E tu hai giocato la tua carta, è piuttosto carina.
Ah, quando mi sorridi sai esattamente cosa fare,
tesoro, non fingere che non sai che è vero
perché puoi capirlo quando ti guardo.
E in questa vita pazza, e attraverso questi pazzi tempi
sei tu, sei tu, che mi fai cantare
sei ogni frase, ogni parola, sei tutto.
I bottoni erano un’invenzione infida, un’invenzione infida e malvagia. Teddy se ne accorse per la prima volta quel sabato sera, mentre - in piedi davanti allo specchio - chiudeva e scioglieva l’ultimo occhiello di una bella camicia blu per quella che doveva essere la millesima volta, indeciso se lasciare il collo scoperto o meno.
L’improvviso e familiare rombo di una moto, proprio sotto casa, lo distrasse. Gettò un’occhiata all’orologio d’oro che, come da tradizione, Harry gli aveva regalato quando aveva raggiunto la maggiore età e strabuzzò gli occhi: erano le otto spaccate. James non era mai in orario.
Il campanello suonò e lui pensò che il giorno dopo sarebbe scoppiata l’Apocalisse, perché doveva di certo essere la fine del mondo. Aprì la porta con circospezione, quasi aspettandosi che si trattasse di un venditore porta a porta e non del suo migliore amico, invece Jamie era proprio lì, poggiato contro la sua Harley e vestito di una semplice maglietta nera aderente e pantaloni dello stesso colore.
Era… carino, pensò Ted, dandosi del coglione un attimo dopo. Chiunque con un minimo di buongusto avrebbe oggettivamente ammesso che James Sirius Potter era bello e quella sera non era soltanto “carino”, era sexy.
Deglutendo a fatica, scosse la testa per scacciare quei pensieri e lo salutò con un incredulo: «Chi sei tu, dove hai messo James?»
«E va bene, mi hai scoperto» rispose l’interpellato, avvicinandosi con sguardo cupo e minaccioso «sono Mirtilla Malcontenta, ho preso possesso di questo corpo per sedurti» concluse fermandosi a pochi centimetri da lui.
Si guardarono seriamente per quasi cinque secondi, poi le labbra di James cominciarono a tremolare e scoppiarono entrambi a ridere. Teddy sentì tutta l’ansia provata fino a quel momento scivolare via e sorrise quando il ragazzo più giovane si voltò, montando di nuovo sulla moto e mostrandogli la scritta sul retro della maglietta: “Io non invecchierò, sono come una stella cadente”*. Era così tanto da lui che il Metamorfomagus alzò gli occhi al cielo con rassegnazione.
«Sai che si dovrebbe usare il casco?» gli fece notare, sedendosi alle sue spalle.
«Certo, infatti nel Mondo Magico è pieno di vigili pronti a farmi la multa» rispose, rivolgendogli un ghigno malandrino. «Reggiti forte» aggiunse, prendendo il volo subito dopo.
Lupin si strinse a lui, mentre ascendevano sempre più in alto, borbottando qualcosa sull’allergia dei Potter alle regole.
Parcheggiarono in un vicoletto buio e deserto della Londra babbana e, non appena scesero dalla moto, James provvide a Disilluderla e proteggerla con un Incantesimo d’Allarme.
«Per di qua» lo guidò verso sinistra, posando una mano alla base della sua schiena, non appena uscirono dalla stradina. «Dobbiamo fare un pezzo a piedi, ma non è lontano» gli spiegò e Ted non fece quasi caso a alla carezza lungo la propria colonna vertebrale, tanto era abituato al contatto fisico con lui - quasi.
«Cos’hai organizzato?» domandò, mentre s’incamminavano verso la meta.
«Lo vedrai presto» rispose il Grifondoro con fare cospiratorio.
«Non sarà qualcosa d’imbarazzante come quella volta che mi hai trascinato al Tranello del Diavolo, vero?» chiese sospettoso e il più giovane ridacchiò.
«No, niente discoteca gay, promesso. Anche se è sabato sera» gli assicurò, poi lo tirò per una manica «Siamo arrivati» annunciò.
