Titolo: Irritante
Autore: Moi!
Beta-reader: Tanta gente XD
mrs_toro_or,
p_will,
akinera, amiche di msn, f7
Fandom: Real People / Fall Out Boy, Panic At The Disco.
Personaggi: Pete Wentz, Andy Hurley, Ryan Ross, Spencer Smith, Jon Walker e Brendon Urie
Prompt: "Ti sto disturbando?" "Dannazione sì." "Bene, il mio lavoro qui è compiuto."
Rating: PG13 - fanno cose \°O°/!
Avvertimenti: idiozia vagante, parolacce, gente picchiata.
Sommario: Il rapporto tra Brendon ed Andy non si può definire idilliaco. Ma nemmeno di ‘amore/odio’. Nemmeno volendo, nemmeno chiudendo gli occhi stretti stretti e ripetendolo tre volte ad alta voce.
Al massimo, si può definire di ‘odio/odio’.
Conteggio Parole: 5572 OMG SONO LOGORROICA /O
Disclaimer: Non sono miei, non è mai successo, tutte bugie. PLZ, DON'T EVER TRANSLATE, K? ;_;
Note: Scritta per il crack!fest indetto dal bandomville, come potete vedere XD A titolo informativo, la sottoscritta non slasha Andy e Brendon insieme. Non particolarmente, insomma. E' solo che mi diverto a vedere le reazioni di certa gente quando mi imbarco in imprese folli con pairing ancora più folli :°D
Ryan, personalmente, odia doversi recare in pellegrinaggio presso gli uffici della DecayDance con tutta la band al seguito. Tutto ciò non dovrebbe accadere, con un capo folle come Pete, ma talvolta capita.
Per cui, armato di santa pazienza e fagottino sulla spalla in cui tiene quelle quattro o cinque sciarpine di emergenza, si trova costretto a convocare tutta la band per successivamente dirigersi a Chicago, alla volta dell’unica parvenza di serietà che rimane a quella casa discografica dimenticata da dio: gli uffici, per l’appunto.
Si tratta di un palazzone grigio di una decina di piani con un numero indefinito di finestre sulla facciata, tutte coperte dalle solite tendine verdognole che si vedono in ogni ufficio del pianeta, un portone in legno ormai marcio con residui di vernice bianca ormai logorati dal tempo, e l’aria più seria e professionale del mondo. La pulsantiera è anonima, giusto un ‘DD records’ all’ultimo piano e qualche cognome sparso apparentemente agli affittuari del resto dell’edificio; Ryan è sempre sconvolto da quella vista. Insomma, sembra quasi di trovarsi davanti a gente sensata. Poi si sale sull’ascensore, e l’incanto inizia a crinarsi verso il quinto/sesto piano, quando si iniziano a sentire versi che solo i più fantasiosi ricollegherebbero a qualche essere umano. Al decimo piano, quando poi le porte si aprono, ci si rende conto di quando poco quella gente sappia cosa vogliano dire parole come ‘professionalità’ o ‘serietà’ o ‘decenza’. L’ultima volta che ci sono andati, hanno assistito ad una partita di golf con Gabe che faceva l’allibratore, Andy l’arbitro, ed i due finalisti - Pete e Joe - che erano finiti a bersagliarsi con le palline finché non avevano spaccato un vetro. Allora, il gioco era finito.
Questa volta, quando le porte dell’ascensore si aprono e Brendon, Ryan, Spencer e Joe si affacciano, non capita nulla. Il silenzio più assoluto. Percorrono il corridoio che porta all’ufficio di Pete in punta di piedi, e quando spalancano la porta, convinti che vedranno il corpo del loro capo orrendamente mutilato - non ci sono altri modi per giustificare tutta quella calma, insomma! -, vengono accolti da un ululato.
« AUGUUUUUURI! » Trilla Pete mentre saltella come un invasato ad abbracciare ognuno di loro.
Ci vogliono diversi minuti di stasi, prima che Ryan riesca a focalizzare lo sguardo sul calendario appeso sulla parete e, dopo aver fatto un paio di conti, realizzi che tra qualche giorno sarà un anno dall’uscita di Pretty Odd. « Pete, è tra tre giorni. » Fa notare in un mormorio, leggermente a disagio.
Pete sorride, come l’idiota che è. « Questo lo so pure io, sciocco! Vi ho voluti qua appositamente prima per potervi organizzare una festa in grande sti- »
« Non ne avverto un gran bisogno, Pete. »
« Niente storie. Sono il vostro capo ed ho tutto il diritto di organizzare orge e baccanali quanti me ne pare e piace. »
Jon inarca un sopracciglio e si schiarisce la voce, più per prendere tempo che per effettivo bisogno. « Pete, » inizia lentamente, cercando un contatto visivo con l’uomo per capire se effettivamente le sue parole verranno ascoltate o meno, « noi contavamo di tornare a Las Vegas entro la serata. Non ci siamo organizzati per rimanere qua. »
« E allora? Rimarrete a casa mia. Miei ospiti. Ci raggiungeranno anche gli altri, sarà una cosa fichissima! Come un campeggio! Solo che a casa mia! »
Ryan e Jon si guardano negli occhi, presagendo il disastro imminente.
