Titolo: Intoxication
Fandom: Mitologia Greca
Pgs: Ade/Persefone
Prompt: Tentativo di fuga
Note: vabè, s’è capito che oggi piove e quindi noi scriviamo fanfic, tanto… Per
fanfic_italia ed il suo pOrnfest, come sempre. Un po' di sana possessione, scena di sesso descrittivo, rabbia, amore e quant'altro ahead.
La porta si aprì silenziosamente ed io mi affrettai a nascondermi dietro la colonna. Passarono un paio di spiriti, non vedendomi, per cui trassi un profondo respiro. Varcai la soglia, stando ben attenta a non fare rumore. Ormai mancava poco; sarei dovuta passare davanti a Cerbero ma non sarebbe stato un problema ammansirlo. Con tutto il tempo passato lì sotto, potevo dire che si era affezionato a me e non avrebbe fatto troppe storie per farmi passare ed uscire.
Uscire, già. Ero tornata da appena due mesi e già non ne potevo più di questo luogo buio. Mi sentivo soffocare, chiedevo solamente un po’ di luce ed aria fresca. Sovrappensiero non guardai dove stavo andando - che stupida! - e mi ritrovai a pochi centimetri da un corpo umano. Umano, o divino, ecco. Solido, insomma. Niente ectoplasma fluttuante e trasparente, niente vocina stridula e cavernosa, niente lamenti dalla mattina alla sera e così via. Peccato che quel divino essere non fosse nient’altro che Thanatos, fido cagnolino di mio…marito.
Storsi la bocca in un mezzo sorriso, sperando di riuscire comunque a districarmi da quella situazione.
“Oh, Thanatos! Come andiamo? Anche tu a fare una passeggiata per gli Inferi?”
L’espressione eternamente greve dell’uomo non cambiò, anzi, se possibile sembrò accentuarsi. Gli occhi nerissimi mi scrutarono da capo a piedi, prendendo nota del mantello scuro e della sacca contenente ambrosia. La mano destra scattò in avanti, rilasciando due anime e spingendole verso il basso, verso Caronte ed il suo fiume.
“Sì, potremmo dire di sì, mia cara. Avevi in mente di andare da qualche parte nello specifico?” mormorò atono, anche se sapevo che dentro se la stava ridendo, il bastardo. Mi avrebbe sicuramente riportata giù, o quanto meno accompagnata ovunque, tranne che fuori, era ovvio.
Velocemente presi in considerazione tutte le possibilità che avevo. Non potevo contare sulla sua pietà non ne avrebbe avuta per me; per le sue anime ed i suoi morti sì, ma per me? Mai - né sul suo aiuto, per carità. Non avrebbe osato sfidare Ade in un modo così aperto e sciocco, d’altronde non avrei potuto dargli nulla in cambio. Decisi di fingere, almeno avrei salvato le apparenze.
“Sì, volevo fare visita a Cerbero; gli stavo portando un po’ di ambrosia, ne va matto.”
L’uomo scrollò le spalle, prendendomi sottobraccio senza dire altro e conducendomi verso l’entrata di quel luogo. Chinai il capo, mordendomi il labbro frustrata; non avrei aperto quella porta e non sarei uscita, non oggi, né per i prossimi quattro mesi.
Con uno schiocco delle dita lasciai che i miei servitori svanissero, dopo avermi spazzolato i capelli a sufficienza. La mia rabbia si era man mano dissipata; come sempre il senso di potere che mi dava l’essere moglie del re degli Inferi ebbe il sopravvento e mi ritrovai a sorridere, ordinando ad altri malcapitati di portarmi dell’ambrosia e qualcosa da mangiare. Il mio tono brusco parve intimorirli abbastanza perché si smaterializzarono in fretta senza dire nulla - non che parlassero, ma comunque. Finii di sistemare i miei indumenti per la notte, prevedendo che avrei vagato un po’ attorno allo Stige; spesso trovavo qualche anima volenterosa di raccontarmi le sue vicende, era un modo come un altro per passare le ore più buie lì dentro, quando mio marito era fuori a fare altro che non fosse occuparsi di me.