In realtà, Teddy si era aspettato qualcosa di semplice, forse anche un po’ infantile, come una cena da McDonald seguita da un film al cinema, ma non quello.
Era un locale piccolo, con la porta a vetri decorata da due draghi elaborati ed illuminata da lanterne rosse. Un ristorante cinese. James aveva davvero prenotato un tavolo in un ristorante. Certo, un ristorante abbastanza economico, ma pur sempre un ristorante e Lupin sospettava che l’avesse fatto perché sapeva che lui amava la cucina orientale.
Va bene, doveva ammetterlo, si sentiva un po’ - giusto un po’ - lusingato.
«Entriamo?» lo riscosse il ragazzo con un sorriso gentile e l’altro lo seguì senza preoccuparsi di rispondere.
Il locale era piccolo, ma elegante e, avendo fortunatamente le cucine ben lontane dai tavoli, l’aria non era oppressa dall’odore di frittura, anzi era impreziosita da un lieve profumo d’incenso. Le pareti erano coperte da specchi istoriati, per dare un’impressione di maggiore ampiezza e l’illuminazione era bassa per via dei tipici lampadari cinesi, ma creava un’atmosfera romantica insieme alle candele che galleggiavano in delle coppe d’acqua poste su ogni tavolo.
Mentre lui si guardava attorno, James diede il proprio nominativo ad un cameriere, che li guidò ad un tavolino un po’ defilato, sul fondo della sala.
«E’ un posto carino» ammise Teddy, mentre si accomodavano.
«Si mangia benissimo» gli assicurò l’amico, arraffando un menù.
Consultarono l’elenco dei cibi in silenzio e dopo qualche minuto, quando il cameriere tornò, fecero le loro ordinazioni.
«Niente involtini primavera, stavolta?» domandò il Metamorfomagus, sapendo che erano i suoi preferiti.
«Meglio evitare le cipolle, per stasera» rispose Potter, versandogli un bicchiere d’acqua e, alla sua occhiata interrogativa, chiarì: «Non sono l’ideale ad un appuntamento» scoccandogli un sorriso malizioso.
Ted si sentì soffocare dall’imbarazzo. Che idiota, si era appena fatto dare lezioni da un ragazzo che aveva sei anni meno di lui. Fu davvero tentato di nascondersi di nuovo dietro al menù e far finta di consultare già la lista dei dolci, ma il sorriso di Jamie si addolcì in qualcosa di così morbido che lui si sentì arrossire per tutt’altra ragione.
«Come va il lavoro?» il ragazzo decise pietosamente di non infierire e Lupin gliene fu oltremodo grato.
«Bene, un po’ noioso a dire il vero» replicò con sollievo.
«Di cosa ti stai occupando?» insistette il Grifondoro con la sua tipica ed incrollabile curiosità
«James, sai che non posso parlarti di una missione finché non è conclusa» sospirò, ben sapendo che non si sarebbe comunque arreso.
Ed infatti l’altro cercò di blandirlo: «Oh avanti, ormai sono una Recluta, siamo quasi colleghi».
«Non è niente d’avvincente, stiamo facendo degli appostamenti per controllare alcuni sospettati. I turni sono a rotazione, quindi sono riuscito ad avere la giornata libera, ma domani dovrò lavorare» si arrese, dandogli giusto un accenno.
«Non vedo l’ora di cominciare le lezioni, sono stanco di stare con le mani in mano» sbuffò James.
«Inizieranno il primo settembre, come a Hogwarts, quindi manca poco» lo rassicurò il più grande «Il primo periodo non sarà un granché, per te, ti ritroverai di certo avanti con il programma, ma poi si farà più dura. Se ti impegni seriamente, potresti perfino riuscire a diplomarti prima dei tre anni minimi, come ho fatto io; in fondo essere figlio di Harry Potter serve a qualcosa».
«Non voglio avere agevolazioni perché sono l’erede del Salvatore del Mondo Magico» rispose indignato.
