Titolo: A Biography
Autore:
hohner_07 Fandom: RPF Milan (mi rifiuto di scrivere RPF Real Madrid, benchè volendo potrebbe esserlo)
Personaggi/Pairing: Ricardo Kakà/Andriy Shevchenko (principale), Cristiano Ronaldo/Wayne Rooney (sì, beh, per me è fondamentale come il tiramisù, però teoricamente sarebbero "accenni"), Alexandre Pato, Alberto Paloschi (sì, lo so, ormai è come il prezzemolo), gente random del Real e un OFC (Amanda *abbraccia*)
Rating: PG
Conteggio Parole: 5.680 (W)
Warning: one-short, slash, Cristiano Ronaldo (che essendo CRon è un avvertimento, sì) e la sua umiltà strabordante.
Disclaimer: E' tutto fintissimo e fasullo (a parte per l'umiltà di Cris, quella è tutta vera). Non ci guadagno niente xD
Note: partecipa alla Criticombola su Criticoni (prompt 61-"Davvero?""Davvero""Non me n'ero accorto").
Ovviamente è tutta per la Marti e non c'è nemmeno da chiedersi il perchè o no? Buon Natale e Buon Anno, ti meriti più di questo, ma è il massimo che son riuscita a fare (peraltro loro mi piacciono, quindi non escludo di scriverne ancora). Il Real mi sta seriamente mangiando la testa, li amo molto e tutti e non credevo fosse possibile.
Grazie sempre alla Marti per il banner <3
Riassunto: Cristiano Ronaldo spinge Ricardo Kakà a farsi scrivere una biografia.
Tutto inizia con Amanda Richards.
O forse no, forse è iniziato tutto molto tempo prima e in un modo diverso. Forse. Ma le belle storie iniziano con una ragazza, un ragazzo e una storia d’amore che s’intravede dietro l’angolo -e a Ricardo Kakà le belle storie piacciono e se seguono anche la tradizione, tanto meglio.
Quindi, sì, tutto inizia con Amanda Richards.
*
Ovviamente la colpa è tutta di Cristiano, il che non stupisce nessuno, perché su qualche dizionario di chissà che lingua al nome Cristiano Ronaldo deve corrispondere l’aggettivo combina guai.
È un giorno come tutti gli altri: fuori c’è il sole, l’altro lato del letto è vuoto, la sveglia non suona e il caffè non sale, solo che poi Cristiano decide che la normalità non è poi una cosa così bella e piomba sotto il portico di Ricardo con uno sguardo che non promette nulla di buono.
“Cosa c’è?” chiede Ricky, perché con Cristiano è meglio evitare i preamboli e andare dritti al punto.
Cristiano non risponde, però; tutto quello che fa è guardarsi in giro e Ricky sa cosa sta vedendo, sa che la casa è in disordine e il pavimento è pieno di oggetti di ogni genere e che nulla è dove dovrebbe essere -sa anche che Cristiano non chiederà nulla a proposito. Riprendendosi come uno shock improvviso, scuote le spalle. “Okay, farò finta di non aver visto -anche se sembra di essere a casa di Ramos il che non è un complimento. Dicevo, ho avuto una grande idea!”.
Ricky alza le sopracciglia.
“No, seriamente”.
“Tu e le grandi idee non andate d’accordo” commenta attentamente Ricky, cercando di non ferire l’orgoglio mastodontico di Cristiano che è la cosa più fragile di questo universo.
Lui, però, scuote la testa e, scavalcata una giacca marrone, arriva davanti a Ricky e sorride, mettendogli una mano sulla spalla nel modo in cui usava farlo quando ancora giocavano. “No, sul serio, amico: questa è una grande idea”.
No, non lo sarà, vorrebbe ribattere Ricky dal momento che quello che ha davanti è Cristiano e le sue idee portano sempre a brutti guai che possono andare dal restare bloccati in campagna con una gomma a terra e senza cellulare al finire in prigione. Ricky lo conosce bene, forse persino più di quanto vorrebbe. D’altro canto, però, è difficile dire di no a Cristiano -anche perché, quando apri la bocca per farlo, lui trova il modo per zittirti.
“Dimmi” si arrende sprofondando in un divano ricoperto da coperte di vari colori.
Cristiano sorride del suo sorriso più enorme e dice: “Devi scrivere una biografia”.
*
Ricky conosce Amanda Richards, il che non è affatto strano, considerato che Cristiano è andato avanti per settimane a blaterare delle sue doti dopo che lei ha scritto la sua terza biografia (che era la migliore delle tre, senza dubbio, anche se Ricky non può dirlo a Cristiano, perché questo presupporrebbe il fatto di aver letto le sue biografie e l’altro non ha proprio bisogno di altri motivi per vantarsi, tante grazie). Peraltro le ha anche parlato al telefono un paio di volte proprio a questo proposito: il libro era una specie di puzzle di racconti dei compagni di Cristiano e dei suoi amici e Amanda aveva insistito affinché lui partecipasse.