Le sue attenzioni non mi dispiacevano, certo, eppure la solitudine alle volte diventava insopportabile. Se solo avessi avuto qualcosa da fare, qui… Come regina degli Inferi mi limitavo ad assecondare le sue decisioni. Ormai Ade si fidava di me, per cui succedeva che se ne andasse per fatti suoi e lasciasse a me la gestione delle anime e dei servitori, la supervisione di Caronte e Cerbero. Il cambiamento non mi dispiaceva; almeno avevo qualcosa di concreto di cui occuparmi, eppure… era talmente diverso da ciò che era abituata a fare, prima che mi rapisse!
Sbuffai, mentre prendevo del melograno - quel dannatissimo melograno - e addentavo, lasciando che alcune gocce scure scivolassero sul mio mento e cadessero sul vestito.
Dov’è Ade? Mi chiesi, riscoprendomi persino impaziente. Erano giorni che non ne scorgevo la figura, giorni che non si presentava nelle nostre stanze, giorni che la sua voce non mi arrivava ovunque fossi, quasi mi seguisse e cercasse sempre.
Strinsi il frutto fra le dita, lasciando che il suo nettare mi sporcasse le mani, rendendo la pelle vischiosa ed umida.
Le sue labbra si impossessarono della mia mano e avvertii la lingua vorace che leccava via il liquido rosso, succhiando l’indice e poi l’anulare con foga, facendomi rabbrividire. Gridai sorpresa, scostandomi senza volerlo davvero; la sua presa mi impedì di sottrarre la mano, ed il piacere nel guardare la sua lingua che lasciava la mia pelle candida mi fece avvampare, instillando una piccola scintilla nei miei lombi. I suoi occhi scuri erano fissi nei miei, con un’aria di sfida e di divertimento. La mano sinistra si sollevò ad accarezzarmi la guancia, mentre la destra tratteneva la mia mano al che le sue labbra si imponevano sul dorso, baciandolo. Si tirò su, fronteggiandomi.
“Ti sono mancato, mia sposa?”
La sua presenza riempì in un istante la stanza come un manto scuro. I capelli lunghi e ricci si mossero con le fiamme scure che guizzavano, mentre si avvicinava a me, la mano sinistra che raccoglieva il succo di melograno rimastomi sul mento. Non riuscivo a muovermi, a malapena riuscivo a sostenere il suo sguardo. Non era perché mi intimoriva, questo no. Era qualcos’altro che non riuscivo a definire bene; forse ero affascinata da lui, dal modo in cui mi trattava. Sembrava avere una sorta di potere nei miei confronti. Mi costava ammetterlo, ma era così, lo sapevo. Molto in fondo, il mio cuore batteva più forte quando avvertivo la sua presenza vicino a me. Come ora, mentre le sue dita scendevano sul mio collo, accarezzandolo.
“Persefone, ti sono mancato?” la sua voce era bassa, ed i suoi occhi neri non si erano scostati per un istante dai miei. Aveva chinato il viso verso il mio, così che potessi avvertire l’odore di zolfo ed osservare la sua barba troppo lunga. Il nero degli occhi era il nero di ogni pozzo profondo e di ogni notte senza luna e -
“Persefone.” La sua mano sulla spalla mi riscosse, scuotendomi appena e risvegliandomi. Scossi il capo, liberandomi da quella sorta di ipnosi - cosa mi era preso? - e lo guardai, cercando di assumere un’espressione neutra.
“Non mi sono neanche accorta che non foste qui, sire.”
Il mezzo sorriso che mi donò mi fece rabbrividire. Inarcò un sopracciglio, mentre la mano continuava la propria discesa e si insinuava sotto la veste, lambendomi un seno, accarezzandolo e toccandomi il capezzolo con gesti quasi rudi.
“Davvero? Thanatos mi ha riferito che oggi ti ha trovata a girare per i livelli superiori con tutta l’aria di voler fuggire e abbandonarmi qui. Credevo avessi smesso di pensare a cose del genere, ormai.”
Inspirai, distogliendo lo sguardo e fissandolo sullo specchio opaco dall’altra parte della stanza. Misericordiosamente, l’immagine che mi rimandò era quella del talamo, vuoto. Badai bene che la mia voce non tradisse alcuna emozione, eppure la scintilla che egli aveva acceso andava crescendo, soprattutto ora che continuava ad accarezzarmi con insistenza.
“Volevo semplicemente andare a visitare Cerbero. E’ ciò che si avvicina maggiormente ad un animale, qui dentro.” Mormorai, reprimendo un piccolo gemito al che mi scostò la veste, aprendomi le gambe con la destra ed insinuando due dita ad accarezzare una parte di me già accalorata.
