Titolo: He admits that it's too late (the damage is done)
Fandom: Elementary CBS
Personaggi: Sherlock Holmes (+ famiglia)
Rating: G (Tranne per il verbo "scopare", ma è un altro discorso)
Avvertimenti: Generale, OC!Mycroft, One-shot
Conteggio Parole: 1659
Note: Premetto che devo ancora farmi un opnione di Elementary e che ho visto solo i primi tre episodi perché poi la scuola mi ha bloccata.So solo che, fin dall'inizio, ci avrei voluto scrivere sopra, perché sembrava divertente Quindi, spinta dal fatto che qualcun'altro si stava vedendo questa serie, ho deciso di prendere il prompt. All'inizio doveva essere qualcosa di totalmente diverso, poi è diventato questo. In realtà non mi piace troppo. Avrei potuto fare meglio. L'idea di base era quella di rendere Mycroft (che in questo caso segno come OC, poiché nella CBS ancora non è comparso, quindi l'ho ricreato completamente) come ombra del padre di Sherlock, e Sherlock l'ombra di tutti e due <3
Scritto per il
Santa Fest @
maridichallenge con il prompt #019. [Elementary] Sherlock, daddy Holmes, 5 volte che il padre delude il figlio e una volta in cui non lo fa (ma questo non basta a riconquistare la sua fiducia)
Disclaimer: Elementary è copyright della CBS. Personaggi originali @Arthur Conan Doyle. Idea dello slittamento Sherlock-ai-giorni-nostri @BBC/Moffatt/Gatniss
1. In cui si parla di promesse non mantenute
Sherlock ha cinque anni, anche se non è come i bambini della sua età. La mamma lo sa bene e, un po' non sapendo cosa fare, un po' indecisa sulla sua crescita, lo lascia libero di osservare il mondo nel modo in cui preferisce. Legge negli occhi del figlio tante cose - la scoperta, la gioia e quel pizzico di ingenuità che devono avere tutti i bambini; se no non sono bambini, si dice, se no sono solo adulti. Qualche volta, però, trova anche un certo orgoglio. Quel tipo di orgoglio che riempe gli occhi di Sherlock quando ha ragione e sa di averne, anche quando nessuno lo ascolta.
Anche la mamma non lo ascolta, eppure Sherlock ha ragione - sa di averne - quando chiede di papà. È insistente, Sherlock, e Mycroft lo prende in giro, dicendo che è solo un bambino piagnucoloso. A Mycroft piace prendere in giro Sherlock e Sherlock è ancora troppo piccolo per non sentire un grumo in gola e gli occhi lucidi.
«Ma io voglio vedere papà» dice una mattina. La cucina sa di marmellata e profumo costoso. Sherlock ha un pigiama che è ormai troppo piccolo, mentre la cucina che lo circonda è troppo grande e incredibilmente disordinata.
La mamma fa su e giù davanti ai fornelli e i tacchi fanno rumore mentre cammina sul parquet «Ne abbiamo già parlato, Sherlock» risponde.
Sherlock alza gli occhi verso di lei. La fissa. Mamma odia quando Sherlock la fissa.
«Ma aveva promesso» la voce di Sherlock è un sussurro. Spera che Mycroft non lo senta.
«Non fare i capricci» la mamma si allontana dai fornelli, cerca di sfuggire allo sguardo del figlio. Si aggiusta il tajer e guarda l'orologio. «Tuo padre è molto impegnato»
Sherlock abbassa lo sguardo. Aveva detto che sarebbe venuto, si dice. L'aveva promesso.
E quando il campanello suona Sherlock crede davvero che sia il papà. Scende dalla sedia velocemente e sgattaiola dietro la madre, fino alla porta, fino a sfiorare il pomello della porta d'ingresso, che quando si apre lo fa davanti al sorriso della baby-sitter.
La mamma esce e a Sherlock bruciano di nuovo gli occhi (odia quando succede) e respira male (odia anche quello) e forse piangerà, anche se i bambini grandi non devono piangere.
Aveva promesso che sarebbe tornato, si dice ancora e ancora e ancora, per il mio compleanno. Aveva promesso.
2. In cui si incastrano pezzi di un educazione mal fatta
Mycroft ha sette anni più di Sherlock, ma l'età non è intelligenza; e di questa Sherlock ne ha fin troppa. Per questo, davanti alla cattedra della preside, con un mezzo sorriso in volto, non si preoccupa troppo quando Mycroft arriva con l'espressione di chi è appena stato interrotto nel bel mezzo di un congresso di stato. Si da tanta importanze, suo fratello. È bravo ad arrivare quando gli altri glielo chiedono, a tappare le crepe scolpite dagli altri.