Ora che la vede, però, capisce che c’è qualcosa che non va. Amanda sorride imbarazzata dall’altro lato del tavolo e la sua voce, quando parla, è decisamente più incerta dell’altra volta, perciò, essendo Ricky un uomo di straordinarie buone maniere, pare doveroso chiedere cosa chi sia che non va.
“Beh, l’ultima volta che abbiamo parlato di una biografia, mister Kakà, non sembrava particolarmente interessato ad averne una su di lei” risponde, bevendo un sorso d’acqua e guardandolo dritto negli occhi in un modo così particolare da fargli pensare che sappia ogni piccola cosa di lui -e potrebbe essere vero: Cristiano non è mai stato famoso per tenere la bocca chiusa. “Eppure ora” riprende, accennando appena un sorriso curioso, “eccoci qua”.
“Già”.
Amanda annuisce. “Sbaglierei se dicessi che è tutta un’idea di quell’idiota di Cristiano?”.
Ricky si ritrova a soffocare una risatina nel vino. “Non particolarmente, no”.
Lei annuisce, sorridendo di nuovo, più tranquilla. “Non ho mai conosciuto qualcuno con una propensione per i guai pari alla sua. Mentre ascoltavo i racconti dei suoi amici le mie sopracciglia avrebbero voluto espatriare in Brasile, non so se rendo l’idea”.
Ricky conosce Cristiano e Amanda pare conoscerlo altrettanto, il che fornisce loro, se non altro, un buon punto di partenza per un qualche tipo di conversazione.
“Perfettamente”.
*
Amanda è una donna particolarmente intelligente e piacevole.
Durante i loro incontri risulta difficile annoiarsi e spesso Ricky si dimentica di stare discutendo qualcosa d’importante come la sua vita e lascia la conversazione spaziare fino agli orsi polari e al mare del Brasile. Amanda gesticola ed esprime le sue opinioni senza paura d’infervorarsi, tanto che una volta litigano per mezz’ora su qualcosa che alla fine Ricky nemmeno ricorda più.
A volte Cristiano si unisce a loro, regalando qualche aneddoto che Ricky non ricordava perché al momento in cui è successo era troppo focalizzato sulla partita o sul torneo o su chissà cosa. In genere, quando c’è anche lui, i discorsi si mantengono su un tono allegro e scanzonato e, quando Amanda va via, sembra sempre un po’ più felice di quando è arrivata.
“Avevi ragione” confida una sera Ricky a Cristiano e non riesce onestamente a dare tutta la colpa al vino che hanno bevuto. Cristiano sbatte le ciglia e cerca, senza riuscirci, di sollevare la testa mollemente abbandonata sui cuscini del divano finalmente in ordine.
“Su che cosa?” domanda, muovendo la mano destra per aria.
“Su di lei. È davvero come l’avevi descritta”.
E quello che risponde Cristiano è colpa dell’alcol, perché in nessun altro modo si spiega la risata leggera che accompagna l’epica frase: “Raramente anche io ho ragione, sai”.
*
Il primo capitolo del libro è piacevole da leggere, il secondo ancora di più e il terzo tiene legato Ricky alla pagina quasi come se davvero non sapesse cosa verrà dopo.
Quando glielo dice, Amanda ride.
*
A volte, quando si trova in uno di quei momenti di particolare sincerità nei confronti di se stesso, Ricky riesce ad ammettere di non essere felice. Certo, Madrid è ancora meravigliosa come quando l’ha vista l’ha prima volta, illuminata dal sole e ricca di mille odori; e la sua casa è fantastica, gli amici passano spesso (e Cristiano, poi, è praticamente sempre lì). Ma sua moglie è andata via, portandosi dietro suo figlio e molte delle cose più rilevanti della sua vita sono scoppiate come una bolla di sapone. E poi c’è un qualcosa che lo tiene sveglio la notte, impedendogli di dormire.
E sarebbe un ipocrita a dire di non saper cos’è -solo che, beh, non può davvero dirlo ad alta voce.
*
Per anni Cristiano ha tentato, senza successo, di portarlo in discoteca. Dopo due anni a Madrid era diventata una specie di sfida per la squadra, una missione impossibile. Giravano scommesse, persino, come ha confessato anni dopo Iker ridendo allegramente di fronte alla sua espressione stralunata.
Tuttora è difficile dire se ancora i pochi che ancora vivono qui non ci sperino, dice ad Amanda mentre stanno affrontando questo capitolo della sua vita.
Lei morde la matita e poi picchietta sul foglio cosparso di appunti disordinati. Picchietta e pensa. “Era così anche a Milano?” chiede.
La gola di Ricky si stringe e lui non risponde.
*
La Grande Cena dei Migliori Giocatori del Real è alle porte.