«Non intendevo questo» esordì Ted, ma s’interruppe quando il cameriere portò le loro ordinazioni. «Probabilmente non ci hai mai fatto caso, io stesso me ne sono accorto solo qualche anno fa, ma fin da piccoli tuo padre, Ron, Hermione e gli altri hanno fatto in modo di addestrarci».
«Cosa?!» esclamò James stralunato.
Il più grande annuì con serietà: «Ricordi tutte le cacce al tesoro e le corse ad ostacoli che organizzavano per noi, quando eravamo bambini? Era un modo per allenare i nostri corpi e le nostre menti. Siamo i figli degli eroi della guerra e come tali eravamo i bambini a più alto rischio di rapimento» gli spiegò «E il loro metodo ha avuto ottimi risultati. Hai mai notato che nessuno di noi ha difficoltà in Difesa Contro le Arti Oscure? E poi tu in particolare ci sei portato, sembri nato per questo lavoro».
«Grazie» Potter gli regalò uno dei suoi sorrisi più luminosi. «Tra qualche anno potremmo perfino essere partner, visto che gli Auror freschi di Accademia vengono assegnati a quelli più esperti e mio padre conosce la nostra ottima interazione. Sarebbe fantastico, non trovi?»
Il Metamorfomagus fissò i suoi ravioli di verdure con aria truce: «A dire il vero, no» e quando vide il sorriso di James sparire, chiarì: «Io sono nella Sezione Speciale, ci occupiamo dei casi più pericolosi e in battaglia siamo sempre in prima linea. Non vorrei saperti in pericolo».
«Benvenuto nel mio mondo» ironizzò cupamente l’amico «Cosa credi che provi tutte le volte che sei in missione e non ho notizie di te per giorni, a volte addirittura per settimane? Forse pensi che ci sono abituato per via di mio padre, ma non è così, non ci si abitua mai. Almeno come tuo collega potrei coprirti le spalle»
Teddy rimase a bocca aperta: «Non credevo che fosse per questo che vuoi diventare un Auror» soffiò esterrefatto.
«Be’, no… non solo, perlomeno. Voglio diventarlo per fare qualcosa di utile per la nostra società e perché amo il rischio, lo sai. Ma devo ammettere che tu hai avuto peso nella scelta» spiegò il ragazzo, arrossendo lievemente.
Oddio, ma da quand’era che James provava quei sentimenti? E perché lui non si era accorto di niente?!
«Jamie, da quand’è che… sei interessato a me?» mormorò imbarazzato.
Il Grifondoro lo fissò con uno sguardo tra l’esasperato ed il rassegnato: «Solo tu potresti fare una domanda simile» bisbigliò, poi posò le bacchette e prese un sorso d’acqua. «Non era la naturale evoluzione degli eventi?» aggiunse, come se fosse la cosa più ovvia, ma evidentemente per l’altro non lo era, così fu costretto ad ammettere: «Sei sempre stato tutto ciò che desidero, Ted».
Questi rimase senza fiato, con la testa assolutamente vuota, o - per meglio dire - così satura di pensieri da non riuscire ad afferrarne nemmeno uno. Era tanto convinto della solidità del loro rapporto da non essersi mai reso conto di quanto fosse esclusivo. No, non è vero, dovette ammettere poi. Sapeva benissimo che James per lui era speciale, che per quanto volesse bene ad Albus e Lily e li considerasse come fratelli, lui era qualcosa di più.
A distrarlo furono delle risatine moleste a qualche tavolo dal loro. Tre ragazze stavano cenando insieme; una di loro - bionda, quasi anonima - era arrossita fino alle orecchie e le amiche ridacchiavano, punzecchiandola con insistenza e guardando nella direzione di Ted.
Era piuttosto chiaro quale fosse il motivo del loro comportamento e l’Auror riportò lo sguardo sul piatto, vagamente a disagio. Insomma, potevano anche immaginare che due ragazzi che cenavano da soli il sabato sera non fossero affatto interessati al genere femminile. Ma poi sussultò, lasciandosi sfuggire il boccone che aveva appena acchiappato con le bacchette, quando sentì un piede scontrarsi con il proprio sotto al tavolo. Cercò di non farci caso, sicuramente non si trattava di un gesto voluto, però dovette ricredersi quando, dopo qualche secondo, l’arto incriminato risalì dalla sua caviglia al ginocchio e viceversa, in una lieve carezza.
