Personaggi: Sherlock Holmes, John Watson , rpf
Pairing: Holmes/Watson
Rating: Pg15
Genere: introspettivo, romantico e… boh non saprei dire.
Beta:
ginnix, che ringrazio per l’infinita pazienza e l’eccellente lavoro.
Summary: “… Avevo sempre creduto che, vivere in un paese libero, significasse poter essere se stessi senza nascondersi, indipendentemente da quello che si era, ed invece questa Inghilterra così conservatrice e moralista, puniva chi non era uguale agli altri.
Tutti dovevano essere sudditi dello stesso Impero, senza distinzioni caratteriali o opinioni personali: e questo era sbagliato.
Note: Fa parte della
mia tabellina di
Holmes_ita scritta per il prompt “Prigione’’
Parte 1 Novembre 1895
6 mesi dopo
Holmes non c'era quando mi svegliai; avevo allungato una mano dall'altra parte del letto, cercandolo a tentoni ma non avevo trovato altro che il lenzuolo disfatto e il posto vuoto accanto al mio.
Quando aprii gli occhi mi accorsi di essere solo nella camera da letto.
Non c'era traccia del suo passaggio: i suoi abiti, che erano rimasti riversi sull'impiantito per tutta la notte, erano spariti e la sua vestaglia grigia era buttata sulla spalliera della sedia.
Mi accorsi che c'era un biglietto sul comodino e quando lo spiegai riconobbi la sua calligrafia stretta e accurata.
Dormivi così bene che ho trovato un peccato interromperti.
Sono uscito per delle indagini sul caso di Cadogan West, tornerò verso tarda mattinata.
Mi ero dimenticato di dirti che ieri ho prenotato due biglietti per l' Opera; spero che l'idea di assistere alla prima del Dongiovanni di Mozart ti aggradi, perchè i biglietti non sono rimborsabili. In caso di un tuo rifiuto mi troverei costretto a ripiegare su un altro accompagnatore.
Abbozzai un sorriso alla lettura di quel foglio, perchè nelle ultime frasi ritrovai la velata ironia del mio amico, e mi parve quasi di vedere il volto magro di Holmes, percorso dalla sua caratteristica vena di sarcasmo mentre scriveva quel biglietto. Sul comodino trovai anche una copia del giornale; sotto c'era un 'altro biglietto e pensai che quella mattina il mio compagno fosse particolarmente loquace.
Ritieniti fortunato: stamattina ti ho portato persino il giornale,
sollevando dall'incarico Mrs. Hudson.
Ho pensato che trovarti nella mia stanza da letto non avrebbe giovato alla nostra
reputazione, e comunque ho la vaga impressione che quella donna
sappia più cose di quelle che vuole farci credere.
Dovremmo incominciare a preoccuparci?
In ogni caso, ritengo di non dover indagare. Per ora.
Non avevo mai preso in considerazione l'idea che la nostra governante, Mrs. Hudson, potesse essersi accorta della nostra relazione. Era una persona solitamente molto riservata ma era pur sempre una donna, e si sa, le donne hanno una specie di sesto senso per quanto riguarda i sentimenti.
Molte volte l'avevo sorpresa a guardarci in maniera guardinga, ad osservarci nel riflesso dei vetri o dietro il servizio da the, ma avevo sempre pensato si trattasse di semplice curiosità. In realtà sapevo che nell' ammonimento di Holmes non c'era preoccupazione, ma solo di quel suo particolare senso dell'umorismo mattiniero che, nel corso degli anni, avevo imparato a conoscere.
Sfilai di soppiatto nella mia stanza, attento a non farmi sentire, anche perchè non sarei riuscito a giustificare la mia presenza in camera di Holmes di prima mattina, e quando arrivai al sicuro nella mia camera suonai per la colazione.
Come consuetudine mi feci la barba, e notai nel mio riflesso dello specchio un volto assai allegro, percorso da un involontaria vena di compiacimento. Attribuii questo mio buonumore a Holmes, che era l'unico capace di farmi sorridere di prima mattina.
Un'abitudine che ho sempre avuto, forse a causa della fretta che spesso mi muoveva , era quella di lasciare il giornale aperto sopra il mobile vicino al lavamano , e radermi gettando ogni tanto qualche occhiata alla cronaca. Feci la stessa cosa anche quella mattina e per poco non mi tagliai, sconvolto dalla notizia che avevo appena letto.
Avevo ancora la schiuma su una buona parte del viso, quando mollai il rasoio ed afferrai il giornale con impeto: mi trovai a leggere con avidità, divorando ogni parola di quell'articolo.
La notizia parlava nuovamente dell'evento che molti mesi prima mi aveva tanto sconvolto, ossia il caso Oscar Wilde, e diceva che tutti i beni dello scrittore erano stati confiscati e sarebbero stati venduti dalla casa d'asta Bonhams, quel pomeriggio stesso.