Francamente Ricky preferirebbe non andarci: rivedere i ragazzi, ascoltare interminabili racconti di passate glorie non fa bene ad un calciatore che ha smesso di giocare (e anche se qualcuno continua a dirgli che dovrebbe andare avanti, perché la vita continua, è comunque difficile).
“Vuoi venire con me?” chiede ad Amanda in uno dei loro incontri. Lei è sorpresa -è una delle cose che più lo diverte di lei il modo in cui non riesce a nascondere le proprie emozioni (Ricky non è mai stato davvero così, Cristiano lo è talvolta, quando non c’è nessuna buona ragione per non esserlo; lui lo era sempre).
La risposta si fa aspettare: prima Amanda scarabocchia qualcosa sul quadernetto, tira fuori il suo I-phone azzurro e controlla chissà cosa. Quindi tira su la testa il tanto che basta per notare le piccole rughe di sopresa che non sono ancora sparite e dice: “Okay”.
Inspiegabilmente si sente rassicurato.
*
Sergio è il primo ad arrivare, il momento successivo Iker è alle sue spalle e Ricky si chiede perché ancora si illudano che sia un segreto. Anche senza tutti i mille indizi che hanno sparpagliato negli anni, basterebbe il modo in cui si guardano, la familiare casualità delle mani che s’incontrano quando si spostano e i dannati sorrisi che dicono tutto e niente e abbastanza. Ricky sa cosa vuol dire, lo sa così bene da non voler ricordare.
“Cosa c’è?” sussurra Amanda, guardandolo da sopra un bicchiere di champagne con il suo miglior sguardo indagatore, quello che lo fa anche ridere, quando il ricordo del passato non è così vicino e opprimente e triste.
Ricky scuote la testa e gli occhi cadono su Sergio e Iker e la sua espressione deve dire proprio tutto, perché Amanda corruccia le sopracciglia, gli tocca gentilmente il braccio. “Vuoi andare via?”.
“Non si può andare via” risponde Ricky piano.
Amanda scuote la testa. “Non ti ho chiesto se si può andare via, ti ho chiesto se vuoi farlo” ripete -e se fosse chiunque altro, Ricky penserebbe di stare venendo trattato come un bambino piccolo che non capisce niente, ma è Amanda.
Si guardano per un attimo negli occhi e poi lei mormora che andrà a cercare Cristiano per dirgli d’inventarsi qualcosa riguardo la sua assenza, come se ci fosse bisogno di farlo, comunque, dato che lui è maggiorenne e può fare quello che vuole. Ricky riesce anche a sorridere.
La serata finisce davanti a una birra senza una parola di più.
*
Il quarto capitolo parla del Milan, così il quinto e il sesto e il settimo e l’ottavo (del mezzo intermezzi vari. La famiglia, Luca, casa). Ricky non si era mai davvero accorto di quanto il Milan avesse significato per lui fino ad ora che tutto è su carta.
Amanda dice che è normale, che è successo anche ad altri con cui ha collaborato. Anche Cristiano ammette che la quantità di cosa che aveva da dire su Manchester l’ha sorpreso -“Anche se mi ha sorpreso di più la quantità di cose che i ragazzi del Mu avevano da dire su di me” e l’inflessione della voce sul nome della sua vecchia squadra (della sua squadra) non potrebbe essere più significativa (la gente spesso pensa che andare a Madrid non abbia significato niente per Cristiano, solo la seccatura di trovarsi una nuova a casa e d’imparare una nuova lingua. La gente sbaglia).
“Tra l’altro mi hanno offerto un posto come osservatore, sai” butta lì semplicemente Cristiano.
Ricky sa quanto questo significhi per lui e per questo non gli dirà di non andare, benchè questo potrebbe significare il perdersi di vista e il non potersi vedere come si vedono adesso e un altro milione di cose. Ricky sa cosa vuol dire tornare in Inghilterra per Cristiano, chi significa rivedere. Quindi sorride e gli esprime le sue congratulazioni.
“Non pensare di liberarti di me, comunque. Devo ancora trascinarti in un dannato club a bere e a rimorchiare” esclama con una serietà talmente fuori posto che farebbe scoppiare a ridere anche Sir Alex Ferguson.
“Non ci riuscirai mai, Cris, giusto per ricordartelo”.
Cristiano scuote la testa. “Non c’è nulla che io non possa fare”.
*
“C’è qualcosa che manca in questo libro” dichiara Amanda pensierosamente, mentre i suoi occhi rileggono e rileggono il documento di word che editando. “Sai quando arrivi ad un punto cruciale e ti aspetti qualcosa e quel qualcosa non arriva e il racconto passa direttamente ad un altro punto? Ecco, è questa la sensazione che ho”.
Ricky sa cosa manca, è ovvio che lo sa. Ma ancora non riesce a dirlo.
Amanda sospira e chiude il documento.
