[Ohmiya] Ritira il tuo animo dal mio cuore; l'angolo moribondo di un sogno infranto, leone in gabbia

Aug 22, 2012 16:29

Titolo: Withdraw your mind from my heart
Fandom: RPS - Arashi
Coppia: Ohno Satoshi/Ninomiya Kazunari
Set: 3
Prompt: 04:00 - Ritira il tuo animo dal mio cuore
Rating: R (per i contenuti)
Genere: angst
Wordcount: 1.057 fiumidiparole
Avvertimenti: slash, !deathfic
Discalimer: gli Arashi non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.


La porta d’ingresso aveva sbattuto violentemente prima di venire riaperta.
Passi che si rincorrevano per la casa fino ad arrivare alla camera da letto.
“Nino! Nino, per favore aspetta!”
Ohno corse dietro al compagno, spalancando la porta della stanza e vedendolo posare sul letto un borsone da viaggio dove Ninomiya iniziò a mettere dentro a casaccio tutte le sue cose.
“Kazunari, asp-” tentò di fermarlo prendendolo per un braccio.
“Non mi toccare!” gli urlò di rimando il più piccolo, scostandolo violentemente via da sé.
Ohno indietreggiò, ma non perse l’equilibrio.
“Ascoltami, per favore, lasciami-” provò di nuovo il Riida, ma Nino si voltò verso di lui furioso.
“Lasciami spiegare?” domandò retorico. “Cosa vorresti spiegarmi, Ohno!” gli disse duro, lanciandogli addosso un paio di jeans con fare nervoso.
“Ti prego” cercò ancora di creare un dialogo il più grande, ma Nino non lo voleva ascoltare, non credeva che l’altro avesse alcun diritto di dire niente.
“Non ti avvicinare, Satoshi, perché potrei non rispondere di me” lo avvertì minaccioso, muovendo a sua volta un passo indietro, tornando a rovistare tra i cassetti, chiudendo malamente la zip.
“Io… mi dispiace” continuò comunque il Riida e quello per Nino fu troppo; il tono che aveva usato, così rammaricato e colpevole non gli piaceva, non aveva alcun diritto di fare la vittima in quel modo come se fosse solo colpa sua. Non aveva il diritto di farlo sentire un mostro.
“Ti dispiace? Ti dispiace, Satoshi? Cosa esattamente ti dispiace? Di avermi tradito? Di avermi ingannato per chissà quanto tempo?”
Ohno si intromise in quella sua sfuriata.
“È stato uno stupido errore. È… è successo solo una volta, stasera, è…” ancora una volta non poté riuscire a dire niente, perché Nino si avventò su di lui, sbattendolo contro il muro, stringendogli lo scollo della maglietta.
“Non ha importanza, Satoshi. Non me ne frega niente. Tu… tu mi hai tradito, che sia stato solo stasera o sia successo altre cento volte in questi mesi non ha importanza” grugnì tra i denti, gli occhi pericolosamente lucidi, sull’orlo del pianto. Ma non l’avrebbe fatto, non gli avrebbe dato anche quella soddisfazione di vederlo crollare a pezzi davanti a lui.
“Kazu…” lo chiamò Ohno con voce debole.
Nino lo lasciò andare, spostandosi di nuovo verso il letto, afferrando i manici della borsa.
“Dove vai? Dove…? Non… possiamo parlarne?”
“Non abbiamo niente da dirci, Satoshi” lo liquidò il più piccolo.
“Nino, io ti amo!” gli urlò dietro Ohno in un ultimo, disperato, tentativo di tenere l’altro legato a sé.
Il più piccolo si volse verso di lui con una lentezza che al Riida fece quasi paura: Ohno sentiva le lacrime pungergli gli occhi, perché era vero, lui amava Nino, lo amava in modo viscerale e disperato e per una sua stupida debolezza l’aveva tradito e lo stava perdendo per sempre. Non se lo sarebbe mai e poi mai perdonato, ne era certo.