Non ero a conoscenza di quella notizia ma a quanto diceva l'articolo, Wilde, quando ancora era detenuto a Wandsworth, era stato processato in contumacia anche per bancarotta, dal momento che non riusciva a pagare a Queensberry -il padre del suo amante, lo stesso che l’aveva denunciato- le spese processuali. I suoi proventi infatti, essendo tutti provenienti dalla rappresentazione delle commedie e dalla vendita dei libri, erano stati congelati dopo l’esito del processo, quando gli furono tolti persino i diritti d’autore sui suoi lavori.
Rimasi profondamente disgustato dalla notizia: non era bastato condannarlo, umiliarlo e rovinargli la carriera ma era bisognava infierire ulteriormente su quell’ uomo distrutto e portargli via tutti i suoi effetti personali?
Fin dove si poteva spingere la crudeltà ?
Tutta la mattina rimasi seduto in poltrona, con quella pagina fra le mani. Poi verso mezzogiorno mi venne l'idea che, ancora non potevo saperlo, si sarebbe dimostrata la migliore cosa che potessi fare. Come ho già detto era quasi ora di pranzo quando Holmes rientrò e mi trovò intento a infilarmi redingote e bombetta.
''Esci?'' chiese appena entrato in salotto, fermo all’entrata.
''Ah, ciao'' mi sporsi verso di lui e lo baciai: sapeva di trinciato forte.
''Sta attento ' ' mi ammonì, chiudendosi la porta alle spalle ed infatti con mio profondo sgomento mi accorsi che la governante stava salendo le scale ma, fortunatamente, non eravamo stati visti.
''Ti consiglio di regolare il tuo spirito romantico: per quanto possa apprezzare l’essere accolto con un bacio, preferirei che tu lo facessi con la porta chiusa''
''Scusa''
Scelsi uno dei miei bastoni da passeggio e poggiai la mano sulla maniglia dorata, quando mi sentii afferrare per un braccio.
''Non hai risposto alla mia domanda'' sospirai un po' esitante e sperai che Holmes non si fosse accorto del mio vano tentativo di sportare l'attenzione su un altro argomento.
''Si... ho un giro di visite'' dissi, evitando di voltarmi: se l'avessi guardato in faccia mi sarei sicuramente contraddetto: non ero capace di raccontare bugie, men che meno a lui.
''Di sabato all'ora di pranzo?''
''E' un urgenza; la povera Mrs. Barnes ha dei tremendi dolori reumatici perciò devo proprio andare'' per un istante il suo sguardo vagò sul mio volto, indagando dentro miei occhi azzurri e lungo le linee del mio viso, con quella sua tipica occhiata penetrante che riusciva a cogliere anche i più minimi dettagli, poi distolse l'attenzione da me e si sfilò il cilindro con aria esausta.
''Non me ne parlare: ho un mal di schiena tremendo'' mormorò mettendosi una mano sulla colonna vertebrale e cercando di stiracchiarsi. Vederlo stare male mi preoccupava, così abbandonai momentaneamente il mio proposito e lo avvicinai.
''Dovresti stare più attento; sei sempre in su e in giù a correre dietro ai malviventi e non ti preoccupi mai della tua salute''
Sorrise appena, nascondendo uno sguardo che non prometteva niente di buono, e mi baciò di nuovo, portando le sue mani gelate dietro il mio collo, facendomi rabbrividire.
''Tu ti preoccupi abbastanza per tutti e due. E poi sono le attività a cui mi dedico con te che mi sfiniscono''
''Non starai cercando di dare la colpa a me, vero?''
''E' ovvio: devo forse ricordarti che ti sei intrufolato nel mio letto?''
''Devo forse ricordarti che eri libero di mandarmi via?'' sorrise in una maniera lasciva che mi ricordò vagamente il sorriso che gli vedevo dipinto sul volto ogni notte soddisfatto che vedevo la notte, quello che brillava nell'oscurità.
Intanto si era seduto in poltrona ed io, arrivandogli da dietro, gli misi le mani sulle spalle; al mio tocco si rilassò.
''Dovrei arrabbiarmi con Mrs. Barnes e dirle di trovarsi un altro medico condotto, perchè mi irrita il fatto che ti porti via nei momenti in cui, invece, dovresti rimanere con me'' aveva gli occhi chiusi e l'espressione rilassata, nonostante questo mi parve piuttosto teso. Si stava occupando del caso che avrei in seguito soprannominato ''I piani di Bruce Partington'' un delitto si presentava assai astruso e complesso.
Il classico problema da tre pipe.
Uno di quegli enigmi che portavano Holmes alla soglia dello sfinimento, spingendolo ad agire e indagare imperterrito fino al raggiungimento della soluzione. dandogli però la voglia di agire e indagare fino al raggiungimento della soluzione.
''Devo veramente andare'' dissi mentre Holmes si accendeva la prima pipa e cominciava ad affumicare il salotto.
''Che posso fare per convincerti a rimanere?''
''Assolutamente niente, la mia paziente mi aspetta''
''Odio quella donna''
''Si, anch'io'' ci trovammo a parlar male della mia anziana paziente, anche se in realtà non c'entrava nulla nella faccenda. L'avevo infilata nella conversazione solo per coprirmi ed evitare inopportune domande di Holmes.
