Titolo: Peccato e colpa
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Arioka Daiki, Yaotome Hikaru, Inoo Kei, Yamada Ryosuke
Pairing: Hikayama
Prompt: Macchina
Genere: angst
Rating: nc-17
Warning: slash, !death fic
Conteggio parole: 2.347
fiumidiparoleNote: la storia inoltre è scritta per la tabella wTunes Desires con il prompt #08. You may be a sinner per la community
diecielode.
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella:
LuoghiTabella:
wTunes Desires Quando ricevette la chiamata di Yamada a quell’ora tarda, Hikaru si preoccupò non poco
“Pronto, Yamada?” aveva risposto confuso.
“Hikaru-kun” rispose l’altro, la voce tremante. “Scusami se ti disturbo a quest’ora” gli disse, prima che venisse interrotto da un rumore di clacson.
“Yamada? Dove sei?” chiese il più grande. Era l’una del mattino e gli sembrava strano che l’altro fosse in giro così tardi; che lui sapesse, non doveva lavorare e, soprattutto, il suo tono di voce lo impensieriva parecchio.
“Ah, sono ecco… sono a Rappongi” spiegò e Hikaru si sollevò a sedere sul letto, dove era steso per guardare la televisione.
“Cosa ci fai lì a quest’ora, è pericoloso!” gli aveva detto. “Sei solo?” domandò.
“Sì… sì, io volevo chiederti se potevi venire a prendermi” gli chiese. “Mi dispiace, Hikaru, lo so che…”
“Non dirlo neanche per scherzo, sto arrivando, aspettami!” gli disse, mentre correva all’ingresso e metteva giù.
*
“Cosa diamine ci facevi qui?” chiese il più grande quando Yamada salì in macchina, sistemandosi sul sedile posteriore, a sguardo basso.
“Io…” iniziò, guardandolo dal riflesso dello specchietto retrovisore attraverso il quale Hikaru lo osservava a sua volta con rimprovero. “Possiamo andare via da qui per favore?” domandò.
Hikaru accantonò per il momento il discorso, inserendo la marcia e ripartendo, allontanandosi da lì. Aveva notato l’ansia che traspariva dal suo viso e decise di lasciarlo in pace per il momento, per lo meno fino a che non arrivarono nuovamente in città.
“Posso venire a stare da te?” chiese Yamada quando vide Hikaru fermarsi a un semaforo e sentì il suono intermittente della spia che segnalava la sua intenzione a voltare per riportarlo a casa. “Ho bisogno di parlarti” gli disse e Hikaru lo guardò per un istante perplesso, poi annuì, rimettendosi in marcia.
Hikaru guidò per diversi minuti ancora, nei quali Yamada non aveva detto assolutamente niente e quando si fermò nel parcheggio sotterraneo del palazzo dove abitava, spense il motore della macchina, accendendo la luce sopra il tettuccio, voltandosi di nuovo verso l’amico.
Yamada, sentendosi osservato, guardò Hikaru e abbozzò un sorriso particolarmente malinconico, portandosi le ginocchia al petto, abbracciandole, e rannicchiandosi su se stesso. Vi nascose il volto e Hikaru capì che doveva fare qualcosa. Si slacciò la cintura e, passando in mezzo ai sedili, si sedette accanto a lui. Gli posò una mano sulla testa, carezzandolo.
“Yamada? Che cosa è successo?” gli domandò.
“Avevo bisogno di parlare con qualcuno” si sentì rispondere in un mormorio, senza però alzare il volto. “Mi dispiace tanto averti fatto uscire a quest’ora” si scusò di nuovo.
Hikaru gli mise una mano sulla testa, tranquillizzandolo.
“Sai che puoi sempre contare su di me, Ryo-chan… e poi ero sveglio. Hai fatto bene a chiamarmi.”
Yamada annuì e sollevò la testa verso di lui, abbassando le gambe, piegandole sul sedile, allungando un braccio verso il collo di Hikaru, attirandolo verso di sé. Il più grande non si aspettava quel gesto, quindi quando si ritrovò le labbra di Yamada sulle sue, ne restò sorpreso.