*
Va a Milano.
A volte, in momenti particolari della sua vita -dopo aver lasciato sua moglie, dopo aver smesso di giocare, dopo averlo perso del tutto-, ha semplicemente bisogno di sentire Milano attorno a sé, di sentire le persone che la abitano.
L’aria di Milano in agosto è terribile e l’umido gli si appiccica sulla pelle dandogli un terribile fastidio. Madrid è quasi peggio d’estate, ma l’afa di Milano ha un qualcosa di particolare che Ricky non saprebbe descrivere.
La prima persona che chiama è Paolo. Il capitano -è difficile pensarlo con un’altra parola- sembra felice di sentirlo e Ricky è felice di riflesso: chiacchierano per un po’ del più e del meno, dei nuovi giocatori che il Milan sta seguendo, del modulo che Paolo intende utilizzare nella prossima stagione. La telefonata s’interrompe con un invito a cena un po’ imbarazzato e con l’allegro ciarlare della moglie del capitano sullo sfondo.
Quindi Ricky chiama Alexandre.
“Sei a Milano?” chiede la voce sorpresa del nuovo capitano del Milan (Ricky si ricorda ancora la voce basita di Alex quando gliel’ha detto e soprattutto ricorda il modo in cui lui ha attaccato il telefono, senza rispondere).
Ricky lancia uno sguardo fuori dalla finestra dell’hotel. “Già. Avevo bisogno di sentire l’aria della città”.
“Beh, ma se non hai niente da fare, perché non passi di qui?”.
“A Stephanie non dà fastidio?”.
Per un attimo c’è un mezzo silenzio imbarazzato, poi Alex si schiarisce la voce. “No, sono da Albi in questo periodo -io e Steph abbiamo litigato e lui mi ospita per un po’”.
Ricky non chiede nient’altro. A volte non ce n’è bisogno.
*
Alex si addormenta ridicolamente presto e Alberto rischia di soffocare tra le risate, quando Ricky lo fa notare. “Succede spesso ultimamente. È solo che è sempre così occupato con la squadra e con i ragazzi più piccoli -e nel tempo libero deve essere un buon padre e un buon marito. Non è facile. Io non ce la farei” dice a mo’ di scusa, posando una coperta a quadretti sulle spalle dell’altro. Il suo sorriso è gentile e impensierito.
Il silenzio dura solo lo spazio di bere un sorso di grappa e poi Alberto inizia a raccontare qualche storia da spogliatoio, l’ennesima cazzata dei compagni di Nazionale all’estero e l’ultima disastrosa partita contro l’Arsenal. “Tutta colpa di quel cretino di Mario, ovvio. Proprio contro di noi doveva decidersi di ricordare come si fa a giocare a calcio senza fare il coglione”.
Ricky ride -Cristiano ogni tanto gli riporta le azioni di Balotelli, lamentandosi per il fatto di aver perso lo scettro di Cazzone d’Inghilterra.
“Stai bene, comunque?” domanda a un certo punto Alberto casualmente, puntando gli occhi sulla bottiglia mezza vuota al centro del tavolo.
Ricky non pensava fosse così evidente, pensava di essere un simulatore migliore, in effetti, di poter nascondere qualsiasi cosa. Ma probabilmente non è così, perché Cristiano sa e Amanda sa e la sua ex-moglie sa e ora anche Alberto sa e non si può dire che sia una delle persone che lo conoscono meglio in assoluto.
“No” risponde onestamente, perché è la cosa giusta da fare. “No”.
“So che non sono affari miei -Dio, non sono assolutamente affari miei-, però se vuoi puoi parlarne, sai. Non è nemmeno certo che me ne ricorderò domani, visto quanto ho bevuto -e, ti giuro, sia Luca che Mario dicono che non reggo l’alcol affatto e loro mi conoscono piuttosto bene. Però potrebbe aiutare, a volte aiuta”.
“A te aiuta?”.
Alberto ci pensa e annuisce. “Sarà che i miei sono piccoli problemi e ho amici con buoni cervelli, non so”.
Ricky sorride. È un bravo ragazzo Alberto: era bravo quando aveva diciassette anni e un futuro luminoso davanti ed è bravo ora che quel futuro l’ha vissuto. È contento che il suo Milan abbia trovato un ragazzo così, è contento che Alex abbia trovato un amico così.
“Forse hai ragione”.
Così racconta. Non tutto, una parte. È abbastanza.
*
“Chiaramente non hai letto i miei messaggi” esclama la voce di Amanda più irritata di quanto l’abbia mai sentita.
In effetti, non li ha aperti. Ha pensato che fossero a proposito della parte mancante nel libro e allora non aveva proprio voglia di parlarne, così li ha cancellati senza nemmeno leggerli.
Sta per dire proprio questo, quando sente un rumore di coperte che si muovono e di passi sul parquet. “Dove sei?” chiede.
