Titolo: Tre foglie nel vento
Autore:
haruka_lantisFandom: originale
Rating: NC-17
Note: ambientanta in Giappone nel 1687, ovvero durante l'era Tokugawa, ad Edo (l'attuale Tokyo). Chiari riferimenti a rapporti omosessuali anche con minori (ma era una prassi comune a molte civiltà del passato e avere sedici anni nel XVII secolo non è come averli al giorno d'oggi).
Scritta per: la mia tabella su
24ore prompt 24:00 La notte non ha limiti
Disclaimer: mia l'idea, miei i personaggi, mia la storia, siete pregati di ricordarvelo, nel caso fosse in cerca di ispirazione!
Anno 1687, aprile
Casa dei lillà, kagemaya a Hakone
Ora del Topo
La serata era proseguita nell’okaya “Casa dei lillà”: Hakone era un piccolo centro, non poteva offrire la ricchezza e la varietà della compagnia di Yoshiwara, perciò sotto quell'insegna, una vecchia okasan, chiamata Hatsumomo-san, offriva ai suoi clienti ogni tipo d’intrattenimento possibile: dalle costose tayu ai bellissimi attori kabuki, fino agli infimi ranghi, a seconda delle possibilità della borsa.
Un samurai non poteva permettersi di pagare una cortigiana o un attore: nonostante il prestigio sociale e il potere di vita e di morte sui ceti inferiori, un soldato aveva una paga modesta. I nuovi ricchi, i veri potenti, erano i borghesi in ascesa: mercanti, artigiani, professionisti di varia natura che non potevano portare una spada al fianco, ma potevano comprarsi qualsiasi altra cosa. Di norma i samurai disprezzavano il denaro come stile di vita, ma se non avevano un signore più che accorto e generoso, spesso rischiavano di condurre un'esistenza di poco superiore a quella di un contadino.
Sato Masanori era un privilegiato, da questo punto di vista: la sua famiglia serviva direttamente lo Shogun, lui stesso ne aveva sposato una nipote, e godeva di una rendita agraria sufficiente a permettergli una vita agiata; stringendo la cinghia poteva anche permettersi qualche piccolo lusso: quella notte era la sua ricompensa dopo un anno di condotta morigerata.
Prima di salire in camera aveva dovuto contrattare il prezzo con la vecchia tenutaria, un'attività odiosa ed indegna di un guerriero, ma la donna aveva chiesto una cifra così ridicolamente alta che dovette per forza mercanteggiare un po'. Irritato dalla sfacciataggine dell’okasan, si era detto che avrebbe fatto fruttare la sua ora e poi sarebbe tornato al tempio.
Era mezzanotte, la luna in cielo era un disco argentato quasi perfetto, pochissime nuvole disturbavano il suo chiarore, in grado di illuminare la stanza senza ausilio delle candele. Da tempo l'ora prestabilita era passata, ma Masanori adesso non aveva più fretta di andar via, né alcun desiderio di separarsi dal suo amante. L'accorta padrona non aveva disturbato l'idillio, aveva mandato una serva con altro sakè e qualcosa da mangiare; a saldare i conti ci avrebbe pensato con la luce del sole, un samurai di quel livello non lasciava certo debiti.
Sasaki Ranmaru era una creatura talmente bella da non sembrare reale: la sua pelle bianchissima appariva perfino spettrale alla luce della luna, i suoi capelli brillavano di riflessi argentei mentre scendevano a coprirgli la schiena fino oltre i glutei, una schiena liscia e priva di nei, gambe snelle e flessuose, le mani affusolate, morbide, di chi non aveva mai lavorato in vita sua, un sorriso luminoso e due occhi scuri che si socchiudevano appena mentre il piacere gli arrossava il volto da bambola. Rimasero abbracciati un poco, dopo l'amplesso, i vestiti ancora attorcigliati confusamente alle braccia o ai piedi. Sapeva fare dei giochetti da gran cortigiana, quel ragazzo, ed era così spudorato da suggerire al suo amante cosa fargli e come. Masanori aveva una certa esperienza d’amori a pagamento, e poteva vantare un numero discreto di conquiste sia maschili sia femminili, ma quella era la prima volta che raggiungeva da subito una perfetta intesa sessuale con il partner: era come se quel kagema gli leggesse i pensieri e lo anticipasse. Era divertente e decisamente appagante, poteva perfino lasciarsi andare, abbassare la guardia appena un po', e permettere al ragazzo di condurre le danze.
Riavutosi dall'orgasmo, Masanori si alzò e prese da bere, mangiò anche delle aringhe che la serva aveva lasciato nel vassoio: non era stanco, anzi era in perfetta forma. Da molto tempo non faceva del buon sesso per il solo piacere del sesso: con sua moglie si coricava solo nella speranza di procreare l'atteso figlio maschio e con Sojiro le cose erano ancora in alto mare, per così dire.
Il suo ospite gli sorrise lascivo, divinamente seminudo, sdraiato sul futon sfatto “Dà da bere anche a me”. Masanori sorrise e si portò il sakè alle labbra, poi si chinò su Ranmaru e lasciò che il liquore passasse dalle sue labbra a quelle del ragazzo.
“Non sono male questi baci al sakè”
“No?”
“Ma io conosco baci ancora migliori” e detto ciò Ranmaru versò il contenuto della bottiglietta sul pene di Masanori, per poi leccarlo.
“Oh, cielo!” esclamò questi gettando la testa all'indietro “Sei l'amante più insaziabile che io abbia mai avuto”.
“Credevo che voi prodi samurai fosse pronti a resistere ad ogni tipo di tortura” rispose civettuolo l'altro.
“Mi stai mettendo alla prova, Ranmaru-kun?”
“Non ho intenzione di lasciarti andare via tanto presto. Questa notte non ha limiti, né di tempo né d'immaginazione” e tornò a dedicarsi all'erezione di Sato.
Si sarebbero congiunti altre volte nel corso di quella lunga notte, senza curarsi del cielo che schiariva, del sole che nasceva di nuovo, del tempo che inesorabile passava come sabbia tra le dita. Era talmente raro trovare una sintonia così perfetta con un amante occasionale, che i due uomini si dimenticarono dei loro ruoli, delle loro vite fuori da quel letto, del resto del mondo. Fermarono il tempo per una notte e cancellarono dalle loro teste la parola “addio”.
Note:
Okaya: le case da tè dei quartieri del piacere, dove le geisha intrattenevano gli ospiti con spettacoli e sakè. Talvolta vi avvenivano anche incontri amorosi, ma non era la regola e non era mai visto di buon occhio. Esistevano i bordelli per la prostituzione, in particolar modo quelli maschili si chiamavano kagemaya, perché vi lavoravano i kagema, uomini dediti alla prostituzione con altri uomini.
Okasan: letteralmente madre; era colei che gestiva una casa di geisha.
Tayu: cortigiane d’alto rango, con cui s'intrattenevano solo i daymno.