Sentì le guance andare a fuoco e alzò il capo, incontrando lo sguardo dell’amico. James gli stava facendo piedino? Il ragazzo gli rivolse il più innocente dei sorrisi, smentito senza remora dalla luce maliziosa nei suoi occhi scuri.
«Com’è il pollo alle mandorle?» chiese Potter, come se nulla fosse.
«Ottimo» si sforzò di rispondere lui, riprendendo a mangiare, ma con sua sorpresa il Grifondoro gli afferrò il polso con cui reggeva le bacchette e si portò alla bocca il pezzetto di carne che aveva appena preso.
«Sì, è buonissimo» concordò subito dopo, senza lasciare la presa.
Ted avrebbe davvero voluto ribattere, ma… da quando le mani di James erano così grandi? Era abituato ad averle addosso - che lo cercavano, lo sfioravano, lo stuzzicavano, lo colpivano, lo accarezzavano - ma le ricordava più piccole, più infantili. Come quando quella peste aveva ancora sei anni e non lo lasciava studiare in santa pace.
Un giorno - pur di distrarre il bambino - aveva spremuto le tempere in un piatto e gli aveva fatto immergere il palmo nel colore, facendoglielo poi imprimere su un foglio bianco. Ovviamente non aveva funzionato, due ore dopo si erano ritrovati entrambi sporchi di tinta fino ai capelli, e la pergamena era piena delle impronte delle mani di entrambi. Teddy non l’avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura, specie davanti a James, ma ce l’aveva ancora conservata.
Ora le sue mani erano quelle di un adulto: grandi, forti e leggermente callose per via del Quidditch. Le dita erano lunghe ed affusolate, le unghie corte e curate - non quanto quelle di una donna, certo, ma non erano rosicchiate per il nervosismo, come le sue. Quelle mani erano belle, realizzò.
«Tutto bene, Teddy?» lo riscosse il loro proprietario, accarezzandogli l’interno del polso con il pollice.
L’interpellato sviò lo sguardo e fu allora che si accorse delle tre ragazze rimaste impalate a guardarli. Avevano gli occhi grandi quanto piattini da caffè e lui dovette mettercela tutta per non scoppiare a ridere.
«L’hai fatto apposta» bisbigliò all’amico, sporgendosi leggermente verso di lui.
«No, cosa te lo fa pensare?» replicò James con voce falsissima, ghignando malandrino.
Lupin sorrise divertito. L’avvertiva, attraverso la mano che ancora gli stringeva il braccio, era un sensazione familiare - calda - che non aveva mai saputo del tutto definire, ma che quel ragazzo gli aveva trasmesso fin da quando era bambino; gelosia? No, non era esattamente quella. Affetto, possessività? Nemmeno. Più probabilmente era un concentrato delle tre e non lo infastidiva affatto, lo faceva sentire prezioso - desiderato.
Sotto il suo sguardo, gli occhi scuri del Grifondoro si socchiusero, le guance s’imporporarono lievemente e il labbro inferiore venne catturato dai denti bianchi, mentre gli restituiva un’occhiata indecifrabile attraverso le ciglia lunghe e arcuate. Ted perse un battito; la conosceva quell’espressione, era quella che Jamie assumeva quando desiderava così tanto qualcosa da non riuscire a rivelare di cosa si trattava - incredibile, ma a volte succedeva.
Come quando da piccolo faceva un incubo e voleva dormire con lui. Si fermava in piedi accanto al suo letto e lo fissava con insistenza, finché lui non si svegliava e capiva cos’era successo. Stavolta, però, non riusciva a comprendere di cosa si trattasse.
Si mosse d’istinto, posò una mano sotto il suo mento e gli fece alzare il viso, in modo da incontrare per bene il suo sguardo. Non si sorprese di vederlo scoperto, quasi indifeso, ma c’era una scintilla più cupa sul fondo di quegli occhi scuri, selvaggia ed il fremito che gli trasmise gli fece seccare la bocca.
