è ancora molto ingenuo!” affermò Inoo, ridendo.
Daiki sospirò, prendendolo per mano e accantonando il discorso.
“Andiamo Ryo, non avevi fame?”
“Oh, sì, sì, tantissima!” replicò con entusiasmo, prima di fermarsi e voltarsi verso gli altri due; si avvicinò a loro e sorrise, prendendo una mano a Kota e una a Kei, guardandoli con un sorriso soddisfatto.
“Yabu-san, per favore, prenditi cura di Kei-chan!” gli disse, prima di avvicinare le mani dei due tra loro e tornare da Daiki, abbracciandolo e avviandosi insieme verso la macchina.
Con il sorriso sulle labbra, prese posto nel sedile del passeggero, aspettando che Kota e Kei, ancora mano nella mano, li raggiungessero e guardò Daiki, sospirando sereno.
“Mh?” domandò Arioka, ricambiando l’occhiata.
Yamada scosse il capo e si sporse verso di lui, baciandogli le labbra, soddisfatto: quello che adesso Ryosuke aveva non era più solo un sogno, ma una vita intera da passare insieme, da vivere insieme al suo unico grande amore.