In realtà avevo ben altri progetti per la giornata.
''Divertiti'' mormorò Holmes dalla sua poltrona ed io sorrisi interdetto, confuso da quella sua frase.
''Divertirmi? Vado a visitare una settantenne con i reumatismi, che può esserci di divertente?'' Holmes si voltò a guardarmi. Per un attimo temetti che avesse capito le mie intenzioni e avesse scoperto il mio inganno. Furono le sue sopracciglia fini ed inarcate, il suo sorriso beffardo e la sua espressione divertita a suggerirmi che avesse scoperto il mio bluff.
Gettò la testa indietro e rise, in quella maniera tanto particolare che lo caratterizzava.
''Già... che può esserci di divertente?'' e ritornò alla sua pipa.
Quel giorno avevo dei programmi stabiliti che avrei dovuto rispettare in maniera ferrea. Poco dopo l'ora di pranzo mi recai da Bonhams e presi parte alla vendita degli effetti di Wilde; non ero interessato a comprare alcunché visto che il quel periodo ero a corto di denaro e tutti gli oggetti in vendita avevano l’aria costosa (anche se non mi sarei mai avvicinato a comprare niente, neanche se avessi avuto le tasche piene di soldi). In realtà non sapevo esattamente perché c’ero andato.
Volevo solo vedere la reazione delle persone e per un secondo mi sentii uno dei tanti curiosi che si faceva spazio a forza nel dolore della gente. Gli altri presenti sembravano morbosamente attratti da ciò che gli era appartenuto. Vidi un anziano signore spendere una fortuna per uno dei bastoni da passeggio dello scrittore, ed una signora interessarsi ad un quadro che era stato appeso nel suo studio.
Tutto ciò, se possibile, mi disgustò ancora di più, la trovavo solo un’altra forma di umiliazione. Quelli che prima l'avevano criticato e condannato, adesso erano disposti a spendere centinaia di sterline per entrare in possesso di un suo oggetto.
Forse li faceva sentire migliori, il pensiero di potersi permettere un oggetto tanto costoso. In tutta onestà, non li comprendevo.
Quando un signore offrì 100 sterline per un gilet in raso, decisi che sarebbe stato meglio allontanarsi ed abbandonare quel mondo di ipocrita opulenza.
Nel primo pomeriggio mi recai alla stazione e presi il primo treno che portava a Reading. Il mio intento era andare a trovare Oscar Wilde in prigione. Ricordo che al tempo non ci pensai due volte e senza preoccuparmi troppo delle conseguenze mi convinsi che fosse la cosa più giusta da fare.
Prima che Holmes rientrasse, ero stato a rovistare nel suo cumulo di giornali ed avevo dato un'occhiata ai suoi schedari. Fra quelle mille righe, ritagliate qua e là fra i quotidiani, avevo letto la notizia del trasferimento di Wilde dal carcere di Wandsworth, a quello di Reading.
Le poche persone che l’ avevano visto lo descrivevano come incredibilmente provato dal suo breve soggiorno in carcere, chiedendosi come avrebbe fatto a resistere per ben due anni a ritmi così ferrati e disumani.
Dopo circa un'ora di viaggio, arrivai a Reading e presi una carrozza che mi condusse al carcere. Lì incontrai molte persone ma non proferii parola con nessuno; ero troppo nervoso per poter anche solo pronunciare una sillaba e l'idea di incontrare Wilde mi metteva agitazione.
Frequentando Sherlock Holmes da circa 13 anni ed avendo sempre collaborato ai suoi casi a stretto contatto con la giustizia ma - sì- anche con criminali di vario genere, mi reputavo piuttosto abituato allo squallore delle carceri, ma solo quando vidi la struttura decadente del Reading Gaol, mi resi conto che non avrei mai avuto il coraggio di mandare nessuno lì dentro, neanche se si fosse trattato del peggiore dei criminali.
A Londra avevamo il carcere di Pentonville, che in quanto a decadenza, sporcizia e squallore già raggiungeva livelli tristemente alti, ma la costruzione imponente a cui mi trovavo di fronte era un offesa alla pietà umana. Esteriormente aveva un aspetto severo e rigoroso, con i muri scuri ed un alto cancello che davano un aria di spietata crudeltà. Ricordo che la paura che ebbi quando, da fuori il cancello, scorsi la fila di finestre sbarrate che dava sul cortile interno.
Mi feci coraggio, in nome di qualcosa a me sconosciuto, ed entrai nel carcere. Persino dall'ingresso si potevano sentire le grida di incitamento dei detenuti costretti ai lavori forzati.
''Oscar Wilde?'' domandò il secondino al quale avevo chiesto informazioni. Aveva un'aria scettica ed un espressione rude sul viso. ''Adesso ha da fare: è il suo turno di spaccare pietre: ripassi in orario di visita''
''Signore, sia gentile... io vengo da Londra ed ho perso un intero pomeriggio per poter essere qui.'' provai con garbo, tentando con le buone maniere.
