Titolo: A Baby In A Trenchcoat
Fandom: Supernatural
Personaggi: Dean/Castiel
Rating: Rosso
Avvertimenti: Slash, AU
Disclaimer: I personaggi descritti non mi appartengono e la storia non è scritta a fini di lucro.
Note: L'idea è venuta all'improvviso, mentre stavo pensando ad una storia tutta diversa. Ora, ho questo problemino che quando inizio a scrivere una long, se non pubblico subito, tendo a cancellare in breve il primo capitolo e così niente storia, anche quando la trama poi c'è tutta. Quindi pubblico, sperando che, come è giù successo, questo mi dia l'impulso di continuarla. Naturalmente, pareri e consigli sono sempre accettati ;) Buona lettura!
Riassunto: "L’uomo era maledettamente carino e lui era ubriaco e gli ubriachi fanno una cazzata per minuto, quindi in fondo era giustificato. E poi l’altro non aveva ancora smesso di guardarlo e la cosa sarebbe stata inquietante se solo Dean non avesse cose più urgenti da fare.
Complice il fatto di avere casa proprio dietro l’angolo, Dean riprese a baciare lo sconosciuto, che non sembrava avere alcuna intenzione di fermarlo, e iniziò a trascinarlo verso la porta d’ingresso. Era una notte tranquilla e deserta, ma probabile che anche in un centro commerciale, nelle condizioni in cui si trovava, Dean non ci avrebbe fatto caso. Le labbra dell’altro erano screpolate e gonfie e il respiro mescolato e mancato gli faceva girare la testa. Tutto era così inebriante e perfetto e libero, perché era solo istinto a guidare la nave ora e lui si sentiva bene e bene era una di quelle sensazione che non lasci scivolare facilmente."
Seconda parte
La situazione era a dir poco assurda.
“Hai un nome, giusto? O devo continuare a chiamarti moccioso dagli occhi blu?”
Dean distolse lo sguardo dalla strada per un secondo. L’uomo con cui aveva passato per errore la notte, era attualmente seduto dalla parte del passeggero e come sembrava solito fare, lo stava fissando intensamente, quasi volesse sondare a fondo corpo e anima di quell’essere comune chiamato Dean Winchester. C’era qualcosa di così strano nei suoi occhi, qualcosa di alieno, che Dean si ritrovava spesso scosso dai brividi a causa loro. Forse iniziava a capire il perché della sua scelta da ubriaco. Accecato dalla foschia dell’alcool, doveva aver visto quegli occhi come le luci di un faro.
L’uomo corrucciò la fronte, disegnando linee contrariate nella pelle.
“Non sono un moccioso.” Iniziò a dire, prima di rilassarsi e continuare. “Il mio nome è Castiel, Dean Winchester.”
Dean si voltò di nuovo a guardarlo, le labbra leggermente dischiuse per la sorpresa.
“Come fai a sapere il mio nome?” Chiese accigliato, mentre una vocina nella sua testa - fin troppo simile a quella di Sammy, il suo fratellino - continuava a ripetergli “allarme” con un’inquietante intermittenza. Possibile che la notte prima avesse abbordato una sorta di maniaco? Un serial killer?
Castiel accennò un sorriso, che in realtà era solo una debole piegolina delle labbra all’insù.
“Si imparano molte cose osservando la casa di una persona.” Rispose con voce professionale, come se stesse citando un manuale. Forse era uno psicopatico?
“Dean, dovresti guardare la strada.” Lo avvertì pacato e a Dean venne quasi un infarto, quando si accorse che stava per finire contro un camion. Il battito del cuore accelerato coprì solo in parte il suono indignato del clacson dell’altro veicolo.
“Porca puttana! Questa è colpa tua, sai?” Non si voltò a guardarlo, stavolta, certo che con il prossimo sguardo avrebbe firmato la sua condanna a morte, ma poteva comunque percepire la contrazione di quegli occhi sempre fissi e la confusione che lampeggiò in loro.
“Come può questo essere colpa mia?” Chiese, più curioso che indignato per l’accusa.
“Be’, sai, con tutto quel tuo fissare. E’ inquietante, uomo! La smetti?”
“No”
“Perché no?”
“Mi piace guardarti”
Sì, uno psicopatico.
Dean scosse la testa, ben conscio che discutere sarebbe stato del tutto inutile. Poteva non conoscere nulla dell’uomo che gli sedeva accanto, ma sapeva riconoscere una battaglia persa quando questa si mostrava e aveva da tempo imparato a non intraprendere battaglie simili. Finiva sempre male, come, d’altronde, era sempre finita tra lui e suo padre. John Winchester, un buon uomo, ma testardo contro ogni aspettativa. Litigavano spesso quando era più giovane e adesso Dean aveva imparato la lezione: è meglio assecondare, invece che discutere. Se solo anche suo fratello riuscisse a capirlo.
“Cosa stai pensando?” Castiel lo distolse dai suoi pensieri a voce bassa, come se si stesse addentrando in un luogo sconosciuto e pericoloso.
“Niente di importante.” Rispose Dean. “Ecco, siamo arrivati.”