Il rapporto tra Brendon ed Andy non si può definire idilliaco. Ma nemmeno di ‘amore/odio’. Nemmeno volendo, nemmeno chiudendo gli occhi stretti stretti e ripetendolo tre volte ad alta voce.
Al massimo, si può definire di ‘odio/odio’.
Nessuno riesce a spiegarselo, ma è una questione di istinto: Brendon ed Andy non si trovano simpatici a vicenda. Non riescono a rivolgersi la parola senza insultarsi più o meno velatamente, ed un paio di volte li hanno dovuti allontanare prima che uno dei due prendesse a sediate l’altro. E la cosa peggiore di tutte, senza la quale probabilmente si riuscirebbe comunque a convivere con questa incompatibilità di base, è che sono entrambi dei provocatori nati. Non c’è niente che li galvanizzi maggiormente di vedere il loro interlocutore imbestialito, mentre loro ostentano calma e paciosità.
Inutile dire che questa caratteristica li porta a scornarsi ogni qualvolta si trovino nello stesso spazio vitale.
E il fatto che si trovino nella stessa casa, sotto lo stesso tetto con un pazzo esaltato - Pete - non è piacevole per nessuno.
L’ingresso di Brendon nella casa di Pete è ben poco trionfale, e molto poco silenzioso. Sbatte contro il portone, impatta con il fianco contro uno spigolo e con il piede contro la zampa del divano ed i successivi dieci minuti li passa urlando bestemmie ed improperi contro il padrone di casa, che si ostina a cambiare la disposizione dei mobili senza avvisare nessuno.
« Shh! Brendon, fai piano! » bisbiglia Pete, affrettandosi a chiudere quante più porte possibili. « Andy ancora dorme! »
Sul volto di Brendon si apre un ghigno satanico. « A quest’ora? » si informa educatamente mentre si alza in piedi, miracolosamente guarito da ogni male. Pete annuisce, e Spencer fa appena in tempo a roteare gli occhi, che vede il cantante sfrecciargli davanti alla ricerca delle camere da letto.
« …Dio » mugugna sconfortato, prima di portarsi una mano a coprire gli occhi e successivamente a coprire almeno un orecchio. Può leggere il labiale di Jon, che sta contando alla rovescia a partire da cinque e, quando ormai è arrivato ad uno, per tutta la casa si sente distintamente un ululato.
Seguono tonfi, urla strozzate, qualche risata e successivamente un altro urlo.
Ryan lo guarda negli occhi, guarda Pete, sospira sconfortato. « Suppongo che Andy si sia svegliato. »
« Figlio di puttana! » Brendon non sta ridendo così tanto da quando Ryan ha inavvertitamente mescolato la biancheria con le sue sciarpe in lavatrice, e si è trovato a doversi occupare di mutande rosa confetto e calzini violacei.
Andy, per contro, è cianotico.
Il ragazzo si asciuga un occhio offuscato dalle lacrime, fingendosi più calmo di quanto non sia. « Quanto sei permaloso, era solo uno scherzo… »
« Lo sai dove te lo puoi ficcare, lo scherzo?! » tuona il batterista, in un tentativo di incombere sull’altro. Fortunatamente Brendon è sdraiato in terra a ridere, per cui incombergli sopra diventa notevolmente più facile di quanto non sarebbe se fossero entrambi in piedi.
Il ragazzo lo guarda dal basso, prende fiato, si vede che vuole dire qualcosa. « Sei ridicolo. »
Questa volta, Andy non risponde. Si limita ad alzare una gamba, fare il piede a martello, e calare il tallone con quanta forza ha sulla spina dorsale dell’altro.
Pete entra in camera un secondo prima che Andy possa affondare nuovamente sulla schiena di Brendon, con sommo sollievo di quest’ultimo. « Ma cosa- »
« Stanne fuori. » ringhia l’uomo in piedi, impedendogli a priori di intervenire.
Ryan arriva immediatamente dopo. « Cos- cristo! » strepita il chitarrista mentre attraversa a grandi falcate la camera da letto e si precipita a spingere via Andy. « Ma che cazzo ti dice la testa? Potevi rompergli qualcosa! »
Andy non arretra, né sembra minimamente colpito dalle parole del ragazzo. « Questo è perché ancora non ho finito con lui. » Spiega, apprestandosi a tirargli un altro calcio nella schiena.
Brendon riesce a posizionarsi a pancia in su giusto in tempo per poter bloccare il piede del batterista con entrambe le mani ed un ‘ouff’ soffocato. Ci vogliono a malapena pochi secondi, prima che lo scontro si risolva con un niente di fatto: il maledetto ha una presa ferrea, e non c’è verso di liberarsi o colpire. « Ridicolo. » Soffia tra i denti, a metà tra il divertito e lo scocciato. Ryan sta tentando ancora di far desistere Andy, venendo bellamente ignorato da quest’ultimo, e la situazione gli pare veramente ridicola. Lo ha solo svegliato! …Facendogli uno scherzo. Un piccolo scherzo. Un piccolo scherzo che Andy non ha capito perché è un noioso idiota che passa le nottate al computer e pretende il giorno dopo di dormire fino alle quattro del pomeriggio.