“Mi ami?” il suo tono era sarcastico, il suo sguardo ironico e la risata che non riuscì a trattenere aveva un che di inquietante. “Mi ami, Satoshi?” domandò di nuovo, prima di prendere con entrambe le mani il borsone e lanciarglielo addosso.
“Nino!”
Ohno lo guardò sconvolto, prendendo di peso la sacca, posandola poi a terra.
“Tu mi hai tradito, Satoshi! Come fai a dire che mi ami? Io mi fidavo! Mi sono fidato di te e tu mi hai deluso. Come puoi dire di amarmi? Se mi avessi amato davvero come dici non sarebbe successo!” gli urlò addosso, cedendo alla stanchezza di quella scoperta, al dolore che sentiva divorargli il petto.
Perché faceva così male?
Lo odiava per quello che gli aveva fatto, voleva trincerarsi dietro quella rabbia, dietro quel senso di offesa che l’aveva sentito mordergli il cuore quando aveva visto Ohno tra le braccia di un altro, ma era così difficile. Era difficile, anche perché fino a che non l’aveva visto con i suoi occhi aveva sperato che non fosse vero.
E anche se adesso aveva visto, anche se faceva così dannatamente male, avrebbe voluto credergli, avrebbe voluto credere alle sue parole e lasciarsi amare. Ma non poteva permetterglielo. Ma non poteva permetterselo.
Si piegò su se stesso, il mento contro il petto, sentendo Ohno avvicinarsi e chiamarlo con voce dolce e carezzevole e sembrava così dannatamente sincero.
Si sentì sfiorare per una spalla e alzò di scatto il viso; in un movimento repentino, Nino fece sbilanciare Ohno verso il pavimento, montando cavalcioni su di lui, le mani sul suo collo.
Aveva lo sguardo lucido di pianto, alla fine non era riuscito a trattenersi. Lo guardò con espressione malinconica, mordendosi un labbro, mentre aumentava la stretta sul suo collo. Le dita di Ohno si strinsero sui suoi polsi graffiando, facendolo sanguinare appena nel tentativo di liberarsi.
“Mi dispiace, Oh-chan, io… io volevo andarmene. Avresti dovuto lasciarmi andare! Perché mi hai fermato? Perché?” gli chiese, mentre Ohno continuava a scalciare e graffiagli i polsi, le braccia, il collo.
“Ritira il tuo animo dal mio cuore, ti prego…” gli chiese supplice Ninomiya, mentre lacrime calde cadevano sul volto di Satoshi, scivolando sulle guance del Riida come fossero state le proprie. “Fallo, Satoshi, perché io non riesco a perdonarti, ma continuo a desiderarti, continuo ad amarti” mormorò, parlando in quel modo sconnesso più a se stesso che non al ragazzo disteso sotto di sé.
“Vattene” mormorò ancora, a voce un po’ più alta, mentre vedeva il volto del Riida contorcersi in una smorfia, il colorito cambiare. “Ti odio” sussurrò ancora, prima di risollevare il capo e guardare Ohno dritto negli occhi, un’ultima volta in quegli occhi nei quali aveva sempre avuto fiducia e che da quel momento in poi non avrebbe guardato più, nei quali mai più si sarebbe riflesso pensando che sarebbe stato per sempre.
E forse, forse non avendoli più davanti, avrebbe potuto ricominciare, la sua presenza sarebbe scomparsa dal suo cuore, dalla sua anima, dalla sua mente e forse un giorno non avrebbe più fatto così male.
Non si sarebbe più fidato, non avrebbe dato mai più qualcosa di sé a nessuno.
Lo promise a se stesso.
Lentamente, allentò la presa sul collo di Ohno, ormai privo di vita, e lo fissò. Portò una mano ai suoi occhi e gli abbassò le palpebre. Rimase alcuni istanti a guardarlo, fissando il suo viso, poi si alzò, raccolse la borsa con le proprie cose e andò via.