Dean parcheggiò l’auto, una bellissima Impala del ’67, in un piazzale per lo più vuoto, se non si tenevano in conto le numerose scatole sparse in giro. Scese in fretta, ansioso di iniziare. Castiel lo seguì con più calma.
“Lavori qui?” Chiese curioso, osservando i dintorni.
Dean si voltò verso di lui, sorridendo come un bambino la mattina di Natale.
“Ti piace? Questo è solo lo spazio aperto, però. Il bello è lì dentro” Esclamò entusiasta, indicando la porta di un garage. Subito si affrettò ad aprirla. All’interno, il garage pareva molto piccolo, ma in realtà era solo una sensazione dovuta alle numerose scatole e attrezzature sparse in giro. Dean si mise subito all’opera, iniziando a spostare cose da una parte all’altra, immemore della presenza di Castiel. Solo quando ci andò quasi a sbattere contro, gli borbottò qualcosa simile a “Trovati un angolo e siediti”, ma a Castiel non sembrava dare fastidio. Trovò il suo angolino appartato e restò a guardare l’altro lavorare. A lui andava bene così.
Dean era a dir poco entusiasta. Quello era un giorno speciale, perché per la prima volta nella sua vita, Dean stava costruendo qualcosa di suo, qualcosa che sarebbe appartenuto a lui e a nessun altro. Stava erigendo il suo futuro con un mucchio di scatole e tanta polvere, ma era contento così. Niente e nessuno avrebbe potuto rovinargli la giornata.
Dean si voltò appena un attimo nella direzione di Castiel.
A parte lui, pensò inquieto. Eppure Castiel restava una presenza silenziosa nel suo angolino appartato e non sembrava intenzionato a dare fastidio.
Dean non si era neanche accorto di essersi fermato a fissarlo. Poi Castiel accennò un sorriso, dischiudendo appena le labbra e Dean tornò in fretta a lavoro, maledicendo il sole caldo tanto da fargli arrossare tutto il viso.
*****
Come primo giorno era stato piuttosto tranquillo. Aveva ottenuto tre incarichi da portare a termine, perlopiù da parte di contatti amici, ma era ovvio che avesse bisogno di farsi una certa nomina, farsi conoscere dai dintorni e oltre. Dopotutto, Stanford era una città sconosciuta per lui e Dean era uno sconosciuto per la città. L’unico motivo per cui continuava ad abitarci era suo fratello. Entrambi adulti e vaccinati e perfettamente in grado di intraprendere la propria strada, ma lui e Sammy condividevano un rapporto particolare. Non poteva stare lontano da suo fratello, solo non poteva. Immaginò che tutto avesse a che fare con la tragica notte che portò loro via Mary Winchester, la loro amata madre. Un incendio ed era stato lui a portare Sammy, ancora in fasce, fuori dalla casa in fiamme. Non avrebbe mai potuto dimenticare quella notte, così come non poteva sopportare l’idea di stare troppo lontano da suo fratello. Almeno così, se fosse successo qualcosa, sarebbe stato lì nei dintorni per dare una mano.
“Sei turbato.” La voce lo portò via dai suoi ricordi con uno strappo violento. Ormai era buio, fuori, e Dean aveva lavorato ininterrottamente tutto il giorno. Dopotutto, il garage, anche se agibile, aveva ancora bisogno di una sistemata. In tutto quel tempo, però, Castiel era rimasto talmente fermo e zitto che Dean si era completamente dimenticato di lui. Lui e il problema che rappresentava.
Dean inspirò a fondo, prima di rilasciare il respiro.
“Non sono turbato. E’ tardi, non dovresti andare a casa? Abiti lontano da qui? Vuoi un passaggio?” Gli domandò, nella speranza che l’altro non avrebbe discusso e si fosse finalmente volatilizzato dalla sua vita. Non riusciva a capire perché desiderasse tanto che se ne andasse, ma la vicinanza di Castiel lo turbava. Forse era inquieto perché in fondo con quel corpo ci aveva passato la notte e lui mai e poi mai interagiva col corpo che si scopava la notte prima. Le relazioni di quel tipo erano un capitolo tabù nel libro delle sue conoscenze sociali. Il fatto che Castiel fosse un uomo, poi, non rendeva certo le cose più semplici. Dopo una notte di passione che non ricordava neanche, Dean non riusciva nemmeno a stargli vicino. Gli faceva venire una strana sensazione nello stomaco.
In risposta alle sue domande, Castiel inclinò la testa confuso e sembrava sul punto di ribattere, ma era tardi, Dean era stanco e davvero non aveva né la testa né la voglia di trattare una cosa del genere. Con una mano sulla spalla, iniziò a trascinarlo fuori dal garage, afferrando nel frattempo la giaccia e le chiavi dell’impala. Chiuse il garage e si voltò a guardare l’altro, che era rimasto in attesa, ancora confuso.