E non importa che sia a malapena mezzogiorno, Brendon sa che se fosse dipeso dal batterista, avrebbe poltrito fino alle quattro.
…E poi era uno scherzo che voleva fare da mesi, su qualcuno doveva testarlo.
Ma non ha fatto niente di male!
Si è limitato a mettergli gli auricolari del lettore mp3. A palla. Con ‘My boy lollipop’. Ma è solo Andy che è un permaloso bastardo che ora sta calcando con tutto il suo peso su quel dannato piede, non è colpa di nessuno. Eccetto che di Andy. E’ tutta colpa di Andy.
Andy che ora sta puntandosi sul piede sospeso sopra lo sterno di Brendon, saltellando a tratti, per riuscire a colpirlo come vorrebbe. « Il lettore mp3 te lo faccio mangiare! » ringhia il batterista, saltellando un’ultima volta.
Sarebbe una scena ridicola. Sarebbe una scena ridicola se Andy alla fine non riuscisse ad andare a forzare con tutto il peso di cui dispone sulla cassa toracica dell’altro e, subito dopo che Brendon ha rantolato rumorosamente per far sapere al mondo tutto il suo dolore, non si sbilanci e gli cada successivamente di ginocchio sul naso.
Quello che segue è una sequela interminata di improperi, minacce di morte, e sangue.
« Mi hai spaccato il naso! » strilla Brendon, spingendo di malagrazia l’altro e facendolo sbattere contro un angolo del letto. « Luridissima testa di cazzo, mi hai spaccato il naso! »
Andy non risponde sul momento. Si limita ad osservarlo con un sorrisino, si osserva con moderata curiosità i vestiti e dopo aver trovato una macchia di sangue sui pantaloni del proprio pigiama si concede di storcere il naso. « Dio, che schifo. » Mugugna, ben più interessato alla condizione dei propri vestiti che non alla salute dell’altro.
Poco dopo giungono anche Spencer e Jon, probabilmente attirati dagli uggiolati sofferenti del loro frontman, e non dicono niente. Forse perché Ryan e Pete lo stanno insultando abbastanza per tutti.
« Andy, dio santo! » Andy non dice niente, si limita, nella sua avanzata marziale verso la cucina, a tirare un cazzotto contro una porta ed il rimbombo cupo che ne deriva convince Pete a regolare notevolmente i toni. « …Insomma. Ti pare normale rompere il naso di un poveraccio solo perché decide di venirti a svegliare a mezzogiorno passato? »
Il batterista si ferma nel mezzo del corridoio e okay, Pete preferisce dover strepitare contro una persona che lo ignora piuttosto che questo perché uno tra gli effetti collaterali dell’avere gli occhiali da vista è che quando ti guardano da sopra le lenti è davvero, davvero spiacevole. « Pete, giusto due precisazioni: uno, non gli ho rotto il naso, con mio sommo rammarico; due, Brendon non ha avuto un decimo di quello che meriterebbe. Ti conviene dirgli di starmi alla larga se non vuole che lo riduca ad una pappa informe. »
Il bassista lo osserva per qualche istante senza sapere cosa replicare, e solo quando Andy si è voltato per dirigersi in cucina sembra ritrovare la parola. « Tu- andiamo, sei più grande, sei sempre stato il cervello di gruppo quando Patrick non c’era e questa volta Patrick non ci sarà fino a domani. Ti costa veramente tanto fingere di trovare Brendon non dico simpatico, ma quantomeno neutro? Per favore? »
« Sì! »
« Andy, per favore. Non ti sto chiedendo la luna, ti sto chiedendo di fare la persona matura. »
« Non puoi pretendere che mi metta a saltellare dalla gioia! Non con quel mostro nei paraggi! »
« Non voglio questo! Devi solo… non so, fingi di non vederlo, okay? Fai finta che lui non sia presente, ignoralo. Ma non uccidermelo, okay? »
« Pete… »
« Per favore. »
« …Vedrò di lavorarci su. »
Pete lo abbraccerebbe, se non fosse che sa perfettamente di rischiare a tradimento una mossa di karatè che gli faccia saltare via la testa dal corpo. Sa anche che Andy non si formalizzerebbe troppo, per cui, meglio evitare.
« Brendon, » inizia Spencer, spingendogli il ghiaccio contro la faccia in un modo decisamente doloroso, « lo sai cosa ti faccio se osi fare un’altra stronzata simile? »
« Era uno scherzo! » strepita con vocina nasale da sotto l’impacco, ricevendo un’occhiata assassina da parte di Ryan ed una gomitata nelle costole da Jon.