“Nella dannata America, dall’altra parte del mondo, dove, guarda un po’, è notte”. Mano a mano che la frase continua, l’irritazione si perde per strada, fortunatamente, ma non abbastanza da far sentire Ricky meno in colpa.
Amanda ignora le sue scuse. “Che c’è?” chiede e Ricky la immagina senza difficoltà sbadigliare, magari passandosi una mano tra i corti capelli rosa.
“È Sheva” dice, allora, lasciando perdere i preamboli.
“Eh?”.
“La parte mancante. È Sheva”.
Sente il rumore di un astuccio che si pare e di una penna che pasticcia un foglio. Tipico di Amanda non lasciar disperdere nemmeno un brandello di conversazione. “Sheva” ripete, calcando sulla parola.
“Sì”.
“Okay, tesoro, non puoi pretendere che mi arrivi una dannata epifania grazie alla quale io comprenda istantaneamente tutti i pensieri che vorticano nella tua testa”.
Ricky ci pensa un attimo -le parole per descrivere Sheva sono tante, troppe, impossibili da mettere in ordine senza fare confusione. “Hai presente Wayne Rooney?” chiede, perché non è sicuro, Wayne non era nel libro su Cristiano, non c’era nessuna traccia di lui, eppure è l’unico modo che gli viene in mente per spiegare quello che gli sta vorticando nella testa.
Sente Amanda annuire. “Ovvio che conosco Mr Rooney, ho scritto la dannata biografia di quel folle uomo che è il tuo amico”.
“Non era nel libro”.
“Il fatto che abbia espunto determinati discorsi non adatti al grande pubblico non vuole necessariamente dire che non li abbia ascoltati. E francamente le cose che Rooney ha detto su Cristiano erano adatte a Cristiano e basta -cosa che fra l’altro sapresti, se ti fossi mai azzardato a domandare qualcosa sulla questione”.
Ha senso. Ovvio che ha senso. Cristiano ha passato mesi a saltellare in giro, dichiarando amore al mondo e benchè il suo ego abbia le dimensioni dell’Everest, sarebbe stato davvero insensato se l’avesse fatto solo perché il suo nome era scritto in grassetto sul nuovo Best Seller più venduto in Europa. Non che Ricky abbia mai chiesto perché Wayne non fosse stato incluso nel libro: non gli è mai piaciuto parlare di quella storia, perché gli ha sempre ricordato troppo della propria. A volte non è difficile pensare a se stesso come ad un codardo.
“Quindi” riprende Amanda, distogliendolo dalla piega che stanno prendendo i suoi pensieri, “Sheva è il tuo Wayne Rooney?”.
“No. Di più”.
È sicuro che Amanda capisca, deve capire, Ricky ha bisogno che capisca. “Okay” mormora, infatti. “Vuoi parlarne?”.
“Sì”.
*
La mattina dopo Amanda Richards suona al suo campanello con due enormi occhiaie blu sotto gli occhi. “Non dire niente” ordina e Ricky non è il tipo da disobbedire ad un ordine di questo tipo, davvero.
*
“Che diavolo stai facendo?” domanda Cristiano restando fermo sulla porta.
“Sto partendo” risponde Ricky, indicando prontamente la valigia aperta sul letto e le maglie sparse tutte attorno.
Cristiano batte le ciglia. “Davvero?” chiede, e l’ironia gocciola come della glassa da una torta al cioccolato.
“Davvero”.
“Non me n’ero accorto, guarda”. Uno sguardo perplesso tutt’attorno -che si ferma su una maglia di un verde particolarmente luminoso- e poi un altro battito di ciglia. “Quello che intendevo è: perché. E dove”.
Avrebbe dovuto dirgli qualcosa prima invece di chiamarlo di fretta per chiedergli di curare il gatto durante la sua assenza, pensa distrattamente, infilando un paio di jeans nella borsa. “In Ucraina”.
“In Ucraina” ripete Cristiano perplesso.
“Già, devo fare una cosa”.
“Ovvio che tu debba fare una cosa, non sei il tipo da andare in Ucraina per un viaggio di piacere. Non sei il tipo da muoverti troppo, in realtà, ma. In Ucraina?” e sulla sua faccia la comprensione compare lentamente, mentre il nome del paese continua ad arrotolarsi sulla sua lingua. Cristiano non è stupido, nonostante siano anni che lotti per far credere il contrario.
Ricky aspetta. In questi anni sono diventati più amici di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare -è stato Cris ha mettergli una mano sulla spalla quella volta che l’hanno visto a una premiazione per il Pallone D’oro, è stato Cris a tentare di tirarlo fuori dalla bolla di depressione in cui era caduto dopo il divorzio e la partenza di suo figlio per il Brasile ed è stato sempre Cris a regalargli la palla di pelo bionda che nei giorni buoni Ricky riesce quasi ad identificare con un gatto. È stato Ricky ad accompagnare Cris al battesimo di Kai, d’altra parte, ed è stato Ricky a coprire le sue uscite notturne per quasi sei anni a Madrid.