“Dean…”
“No, ascolta. Credo di averti dato l’idea sbagliata e mi dispiace” Dean cercava di essere gentile come poteva, ma non era facile quando dovevi scaricare qualcuno insieme a tutte le sue speranze. “Non ti conosco e non sono interessato a farlo. Guarda, è stato un errore. Sei un bell’uomo, davvero, quindi puoi trovare di meglio”. Erano scuse patetiche, ma era il meglio che era riuscito a trovare. “Quindi, vai a casa.”
Gli diede una leggera pacca sulle spalle e se ne andò prima di cambiare idea. Si sentiva un idiota e un po’ mostro a lasciare l’uomo lì con una tale espressione confusa, ma non poteva portarselo di nuovo a casa. Salì sull’impala e lasciò lo spiazzale, senza osare guardare negli occhi di Castiel, che non si era mosso da dove lo aveva lasciato. Non sapeva nemmeno se abitava nelle vicinanze. Stupido, stupido Dean Winchester.
Guidò per un buon quarto d’ora, tamburellando inquieto le dita sul volante. Si sentiva in colpa e anche se continuava a ripetersi che non ne aveva alcun motivo, la sensazione di disagio che gli stringeva lo stomaco non lo abbandonava.
Doveva anche mettersi a piovere.
“Dannazione!” Frenò in modo brusco, prima di girare l’impala e tornare indietro.
Qualsiasi domanda sul perché lo stesse facendo venne accantonata malamente in un angolino buio della sua testa. Tutto quello che riusciva a pensare era a Castiel sotto la pioggia, ancora fermò lì dove lo aveva lasciato, con quegli occhi da cane bastonato che lo stavano facendo impazzire. Guidava, Dean Winchester. Guidava e non ragionava. Castiel, nonostante l’atteggiamento quasi infantile, era un uomo adulto e vaccinato. Aveva un cervello ben sviluppato, fatta eccezione per possibili problemi celebrali, e avrebbe certamente capito che il tentativo di rimorchiarlo - perché era questo che aveva fatto no? Anche se era stato lui a saltargli addosso per primo? - non era andato a buon fine e quindi era tempo di tornare a casa. Il garage era vicino a una strada principale, avrebbe potuto trovare benissimo un passaggio, carino e innocente come sembrava.
L’ultimo pensiero gli fece premere più forte il pedale dell’acceleratore, perché a Dean pareva di aver appena abbandonato un bambino in mezzo a un mondo di maniaci sessualmente frustrati e molto pericolosi. Certo, non che sbattere uno sconosciuto contro il muro fosse stato il comportamento ideale di un perfetto equilibrato, ma per quel poco che ricordava, Castiel non aveva fatto resistenza. Lui non era pericoloso. Lui non era uno squilibrato che si approfittava di poveri bambini in trench indifesi, per poi abbandonarli in mezza alla strada.
Si fermò nello spiazzo aperto davanti al garage con una brusca fermata.
Scese dall’auto, incurante della pioggia che scrosciava dal cielo.
Di Castiel non c’era traccia.
Per l’ennesima volta, quel giorno, Dean si sentì molto stupido.
Castiel doveva essere andato a casa, come era prevedibile.
Dean si guardò attorno freneticamente, la pioggia che gocciolava ormai dalle punte dei suoi capelli e si insinuava fastidiosa nel colletto della giaccia. Era buio e non riusciva a vedere quasi nulla. Forse era meglio tornare indietro.
“Castiel?” Tentò con voce trattenuta a stento e coperta dallo scroscio della pioggia.
Era una cosa stupida da fare, ma aveva una così strana sensazione. Doveva essere sicuro.
“Castiel!” Gridò un po’ più forte. Aspettò qualche secondo, ma quando non ricevette risposta, fece ritorno malvolentieri all’Impala.
“Dean?”
Riuscì a cogliere a malapena la sua voce, ma era sicuramente lui.
“Castiel? Dove sei?!”
Si allontanò di nuovo dall’auto, iniziando a guardarsi attorno.
“Sono qui, Dean”.
Seguì la voce familiare, calma e profonda anche attraverso la pioggia, fino all’entrata di un vicolo. Davvero, cos’era questa fissazione per i vicoli?
“Qui, Dean”.
Lo trovò, seduto a terra, sotto un riparo di fortuna fatto di carta e polistirolo. Gli si strinse il cuore, ma allo stesso tempo, la gioia di trovarlo ancora lì, come se lo stesse aspettando, gli esplose nel petto così all’improvviso e così inaspettatamente, che per un minuto intero, Dean non fu capace di prosperare parola.
“Pensavo di averti detto di andare a casa”, mormorò debolmente, chinandosi alla sua altezza. Castiel non sembrava nemmeno arrabbiato, ma solo curioso.
Corrucciò la fronte e piegò la testa, proprio come un bambino.
“Non ho più una casa, Dean.”
Allora Dean si tolse la giaccia e, anche se fradicia, gliela lanciò in testa.
“Sei tutto fradicio. Andiamo!”
La giacca non servì a nulla per coprire il piccolo sorriso che nacque sulle labbra di Castiel. Dean fece solo finta di non vederlo.
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Prima parte -
Masterpost & Artpost - Terza parte