« Poche balle, Bren, » lo riprende il bassista, « te la sei meritata in pieno. »
« Mi ha spaccato il naso! »
« Non è vero. » Ringhia il chitarrista, mentre continua a misurare la cucina a grandi passi. « Brendon, te lo dico questa volta e la prossima te lo farò incidere sulla lapide: non andare a rompere le palle ad Andy. Dovete stare lontani. »
Brendon non risponde, si limita a sbuffare ed annuire mestamente.
Quando Andy entra in salotto, dopo opportune manovre di sveglia - colazione, doccia, telefonata a Mixon per poter insultare per bene Brendon e la sua famiglia di mormoni folli e piccola puntatina al pc - la situazione si è calmata notevolmente. Spencer e Jon stanno giocando a Guitar Hero, Ryan smanetta al cellulare, e di Brendon nessuna traccia.
Bene.
Il batterista sospira, attraversa la stanza a passo svelto e va immediatamente a nascondersi dalla vista del mondo intero nell’unico posto dove potrà contare su un sostegno morale e fisico: la cucina. Con relativo frigo.
In cucina c’è Brendon.
Quando Andy entra nella stanza e si trova davanti il già citato cantante, non accade niente di strano. Lo guarda per qualche istante senza che Brendon possa fare altrettanto, costretto com’è a tenersi il ghiaccio sul viso, e dopo pochi istanti torna a pensare ai fatti propri - cercare cibo vegano disperso per le mensole.
« Allora, » inizia dopo qualche minuto Andy, continuando a frugare in ogni anfratto, « come stai? »
Brendon si stringe nelle spalle, lo sguardo ancora fisso sul soffitto, « Bene. » Mugugna, vagamente colpito dall’interesse dell’altro.
Il batterista schiocca le dita e sbuffa. « …Uffa. »
L’altro sorride. « Non trovi niente? »
« No, è che non ti ho fatto niente di grave. »
« Vaffanculo. »
Andy ride, scuote la testa e dopo aver poggiato sul tavolo un qualcosa che Brendon non riesce ad identificare si tuffa all’interno di un mobile che non ricorda di aver mai esaminato. Nel mentre, dall’altra parte della cucina, l’altro scioglie il nodino che ha fatto Pete all’impacco di ghiaccio quando gliel’ha amorevolmente confezionato, si sceglie il cubetto di ghiaccio più spigoloso che trova, e successivamente lo lancia contro Andy. « Ma che cazzo…? » il batterista si rialza di botto, impattando la nuca contro il bordo superiore della mensola.
Brendon inizia a ridere, ma è questione di istanti, prima che veda lo stato in cui versa l’altro e resti senza parole.
Andy è davanti a lui, di schiena, con i capelli gocciolanti. Gocciolanti acqua, ovviamente, ma pur sempre gocciolanti. All’inizio non realizza che la schiena di Andy è nuda; in un primo, folle, momento l’unico pensiero che gli attraversa la mente è ‘oh, ma guarda che bella maglia che ha’. Poi si rende conto che non è stoffa ma è pelle, e allora l’idea di distogliere lo sguardo da quella roba è pura fantascienza. E’- cielo, è folle. Andy ha la schiena blurossogiallonero, i comuni mortali ce l’hanno solo rosa, e lui invece ha un quadro al posto della schiena e Brendon non pensa sia normale pensare di volergli asciugare ogni singola goccia che gli scorre sulla pelle con la lingua. Non è normale, sicuramente non lo è.
Poi Andy si volta e cristo, è anche davanti. E’ ovunque. Andy è una tavolozza- anzi no, è un quadro su gambe. E’ una tela. Una tela colorata. E molto ben fatta.
« Urie, si può sapere che cazzo ti dice la testa? » bercia la tavolozza, brandendo il residuo di cubetto di ghiaccio come se si trattasse di un coltellaccio da macellaio.
Brendon non risponde in maniera coerente; bofonchia qualcosa di incomprensibile e se ne va.
« Tu non mi hai mai detto dello stato in cui versa la schiena di Andy! » esclama Brendon, assalendo Ryan.
Il chitarrista lo osserva con gli occhi sgranati. « …Di che parli? »
« I tatuaggi! »
« …Oh. Te ne sei accorto ora? »
Brendon ci pensa su. No, ovviamente non se ne è accorto ora. Ha sempre saputo che Andy ha il corpo di ogni genere di colore, eccetto quello della pelle. Ma vederlo, oh, vederlo è diverso. « E’ diverso. » Borbotta sulla difensiva, ricevendo in risposta una risata.
« Dal vivo fanno un altro effetto, mh? »
Annuisce, vagamente a disagio. « E’ solo che- »
« La prima volta che ho parlato con Andy, era senza maglia. Per essere precisi, lui parlava ed io annuivo. »
« …Oh. »
« Fa così a tutti, sai. Credo sia il contrasto di colori sulla pelle. »
C’è una parte di lui che vorrebbe precisare che la pelle non l’ha proprio vista, ed apre anche la bocca per darle voce, ma il problema è che in quel momento Andy decide di palesarsi al loro fianco, diretto verso ignoti lidi. E, come può notare Brendon con una punta di rammarico, è munito di maglia. E di asciugamano attorno al collo, per evitare di inzupparsi. « Di che parlate? »
« Dei tuoi tatuaggi. » Spiega Ryan con nonchalance, totalmente ignaro della morte imminente per mano del suo cantante.