“Cerbero.” Mormorò a sua volta, scostando entrambe le mani da me. Contro la mia volontà mi sfuggì un mugolio di protesta. Lo volevo, lo volevo talmente tanto che avrei potuto pregarlo se solo me lo avesse chiesto. Ade sorrise appena, aiutandomi ad alzarmi e guidandomi verso il letto. Senza neanche muoversi fece sì che la mia veste scomparisse e, quando mi voltai vidi che era nudo. Mi beai di quel corpo, della pelle scura ed olivastra, del petto ampio e muscoloso quanto bastava, delle mani grandi e ruvide, dello sguardo che non aveva una fine o un inizio. Mi beai delle fiamme che lo avvolgevano, guizzando fra le dita delle mani e dei piedi e fra i capelli. Sospirai, scuotendo piano il capo. Mi sarei mai liberata di lui? Mi sarei mai liberata del suo amore? Avrei davvero potuto impedire al mio amore di crescere per lui?
“Eri andata da Cerbero.” Sibilò, e solo allora mi accorsi del fatto che fosse furente. Mi spinse all’indietro, facendomi cadere sul letto e nella sua mano comparve una piccola verga di pelle. Sottilissima. Con cura la fece passare in mezzo ai miei seni, lasciando un lieve segno rosato. Rabbrividii, e mi sorprese perché intimamente godevo di quel contatto. Nell’istante in cui se ne accorse si spinse sopra di me, maneggiando la verga di modo che mi ferisse su un fianco, senza lacerare la pelle, lasciando solo un graffio al quale se ne sovrapposero un secondo e poi un terzo. Mi bloccava con le ginocchia, gravando con il proprio peso sul mio corpo, senza smettere di fissarmi.
“La prossima volta che lascerò il mio regno ti guarderai bene dall’andare a visitare Cerbero o qualsivoglia altro animale senza avvertire Thanatos, o qualunque altro mio sottoposto. Sono stato chiaro?” i colpi della verga si erano spostati, tracciando una linea intermittente sulle mie cosce e sull’altro fianco. Le mie labbra erano serrate e avrei dovuto lasciarle tali, altrimenti avrei iniziato a gemere di piacere, e non osavo pensare a quale reazione avrebbe potuto scatenare.
Senza attendere risposta Ade dischiuse le mie gambe, penetrandomi senza gentilezza alcuna. Solo allora mi permisi di gridare, reclinando il capo all’indietro, mentre spingevo il bacino dolorante contro il suo corpo, cercando di assecondarne il movimento. Le sue spinte si fecero regolari e profonde; sprofondava in me il più possibile, sollevandomi le gambe e portandosele sulla schiena. Gli graffiai le spalle, conficcando le unghie nella pelle; avvertii il calore del suo corpo e delle fiamme avvolgermi, fondendosi con il calore che io stessa emanavo e sentivo. Con una mano iniziò a toccarmi, lasciando che mi bagnassi ancora di più. In quell’istante persi la cognizione di me stessa. Smisi di comprendere cos’ero io e cos’era lui ed i nostri corpi persero i contorni definiti. Lasciai che l’odore di zolfo mi avvolgesse e che le ombre mi si avvicinassero, sussurrandomi di esseri umani straziati e di morti violente. Lasciai che le lacrime mi scorressero sulle guance, senza curarmene, mentre la sua presa sui miei fianchi si faceva più salda. Avvertii il piacere sopraffarmi quando il suo ritmo si fece più incalzante, e mi lasciai andare, gridando il suo nome - io, gridare il suo nome - e ricadendo spossata sulle lenzuola. Ergendosi sopra di me continuò a possedermi finchè con un gemito lo sentii rabbrividire ed emanare un’ultima vampata di calore, prima di lasciarsi andare accanto a me.
Con le dita mi asciugò le lacrime d’ambra, passando i polpastrelli sulle mie labbra. La verga giaceva ai piedi del letto, dimenticata. Lo udii mormorare il mio nome, piano, e tentare di cingermi. Mi volsi su di un fianco, lasciando che le lacrime riprendessero a scorrere. Dannata ambra. La consapevolezza del fatto che per i mesi seguenti non avrei voluto lasciare il re degli Inferi mi era quasi insopportabile - ma non era necessario lui ne venisse a conoscenza, non ancora.