''Le ho detto che non può, ha da fare''
''Mi vedo costretto ad insistere'' continuai ''Non credo riceva molte visite ed io ho bisogno di vederlo. Sono disposto anche ad aspettare che termini il turno di lavoro, ma non mi faccia tornare a Londra'' lo vidi sbuffare e prendere ad armeggiare con un mazzo di chiavi, estratto dalla tasca mentre borbottava frasi sconclusionate rivolte sicuramente contro la mia insistenza.
“Chi devo annunciare?''
''Sono un suo ...'' mi resi conto appena in tempo che ''amico'' avrebbe potuto alimentare sospetti e riportare alla mente lo spiacevole caso di quel processo, per il quale tutti gli amici più cari di Wilde erano stati additati come suoi amanti, perciò optai per un'altra verità.
''Sono un parente''
''Si accomodi nella sala, dovrà attendere un secondo poi potrà parlare con il detenuto'' mi accomodai nella stanzetta che la guardia mi aveva indicato. Era spoglia e tristemente disadorna, c'erano soltanto un tavolo e due sedie scompagnate nel centro esatto della stanza. Mi tornarono alla mente le paure che durante quei mesi avevano popolato i miei incubi più tremendi, e rividi me e Holmes, seduti in quell'esatto punto, mentre il mio amico indossava un uniforme grigia e sporca e le manette graffiavano i suoi polsi magri.
Concentrai la mia attenzione su una scalcinatura della parete dirimpetto, ritrovandomi a fissarne ogni dettaglio più insignificante, nella speranza che l'immagine di Holmes sparisse dalla mia testa e mi liberasse dall'inquietudine, ma fu solo quando sentii risuonare nel corridoio dei passi deboli e trascinati, che la mia mente tornò a ragionare.
Era lui.
Che cosa avrei potuto fare?
Che cosa avrei potuto dirgli?
Non lo sapevo, e mi rimproverai per non averci pensato prima.
Quando la porta si aprì, entrò la guardia che avevo incontrato in precedenza.
Con lui c’era un uomo molto alto: appariva molto dimagrito e soprattutto provato da grandi sofferenze ma il suo fisico, anche se deperito, suggeriva un'idea di solidità, indicando che in salute era stato un uomo robusto. I capelli erano corti e maltagliati, ma la cosa che mi colpì particolarmente furono le ombre violacee sotto i suoi occhi che ne denotavano stress e sofferenza.
Oscar Wilde pareva molto diverso da come lo mostravano i giornali. Sembrava far fatica persino a reggersi in piedi ed il suo passo era malfermo e traballante mentre si appoggiava alla spalla del secondino, ma nonostante questo potevo scorgere ancora l’eleganza e il portamento che l’avevano sempre contraddistinto.
Era difficile credere che si potesse mantenere dignità anche in un posto del genere, eppure era così.
Ma la cosa che mi sconvolse fu un’altra, un dettaglio che andava ben oltre la semplice finezza estetica: non osava alzare gli occhi dal pavimento.
Ma se l’avesse fatto, ci avrei letto dentro un’infinita tristezza.
Quando mi vide si fermò a fissarmi interdetto.
''Qui c'è il suo parente'' mormorò la guardia, facendolo sedere di fronte a me e abbandonò la stanza, prendendo a guardarci dalla finestrella della porta.
Fra me e Wilde ci furono istanti interminabili di silenzio, poi lo scrittore alzò la testa e mi guardò.
Era un uomo migliore adesso.
Per esperienza personale posso dire che il dolore, se non ti distrugge ti rende più forte, ma soprattutto, per una strana e crudele ironia della vita, ti rende migliore. Prima ti trovi ad ignorare la verità e le cose davvero importanti, poi il destino decide di cambiare le carte in tavola ed arrivi a provare un dolore che ti consuma pian piano, che per te diventa l’unica verità.
''Non la ricordo fra la mia cerchia di parenti'' non avevo mai sentito la sua voce e neanche ero riuscito ad immaginarla. Era profonda tuonante, ma nonostante il contegno e il piglio ironico rivelava una grande sofferenza.
“No, infatti… ho pensato che non mi avrebbero permesso di incontrarla così ho mentito, spero non le dispiaccia’’
“Oh no… bugie bianche che non fanno del male a nessuno” e alzò le spalle in segno di noncuranza.
''Direi che se avessi avuto della parentela con il famoso Dottor Watson, sarei stato sicuramente il primo a saperlo''
“Lei... lei mi conosce?’’ chiesi stupito e lo scrittore i tutta risposta si limitò ad annuire e a sorridere senza gioia.
“Si, e lei conosce me. Ci siamo incontrati una volta’’
''Oh no, mi creda, se avessi mai incontrato Oscar Wilde me ne sarei ricordato sicuramente'' scosse la testa con ovvietà.