« Cosa c’entrano i miei tatuaggi? »
« Niente. Ho solo fatto giurare a Ryan che qualora uno di noi volesse rovinarsi come hai fatto tu, ci deve uccidere senza pietà. »
Ringraziando il cielo, Ryan non risponde. Si limita a guardare Andy che scocca un’occhiata di puro odio a Brendon e successivamente lo spinge con malagrazia da una parte del corridoio per dargli modo di passare, e solo quando il batterista è ormai sparito all’orizzonte si azzarda a chiedere, con aria incredula: « Ma sei scemo? »
« …Probabilmente sì. Ryan, se osi dire qualcosa a qualcuno della conversazione appena avuta, giuro che ti squarto. »
Il chitarrista sgrana gli occhi e annuisce appena, senza riuscire a nascondere un ghignetto divertito. « Paura che ti scopra? »
« No, certo che no. …E poi scoprire cosa, pezzo di idiota? »
Il ghignetto si trasforma in un vero e proprio sorrisone, mentre il proprietario si allontana a grandi passi verso la stanza di Spencer. Brendon, solo nel corridoio, non può fare altro che sbuffare ed andarsene in camera sua. Ryan non è di nessun’aiuto, lui ed i suoi vaneggiamenti sui tatuaggi di Andy. Stupido, inutile Ryan. E stupido, tatuato Andy.
Tutta colpa sua.
Uno dei motivi principali delle nottate in bianco di Andy è, manco a dirlo, internet. Nello specifico, twitter. Già di natura Andy è persona che dorme poco, se poi si trova a poter contare su simili distrazioni non c’è proprio verso che vada a letto in tempi decenti.
Principalmente è per questo se è notte fonda e lui è ancora al pc, in una delle tante stanze che Pete ha adibito a studio. Aggiorna un’altra volta la home page, si sfila gli occhiali e si sfrega gli occhi, e poi si da alla lettura degli aggiornamenti.
Dio, quanti.
Sospira sconfortato, seguendo il solito criterio di spulciaggio - nick conosciuto, messaggio corto, domande sensate - per mettersi a rispondere, quando un messaggio lo incuriosisce più degli altri.
« Non ti fa male restare alzato fino a quest’ora? »
Il nick è sconosciuto. Non gli dice niente, nemmeno pensandoci su. Scarta l’ipotesi di uno tra i millemila account di Pete o altri simpaticoni del genere che si divertono a cambiare nick ogni pochi secondi, e decide, nel dubbio, di ignorare l’impiccione.
Guarda l’orologio, sgrana gli occhi, si guarda attorno.
Le cinque e un quarto, come cavolo- cinque minuti prima erano le tre. Ne è certo. E cinque minuti prima delle tre erano le due.
…La sua cognizione del tempo fa veramente schifo.
Risponde all’ultimo messaggio di un ragazzo che gli augura la buonanotte, chiude la finestra ad icona e si stiracchia platealmente, le braccia alzate, le dita intrecciate ed i palmi rivolti verso l’alto.
« Perché non mi hai risposto? »
Quello che segue, è un infarto. O meglio, prima c’è il mormorio spettrale proveniente dal buio quasi totale, poi un paio di dita che gli sfiorano le mani e poi l’infarto di Andy. « Merda. » Sputa fuori dai denti, tenendosi con una mano il petto, « Vaffanculo. Chiunque tu sia. »
Brendon ride. « Ti ho spaventato? »
« No, figurati! E’ perfettamente normale che un bimbominchia qualsiasi mi venga a mugugnare cose senza senso all’orecchio nel cuore della notte! »
« …Allora non capisco il tuo stupore. »
« Urie, coglione, ero ironico. » Il ragazzo ridacchia nuovamente. Andy sente di odiarla, quella risata: sbuffata, come se fosse una fatica fare anche quello, un po’ zoppa. « Si può sapere che vuoi? »
Si possono sentire dei passetti lenti alle sue spalle, e successivamente il tonfo di qualcosa che si getta di schianto su una poltrona. « Non mi hai risposto. » Ripete pazientemente Brendon, studiando con malcelato interesse le braccia nude del batterista. E’ nuovamente senza maglia, e la luce blu dello schermo non è di alcun aiuto dato che sembra che quei tatuaggi si muovano.
Andy non sembra aver minimamente notato lo sguardo di Brendon, assorto com’è a fissare il computer. « Ma di che cavolo parli? »
« Prima. Ti ho fatto una domanda. » Spiega con un mugugno, articolando lentamente la frase a causa della notevole difficoltà di pensare a qualsiasi cosa che non siano i tatuaggi di Andy e appallottolandosi sulla poltrona.
