Titolo: Kimi ni furetakutte futari no kyori chijimete tta (I wanted to touch you so I closed the distance between us) - HSJ Deep night kimi omou (thinking of you)
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Arioka Daiki, Yaotome Hikaru, Inoo Kei, Yamada Ryosuke
Pairing: Ariyama
Prompt: Terrazzo
Genere: angst
Rating: R (per i contenuti)
Warning: slash, death fic
Conteggio parole: 943
fiumidiparoleNote: La storia inoltre è scritta per la tabella La Bella e la Bestia della community
10disneyfic con il prompt 06. Tu questa sera cenerai con me e non si tratta di un invito.
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella:
LuoghiTabella:
La bella e la bestia “Pronto?”
“Yamada?”
“Mh? Chinen?”
“Yamada…”
Un singhiozzo.
“Chinen che succede?”
Si sollevò a sedere sul letto, di scatto, con il cuore balzato improvvisamente in gola, la gola secca, brividi gelidi sottopelle.
“Chinen!?”
Un urlo quasi, mentre l’ansia gli attanagliava il cuore.
“Yamada…. Yamada, mi dispiace, puoi… sto passando a prenderti” gli aveva detto solo, mentre di sottofondo sentiva la voce di Yuya chiedergli dove dovesse voltare.
“Chinen, cosa è successo?” aveva chiesto ancora, apprensivo Yamada, mandando le coperte per aria, alzandosi dal letto.
“Si tratta di Daiki. Stiamo arrivando.”
*
Non ci voleva credere, non voleva stare a sentire una parola di più, Yamada. Non voleva vedere il volto di Chinen sfatto dal dolore mentre lo metteva al corrente della verità, in quella sterile camera mortuaria, dove erano stati convocati per riconoscere il corpo.
Non voleva vedere Yuya mordersi le labbra per trattenere le lacrime, gli occhi lucidi, mentre sosteneva in silenzio Chinen che continuava a tirare lunghi sospiri, prima di ripetere.
“È morto, Yamada” gli aveva detto, guardandolo negli occhi, avanzando per prendergli le mani che Yamada scostò velocemente, non voleva che lo toccasse, non voleva che nessuno posasse le mani su di lui, non voleva essere abbracciato, consolato, voleva solo svegliarsi da quel brutto incubo nel quale era precipitato e dal quale non riusciva a svegliarsi.
*
Era passato un mese da quella terribile sera e ormai Yamada che era diventato solo l’ombra stanca di se stesso: non ne poteva più.
Chiuse gli occhi, lasciandosi andare stanco sul letto, dove ancora le coltri profumavano di lui, inebriandosi di quell’odore. Di quei ricordi che vivevano insieme a lui in quell’appartamento.
“Dovresti cambiare casa, Yamada” gli diceva Yuri quasi ogni giorno, quando si imponeva di andare a lavoro e fingere per qualche ora di dimenticarsi di pensare, impedendosi di ricordare, ma senza successo.
“Non ho intenzione di fargli questo. Non lascerò la nostra casa” gli ripeteva il più grande, ostinato.
“Ma così non ti farai altro che del male” insisteva Chinen per il suo bene. Così gli diceva, ma a Yamada poco importava.
“Non mi dimenticherò di lui, non voglio dimenticarmi di Daiki” ribatteva lui.
“Non è questo che voglio che tu faccia, ma devi reagire, non puoi continuare così, non stai vivendo bene. Vieni a lavoro, ma con la testa non sei con noi, non esci più, ti rinchiudi in casa e hai anche perso peso” cercava di scuoterlo, ma Ryosuke era sordo a quelle raccomandazioni. Si sentiva infastidito dall’atteggiamento del più piccolo che non capiva o si ostinava a non volerlo fare.
“Lasciami in pace, Chii” gli chiedeva Yamada, esasperato, ma l’altro sapeva essere molto insistente.
“No!” ribatteva. “Non ho intenzione di lasciarti in balia di te stesso, Yamada. Daiki non lo vorrebbe, non vorrebbe che tu-”
“Che ne sai tu di quello che vorrebbe Daiki?” lo accusò.
Chinen aveva scosso il capo, sapeva che Yamada non era in sé, lo vedeva giorno dopo giorno il suo cambiamento, dopo quella notte.
“Hai ragione, non lo so, ma so quanto ti amava e so che non vorrebbe che tu ti lasciassi andare in questo modo, non vorrebbe che morissi insieme a lui.”
Yamada aveva lasciato partire uno schiaffo che colpì il volto del più piccolo con forza, stupendosi subito dopo averlo fatto, portandosi il braccio dietro la schiena.
“Chii…” aveva mormorato, ma l’altro non gli aveva dato tempo di parlare.
“Tu stasera cenerai con me e non si tratta di un invito!” era stato l’ordine perentorio del più piccolo.
*
Yamada si alzò dal letto, spostandosi in salotto, giungendo in cucina e osservando l’orologio appeso alla parete.
Chinen sarebbe passato a prenderlo di lì a poco, ma lui non aveva alcuna voglia di mangiare, non voleva che nessuno si prendesse cura di lui, era stanco di vivere, stanco di preoccuparsi della propria salute, stanco di continuare a sopravvivere, senza alcuno scopo.
Passeggiò per la casa vuota e spoglia, silenziosa, troppo silenziosa; d’un tratto si era fatta fredda, inospitale, da quando Daiki era morto. Non se ne spiegava la ragione, non capiva perché una simile sorte era toccata a lui, a loro.
Niente aveva più senso ormai senza di lui e Yamada non voleva essere salvato, né da Chinen, né da nessun altro.
Posò la mano contro il vetro freddo della porta scorrevole e uscì sul terrazzo, l’aria fresca della sera lo colpì come una bufera in pieno inverno. Avanzò fino a raggiungere la ringhiera, vi posò sopra le mani, accarezzandone il marmo freddo, gelido come il suo cuore.
Ormai aveva deciso.
Lasciò vagare lo sguardo sul panorama notturno di Tokyo, la torre illuminata come sempre, le persone che passeggiavano per le strade ignare del suo dolore, proseguivano le loro vite. Le auto che veloci sfrecciavano nel traffico, inconsapevoli delle lacrime che avevano cominciato a rigargli il volto.
Percorse con lo sguardo quello stretto e riparato angolo di mondo nel quale lui e Daiki si nascondevano agli occhi dei più e passavano ore intere a osservare la vita frenetica della città sotto di loro, sentendosi superiori, convinti che niente li avrebbe mai toccati, che niente avrebbe mai interferito con la loro felicità.
“Ti amo, Ryosuke” risentì la voce di Daiki nella sua testa.
Chiuse gli occhi, immaginando il suo fiato caldo solleticargli il collo e le sue braccia circondarlo.
Sembrava così reale quell’abbraccio, tanto vero, tanto desiderato, così doloroso.
Posò entrambi i palmi sul parapetto e con un balzo si sedette sopra, dando le spalle al mondo, guardando con un sorriso, per l’ultima volta, quella casa, scrigno di ricordi e momenti felici.
Non sarebbe mai andato via da quel luogo e non l’avrebbe sporcato con i propri negativi sentimenti.
Sorrise, sentendo il cuore più leggero.
“Ti amo, Daiki” mormorò al vento.
Chiuse gli occhi e si lasciò andare all’indietro.