*

Titolo: Sogni infranti
Fandom: RPS -Arashi
Coppia: Ohno Satoshi/Ninomiya Kazunari
Set: 3
Prompt: 06:00 - L’angolo moribondo di un sogno infranto
Rating: PG-13
Genere: angst
Wordcount: 601 fiumidiparole
Avvertimenti: slash, !deathfic
Discalimer: gli Arashi non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
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‘Satoshi?’
‘Mh?’
Un mormorio.
‘Oh-chan non dormire subito per favore.’
Lo scrollò per una spalla per avere attenzione.
‘Ma sono stanco, Nino.’
‘Tante grazie’ sbuffò, offeso.
Un occhio si schiuse, le labbra si incurvarono in un sorriso. Satoshi allungò un braccio, cingendolo per la vita, avvicinandolo a sé.
“Che c’è?”
“Niente, dormi, visto che stare con me è stancante!”
Il più grande continuò a sorridere, non se la prese. Si accostò maggiormente alla sua schiena, baciandolo sotto l’orecchio.
‘Io non ho intendevo questo, non mettermi in bocca parole che non ho detto’ lo rimproverò appena, sussurrando:“Ammetterai però che è piuttosto appagante, no? Sai come mettermi ko’ continuò, accarezzandogli il fianco nudo, scendendo sulla gamba, tirandola indietro verso di sé.
Nino volse il capo, aveva le guance leggermente rosse, che contrastavano con il sorrisino malizioso che gli aveva incurvato le labbra a quella insinuazione.
‘Vecchio maniaco’ lo riprese, voltandosi però completamente verso di lui, per stringerlo, affondando il viso contro il collo, inspirando l’odore buono della sua pelle, sulla quale poteva percepire anche quello della propria.
‘Che hai?’ gli chiese di nuovo il più grande, accarezzandogli i capelli.
Nino tra le sue braccia scosse la testa e, senza cambiare posizione, mormorò: “Ti amo.”

Aprì gli occhi lentamente fissandoli nell’oscurità della stanza, dagli spiragli delle tapparelle abbassate non fluiva ancora alcun raggio di sole, segno che avrebbe potuto ancora riposare. Si passò una mano sul viso, scoprendo le guance bagnate, ma non se ne stupì. Né questo gli provocò fastidio, era normale per lui piangere, era normale per lui sognare quello che era stato e che non sarebbe tornato mai più indietro.
Era normale, da quando Satoshi era morto e lui si era ridotto a essere solo un fantoccio senza più cuore né sentimenti. Era solo un involucro di ricordi che costantemente riviveva, uno dopo l’altro, giorno dopo giorno.
I primi mesi gli era stato detto di essere forte, gli era stato permesso di lasciarsi andare, gli era stato permesso di essere egoista e di chiudersi nel suo dolore. Poi avevano iniziato a fargli pressione, aiuto lo chiamavano loro, sprono per continuare a vivere. Forza.
Una forza che Nino non aveva più e che non voleva più possedere. Non gli importava, non gli interessava di niente, gli amici, i parenti, il lavoro, nulla aveva più alcun valore se non poteva dividere e condividere ogni cosa con lui.
E stava bene, non gli interessava di apparire debole, non gli importava di quello che gli altri potessero pensare di lui, che fosse pazzo o meno, che avesse bisogno di aiuto.
Non ne voleva, perché sapeva che niente sarebbe riuscito a risollevarlo dallo stato in cui adesso versava, nessuno avrebbe mai potuto arrivare al suo cuore, ammesso che un cuore ancora l’avesse, per poter anche solo lontanamente immaginare come si sentisse. E cercare di capirlo.
Nessuno poteva farlo e lui neanche voleva che quel qualcuno esistesse, per riportarlo indietro, nel mondo di chi vive, di chi ancora spera, di chi ancora ha forza e voglia di lottare.
Lui non aveva più alcuna intenzione di farlo. Non vi era nulla per cui valesse ancora la pena di dare un’altra possibilità alla vita.
Nino voleva solo addormentarsi ancora e possibilmente non risvegliarsi più; per non abbandonare mai quelle sensazioni, per non dover ricordare quella dolorosa assenza ma continuare a viverla ancora e ancora.
Non voleva più sentire quella voragine che aveva nel cuore e che da vigile lo soffocava, perché non esisteva più alcun modo per colmarla.
Non aveva bisogno di nient’altro, voleva semplicemente continuare a crogiolarsi in quella illusione, nella sua personalissima illusione e con essa annientarsi e sparire, per continuare a vivere in quell’angolo moribondo di un sogno infranto.