« Di quale doman- » si blocca a metà frase, mentre evidentemente i suoi due neuroni decidono di collidere e fare la sinapsi. « …tu? » chiede, vagamente schifato, dopo essersi voltato per guardare negli occhi il piccolo rompiscatole.
Brendon sorride. « Non mi hai risposto » cantilena per l’ennesima volta, lisciandosi le unghie contro la maglietta di cotone che ha rubato a Pete per andare a dormire.
« Beh, non c’è niente da rispondere. » Ringhia Andy prima di tornare a badare ai fatti suoi in una pia illusione che, vedendosi ignorato, Brendon decida di alzarsi e sparire dalla sua vista.
Ovviamente, Brendon non se ne va.
Resta là, immobile su quella poltrona, a fissarlo mentre si fa i fatti propri al pc. Ed Andy odia venire fissato. E’ irritante, lo innervosisce e gli fa venire voglia di spaccare la tastiera sulla testa del diretto colpevole.
« Che c’è? » chiede a denti stretti dopo qualche istante, incapace di sopportare oltre.
Brendon, dall’altra parte, si riscuote da qualsiasi pensiero stesse facendo, e si limita ad un sorrisetto. « Niente, mi annoio. Che fai? »
Cazzi miei. « Niente di che. »
Passano istanti di silenzio, poi il cantante si sporge ulteriormente sulla poltrona, sorride, e chiede: « Uh, ma ti sto disturbando? »
Andy vorrebbe rispondere.
Apre anche la bocca per poter ruggire meglio il suo ‘Sì, porca vacca, sì’ e poi, di botto, gli tornano in mente le parole di Pete, come un fulmine a ciel sereno; per cui, seppur a malincuore, si convince a chinare leggermente il capo, tornare a fissare lo schermo, e mugugnare uno strascicatissimo e ben poco convinto « No, figurati. »
Dopo quella che sembra essere un’eternità - ma che si rivela un semplice quarto d’ora -, Brendon si rende conto di stare ancora fissando la schiena di Andy. E’ solo che è ipnotica, mh? « …Come mai in piedi a quest’ora? » chiede l’altro, forzando un tono allegro e facendolo notevolmente sobbalzare.
« Io- uh, soffro di insonnia. » Spiega.
Il batterista, dall’altra parte, si vorrebbe offrire di propinargli una cura per il sonno, di quelle nuove e di sicura efficacia: crede che si chiami ‘botta in testa’, ma non è sicuro del nome tecnico. Nel dubbio, preferisce limitarsi ad un sorrisino di circostanza. « Capisco. »
« Ma ti sto dando fastidio? »
Nuovamente, deve farsi violenza per ridurre ogni insulto ad un « No no » appena mugugnato.
Sono ormai le cinque e quarantasette, quando Andy sente alle sue spalle una presenza malefica. « Ma cosa…? » chiede, voltandosi di scatto e lasciandosi sfuggire un piccolo urletto. « …Cazzo fai?! »
Brendon, alle sue spalle, è - per l’appunto - alle sue spalle. In un modo che implica poca distanza fisica e molto spavento, giacché il dannato si sa muovere silenziosamente e trovarselo a pochi centimetri quando fino a poco prima c’era un confortante metro abbondante a separarli è quantomeno curioso, per non dire direttamente strano. Il cantante non gli risponde, si sporge in silenzio al suo fianco per osservare qualcosa sullo schermo del pc e successivamente sorridere. « Ma guarda, c’è qualcuno che ti conosce! »
Precisamente, Brendon sta indicando un messaggio di twitter che recita grossomodo ‘Hurley, ma tu, una vita sociale…?’. Andy non ha mai avuto tanta voglia come ora di uccidere. « Brendon, allontanati dallo schermo. »
E non intende nemmeno chiedere come cavolo abbia fatto a leggere da seduto per poi avvicinarsi, perché ha come il sospetto che il piccolo mentecatto sia munito di cellulare con collegamento internet e, bello svaccato sulla poltrona, lo stia monitorando minuto per minuto. « Cos’ho fatto? » chiede con vocina sottile il ragazzo, arretrando per scrupolo dal computer di un paio di passi.
« Mi stai rompendo le palle da ore. »
« …Ti sto disturbando? »
E tre. Andy socchiude gli occhi, digrigna i denti, ringhia. « Dannazione, sì. »
E Brendon, di tante cose che potrebbe fare, decide di fare la più sbagliata in assoluto. Sorride, si china fino ad allineare il volto con quello del batterista, e trilla: « Bene, il mio lavoro qui è compiuto. »
« Okay, bene. Ora sparisci, mh? » si volta verso il cantante per tentare di suonare maggiormente perentorio - o disperato, chissà - e l’unica cosa che riesce a pensare immediatamente dopo è quanto, effettivamente, Brendon gli stia vicino. Anche l’altro sembra averlo notato, a giudicare dallo sguardo fisso su una zona random del suo petto in corrispondenza di uno tra i tanti tatuaggi. Ha lo sguardo vagamente pallato e la bocca semichiusa in un’espressione a dir poco idiota. E il peggio deve ancora venire, questo Andy lo avverte fisicamente. « Che c’è? » bofonchia, sulla difensiva.