“Ryosuke” lo chiamò scostandosi in fretta da lui, ma il più piccolo si mosse velocemente, abbracciandolo di nuovo, mettendosi cavalcioni su di lui e rintanando il volto contro il collo di Hikaru.
“Non mandarmi via, ti prego” mormorò Yamada, stringendolo, la bocca che premeva sulla sua pelle; era calda e aveva un buon profumo. Un odore diverso da quello al quale era abituato, sapeva di buono Hikaru.
Yamada sollevò la testa, posando la fronte contro quella di Hikaru, guardandolo direttamente negli occhi.
Hikaru tentò di parlare, voleva capire perché l’altro si stesse comportando in quel modo, ma quando lo chiamò, Yamada gli posò due dita sulle labbra per tacitarlo, scuotendo il capo.
“Non rifiutarmi ti prego” lo supplicò, con voce roca e triste, accarezzandogli il volto con le mani, piano, quasi con una dolcezza malinconica. Si chinò di nuovo su di lui, schiudendo le labbra, posandole su quelle del più grande che stavolta lo vide avvicinarsi e aprì appena la bocca a sua volta, accogliendo quella di Yamada, baciandolo piano; come se quello fosse l’unico modo che avesse per tranquillizzarlo, visto che l’altro gli impediva di parlare e qualsiasi obbiezione lui volesse fare veniva respinta.
Quando sentì le mani del più piccolo scivolare dal viso al collo e posarsi sul cavallo dei suoi pantaloni e tentare di oltrepassare la stoffa, però, Hikaru fu costretto a fermarlo con maggior convinzione, gli prese i polsi, allontanandolo da sé.
“Ryo-chan!” lo guardò dritto negli occhi. “Fermati… perché non mi dici come mai sei così sconvolto? È chiaro che qualcosa non va, ma non credo questa sia la soluzione. Non pensi a Daiki? Hai litigato con lui per caso?” provò.
Hikaru sapeva quanto Yamada fosse innamorato di Daiki, era stato lui il primo ad accorgersi di come i sentimenti di Yamada nei confronti di Arioka fossero cambiati, da come fosse passato senza accorgersene dall’essere solo suo amico a volere da lui qualcosa di più. E quando si erano finalmente messi insieme, Hikaru era stato parte di quella felicità e non voleva fare niente per distruggerla.
“Dai-chan” mormorò Yamada e Hikaru vide una lacrima scivolare sul suo viso.
Yaotome si affrettò ad asciugargliela con una mano: aveva colpito nel segno, non aveva idea di che cosa potesse essere successo per convincere Yamada a comportarsi in quel modo.
“Mi ha tradito” confessò il più piccolo iniziando silenziosamente a piangere.
Hikaru lo guardò spalancando gli occhi, non voleva crederci.
“Daiki? Daiki non ti tradirebbe mai, Yamada…” gli disse, ma il più piccolo scosse il capo.
“Invece è così Hikka e io… io lo voglio ripagare con la stessa moneta, io sono stanco di fingere di non sapere. Non voglio fare il bravo ragazzo! Non dopo questo!” disse, infervorandosi, slacciandosi i pantaloni e prendendo una mano di Hikaru, portandosela tra le gambe.
“Non rifiutarmi anche tu, Hikaru!” gli disse, riprendendo ad accarezzarlo, riprendendo da dove Hikaru l’aveva fermato, scendendo a baciargli il collo, muovendosi su di lui, prima che l’altro potesse fermarlo di nuovo. Gli prese il sesso con una mano, lasciando che le dita scendessero verso il basso, risalissero lente, sfiorassero la punta. Verso il basso lasciò scivolare il palmo, risalendo. I gemiti di Hikaru riempirono l’aria e Yamada sentì le dita dell’altro imitare i suoi movimenti. Si sollevò sulle ginocchia, per permettere a Yaotome di muovere meglio la mano su di lui, mentre a sua volta sentiva il piacere crescere e la mente svuotarsi, prima di raggiungere l’orgasmo e costringere anche l’altro a venire insieme a lui.
Si accasciò sul corpo del più grande, che lo abbracciò e gli baciò la tempia.
Hikaru attese qualche istante prima di parlare.
“Ti senti meglio adesso?” gli chiese e nel suo tono Yamada poté avvertire dell’ironia.