Non aveva mai visto niente di simile negli occhi del suo migliore amico e all’improvviso si accorse di quanto, fino a quel momento, l’avesse sottovalutato. Credeva di conoscerlo così bene ed era tanto sicuro del loro rapporto da averlo dato per scontato. Ma, si rese conto solo in quel momento, non c’era assolutamente nulla che legasse James a lui nel senso stretto del termine - nessun legame di sangue o altro - se non la sua volontà. In qualunque momento avrebbe potuto decidere di rivolgere le attenzioni che donava a lui a qualcun altro - non che Lupin credesse davvero che potesse accadere, ma l’amico era comunque libero di fare ciò che gli pareva - e questa era un’eventualità che non solo non riusciva a contemplare, ma che non sarebbe stato in grado di accettare.
«Mi dispiace» farfugliò con urgenza e il ragazzo gli rivolse un’occhiata perplessa.
«Per cosa?»
«Per essere così ottuso, suppongo» asserì costernato.
Potter sorrise rassicurante, portando una mano ad afferrare quella che ancora gli sfiorava il viso. «Tu non sei “ottuso”, solo… ingenuo, direi» obbiettò.
«Non sono ingenuo» il Metamorfomagus scosse il capo contrariato.
«Si invece, certe volte dimostri l’innocenza di un bambino, tendi sempre a vedere il lato migliore della persone» chiarì il più giovane.
«No, ti sbagli. Sono un Auror, so bene che il mondo è pieno di feccia».
«Ma questo quando hai a che fare con i criminali. Non vedi il lato oscuro delle persone che conosci, Teddy».
«Lo vedo, invece» gli assicurò «È davanti a te che mi trasfiguro in un idiota» ammise poi.
Un sorriso tenerissimo si dipinse sulle labbra di James, insieme ad un’ombra di rossore: «Sono felice di essere l’unico a cui riservi questi momenti d’idiozia» sussurrò con una dolcezza che prese il più grande totalmente alla sprovvista.
Osservò le loro mani strette e corrucciò un po’ la fronte. «Poggia il palmo qui» ordinò, aprendo la propria e il Grifondoro perplesso eseguì la richiesta.
Come aveva immaginato, la mano di James era più grande della sua, le dita erano più lunghe di quasi una falange intera. E dire che lui era stato il Portiere di Corvonero, ad onor di logica avrebbe dovuto avere le mani più grandi. Che smacco!
Il più giovane ridacchiò: «Ricordo quando queste mani mi sembravano così grandi da potermi proteggere dal mondo intero» mormorò, intrecciando le dita alle sue «Permettimi di ricambiare il favore, ora» arrossì in una maniera che Teddy reputò deliziosa «Io… lo sai, non sono bravo con le parole, lascia solo che te lo dimostri con i fatti» lo pregò.
«Lo sto facendo,» gli assicurò lui «sono qui per questo».
«Grazie» bisbigliò Potter e l’amico decise che era arrivato il momento di riportare il discorso su un argomento più leggero.
«Il tuo pollo alla piastra si sta freddando» gli fece presente, andando a rubarne un pezzettino con le bacchette.
«Qualcuno mi ha distratto» polemizzò lui con falsa indignazione.
«Ah sì? Chi è questo villano?» domandò Lupin con finto stupore.
«Uno strano tizio con i capelli blu. Hai visto passare qualcuno del genere, per caso? Devo proprio dargli una lezione» replicò il Grifondoro.
«No, deve essermi sfuggito. Sai com’è, qualcuno si è impossessato della mia mano» spiegò stringendo leggermente le dita del ragazzo, ancora intrecciate alle sue, senza tuttavia fare alcun cenno a scioglierle.
«Il mondo è proprio pieno di svitati» ribatté comprensivo il più giovane e, non appena i loro sguardi s’incrociarono di nuovo, scoppiarono a ridere senza ritegno.