*

Titolo: Leone in gabbia
Fandom: RPS -Arashi
Coppia: Ohno Satoshi/Ninomiya Kazunari
Set: 3
Prompt: 20:00 - Leone in gabbia
Rating: PG
Genere: angst
Conteggio parole: 1.047 fiumidiparole
Avvertimenti: slash
Discalimer: gli Arashi non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
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Nino continuava a fissare ostentatamente il pavimento bianco: la testa nascosta tra le braccia e le mani nei capelli. Non riusciva a pensare a niente, non vedeva altro che il nulla e il silenzio era riempito solo dal battito forsennato del proprio cuore.
“Tieni” una voce gentile e familiare lo riscosse, mentre qualcuno gli aveva messo sotto gli occhi una lattina di caffè.
Sollevò appena il capo, vedendo Aiba accovacciato sulle ginocchia che cercava di sorridere in modo troppo forzato, troppo finto anche per lui.
Si limitò a scuotere il capo, spostando lo sguardo, mordendosi le labbra per non farsi sopraffare dalle emozioni: era semplice se nessuno gli parlava, se nessuno pensava a lui e cercava di consolarlo, anche solo per dargli sostegno.
Lo capiva, capiva che fossero tutti preoccupati come lo era lui, che lo facevano in buona fede, ma vedere gli occhi arrossati di Aiba, il nervosismo mal trattenuto di Sho e gli occhi lucidi di Jun non lo aiutava, per niente.
E, soprattutto, lui non voleva assolutamente mettersi a piangere, perché farlo sarebbe equivalso ad arrendersi, essere pessimisti e non voleva. Non aveva alcuna intenzione di darsi per vinto.
“Dovresti mettere qualcosa nello stomaco… è da ore che non mangi niente… che non…” lo sguardo che Nino gli rivolse lo tacitò immediatamente; Aiba sapeva che non ce l’aveva con lui, che quell’occhiata non voleva significare ciò che lui vi aveva letto dentro, ma ne fu ferito ugualmente.
Masaki sentì una mano posarsi sulla sua spalla e Sho lo strinse appena, convincendolo a lasciare solo il loro compagno.
Nino li guardò allontanarsi e parlare con Jun, il quale poi annuì con il capo, tutti e tre lo guardarono e prima che parlassero fece loro semplicemente un cenno di non preoccuparsi per lui, tornando nella posizione iniziale, le mani intrecciate saldamente insieme, lo sguardo fisso sulla porta bianca davanti a sé.
Dietro di essa c’era tutta la sua vita e lui non si sarebbe alzato da lì a meno che non si fosse aperta.
Come a leggere nei suoi pensieri, un’infermiera si era avvicinata a lui, spiegando che, anche se per poco, prima che passassero i controlli, avrebbe potuto farlo entrare.
Ninomiya sentì il proprio cuore accelerare ulteriormente i battiti, come se potesse davvero pompare più veloce di quello che aveva fatto nelle ultime otto ore.
Velocemente annuì con il capo, alzandosi di scatto, la donna sorrise e lo fece entrare chiudendo la porta, continuando il proprio giro di controllo.
Una volta che la porta si fu chiusa alle sue spalle, Nino sentì il fiato mancargli, mentre osservava la figura distesa sul letto, avvolta in lenzuola bianche, una flebo attaccata al braccio e la mascherina con l’ossigeno posata su naso e bocca. In un sol colpo gli occhi gli si riempirono di lacrime, respirò profondamente, cercando di ricacciarle indietro, mordendosi le labbra così forte da farle sbiancare.
Strinse i pugni, avvicinandosi al letto, riconoscendo sempre meglio la figura del suo Satoshi: sembrava così sereno in quel sonno indotto, se solo avesse potuto chiamarlo ed essere capace di risvegliarlo l’avrebbe fatto fino a perdere la voce.