Era ovvio che non si sentisse meglio, era ovvio che quello che aveva appena fatto, sebbene l’avesse condiviso con il suo migliore amico, non era servito a placare il suo cuore o a fargli provare meno dolore, né a fargli dimenticare il tradimento di Daiki.
Non sapeva neanche lui perché si era comportato così, solo che, in quel momento, gli sembrava la cosa giusta da fare.
Yamada sorrise, scuotendo il capo, guardandolo con un sorriso malinconico.
“Non è solo per questo che ti ho chiesto di vederci, Hikka” spiegò. “Non avevo pensato a questo quando ho chiesto il tuo aiuto, volevo davvero solo parlare e c’è un altro motivo per cui ho chiamato te” gli disse.
Hikaru lo guardò senza comprendere appieno il senso delle sue parole. Non capiva quale altra ragione ci potesse essere.
Yamada si alzò da sopra di lui, sedendoglisi accanto e incrociò le gambe sul sedile; tirò su con il naso, guardando il più grande negli occhi: “Era con Kei.”
Yaotome spalancò gli occhi.
“Kei?” mormorò Hikaru, incredulo. “Kei sta con Yabu” affermò con voce bassa.
Yamada scosse il capo, gli occhi di nuovo lucidi.
“Questo lo so, ma ciò non gli ha impedito di andare in un love hotel con il mio ragazzo” disse rancoroso.
“Da… da quanto va avanti questa storia?” domandò Hikaru.
“Due mesi…” disse il più piccolo, senza aggiungere più altro.
Hikaru strinse i pugni, fino a farsi sbiancare le nocche: non sapeva come comportarsi.
Dopo quello che Yamada gli aveva detto, non aveva idea di cosa fosse giusto fare. Avrebbe voluto andare da Yabu, subito, nel cuore della notte, per metterlo al corrente della verità e riprenderselo.
Kei gliel’aveva rubato, calpestando i suoi sentimenti, nonostante fosse chiaro quello che Hikaru provava per il più grande e adesso veniva a sapere che lo tradiva.
Hikaru non si era mai rassegnato a quella sconfitta, non aveva smesso di amare Yabu, ma si era accontentato, perché sapeva che Yabu era felice e la sua amicizia era meglio di niente; non sarebbe riuscito a sopportare di non essere più parte della sua vita e voleva continuare a farne parte, in qualsiasi modo.
E aveva sopportato, Hikaru, giorno dopo giorno, i loro sorrisi, gli sguardi, le cose non dette che aleggiavano tra loro e che sapeva, in sedi private avrebbero trovato il giusto suono.
Tutto quello che aveva patito fino a quel momento, invece, in una notte stava venendo vanificato. Il suo dolore valeva davvero così poco?
Si calmò solo per un attimo, guardando il ragazzo che in silenzio accanto a sé, cercava di essere forte, di non piangere e non crollare completamente.
Valeva davvero così poco il loro dolore?
Era giusto che anche Yamada soffrisse in quella maniera, per cosa?
Hikaru si voltò verso il più piccolo, prendendogli il volto con una mano, chiedendogli di guardarlo.
“Non piangere, Ryo-chan” gli disse, sorridendogli dolcemente. “Mi hai detto che sei stanco di fare il bravo ragazzo e sai una cosa? Hai perfettamente ragione. Sono stanco anche io, sono stanco di soffrire, di guardare gli altri che sono felici, mentre a me non spetta niente. Sono anche io stufo di vedere gli altri realizzare i propri sogni a discapito dei miei” parlò.
Yamada lo guardava, ascoltando affascinato quelle parole: Hikaru sapeva come si sentiva, lui poteva capirlo e si sentì appena un po’ meglio.
“Sei stanco di fare il bravo ragazzo e, se solo tu lo volessi, potresti essere un peccatore” mormorò suadente.
Yamada lo guardò sbattendo un istante le palpebre.
“Cosa vorresti dire?” gli chiese e il sorriso che Hikaru gli rivolse non aveva nulla di sano.
“Ti riaccompagno a casa” gli disse, prima di tornare al posto del guidatore e mettere in moto.
*
Lo vide rientrare a casa che era quasi mattino.
Attese che lo sorpassasse, ignaro che lui si trovasse lì e fosse là per lui.