Quindi, no, non lo stupisce affatto che Cristiano spalanchi la bocca e guardi la valigia e capisca.
Lo stupisce di più che non sia d’accordo.
“Sei un idiota. Voglio dire, wow, più idiota di me -il che è davvero una sorpresa” esclama, passandosi una mano tra i capelli corti che vanno stempiandosi. “Cos’hai intenzione di fare, esattamente? Andare là, suonare alla porta e invitarlo a bere una birra?”
Ricky resta cocciutamente in silenzio e Cristiano scuote la testa, si siede sul letto rovinando le pile spaventosamente ordinate di T-shirt. “Okay, seriamente” inizia -e poi finisce, anche, perché evidentemente non sa bene come continuare.
“Com’è finita tra te e lui?” chiede improvvisamente e Cristiano spalanca gli occhi -ed è buffo, perché succede di rado che la sorpresa lo colga così impreparato: il mondo segue regole così precise, in genere, e nonostante tutto Cristiano le conosce bene.
“Non è mai finita” risponde, prima ancora di pensarci. “Cioè. Ovviamente è finita, ad un certo punto, con me che venivo a Madrid. No, prima, con me che andavo in giro a far cazzate e lui e Coleen e tutto, ma” s’interrompe, abbassando improvvisamente gli occhi. Quindi, umettatesi le labbra con la lingua, rialza lo sguardo. “Ma non è mai finita davvero. Finiva per un po’ e poi io tornavo o lui tornava -non era mai come prima, mai. Ma era quello che doveva essere, quello che poteva essere con me qui e lui lì e Kai e Coleen”.
Lo osserva raccogliere una maglietta e metterla nella borsa, le mani improvvisamente desiderose di far qualcosa. “Sono sempre stati momenti piccoli, niente di eclatante, sai. Wayne non è proprio il tipo da cose eclatanti -si è sposato la ragazza del liceo, il che è indicativo. Voglio dire, è molto come te, no? A parte per la faccenda che ha miglior gusto e non è mai stato un santo. Nei locali lui ci veniva”.
“Il che suppongo sia il motivo per cui ti sei innamorato di lui e non di me”.
“Quello e la quasi calvizie, sì” annuisce Cristiano con un ghigno. “Però poi lui ha rilasciato quell’intervista ad Amanda e lei me l’ha passata e. Non potevo non fare niente. Quindi ho scelto di mettere la testa a posto -cioè, circa, per quanto possibile”.
“Cioè molto poco”.
“Abbastanza per lui, spero” ridacchia.
Ricky annuisce. “È da un po’ che non lo sento. Ogni tanto mi ripromettevo di chiamarlo, ma poi il tempo passava e rimandavo e rimandavo e”.
Cristiano, inaspettatamente, ride. “Allora è facile, no? Prendi su il telefono, o il pc, o qualsiasi cosa tu usi per palesarti al mondo e fatti sentire. Solo, non spuntargli davanti dal nulla. Anche perché e se poi ti dimentichi cosa dire? Già non sei loquace con il sottoscritto che è rinomatamente la persona con cui è più facile parlare nell’universo. Quindi, davvero”.
“Dici?”.
“Dico”.
*
Decide di scrivergli, perché dopotutto se Andriy rispondesse al telefono e restasse in silenzio, Ricky non saprebbe davvero cosa dire. La lettera è stupida e banale e Ricky è lì lì per buttarla, solo che non lo fa, perché non potrebbe essere scritta diversamente.
Cristiano annuisce in modo comprensivo e Amanda gli trova l’indirizzo e-mail: è tutto quello di cui ha bisogno.
*
È stata tutta colpa di Ricky, ovviamente. Sua e del fatto che era un ragazzino stupido e spaventato da qualcosa di più grande di lui. Se lo ricorda lo sguardo distrutto di Andriy, quando gli ha detto che era finita. Se lo ricorda, perché è lo stesso che vede ogni mattina, quando si guarda allo specchio rifiutando di pensarci.
Lui è stato la miglior cosa che gli sia mai successa, ed è facile dirlo adesso, col senno del poi, ma probabilmente lo sapeva anche allora ed è per questo che è scappato, no? Non era pronto per una cosa del genere.
Ovviamente questo non spiega perché, quando poi si sono ritrovati, lui non abbia capito e sistemato le cose. O perché Andriy non abbia tentato di farlo ragionare -o forse l’ha fatto e Ricky non l’ha mai ascoltato, perché era finita, no? Era andato avanti con la sua vita e Andriy era sposato e aveva un dannato figlio e Ricky era sposato e non era quel genere di persona, okay? Non era uno sfascia famiglie.
