Titolo: Belonging
Fandom: RPF Storico
Pg: Alessandro/Efestione
Prompt: "Non è come sembra."
Note: Scritta per la quarta edizione del pOrnfest di
fanfic_italia . Sono resuscitata a quanto sembra, l’influenza non mi ha ancora uccisa, ebbene no. Seconda fic Alessandro/Efestione, con tanto amore e un po’ di dolore. Non c'è porniness e sesso quasi per niente, chiedo perdono, alla prossima fic vedrò di rimediare, lo prometto!
Dedicata a
sourcream_onion perchè so che a lei piacciono taaanto Alessandro&Efestione <3
Risi piano, chinandomi maggiormente su di lui, quasi come se volessi sfiorargli il viso. Vidi i suoi occhi sgranarsi sorpresi e quel sorriso compiaciuto vacillare, incentro.
“Signore…” la sua voce era poco più che un sussurro, e l’avermi così vicino lo lasciava interdetto, senza parole. Ero consapevole del fascino che la mia figura e la mia persona emanavano. Ne ero cosciente in un modo quasi doloroso, e la cosa mi divertiva. Tutti sapevano che il mio rapporto con Alessandro era speciale, tutti sapevano che in qualche modo ero il suo amato; nessuno faceva domande, avendo la figura di Roxanne da tenere in alta considerazione; ma tutti, sui campi di battaglia, non esitavano a lanciare una seconda occhiata al nostro passaggio.
Non so quanto queste notizie giungessero a palazzo, non so neanche se il re di Macedonia si discolpasse con la moglie o gliene parlasse. Non mi interessava, non aveva importanza. Lui, qui, era mio, e mi facevo bastare questa notizia in parte confortante. Nel mentre mi divertivo ad esercitare il mio potere sui sottoposti, godendo nel vedere il loro timore o la loro ammirazione. Alle volte scorgevo del desiderio in quegli occhi,desiderio che non veniva mai corrisposto.
Ora che Alessandro era con lei, dopo quella lunga campagna militare, mi sentivo solo. Dannatamente solo, ma come avrei potuto reclamarlo? Mi sedeva accanto alle cene ed ai banchetti, andavamo a caccia insieme, serbava per me i gesti più gentili. Vedevo che si sforzava di tenere il peso delle proprie azioni ben bilanciato, e doveva essere un’agonia, lo riconosco; ma questo non mi faceva sentire di meno la solitudine.
Il mio viso era vicinissimo a quello del soldato, potevo osservare le piccole linee che gli solcavano il volto; potevo studiare le labbra sottili e bruciate dal sole, avrei potuto toccarlo, tant’ero vicino, ma un guizzo degli occhi mi fermò. Il soldato indietreggiò in fretta, finendo con le spalle al muro; sembrava essere stato colto dal panico. I miei occhi seguirono la traiettoria che i suoi avevano tracciato, finendo sull’androne della porta della stanza. Una mano poggiata contro lo stipite, Alessandro ci guardava, l’espressione neutrale. Gli occhi chiari erano gelidi, e per un istante mi parve di scorgervi un lampo di rabbia e stizza. Il re fece un passo in avanti e sentii la tensione nella stanza elevarsi a dismisura.
“Mio sire… non è… non è come sembra.” La voce del soldato era solcata da un tremito; idiota. Avrebbe fatto meglio a tacere, anziché lasciare intendere al re delle possibili implicazione del mio gesto. Alessandro fece un gesto con la mano, quasi volesse scostarsi una ciocca di capelli dagli occhi; il soldato fece un inchino profondo prima di dileguarsi, passandogli accanto senza sfiorarlo.
Sbuffai sonoramente, tirandomi indietro i capelli lunghi e appoggiandomi al muro dove poco prima era stato appoggiato l’uomo. Lo guardai, assaporando la sua perfezione. Le spalle muscolose erano scoperte, vista l’alta temperatura, così come il petto. I pantaloni leggeri fasciavano le gambe, lasciando appena visibili le ossa sporgenti delle anche; qualche cicatrice era visibile, sbiadita dal sole e dal tempo. Il suo viso era una maschera imperscrutabile mentre avanzava, arrivandomi vicino.
“Non volevo interrompere il tuo divertimento.” Lo udii dire, in un basso ringhio. Quasi sorrisi, sorpreso da quel tono. Mai l’avevo udito utilizzare una simile intonazione, almeno con me.
“Non vi preoccupate, sire. Il malcapitato si terrà alla larga da me quel tanto che basterà a farmi passare la voglia di giocar con lui.”
