Fanfic: Houses - Perfetti muri bianchi

Jul 10, 2008 19:44


O ma che bella giornata. Sto bostando con mia sorella che insulta la PSP e sto ridendo come un'idiota xD E mi sono iscritta al forum degli Aram e adoro questa cosa. Adoro loro.

Mia sorella ce l'ha fatta xD Yeah, per lei, ha superato il livello credo XD

Tra qualche giorno -Dio, permettendo- vedrò gli Aram. pregate che ciò succeda perchè ne ho bisogno. Fosse solo eprchè Ancora è un dio e merita di essere venerato. Umh.

Comunque XD

Titolo: Houses
Titolo capitolo: Perfetti muri bianchi
Autore: Io XD
Fandom: Original
Personaggi: Rebecca, Arianna
Rating: PG13
Conteggio Parole: 
Genere: Triste, Introspettivo
Avvertimenti: One-short
Note: Sappiate che questa fic è forse uno dei lavori che amo di più in assoluto. Amo ogni personaggio (anche se il mio preferito è Sofia ed è nel secondo capitolo XD). Comunque, giusto perchè voi lo sappiate ecco alcune notiziette. Tutto nasce guardando una rivista di Case, penso fosse CasaArrademento. Ho visto una casa perfetta e ho detto: "Ehi, io la voglio così la mia", era una villa sul mare, con una libreria enorme e un sacco di caos. Poi mi sono messa a cercare le case adatte per le mie migliori amiche e. Mi si è accessa la lampadina e la storia ha preso forma. L'ho scritta. Ed ora eccola qui, in tutti i suoi contenuti tristi e le sue sfumature speranzose.

La dedico, ovviamente, alle mics. Vi amo.


Non si parlano da anni.

In effetti l’ultima volta che l’ha vista è stato prima di salire su quell’aereo mezzo scassato, con un sacca sulla spalla e tutta una serie di cose che pesavano più dei libri che portava con sé. Lei non l’aveva salutata.

“Stai facendo uno sbaglio” aveva detto. E, maledizione, era sembrato così vero in quel momento! Con i suoi occhi verdi spalancati che la guardavano dal basso -non era mai stata abbastanza alta, ma la sua forza, la sua irruenza facevano quasi in modo che lo sembrasse- era apparso che quello che diceva avesse una logica. E per poco.

Poi tutto era passato. E non era più la ragazzina che non metteva un paio di scarpe perché ad Arianna non piacevano. Era andata all’aeroporto in macchina, con il suo vizio di mettere la musica a palla trasmessole da Sofia e due o tre lacrime tra le ciglia struccate.

Non si sono più riviste.

Così Rebecca rimane sorpresa quando Arianna la conduce a casa sua, dopo essersi incontrate in quel bar di Milano, quasi per caso. O forse è sorpresa dai vestiti lindi, perfettamente conformi alla moda di stagione. Rimane colpita dagli occhiali scuri sul suo viso -che, si, aveva anche da adolescente (ma allora non servivano a nascondere qualcosa. Invece adesso.)- e dal sorriso tirato sulle guance più scarne.

E. Ma è stata lontana davvero così tanto?

Arianna le sorride -e non è importante aggiungere quanto appaia diverso, distante dalla persona che ha conosciuto tanto tempo fa, questo sorriso- e le offre una tazza di the. Sorride ancora, e Rebecca ha l’impressione che cerchi di nascondere qualcosa, poi squilla il telefono e Arianna -senza scordarsi d’indicarle dov’è lo zucchero- si dilegua seguendo il trillare lontano.

Rebecca, la tazza di porcellana in mano, si guarda attorno.

La casa è ordinata, pulita. Sa di bugia. Nel suo appartamento di Boston c’è sempre quell’aria di caloroso disordine -libri per terra, il computer abbandonato perennemente acceso sul tavolo del soggiorno e bicchieri di succhi d’arancia un po’ ovunque- e persino la perfetta Claire si è abituata alla fine. È una casa colorata, divertente. I disegni di Lysa in giro per casa -grandi tele di gialli campi di girasoli o piccoli acquerelli di parchi dimenticati-, stralci dei suoi articoli lasciati sul divano sempre rivestito dalla coperta di patchwork della nonna di Jake.