Un quarto d’ora e diverse battute sciocche dopo, si lasciarono vincere dal cibo e chiesero il conto. James non gli permise nella maniera più assoluta di pagare, saldando il conto per entrambi, dopo di che lo trascinò con entusiasmo fuori dalla porta: «Diamoci una mossa, la serata non è finita!» esclamò quella che, alle orecchie dell’Auror, parve quasi una minaccia.
«Dove mi porti?» chiese allora, assecondandolo però di buon grado.
Jamie camminava all’indietro, tirandolo per entrambe le mani, incurante di dove mettesse i piedi. «E’ vicino» lo rassicurò.
«Guarda dove vai» lo rimproverò Teddy, tirandolo a sé prima che mettesse il piede in una buca e scivolasse all’indietro.
Potter si ritrovò praticamente sbattuto contro il suo petto - quelli erano i momenti in cui ricordava che sullo Stato di Sangue di Lupin vi era la voce “ibrido” - strapazzato da un forza ben superiore al normale. «Ops!» soffiò, incassando un’occhiataccia e ringraziandolo con un sorriso. Riprese a camminare al suo fianco, come se niente fosse, e l’amico sospiro sconfitto.
«Non cambierai mai» borbottò il Metamorfomagus.
«In un certo senso questo è rassicurante, no?» replicò il più giovane facendogli l’occhiolino e guidandolo in una traversa.
Ted si chiese seriamente perché a quella peste fosse sufficiente un sorriso per farsi perdonare ogni cosa, piccola o grande che fosse, ma dimenticò quel pensiero quando il Grifondoro lo trascinò dentro un altro locale dalle luci piacevolmente basse.
Il pavimento era di un caldo parquet color miele, le pareti di un soffice color crema erano tappezzate di rastrelliere e lo spazio era occupato da una decina di alti tavoli di mogano lucido, con il ripiano tappezzato di feltro verde. Una sala da biliardo.
Il suo sguardo si fece immediatamente più affilato. Era da un po’ che non si sfidavano a quel gioco e James gli sussurrò provocatoriamente all’orecchio: «Pronto ad essere battuto?»
«Come no! Intanto vediamo se hai imparato a giocare» replicò, sopprimendo un brivido quando il suo fiato gli sfiorò il collo.
Solo tre o quattro tavoli erano occupati e i due ragazzi ne scelsero uno convenientemente in disparte, per evitare che qualche loro discorso attirasse l’attenzione dei babbani.
«Inizia tu» offrì il Grifondoro, una volta sistemato il triangolo.
Teddy l’osservò sfregare con nonchalance il gesso sulla punta della stecca, poi dedicò la propria attenzione alle biglie e si chinò sul tavolo per spaccare. Con uno schiocco forte e soddisfacente le biglie si sparsero sul campo, dando inizio al gioco.
«Le piene sono mie» dichiarò, quando una di esse cadde in buca. Girò attorno al tavolo, osservando dall’alto la situazione, prima di piegarsi nuovamente ed imbucare un’altra palla; tuttavia, al tirò successivo, sbagliò.
«Steccata» lo sbeffeggiò il più giovane, prima di imbucare con un solo colpo ben due biglie rigate.
«Calma e gesso, il gioco e appena cominciato» gli fece presente lui.
Si lasciarono assorbire entrambi dalla sfida, dedicando alla partita la totale attenzione. Potter si muoveva con una tale sicurezza che era un piacere osservarlo: scrutava la situazione con sguardo da falco e girava attorno al tavolo come se sorvolasse il proprio territorio in cerca di una preda. Si accovacciava per osservare il piano dalla linea di gioco e poi si tirava di nuovo su fluidamente, mandando le biglie in buca con un talento invidiabile.
L’Auror lo vide piegarsi con aria concentrata sul tavolo per l’ennesima volta e lasciò scivolare lo sguardo sulla curva sinuosa della sua schiena e sul sedere coperto dai jeans oltraggiosamente aderenti.
«Ti piace quello che vedi?» domandò il ragazzo, senza nemmeno voltarsi, sorprendendolo in flagrante delicto.