''Quando ci siamo incontrati io non ero ancora Oscar Wilde, o almeno non quello di adesso. Ero a un pranzo di lavoro al Concilion, insieme al mio editore che voleva leggere i miei lavori e si da il caso che quel giorno con me ci fosse anche un giovane scrittore promettente di nome Arthur Conan Doyle che voleva proporre i suoi manoscritti all'agente. Mi ricordo bene che a metà pranzo arrivò al nostro tavolo un bell'uomo che consegnò al giovane Doyle un taccuino e poi se ne andò sorridendo; quell'uomo mi fu indirettamente presentato come il Dottor Watson, ossia il vero autore degli scritti e pensai che se aveva il talento ma l'umiltà per attribuire i propri meriti ad un altro, doveva davvero essere sprecato come scrittore''
Dopo questa breve parentesi di presentazioni in cui Wilde dichiarò di conoscermi -cosa di cui io, oltretutto non ricordavo nulla- calò di nuovo il silenzio fra noi.
Era imbarazzante parlare con lui, temevo che potesse considerare la mia persona troppo banale. Lui, che aveva sempre avuto un’ opinione e spesso una critica per tutti, che cosa poteva pensare di un normale e banalissimo medico come me?
“Mi fa piacere ricevere qualcuno di tanto in tanto’’
“Non riceve visite?’’
“Non molte. Viene solo un mio caro amico… mia moglie non vuole più vedermi e…’’ sospirò e abbassò lo sguardo sul tavolo logoro “…Bosie non è mai venuto qui’’
A quel che avevo letto sulla cronaca, Bosie era il suo giovane e inquieto amante, al secolo Lord Alfred Douglas. Ritenevo, personalmente, che il motivo principale della rovina di Wilde fosse stato proprio Bosie, e non tanto per l’atto di sodomia in sé, quanto per l’influenza che quel giovane aveva su di lui, tanto da spingerlo a rovinarsi con le sue stesse mani.
Era stato proprio il ragazzo a spingere Wilde a denunciare il suo odiato padre, il Marchese di Queensbery, dando inizio ad una lunga e dolorosa serie di azioni legali, perciò trovavo irrispettoso che, dopo tutto quello che gli aveva fatto passare, non si fosse neanche disturbato a fargli visita. Se Holmes mi avesse fatto una cosa del genere, credo che mi avrebbe ucciso.
“Però ricevo molte lettere’’ ricordo il bagliore di un sorriso “Non posso leggerle, ma mi hanno detto che sono cariche di solidarietà e sentimento. A quanto pare non tutti hanno perso la stima nella mia persona’’
“Sono venuto per dirle una cosa ’’ buttai lì all’improvviso, ormai deciso a rendermi utile in una qualche maniera.
“La ascolto ’’
“Non credo ad un parola di quello che dicono i giornali sul suo conto. Mi rifiuto di crederci’’ sinceramente la sua reazione mi spiazzò, anche perché fu l’ultima che mi sarei aspettato. La felicità, lo stupore sarebbero state giustificate, ed invece Wilde si nascose il volto fra le mani e nel giro di pochi secondi la sua espressione si distorse in una smorfia di sgomento e rassegnazione, fino a che non scoppiò in lacrime.
“Oh…’’ per un terribile istante non seppi cosa fare e rimasi impreparato a quel comportamento. Cercai di dimostrarmi comprensivo “Non volevo, mi scusi davvero’’
“Non deve scusarsi; temo che deluderò anche lei. Ciò che dicono i giornali é la pura verità: mi sono davvero macchiato delle colpe di cui sono stato accusato’’
Mi resi conto solo in quell’istante, che aveva frainteso tutto quanto.
“No, no… non mi sono spiegato ’’ gli misi una mano su un polso, cercando di farlo calmare.
“Non intendevo del processo giudiziario; non mi importa assolutamente niente se è un sodomita o meno, credo che sia qualcosa aldilà dell’interesse pubblico. Ritengo che ognuno dovrebbe essere libero di agire come ritiene meglio, se questo non reca danno agli altri’’ tentai, per quanto possibile, di suonare distaccato ma non credo che riuscii nel mio intento.
“I giornali la descrivono come un immorale, una persona deviata e contro natura, dedita ai piaceri più perversi.’’ Sapevo che lo stavo ferendo in maniera crudele, aveva ancora le lacrime agli occhi.
“…Ma io non credo ad una sola parola di quello che scrivono e ho ritenuto opportuno farglielo sapere. Se essere se stessi significa essere accusati di perversione, allora dovrebbero esserci più persone come lei’’
“Cioè? Sodomiti?’’ chiese lui con una accentuata traccia di ironia nella voce.
“No, persone oneste che non vogliono nascondersi. Perché bisogna mentire riguardo la propria natura? La sfera personale è qualcosa che non riguarda la società. Sono dell’opinione che ognuno di noi è libero di fare ciò che vuole della sua vita privata. Non sta alla Regina, al Governo o alla polizia giudicare una persona dalle sue frequentazioni. Si è liberi di amare chi si vuole’’ quest’ultima frase fu pronunciata con un trasporto e un coinvolgimento tali che, quando mi resi conto del mio fervore, abbassai gli occhi a disagio.