Gli ha spezzato il cuore, ha spezzato il suo e non ne ha ricavato niente, tranne una manciata di cosa sarebbe successo se. (E Luca, che probabilmente è l’unica cosa buona e perfetta uscita fuori da questo casino).
Oggi lo sa. Allora, però, non poteva permettersi di ammetterlo o forse non era in grado di capirlo.
È questo che scrive nella sua lettera, è questo che dice. E sotto le righe c’è molto di più e Andriy deve trovarlo, quel di più, perché dopo un mese, finalmente, chiama.
*
“Non hai idea” dice.
“Andriy?”.
“Tu non ne hai idea” ripete e poi attacca.
*
“Devo andare da lui”. Vorrebbe essere una frase decisa e perentoria, ma risulta più che altro come una domanda a cui Amanda risponde chiudendo il libro con uno schiocco.
“Tesoro, Ricky, capisco che la tua testa sia da tutt’altra parte, ma se tu non mi ascolti, mi sarà difficile terminare questo libro e levarmi dalle scatole”.
“Non mi dà fastidio averti intorno, comunque, solo per dire” commenta Ricky a mezza voce perso nei suoi pensieri.
Amanda tenta di nascondere un mezzo ghigno soddisfatto. “Ovviamente no. Sono meravigliosa del resto, l’ho sempre detto”.
“Era Cris a dirlo, in realtà”.
“Sì, beh, è lo stesso”.
Riprende a leggere e Ricky ascolta per almeno due minuti, poi la faccia di Andrej inizia ad occupare lentamente i suoi pensieri e così la sua voce e poi…
“Sì, sì, dovresti andare” scoppia alla fine Amanda, guardandolo storto sotto un ciuffo di capelli verdi (e un giorno Ricky le dirà che dovrebbe smetterla di cambiare colore come l’Inter cambia giocatori, perché c’è il rischio che un giorno gli compaia davanti e lui non la riconosca).
“Non è che parli russo?”.
“Che sarebbe il tuo modo carino per chiedermi di accompagnarti?”.
Ricky ridacchia. “Più o meno”.
“A volte mi chiedo perché mi sono impelagata con i calciatori”.
*
Amanda decide che prenderanno il treno, quindi prendono il treno (non che la ragazza gli abbia lasciato qualche scelta: “O il treno o nella dannata Ucraina ci vai da solo”). Ricky potrebbe prenderla in giro per questa sua stupida e insensata paura per le altezze, ma sarebbe una cosa molto da Cristiano e il mondo non potrebbe essere più d’accordo sul fatto che non esistano due persone più dissimili di loro.
La prima classe è comoda, comunque, e anche se il viaggio è terribilmente lungo, risulta piacevole, un po’ perché Ricky è un esperto di lunghi viaggi e un po’ perché le storie di Amanda sono perfette per far passare il tempo.
E alla fine un po’ per caso e un po’ perché è anche ora, si accorge di non averle mai chiesto davvero di lei. Il che non è poi così strano, visto com’è andata avanti con Cristiano per quasi tredici anni, ma ora si sente diverso, almeno un po’, e vuole farlo capire al mondo. Così chiede.
Amanda è inglese, è cresciuta in Spagna e viaggia per il mondo da quando ha diciannove anni. Ha frequentato un’università pubblica in Colorado e ha pubblicato il suo primo libro a 21 anni, una raccolta di racconti abbastanza stupida, a suo dire, ma chissà dove sta la verità. Ha iniziato a lavorare nel campo sportivo perché suo fratello gioca a basket e sua sorella nuota ed è tutto meraviglioso, tanto da farle quasi rimpiangere di essere la letterata di famiglia (“Non che potesse essere altrimenti: sono negata per gli sport”).
Ha da sempre una gigantesca cotta per Ryan Lochte e, quando Ricky gli chiede chi sia, fa una faccia buffa e gli dice di acculturarsi un po’, perché non fa mai male. Salta fuori che è un nuotatore, uno di quelli forti, di quelli che vincono alle Olimpiadi (l’ha intervistato una volta e in pratica non riusciva a stare ferma sulla sedia).
Ha amato, ha perso esattamente come chiunque altro e ora sta con un ragazzo italiano di Mantova, città che fra l’altro ama. Le Olimpiadi di Venezia sono il suo evento sportivo preferito di sempre, tipo, tifa Manchester United, ma nemmeno l’Arsenal è troppo male. Fondamentalmente è una persona normale, tranquilla e ama il suo lavoro. E tutte queste domande le sembrano un po’ stupide e Ricky dovrebbe andarsene a letto, perché sono tipo le due e ha sonno.
E dopo tutto questo, Ricky s’addormenta soddisfatto.
*
La casa di Andriy è appena fuori Kiev. Amanda non ci ha messo molto a trovarla -o forse è stata la fortuna di aver trovato una guida tifosa del Milan-, però adesso che sono cui Ricky sente tutto il peso del viaggio e il freddo dell’inverno sulle spalle e vorrebbe tornare indietro, a casa, da suo figlio, da Cristiano e da tutte le cose che conosce bene.