Si sedette piano sul bordo del materasso, accanto ai suoi piedi, prendendogli una mano, infilando le dita tra quelle del compagno, le sue bellissime dita, con le quali tante volte gli aveva scompigliato i capelli, con le quali gli aveva sfiorato il viso in una carezza, quelle mani che quando scendevano sul suo corpo lo facevano fremere di mille brividi.
“Riida…” provò a dire, ma la propria voce uscì arrochita a causa del protratto silenzio; un lieve sussurro, quasi pensasse di poterlo ferire se solo avesse pronunciato il suo nome con un tono un po’ più alto.
Gli strinse le dita, ma Ohno non si mosse, continuava a respirare piano, aiutato dalla macchina e Nino ripercorse in un istante quei drammatici istanti: lo vide ballare sul palco, durante le prove, gli era appena passato vicino e aveva allungato una mano per stringergliela, ma lui, dispettoso, si era spostato e l’aveva lasciato ad afferrare l’aria. Satoshi si era girato ridendo, senza smettere di cantare; Nino non avrebbe saputo dire come mai quel giorno stessero prendendo entrambi le prove poco sul serio, Jun li aveva ripresi più di una volta perché si concentrassero, perché se non avessero dato il loro meglio anche gli altri ne avrebbero risentito, eppure a loro non importava.
Se gli avessero dato retta, molto probabilmente adesso non si sarebbero trovati in quella situazione e Nino non si sarebbe sentito così in colpa e inutile. Era colpa sua se, per rincorrerlo, Ohno era malamente scivolato, battendo la testa contro la pedana.
Nino si prese la testa fra le mani, inginocchiandosi ai piedi del letto, mormorando parole di scuse verso il compagno. Lacrime di frustrazione iniziarono a rigargli il viso e lui non riusciva a fermarle, cadevano veloci come i propri pensieri che si rincorrevano nel cervello in un susseguirsi di ipotesi, di se e di ma con i quali non poteva in alcun modo cambiare la situazione. Si sentiva come un leone in gabbia: era stanco di aspettare, stanco di restare a fissarlo senza poter fare niente, stanco di attendere quei maledetti risultati che gli avrebbero risollevato lo spirito o spezzato il cuore per sempre. Si sentiva prigioniero delle proprie emozioni, se avesse potuto avrebbe portato indietro il tempo per impedire a sé stesso di fare l’idiota, per poter stringere ancora una volta Satoshi tra le braccia.
L’infermiera bussò piano alla porta, affacciandosi poco dopo; Nino si asciugò in fretta il viso con il dorso della mano, infastidito dalla propria debolezza.
“L’orario di visita è finito” sussurrò la giovane, prima di allontanarsi discreta per dargli modo di riprendersi. Kazunari osservò fuori dalla finestra il cielo scuro della sera, vi erano ancora poche stelle, ma nel suo cuore nessuna luce avrebbe più brillato, non fino a che quegli occhi non si sarebbero nuovamente schiusi per posarsi su di lui.
Si alzò di mala voglia, ancora con quella sensazione di inadeguatezza e ansia che gli opprimeva il petto, chinandosi un istante sul volto dell’altro, per salutarlo con un bacio sulla fronte.
“Non lasciarmi, Satoshi…” mormorò, guardandolo con apprensione, spostandosi verso la porta.
Sarebbe andato via da quella stanza, ma non avrebbe lasciato l’ospedale. Non aveva alcuna intenzione di andarsene da quel corridoio per nessuna ragione al mondo.

genere: oneshot, genere: angst, arashi: ninomiya kazunari, comm: 24ore, fanfiction: arashi, arashi: ohno satoshi, pairing: ohmiya, warning: death fic, warning: slash

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