“Lei è di idee aperte’’
“Non sono io ad essere di idee aperte, è la Società ad essere di mentalità chiusa’’
Ci fu l’ennesimo istante di silenzio in cui calò l’imbarazzo poi, d’improvviso, lo vidi curvare le labbra in un sorriso amaro e scuotere leggermente la testa.
“Lei non capisce.’’
“Oh no…’’ scossi la testa “Si fidi, Mr. Wilde. Io la capisco’’ il mio interlocutore si prese la testa fra le mani, come se soffrisse al solo pensiero di quel ricordo.
“E’ così difficile vivere e convincersi che la gente non ti accetterà mai per quello che sei; non ho mai avuto bisogno dell’approvazione degli altri, ma in questo momento mi trovo a rimpiangere i momenti in cui non mi curavo della gente. Adesso vorrei poterlo fare, ma il peso dell’infamia si fa sentire e so che la gente mi giudica’’
“Lo so’’
“No, lei non può capire e…’’
“ Mr. Wilde!’’ interruppi quel flusso di parole disperate e lo zittì afferrandolo per un polso, mentre il suo sguardo sbigottito incrociava il mio.
“Si fidi Mr. Wilde, io capisco perfettamente quello che intende’’ c’era un messaggio implicito tra quelle parole ed infatti lo scrittore non tardò a comprendere. Credo che non dimenticherò mai la sua espressione stupita ed il suo sguardo esterrefatto.
“Anche lei…?’’ esitò nel porgermi la domanda, timoroso di aver frainteso la situazione, aspettando una mia conferma.
“Si’’ abbassai la testa in imbarazzo di fronte a quella mia ammissione. Non l’avevo mai detto a nessuno, neppure a Holmes, anche perchè ci eravamo trovati insieme, e non ci eravamo preoccupati di darci troppe spiegazioni -non che la situazione necessitasse di troppi giri di parole.
D’altronde nessuno aveva mai intuito la natura della mia relazione con Holmes. Sospettavo che Mycroft avesse capito qualcosa; mi era parso di capirlo dal modo in cui ci guardava quando eravamo insieme, dai sorrisetti che rivolgeva al fratello quando credeva che io non vedessi, ma il pensiero che potesse essere di idee così aperte mi pareva improbabile, perciò con il tempo mi convinsi che dovevo essermelo immaginato.
Comunque non mi ero mai visto costretto ad ammettere la mia natura e non avevo mai neanche sentito la necessità di farlo, ma in quel momento fu diverso. Non pensai a nient’altro che a far avere a Wilde il mio appoggio e la mia solidarietà.
“Pensavo di conoscere tutti gli invertiti di questa città’’
“Sono una persona molto riservata e lei è l’unico che lo sa’’ mi pentii di averglielo detto, ma ovviamente non l’avrebbe mai riferito a nessuno o mi avrebbe fatto diventare un suo compagno di cella.
“Ma lei, sbaglio o vive con Sherlock Holmes? Il famoso investigatore di cui è divenuto biografo?’’ annuii e Wilde proseguì
“Non riesco a capire; lei lo segue da anni nelle sue indagini, com’è possibile che in tutti questi anni di convivenza lui non si sia mai accorto di… Oh!!’’ si interruppe all’improvviso e parve capire.
“ Che sciocco… ora capisco!! Anche Holmes’’ si era raddrizzato e adesso mi osservava carico di sbigottimento e stupore.
“E’ il mio compagno ’’ in un altro momento e di fronte ad un’altra persona non avrei mai confessato una cosa del genere, per paura di coinvolgere Holmes, ma di fronte a Wilde sentivo di poter essere sincero e, stranamente, ammettere di avere come compagno Sherlock Holmes mi provocava un appagante senso di orgoglio e soddisfazione, poiché ero l’unico in grado di coinvolgerlo sentimentalmente in una relazione.
“Credevo che lei fosse sposato’’
“Sono vedovo. E comunque anche lei aveva una moglie’’ sorrise quando menzionai la signora Costance e scosse la testa.
“Già, ha ragione’’
“Oltretutto era venuta a conoscenza della mia relazione con Holmes’’
“Sospettava?’’
“Oh no; le donne non sospettano mai. Loro sanno’’
Mi pentii subito di aver menzionato la mia defunta moglie Mary, soprattutto ricordandola in un momento così tragico della vita. Non ricordo di aver passato periodo più sconvolgente, che quando Mary scoprì di me e Holmes. Ricordo ancora oggi la sua espressione di disgusto, le sue mani tremanti che stringevano i miei diari personali, le urla e i domestici che spiavano curiosi i nostri fragorosi litigi.
Il ricordo faceva male poi, fortunatamente, la conversazione tornò su Holmes.
“Sembra una persona così rigorosa”
“Lo è’’
“Non sembra una persona da cui aspettarsi questo genere di cose; è un uomo di legge che va contro la legge stessa’’ mi trovai a parlargli di me e di Holmes, sentendo per la prima volta nella mia vita di poter essere del tutto sincero, senza essere costretto a nascondere quelle cose che mi rendevano felice e che gli altri avrebbero disapprovato. Solo dopo tanto parlare, mi accorsi di aver turbato l’uomo di fronte a me; era più che ovvio che si sentisse fuori posto nella mia felicità ed io avevo dimostrato assai poco tatto.