Non lo vidi. Non vidi la maschera cadere, mentre il braccio scattava di lato ed il palmo aperto mi colpiva in pieno viso, inviando un guizzo di
dolore a perforare le mie terminazioni nervose. Non ebbi il tempo di pensare, prima che mi prendesse per il collo - ed ero più alto di quanto non fosse lui! - tentando di sollevarmi da terra. I suoi occhi erano diventati di un blu scuro, mare in tempesta, mentre mi scuoteva, lasciandomi senza respiro.
“Come ti permetti di approfittare di un mio soldato all’interno di queste mura?! Come ti permetti di divertirti con coloro che mi servono e combattono anche per me?! Come ti permetti di esercitare quel tipo di potere su di loro?! COME OSI?” Il respiro mi si era mozzato in gola; in quel momento non mi curavo del fatto che avrebbe potuto strangolarmi ed uccidermi. La sua voce mi riecheggiava nella mente come il rullo di un tamburo e le parole ci misero un istante prima di farsi comprensibili. Fu allora che riuscii a prendere le sue mani e staccarle a forza da me, spingendolo con violenza all’indietro. Quasi perse l’equilibrio, prima di avventarsi su di me, furente. Lo afferrai per i polsi, fermandone l’avanzata.
“Come puoi andare a cercare sollazzo sotto il tetto di chi ti mantiene e ti cura? Come puoi provare divertimento nel soggiogare un tuo sottoposto? Minacciandolo, forse? Come li convinci a seguirti? Come li convinci a venire nel tuo letto…”
Stavolta fui io a prenderlo per le spalle e a scuoterlo, finendo con lo spingerlo all’indietro una seconda volta. Per poco non cadde e si appoggiò ansimante ad un tavolino basso.
“Nello stesso modo in cui tu mi hai convinto a dividere il tuo letto ed a baciare le tue ferite dopo ogni battaglia, prima che arrivasse quella donna. Come osi rivolgerti a me con quel tono?! Chiama il tuo nome nello stesso modo quando siete a letto? Ti consolerà nello stesso modo quando tornerai da una battaglia? Comprenderà il tuo sangue e la tua furia? La tua smania di distruggere ed uccidere? Come osi parlarmi così, io che sono l’unica persona che non ha paura di te? Come puoi?!” Compii un passo in avanti, una mano che saettava in avanti per assestare uno schiaffo sulla sua guancia destra. Il re dei Macedoni non si mosse, subendo il colpo prima di trarre un respiro profondo. Lo vidi arrivare, lo vidi gettar misi addosso e per un istante ricordai quand’eravamo piccoli e giocavamo alla guerra. Allora ancora non ci amavamo, non così. Allora non ci saremmo mai fatti così male.
Provai ad aprire l’occhio meno pesto e mugugnai; puntellando entrambi le mani a terra mi tirai parzialmente a sedere, appoggiandomi alle gambe dell’unica sedia rimasta integra. Respirai a fondo, saggiando i danni subiti: un occhio pesto, un labbro spaccato, graffi vari e qualche livido sulle gambe, nulla di troppo grave. Piegando il capo osservai Alessandro, steso accanto a me. Un taglio sul sopracciglio destro non smetteva di sanguinare, avrebbe dovuto essere medicato. La mano sinistra aveva due dita che stavano diventando rosse e gonfie, ma si sarebbero rimesse con un impacco freddo; Clito mi avrebbe ucciso se avessi toccato le sue mani, ed anch’io avevo un minimo di buon senso. Aveva qualche livido sul petto ed un graffio sul braccio destro, ma pareva integro.
Risi, noncurante del dolore.
“Spero vi serva di lezione.” Dissi, tirandomi in piedi a fatica. Continuai a fissarlo finchè non aprì gli occhi e mi guardò.
“Hai intenzione di morire, Efestione?”
Risi di gusto, andando ad accovacciarmi accanto a lui.
“Mai prima di voi, mio re. Non fatemi così stolto.” Gli scostai una ciocca umida dal viso, prima di chinarmi verso le sue labbra. I suoi denti affondarono nel labbro inferiore ferito prima di lasciare che la sua lingua leccasse via il sangue. La mano destra mi afferrò la nuca, spingendo il mio viso contro il suo, mentre la sua lingua forzava la mia bocca e affondava all’interno di essa con prepotenza. La mano libera intanto era scesa ai miei pantaloni, strattonandone i lacci.
“Alessandro…” cercai di allontanarmi ma la sua mano mi trattenne con forza.
“Non te ne andrai, Efestione. Non mi lascerai, non ora.” Sibilò, strappando il tessuto dell’indumento che indossavo. Sospirai, chinando appena il capo.
“Come desiderate, sire.” Mormorai. Il suo sguardo parve trafiggermi, come la sua voce.
“Tu mi appartieni, Efestione. Come questo mondo. Per favore, Efestione. Sei ciò che mi separa dalla follia.” Ancora una volta, sospirai, sfiorando la sua fronte con la mia.
“Sì, Alessandro. Io ti appartengo.”