La casa di Arianna è pulita, linda, ogni cosa metodicamente riposta nel luogo più giusto. La dispensa in vetro trasparente -dietro s’intravedono i bicchieri, piccoli fanti disposti in file di sei-, i lavelli luccicanti e uno straccio che quasi stona, appoggiato distrattamente vicino al fornello.

Le pareti -bianche, pulite, perfette- sono costellate qua e là da foto di famiglia. Un uomo senza sorriso, due bambine all’apparenza troppo calme per essere davvero le figlie della ragazza senza vergogna che ricordava.  In una c’è l’immagine di un matrimonio.

Non era stata invitata.

La constatazione brucia per un istante più del resto. Arianna non ha ritenuto saggio invitarla. Chissà se Sofia e Irene c’erano, a quella pazza festa (sempre che, pazza, lo sia stata. La nuova Arianna sembra la quieta regina di un re tranquillo del nord, freddo e distante dal resto del suo popolo).

Chiederà.

“Scusa, era Cathy. Lei. Ho due figlie, sai e. Non ho molto tempo. Si occupa di loro”

Rebecca le sorride. “Ho fatto la babysitter per. Oh, saranno stati un po’ di mesi. Divertente”

Arianna indugia in un’espressione dura. È come se l’amarezza di qualcosa che Rebecca non sa le fosse caduta addosso con tutta la sua forza. Nella sua perfetta sedia bianca Rebecca può sentirne quasi il rumore.

“Ed era per questo che sei andata là. Immagino”

Rebecca la guarda e non sente il bisogno di giustificare la sua decisione. Non l’ha mai sentito. Quello che Arianna non vuole vedere non è affar suo. La verità -la sanno tutte e quattro, benché evidentemente non sia passato ancora abbastanza tempo per essere accettata- è che l’unica cosa che Rebecca potesse fare era andarsene ed è esattamente quello che ha fatto.

Il punto è che ora sta meglio. Ora ha quello che voleva quando era una bambina con il ginocchio sbucciato. Mentre Arianna, lei cos’ha?

Una vita di plastica?

“Dì quello che vuoi. È stato bello, comunque. Le ragazze si chiamavano Kate e Lia. Kate sorrideva sempre e parlava poco. Le tue come si chiamano?”

È il primo vero sorriso che vede sul volto dipinto di Arianna quello che nasce. Deve voler molto bene alle due piccole. Nonostante sembrino.

Piccole, fragili bambole senza un perché. Ma Rebecca non è mai stata una cima nelle prime impressioni.

“Ambra e Beatrice” indica una foto alle sue spalle. “Bea è quella coi capelli mossi e scuri, mentre Ambra. È così intelligente, penso che ti piacerebbe. Lei adora i tuoi libri”

Rebecca fissa la foto, cercando di darle più attenzione della prima volta. Eppure, no, sembrano sul serio piccole bambole istruite ad arte per il loro ruolo.

Splendide facciate di una famiglia che dovrebbe essere altrettanto splendida.

Ma forse -così spera- si sta sbagliando. E la piccola con i ciuffi castani diventerà un ottimo medico, mentre occhi d’ambra (quasi scontato il motivo del nome, dopo averli notati) sceglierà una carriera più artistica.

Chissà.

Quello che vede, in ogni caso, non riesce a cambiare.

“Sono sicura che sono delle brave bambine” dichiara, finendo il the al limone dentro le tazza. Perché sono finite a parlare di bambine? Dovrebbero parlare delle loro vite, dovrebbero raccontarsi i piccoli, insignificanti segreti che non sono riuscite a condividere. Dovrebbero.

Ma non è la sua Arianna. Non è la ragazza tutto pepe e fruscii di capelli corti, rossetti troppo brillanti e tacchi a volte esageramene alti. È una donna severa, distante e che non conosce.

Del resto come può pretendere di tornare e ritrovare camere piene di poster e vite cristallizzate, in attesa della sua bacchetta magica a farle ripartire? È stupido anche solo pensarlo.

Così, mentre ascolta Arianna parlare in quel tono che ormai dovrà imparare a riconoscere come suo, si domanda dove sia ciò per cui è tornata.

Quando, più tardi, si lascia la villetta brianzola di Arianna alle spalle sospira. È come se tutto quello che ha ricordato con nostalgia in questi anni fosse evaporato, come acqua sotto un sole troppo caldo.
 

houses, original

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