“Mi scusi, lei ha ragione. Non dovrei parlarle di certe cose’’
“Oh no’’ scattò improvvisamente, raddrizzando la schiena e guardandomi “No. Io ho sbagliato tanto nella vita e mi sono talvolta comportato come un immorale senza rispetto per il mio prossimo. Mi ero illuso di aver trovato la felicità ed invece era soltanto la mia rovina. E’ rincuorante vedere come, nonostante le difficoltà, ci siano persone che sono riuscite a essere felici a dispetto di tutto. Lei, Dottore, è la prova vivente di quello che intendo. Ha dei principi morali -è buffo che sia io a parlarle di moralità- davvero ammirevoli. Holmes è un uomo davvero fortunato: se Bosie avesse avuto solo un quarto della sua personalità adesso io non sarei qui.’’
“Si è mai pentito di quello che ha fatto?’ ’quella domanda mi balenava per la mente già da un po’.
“Lei aveva una moglie, dei figli… insomma aveva una famiglia ed una vita normale; si è mai pentito di aver cominciato a frequentare gentiluomini?’’
“No’’ non avevo mai sentito tono di voce più deciso e risoluto, e la sua risposta concisa mi stupì anche perché era l’ultima che mi sarei mai aspettato.
“Lo rifarei, perché ogni esperienza che ho vissuto nella vita mi ha portato a essere l’uomo che sono. L’unica cosa di cui mi pento è l’essere stato superficiale.
Perché é stata la superficialità a farmi amare Bosie.’’
Forse lesse la sorpresa nel mio sguardo, ma Wilde sorrise, in quella maniera rassegnata che avevo visto troppe volte nel giro di neanche mezz’ora.
“Lei ama Holmes?’’
“Più di ogni altra cosa al mondo ’’ non l’avevo mai detto ad Holmes, perché una parte di me sapeva mi avrebbe deriso, accusandomi di inutili sentimentalismi. Non era persona da cui aspettarsi un gesto d’apprezzamento per una simile confessione. Dovevo prenderlo per ciò che era, ovvero cinico e distaccato. Perciò mi ero tenuto dentro questo sentimento che, troppo spesso, gridava per uscire.
“E cosa ama di lui?’’ mi venne da sorridere perché in realtà non avevo idea di cosa dirgli.
“Non lo so… credo tutto: il fatto che sia un genio, che mi comprenda con uno sguardo, che sia l’unica persona con cui mi sento a casa, ma anche il suo carattere freddo e quella sua insopportabile aria boriosa. Credo di amare tutto di lui, anche i suoi difetti’’
“Ecco. E’ questo che intendevo. Lei ama Holmes anche per i suoi difetti, indipendentemente da tutto, io invece mi sono innamorato di Bosie per il suo grazioso aspetto: nient’altro.
Lo ritenevo, e lo ritengo tutt’ora, il più bel ragazzo che io abbia mai visto e questo mi è bastato per amarlo.
Se fossi stato meno superficiale mi sarei accorto che, aldilà del suo bell’aspetto, dentro di se lui non aveva niente.’’ Si mise una mano sulla fronte e continuò a parlare, mentre la sua voce tormentata risuonava nel silenzio della stanza.
“Lui si è preso la mia vita e ne ha fatto quel che gli pareva… solo che gliel’ho data io ed è colpa mia. Buffo vero? Sono stato io a permettergli di rovinarmi’’
Sospirò di nuovo e alzò il suo sguardo su di me. Avrei voluto veramente fare qualcosa per aiutarlo, ma in quel momento non mi veniva in mente niente.
Forse il lettore mi riterrà un ingenuo o uno stupido nello schierarmi così dalla parte di una persona, senza valutarne la posizione e soprattutto le responsabilità, ma non era così. Sapevo che Wilde si era comportato in maniera scandalosa e spesso aveva oltraggiato la legge e la moralità, frequentando bordelli e alimentando quella piaga sociale che è la prostituzione, ma nonostante questo non riuscivo davvero a trovare giusta la sua punizione, perché la Società non aveva condannato tanto il suo comportamento oltraggioso, quanto la sua persona e ciò che lui era: un omosessuale.
“Dottore, mi hanno portato via tutto: la mia casa è stata saccheggiata fino ai tappeti delle scale e lo zerbino, persino i gilet di raso, i bastoni e tutti i miei scritti’’ si fermò un attimo a fissare il legno del tavolo e la voce gli morì in gola.
“Ma tutto questo potrei anche sopportarlo; ho una ben peggiore angoscia, un’afflizione tremenda… i miei figli’’ sussurrò le ultime parole, come se soffrisse al solo ricordo della sua famiglia, e sicuramente era così.