Brendon si stringe nelle spalle. « Niente. Mi chiedevo che effetto facesse indossare perennemente una felpa colorata. Toglimi una curiosità: quando ti compri le scarpe, vedi quale paio si addice maggiormente ai tatuaggi o vai così, a ispirazione? »
« Vattene. »
« No, per favore, sono serio! » strepita l’altro, tra una risata e l’altra. « Da qualche parte del corpo hai tatuata anche qualche lista della spesa? »
Andy si alza in piedi con uno scatto, facendo scivolare via la sedia da ufficio che prima occupava, impone le mani sulle spalle di Brendon, e inizia a spingere. « Devi. Sparire. Da. Qua. » Sillaba molto lentamente, avendo cura di raggiungere in pochi passi la porta dello studio.
« Andy? » lo chiama l’altro, l’ombra di un sorriso ancora sul volto e lo sguardo stranamente serio.
Andy decide di ignorarlo. « Vattene! » esclama, tirandogli uno spintone che teoricamente dovrebbe mandarlo se non a tappeto, quantomeno a qualche passo di distanza, ma che non sembra sortire il suo effetto dato che Brendon è ancora là, a pochi centimetri.
« Andy, per favore, devo chiederti solo una cosa. »
« Poi te ne vai? »
« Poi me ne vado. » Conferma con il medesimo tono usato dall’altro, annuendo leggermente.
« …Okay. Cos’è? »
Brendon prende tempo. Sembrerebbe ad un passo dal dire qualcosa, ma poi ammutolisce di botto, farfuglia, e sebbene tutta la stanza sia illuminata in blu, Andy potrebbe giurare di aver visto le sue guance cambiare colore per orientarsi verso qualcosa di simile al rosso. « Posso toccarti? »
Non ha capito bene, probabilmente. « Cosa? »
« Posso toccarti? » ripete pazientemente il ragazzo, causandogli un embolo.
« Cosa?! »
« Posso toccare i tatuaggi? »
Oh. Oh. Così va meglio. « Oh. Va… bene? » azzarda, senza avere la più pallida idea di cosa possa accadere.
Brendon alza una manina, allunga l’indice verso la sua spalla, e lo pungola un po’. E’ stupida, come cosa, e può sentire anche l’unghia del dito che, impercettibilmente, lo graffia ad ogni tocco, ma almeno dopo se ne andrà, no?
Se ne deve andare, o lo ucciderà con le sue mani.
…Dopo un paio di minuti di idiozia, silenzio e fastidio, il dito di Brendon è ancora là, tamburellante sulla spalla destra. « Brendon, mi sto un filino stufando. » Borbotta Andy, il capo reclinato a sinistra con qualche ciocca di capelli che gli offusca la vista, il bacino opposto alla linea - storta - delle spalle ed il peso tutto buttato su una gamba.
« Un attimo! » ciarpa l’altro, senza smettere di punzecchiarlo.
« Io ti consiglio di smetterla. »
« Perché? »
« Perché se non fai come ti dico, il dito te lo stacco a morsi. »
Si guardano negli occhi per qualche istante prima che Brendon apra la mano e la poggi, delicatamente, pochi centimetri sopra la spalla di Andy, tremendamente vicino al collo. Qualsiasi eventuale insulto che gli sarebbe potuto venire in mente scompare non appena il batterista realizza quanto le dita dell’altro siano gelide al contatto con la sua pelle e contemporaneamente piacevoli. « Ti… » inizia a fatica Brendon, quasi accennando a togliere la mano, « ti do fastidio? »
Andy dovrebbe rispondere che sì, effettivamente gli da un fastidio atroce avere quell’arto gelido sulla spalla, eppure socchiude gli occhi e si lascia sfuggire un piccolo sospiro in segno di apprezzamento. La presa si fa automaticamente più salda; non stretta o dolorosa, solo, più salda. Come se Brendon dovesse fare perno per avvicinarsi ulteriormente e scostargli i capelli con l’altra mano, come se poi gli sfiorasse delicatamente la guancia e gli sfiorasse la bocca con la propria. Come se.
Come effettivamente sarebbe accaduto se Andy non avesse preso l’iniziativa e, molto prosaicamente, non lo avesse spinto contro la porta per baciarlo.
Brendon non si fa troppi problemi; dopo un primo momento in cui trattiene involontariamente il fiato si rilassa visibilmente e, con la mano libera, scende lento lungo la schiena di Andy sentendo sotto i polpastrelli il leggerissimo dislivello sulla pelle dovuto ai tatuaggi, fino ad arrivare a sfiorargli un fianco e, successivamente, stringere in corrispondenza dell’osso dell’anca, quasi graffiandolo. Andy ringhia. Gli si aggrappa alla maglia con una mano e con l’altra lo tiene per la nuca, facendogli piegare il viso di lato per poterlo baciare più a fondo.