Hikaru osservò il palazzo dove abitava Yabu e sentì una morsa all’altezza del petto.
Avrebbe pagato, quella piccola sgualdrina avrebbe pagato per tutto il male che gli aveva causato in quegli anni, avrebbe pagato anche per il male che Kota avrebbe provato quando avrebbe ricevuto la notizia della sua morte.
Non avrebbe sofferto a lungo però, perché lui sarebbe stato al suo fianco, come era giusto che fosse, come sarebbe dovuto essere fin dall’inizio.
L’avrebbe consolato, avrebbe finto di dispiacersi di quella perdita e gliel’avrebbe fatto dimenticare. Yabu non avrebbe mai scoperto la verità, Hikaru non voleva che soffrisse ulteriormente, nel sapere di quel tradimento. Hikaru, a differenza di Kei, avrebbe sempre protetto la persona che amava e gli avrebbe taciuto quella scomoda verità.
Sapeva, però, che se Yabu l’avesse saputa, l’avrebbe ringraziato.
Vide Kei cercare le chiavi di casa nella borsa e mascherare uno sbadiglio con la mano.
“Sei stanco, Kei-chan?” mormorò a bassa voce a nessuno. “Adesso avrai tutto il tempo del mondo per riposare” assicurò.
Mise in moto l’auto e inserì la prima. Premette sull’acceleratore piano e si avvicinò alla sua vittima.
Poi, fu tutto molto veloce, Hikaru premette a fondo, accelerando di botto e vide Kei voltarsi per il rumore improvviso del rombo del motore, prima di venire colpito dal cofano della macchina a un fianco e il suo corpo sbattere contro il cruscotto. Tornò indietro, lasciando che scivolasse sull’asfalto, investendolo completamente, sparendo lontano.
Si fermò pochi metri più avanti, giusto per scrupolo e, vedendo che l’altro non dava segno di potersi rialzare, ripartì, rivolgendo al proprio riflesso nello specchietto retrovisore un sorriso.
*
Yamada rientrò in casa, cercando di fare meno rumore possibile.
La porta della stanza da letto era socchiusa, così come quella del bagno dalla quale usciva un leggero calore e il profumo del bagnoschiuma di Daiki, segno che il ragazzo era rientrato da poco.
Almeno aveva avuto la decenza di lavarsi, pensò Yamada, entrando nella propria camera. Osservò Daiki dormire pesantemente; evidentemente fare sesso con Kei era sfiancante.
Nel fare quel pensiero, un moto di rabbia incontrollabile lo colse e se anche durante tutto il viaggio in macchina, dopo le parole di Hikaru aveva avuto qualche riserva, in quel preciso istante, i rimorsi scomparvero, la voglia di chiarire con Daiki scomparsa, il suo amore per il più grande calpestato dal suo tradimento.
Hikaru aveva ragione, lui era più importante di Kei, lui era più importante di qualsiasi altra cosa. Daiki non meritava il suo amore, le sue lacrime, il suo dolore, il suo perdono. Non si meritava niente.
Solo una cosa era giusta da fare.
Si avvicinò alla propria parte del letto, prendendo il cuscino, spostandosi poi dal lato opposto.
Osservò per l’ultima volta Daiki dormire, il suo petto sollevarsi e abbassarsi lentamente, il suo viso rilassato nel sonno, strinse il guanciale, abbracciandolo forte, prima di allungare le braccia e calarlo d’improvviso sul volto di Daiki.
Fece forza con le braccia, sentendo Daiki svegliarsi e ribellarsi, le gambe muoversi per alzarsi, ma ottenne solo l’effetto di immobilizzarsi ancora di più, avvolgendole con le lenzuola.
Yamada sentì le mani di Daiki posarsi sui suoi polsi e fu quasi certo che l’altro avesse invocato il suo nome. Ma non avrebbe ceduto, avrebbe portato a compimento la sua vendetta, lo doveva a se stesso. Salì cavalcioni sul corpo steso di Daiki, imprimendo ancora più forza e solo una lacrima gli scivolò sul viso quando avvertì il corpo sotto al suo fermarsi. E quella sarebbe stata l’unica che avrebbe versato per Daiki, la sola che avrebbe versato per il proprio peccato.