Amanda gli appoggia una mano sulla spalla, sussurrando un “Andrà tutto bene. Hai affrontato cose più grandi di questa” e Ricky non ne è convinto, perché qui non si sta giocando una partita di calcio, ma un qualcosa a cui tiene così tanto da far male al cuore nei giorni buoni e male a tutto in quelli cattivi.
“Ricky?” arriva una voce da dietro e lui si gira.
Andriy è invecchiato, ma nonostante tutto appare più o meno lo stesso. L’unica cosa che manca è il sorriso.
Non sa quanto tempo passa, per quanto tempo resta lì a guardarlo, catalogando ogni ruga, memorizzando ogni tratto del suo viso, perché c’è rischio di non rivedere mai più nulla di tutto questo -Andriy potrebbe farlo e Ricky non direbbe nulla per fermarlo, considerato quanto avrebbe ragione.
“Quando… come?” e non sembra arrabbiato, solo sorpreso e contento, e Ricky riprende a respirare piano, rilasciando nell’aria gelida di Kiev una nuvoletta bianca.
“Oggi. In treno”.
“In treno? Ma è un viaggio lunghissimo” commenta piano Andriy in un italiano scricchiolante e po’ arrugginito. È così tanto che non parlano, pensa Ricky, così tanto.
“Già. Beh, ho avuto tempo per pensare”.
Andriy resta fermo un altro attimo e poi gli occhi s’illuminano e lui sta sorridendo e poi Ricky non può più guardare quel sorriso, perché Andriy lo sta abbracciando così stretto che è quasi difficile respirare; ed è esattamente come ai vecchi tempi, quando erano giovani e tutto era facile ed abbracciarsi era quasi il motivo per cui facevano goal, solo che no, non è come allora, perché adesso Ricky sa cosa vuol dire vivere senza tutto questo (senza il suo sorriso, senza la sua voce, senza i suoi discorsi, senza Andriy) e quindi vale di più, non può che valere di più. Così gira appena la testa e Andriy e già lì, gli occhi aperti a guardarlo. “Mi sei mancato” sussurra, la voce che esce fuori piccola e tremante.
Andriy annuisce piano e Ricky sente il sorriso contro il suo collo. “In treno. Tu sei completamente pazzo” sussurra in risposta.
“Un piccolo lasso di tempo in confronto al resto, no?”.
“Sì. Sì”.
*
La notte trascorre come mille notti prima di questa e come nessun’altra. Quando si sveglia -sotto un piumino bianco, in una stanza bianca con lo sguardo scuro di Andriy sulla pelle-, la prima cosa che fa è sollevarsi piano.
Appoggia la fronte su quella di Andriy e sorride del suo sorriso enorme e perfetto che era scomparso chissà dove. Non dice nulla, i suoi occhi dicono tutto e Andriy lo bacia piano, incerto, passandogli lentamente una mano tra i capelli un po’ troppo lunghi.
*
Spero sia andato tutto bene. CRon.
Considerato che sono tre giorni che non ti vedo, presumo che sopravvivrai senza di me. RICORDATI LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO. Amanda.
Sarebbe carino se rispondessi. Qui il mondo si preoccupa per te. CRon.
La presentazione è tra una settimana e, davvero, è necessario che tu ci sia, Ricky. Per favore, chiama. Amanda.
Quell’idiota di Cristiano sta meditando di chiamare non so che polizia ucraina per vedere se sei ancora vivo e la cosa sta iniziando ad irritarmi. Un Cristiano preoccupato non è un qualcosa con cui voglio avere a che fare. Chiamalo. WR.
Te l’avevo detto, io, di non presentarti inatteso. Mai che qualcuno mi ascolti. CRon.
Okay, capisco il fatto di aver ritrovato l’amore della sua vita, blablabla, sono contento per te, so come ti senti, MA potresti rispondere alle mie chiamate. O ti giuro che faccio mandare a Florentino qualcuno dei suoi innumerevoli contatti. Sai che mi deve molto dopo le quattro Champions League. CRon.
TRE GIORNI. SE NON CI SEI TI UCCIDO.
Mi ha chiamato Cristiano Ronaldo chiedendo tue notizie. Quel ragazzo mi fa paura. Pato.
Dove cazzo sei finito? L’inferno ti ha inghiottito? CRon.
DUE FOTTUTI GIORNI.
Okay, spero che l’epigrafe sulla tua tomba ti piaccia, con quel che è costata. CRon.
UN GIORNO. UNO.
Sto bene, non sono morto, ci vediamo alla presentazione. Non avete fede. Ricardo.
Fine.
Se non conoscete Gonzalo Higuain googlatelo ora, perchè è, tipo, l'omino più caruccio del mondo (denti compresi!)