Ovviamente, visto che è furbo per natura, Brendon si rende conto solo dopo qualche istante che con la gamba Andy sta cercando disperatamente di fargli distanziare leggermente le sue, puntandogli il ginocchio contro l’interno coscia e spingendo a tratti. Esegue senza nemmeno pensarci su, sentendo il leggerissimo tonfo dovuto all’osso dell’altro che impatta contro il legno e si scuserebbe pure, se non fosse che ha la bocca sepolta nell’incavo del collo di Andy ed è troppo impegnato a mordere baciare leccare per potersi anche mettere a parlare. Beh, poco male, Andy non sembra essersela presa, a giudicare dagli ansiti che tutta quell’attenzione alla sua giugulare gli sta provocando. In compenso, resosi conto che Brendon a sua volta si è reso conto di quali erano i suoi loschi piani, Andy si limita a sfregare leggermente la coscia contro il bacino dell’altro e il resto viene da sé; Brendon che geme e sposta la mano dal fianco al suo fondoschiena e prova a farselo salire addosso tutto in uno, come se non fossero in piedi contro una superficie grossomodo solida ma seduti, e Andy che sogghigna e si allontana di qualche passo dal ragazzo, raggiunge la poltrona e ci si siede, trascinandoselo addosso. Quindi, Brendon è a cavalcioni su di Andy, una mano sulla nuca che gli stringe spasmodicamente i capelli e l’altra che gli percorre senza alcuna logica il petto, la schiena, le braccia, qualsiasi cosa gli capiti a tiro. Andy gli sta stringendo i fianchi cercando di guidare i suoi movimenti scomposti, e finalmente sembra quasi riuscirci, quando un tonfo nel corridoio adiacente lo studio fa mancare loro il sangue nelle vene.
Seguono parolacce senza logica, Andy e Brendon fissano davanti a loro senza realmente vedere niente, orripilati dall’eventualità di venire scoperti, e poi Pete - come riescono a dedurre dopo appena qualche istante - chiama ad alta voce: « Andy, sei tu? »
« Sì » gracchia Andy, paralizzato dal terrore, « Finisco una cosa al pc e stacco, Pete, va' a dormire. »
« Okay… Buonanotte! »
Finalmente, si può sentire il bassista che decide di fare dietro-front e se ne torna da dove è venuto.
I due si guardano negli occhi per diversi istanti, prima che Andy apra la bocca in una smorfia ridicola. « Che fai? » chiede, sconvolto.
Brendon sgrana gli occhi specularmente a lui, prima di rispondere. « Io?! Che fai tu! »
« Io- niente! »
« Niente un corno, hai le mani nelle mie mutande! »
Andy allontana subito gli arti incriminati, mostrando i palmi alzati a mezz’aria a prova della propria onestà. « Tu mi stai a cavalcioni sopra! »
In risposta, Brendon puntella un piede sul pavimento, si poggia ai lati del volto di Andy per riuscire a mettersi in piedi senza crollare di schianto per terra, e dopo qualche manovra azzardata e ben poco piacevole, si trova finalmente in piedi, a debita distanza dal batterista. « Bene, sistemato. Ora vado a dormire. »
Andy lo saluta con una manina, osservando con malcelato orgoglio lo stato in cui è ridotto: capelli arruffati, maglietta frustata che sembra appena uscita dalla centrifuga di una lavatrice, i pantaloni abbassati da un fianco e tenuti su più per miracolo che per altro. Non che lui sia ridotto meglio, d’altronde; non si può vedere, ma è quasi certo di avere un succhiotto sul collo. E gli occhiali giacciono inerti in un anfratto dei cuscini, miracolosamente intatti. « ’Notte. »
Brendon bofonchia qualcosa di incomprensibile, va a sbattere una volta o due contro la porta prima di riuscire ad imboccare per bene l’uscita e quando è giunto in corridoio Andy potrebbe giurare che il tonfo che ha sentito è dovuto ad uno scontro ravvicinato con un tavolino che se non ricorda male doveva stare là, da qualche parte. Successivamente sente altri borbottii incoerenti, qualche botta seguita da qualche parolaccia, e poi il silenzio. Rovescia la testa all’indietro, si passa una mano sugli occhi, inforca gli occhiali e osserva il computer. Dovrebbe spegnerlo ed andare a dormire. Dovrebbe smetterla di fare così tardi. ‘Dovrebbe’ un mucchio di cose.
Quello che non dovrebbe fare - ma che fa, perché è da sempre un idiota bastian contrario - è sgattaiolare via dalla stanza dopo aver solo spento lo schermo e, nel buio, camminare fino alla stanza di Brendon, aprire la porta e chiuderla nuovamente alle sue spalle. Brendon non si rende immediatamente conto di quello che sta succedendo, realizza solo quando sente Andy abbracciarlo alle spalle e trascinarlo grossomodo di peso verso il letto. « Che fai? » chiede, vagamente allarmato.
Andy sorride. « Una stronzata, probabilmente. »