“Ma ha gli occhi anche sulla nuca?” si chiese l’interpellato, sentendosi arrossire come una scolaretta. «E’ un sotterfugio per distrarmi?» replicò invece.
«Cosa, essere sexy? Mi dispiace, quello non dipende da me, sono nato così» ghignò malandrino.
«Non si può dire lo stesso per la modestia. Temo che quella l’abbia ereditata tutta Albus» il più vecchio alzò gli occhi al cielo, prima di prendere la mira per colpire.
«Già, lui somiglia a papà, ma sono loro i Potter anomali, io sono perfettamente in linea con il carattere della famiglia» argomentò il Grifondoro.
«Forse i nomi danno i doni» teorizzò Lupin, imbucando un’altra biglia.
«Questo spiegherebbe molte cose» convenne James ridacchiando.
Sorprendentemente - o forse no - la serata si concluse per Ted con due partite vinte contro una.
«Voglio la rivincita!» pretese il più giovane.
«La prossima volta» lo imbonì l’amico, sospingendolo verso la porta.
«Ci sarà una prossima volta, allora?» domandò il ragazzo, all’improvviso più serio. Sorrideva, ma lui riusciva a distinguere un’ombra d’ansia nei suoi occhi scuri.
Teddy lo scrutò per qualche secondo, umettandosi nervosamente le labbra. Una volta sola, si era detto, per dargli un possibilità e non ferirlo, scartandolo a priori solo perché era “Jamie”. Ma qualunque cosa avesse fatto, da quel momento in poi non lo avrebbe più guardato allo stesso modo, non sarebbe stato più solo il suo migliore amico, un fratello acquisito. Avrebbe visto un uomo. Eppure erano sempre loro due, con tutte le cose che li univano e tutte quelle che li dividevano.
«Be’, non sarà di certo l’ultima volta che giocheremo insieme» si risolse a rispondere e dal silenzio di James comprese il fatto che non gli fosse sfuggito l’uso del verbo “giocare” - giocare, non uscire.
L’amico camminava di fianco a lui, senza dire una parola, le mani infilate in tasca e lo sguardo basso. La linea delle sue spalle era un po’ curva, forse a causa della posa delle braccia; in qualche modo sembrava sconfitta. Alzò lo sguardo al cielo, cercando le stelle oltre la coltre di fitte nubi: «Sta per piovere» notò «Sarà meglio sbrigarsi a rientrare» aggiunse, accelerando il passo.
Il viaggio in moto fu più breve del previsto, forse perché James volava più veloce dell’andata, o più probabilmente perché stavolta non fece nulla per allungare il tragitto. Fu rapido, ma soprattutto fu silenzioso. Nessuno dei due aprì bocca e, anche se avrebbe voluto abbracciarlo, Ted ritenne fosse meglio non farlo, così rimase distante.
Quando atterrarono, si sorprese di vedere anche l’amico smontare ed accompagnarlo fino alla porta.
«Grazie per stasera, Teddy» sussurrò il ragazzo, posando una mano sulla porta.
«Sì… io… mi sono divertito» smozzicò lui, ma tutto ciò che riuscì razionalmente a pensare fu che James gli aveva appena bloccato l’unica via di fuga.
Frugò nelle tasche alla ricerca delle chiavi, riflettendo su cosa sarebbe stato meglio fare. Normalmente l’avrebbe invitato ad entrare, si sarebbero buttati sul divano a bere qualcosa e forse Jamie sarebbe perfino rimasto a dormire. Ma quella non era una situazione “normale” e l’Auror aveva il terrore di dargli l’idea sbagliata invitandolo a casa.
C’era troppo in gioco, la loro amicizia, ma non solo: la loro famiglia. Non poteva lasciarsi andare, semplicemente non poteva. Come avrebbero preso una loro eventuale relazione Harry e i Weasley? E cosa sarebbe accaduto se fosse finita male? Ne aveva già avuto un assaggio quando, dopo qualche mese di relazione, aveva lasciato Victoire ed aveva rivelato loro di essere gay. Non voleva nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto accadere stavolta.