“Mi hanno tolto i miei bambini. Il tribunale mi ha ritenuto inadatto e mia moglie ha chiesto il divorzio, a Cyryl e Vyvyane è stato cambiato cognome ed arriveranno a vergognarsi del loro padre’’
Che dovesse torturarsi nel senso d colpa -per quanto naturale- non lo potevo sopportare e perciò in uno slancio di comprensione lo afferrai per le spalle, cercando di riscuoterlo.
“Non guardi lo scandalo. Guardi chi è. Lei è un uomo brillante, dotato di talento, la gente l’ha acclamata, inoltre ha spirito ed è stata una delle prime persone che non ha avuto paura di mostrarsi, e queste sono tutte cose che la prigione non può toglierle.
Sono arrivati a portarle via tutti gli affetti più cari, ma non possono portarle via quella sua personalità che l’ha resa unico.
Inoltre ritengo alquanto improbabile che i suoi figli arriveranno mai ad odiarla. Lei è il loro padre e tanto basta.’’
Per un paio di istanti rimase in silenzio a fissarmi, il suo sguardo però pareva vuoto, come se stesse fissando un punto indefinito oltre la mia persona, quando si ridestò si mosse impercettibilmente e sorrise.
“Non ho mai conosciuto nessuno come lei’’
“Lo prendo per un complimento ’’
“Lo è. Mi ricorda il mio amico Robbie Ross, l’unico che mi è sempre rimasto accanto e che forse mi ha davvero voluto bene’’
Improvvisamente mi tornò alla memoria quella volta di sei mesi prima , quel giorno fuori dall’aula di tribunale in cui intravidi quel ragazzo dall’aria preoccupata e la sua immagine riprese vita nella mia testa come se l’avessi vista solo il giorno prima. Quel ragazzo con i capelli ricci e neri, pallido e in preda all’ansia. Che fosse il Robbie Ross di cui parlava Wilde?
“Era il ragazzo fuori dall’aula di tribunale?’’
“Non so se stiamo parlando della stessa persona, ma è molto probabile di si. Robbie c’è sempre stato quando ho avuto bisogno e lei me lo ricorda molto. Venirmi a trovare per darmi il suo appoggio è stato un gesto di grande sensibilità e anche il giorno del processo lei…’’
Mi agitai sulla sedia “Mi vide?’’
“Certo che la vidi, Dottore, allora non l’ avevo riconosciuta, ma l’avrei notata anche in una folla di mille persone, perché é stato l’unico a compiere un gesto che mi ha dato la forza di alzare gli occhi dal pavimento e guardare in faccia la gente che mi stava insultando’’
“E che cosa avrei fatto?’’ sorrisi appena, incapace di focalizzare quel ricordo preciso nella mia mente.
“Si è tolto il cappello di fronte a me’’
Rimasi basito da quello che mi disse; in un altro momento forse mi sarei messo a ridere, ma detto da un uomo condannato alla galera mi fece capire quanto fosse solo e disperato da aggrapparsi ad un gesto tanto semplice.
“Si tratta di un semplice gesto di rispetto ’’
“E’ questo il punto: lei mi ha dato rispetto quando io non lo meritavo’’
Ci furono altri secondi di silenzio e tensione palpabile, poi Wilde parlò di nuovo.
“ Sono stato accusato per una cosa considerata sbagliata, per cui secondo la gente si deve provar vergogna; Bosie l’ha definito ‘L’amore che non osa pronunciare il suo nome’.
Il giudice invece ha usato altre parole.
Secondo lui si tratta di abominio.
Una cosa perversa e innaturale’’
“Lei invece? Come lo definirebbe?’’
Oscar Wilde mi fissò per un secondo, poi puntò la sua attenzione su un raggio di sole che delineava l’ombra della sua mano sul tavolo e parlò senza guardarmi.
“E’ quel genere di affetto che prova un uomo maturo nei confronti di uno più giovane. Lo stesso che vi fu fra Davide e Gionata, che Platone mise come fondamento base della sua filosofia, lo stesso che si può trovare nei sonetti di Michelangelo e di Shakespeare.
In questo secolo è stato frainteso... talmente frainteso che lo si può definire, l'Amore che non osa pronunciare il suo nome.
Per questo mi trovo qui ora: è bello, è squisito, è la più nobile forma d'affetto... non c'è niente di innaturale in tutto questo.
Questo rapporto esiste di frequente fra l'uomo maturo e il più giovane; quando l'anziano ha l'intelletto e quello più giovane ha tutta la gioia, la speranza, lo splendore della vita davanti a sè.
Che debba essere così, il mondo non lo accetta. Il mondo si beffa di questo, e qualche volta manda al patibolo per questo.’’
Quelle sue parole mi infusero una tristezza profonda e mi angosciarono perché sapevo che, nonostante tutti i bei discorsi sulla morale e sull’uguaglianza, la situazione non sarebbe cambiata.
Non sarebbe bastata la sofferenza di un uomo a far cambiare idea alla società.
“Holmes dev’essere davvero fortunato ad avere accanto una persona come lei’’
Un raggio di sole autunnale filtrò dalle sbarre e illuminò il volto triste di Oscar Wilde.
Parte 3