«So cosa stai pensando, Ted» lo riscosse l’amico, attirando di nuovo il suo sguardo su di sé «Quello che mi offende è che tu non creda che io ci abbia pensato» poggiò una spalla contro la porta ed incrociò le braccia, fissandolo duramente. «Sono giovane, non stupido e mi piace rischiare, ma non sono un irresponsabile» gli ricordò. «Io ho avuto molto tempo per rifletterci, perciò non ho intenzione di metterti fretta. Se sono qui, però, è perché la mia conclusione è stata una sola: tu sei più importante di tutto il resto» rivelò «Capisco anche che tu creda di rischiare molto di più, rispetto a me. Quindi farò tutto ciò che è in mio potere per dimostrarti che questa storia può funzionare e, soprattutto, troverò il modo per farti capire che io sono tutto quello che cerchi e tutto ciò di cui hai bisogno» concluse con una fermezza che lasciò il più vecchio senza parole. I suoi occhi erano fiammeggianti e duri come granito, non era lo sguardo capriccioso di un ragazzo, ma quello inarrestabile di un uomo innamorato.
Si staccò dalla porta con un movimento fluido, lasciando il Metamofomagus ancora lì imbambolato ad assimilare le sue parole, ma dopo qualche passo si fermò.
«Ah, Ted» lo chiamò, come se si fosse dimenticato qualcosa e, quando questi si voltò a guardarlo, lo afferrò per un braccio e lo attirò a sé, premendo con prepotenza le labbra sulle sue.
Sarebbe potuto essere violento, dato il modo in cui denti rischiarono di cozzare, invece fu morbido, caldo e breve - troppo breve.
«Buonanotte» terminò con un sorriso fugace.
FINE CAPITOLO 1°.
*La frase sulla maglietta di James è una citazione di Jim Morrison.
Note finali: Io ci provo ad essere serie in fase di betaggio, giuro! Il problema è che, in mezzo alle note giustissime e ponderatissime di
koorime_yu , trovo anche roba simile:
«[…] Forse pensi che ci sono abituato per via di mio padre, ma non è così, non ci si abitua mai. Almeno come tuo collega potrei coprirti le spalle» (Teeeeeeeeeeeeeenero! <3<3<3).
Oddio, ma da quand’era che James provava quei sentimenti? E perché lui non si era accorto di niente?! (Perché sei un tordo! Ehm, scusa, ma se l’è chiamata XD)
«Com’è il pollo alle mandorle?» chiese Potter, come se nulla fosse. (Oh, sbaaaaaaav! =O= Per il pollo XDDDD)
Ovviamente non aveva funzionato, due ore dopo si erano ritrovati entrambi sporchi di tinta fino ai capelli, e la pergamena era piena delle impronte delle mani di entrambi. Teddy non l’avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura, specie davanti a James, ma ce l’aveva ancora conservata. (Questa storia delle mani è di una tenerezza immane, awn! Davvero, l’adoro, letteralmente! *-*<3<3<3)
L’interpellato sviò lo sguardo e fu allora che si accorse delle tre ragazze rimaste impalate a guardarli. Avevano gli occhi grandi quanto piattini da caffè e lui dovette mettercela tutta per non scoppiare a ridere. (Ragazze inutili U_U una vera slasher avrebbe scattato foto a gogò ù_u)
«Buonanotte» terminò con un sorriso fugace. (Grande Jamie! Fagli vedere chi sei! Stupido, pauroso Teddy Bear >__>)
Mia madre sembra essersi arresa all’inevitabile fatto che rido da sola davanti al PC, ma credo che di nascosto abbia comprato una camicia di forza.
Ora, io ho aggiornato prima perché siete stati tanto carini nei commenti, quindi voi non mi deluderete, vero? ;) *in realtà ha semplicemente paura che il fluff abbia ucciso i lettori*
La dolcissima
aida_serpe ha disegnato una carinissima Fan-Art di questo capitolo e di quello precedente, la trovate
QUI.
Capitolo sucessivo:
-
2. Secondo Appuntamento.
-
3. Terzo Appuntamento.
Potete trovarlo anche su:
EFP;
Nocturne Alley;