Sherlock ha quindici anni e negli occhi ha solo rabbia. In realtà quindici anni gli ha fatti proprio il giorno prima, e per festeggiare si è introdotto nel laboratorio di chimica della scuola privata che i suoi genitori tengono tanto che frequenti. Fa una smorfia e storce il naso. Forse ha anche rotto un paio di macchinari, ma non l'ha fatto apposta. Voleva solo vedere come erano fatti dentro. Era curioso, anche se non lo direbbe mai. Ne andrebbe la sua immagine.
La preside guarda Mycroft con rammarico. Ipocrita, pensa Sherlock, riferito ad entrambi. Lancia anche lui uno sguardo a Mycroft, ma ciò che trasmette è ben lontano dal dispiacere. È lo sguardo di un bambino che ha appena messo le mani in un barattolo di marmellata.
Sherlock vede un ombra negli occhi del fratello. Pensa di aprire bocca, di dire che tanto si vede dal secondo bottone (mancante) della camicia (stropicciata) e dal fango sulle scarpe (Costose. Fatte a mano) che non si trovava in riunione. E la preside, a sua volta, che si divertiva a far sparire i soldi dalle casse della scuola e a scopare con il professore di chimica, non aveva bisogno di comportarsi come se Sherlock avesse compiuto chissà quale atrocità.
«Credevo di aver chiamato papà, Mycroft» dice, incrociando le braccia. Qualcosa pizzica nel fondo della gola di Sherlock.
«Non è potuto venire» risponde. Poi sorride alla preside e Sherlock pensa sai che novità.
3. In cui vede Londra per la prima volta
Per Sherlock Londra è una una cosa nuova. L'ha sempre avuta vicina, ma la curiosità di vederla - vederla davvero, viaggiare tra i musei e le strade e le persone - è relativamente recente. Sherlock salta la scuola più volte per Londra, per vivere Londra. E presto si accorge che Londra gli piace, anche se non riesce ancora a gestire tutto ciò che vede e sente e percepisce. Perché Sherlock sa che la ragazza davanti a lui ha un appuntamento ed è di fretta e si è rovesciata la colazione addosso prima di uscire; sa che il ragazzo dietro di lui cercava un lavoro migliore di quello che ha, così arrotonda spacciando. Capisce - grazie a Londra - di essere in grado di fare una cosa, che lui chiama intuire. Riesce a guardare qualcuno e parlare di cosa ha fatto, cosa no, perché l'ha fatto, come l'ha fatto. Può dirti che il ragazzo al suo fianco in metropolitana ha un problema al cuore e che sua madre lo chiama ancora tre volte al giorno; e te lo può dire dal suo respiro e dalle sue dita e dalle cose che ha intorno a sè e su di sé.
Sherlock l'ha sempre fatto, ha sempre intuito le persone, ma solo adesso si rende conto che questo vedere è logico.
Salta la scuola per tutta la settimana e inizia a pensare di non averne bisogno (ha sempre saputo di non averne bisogno). Fa pugilato due volte a settimana; salta anche quello. Quando torna a scuola, per ricordarsi un po' com'è, la riscopre noiosa, come al solito, e contraddice il prof di trigonometria finché questo non lo sbatte fuori dall'aula.
Così torna in città.
Suo padre lavora a Londra. Suo fratello lavora a Londra. Anche sua madre, solo che lei è morta.
Sherlock non sa perché decida di andare nell'ufficio del padre. Non sa perché inganni la receptionist e si finga uno stagista. Non sa neanche perché arrivi fino all'ufficio, con la testa bassa e le mani nelle tasche dei Jeans; perché spii dalle vetrate il Padre e Mycroft e poi se ne vada. È sempre stato un osservatore silenzioso del papà, dopotutto; del papà e del fratello.
Sa che non è veramente una delusione (che aspettarsi che il padre lo vedesse, anche senza fare o dire niente, è semplicemente stupido) ma Sherlock l'avverte comunque come tale.
4. In cui ha la felicità (sulla scena del crimine)
Osserva il cadavere con la coda dell'occhio, cercando di vedere il più possibile attraverso le braccia dei vigilanti e la folla riunita intorno al nastro giallo. Un omicidio in centro è più calamitante di un nuovo parco giochi. Una massa di persone si stringe intorno alle volanti della polizia, schiacciando Sherlock contro la balaustra.
Sherlock è disoccupato da quando ha lasciato l'università. Vive di lavori saltuari e quel giorno doveva incontrare il padre, alle nove precise, nella fermata vicino a Baker Street. Dovevano vedere un appartamento, una sistemazione provvisoria, perché ormai la presenza di Sherlock nella casa di famiglia è di troppo. Stringe i denti. In quella casa ci sta male da molto tempo. In realtà non ricorda un solo momento di gioia tra quelle mura.
Sherlock ha aspettato il padre per un ora, anche se non sperava davvero nel suo arrivo. Così ha iniziato a camminare, ha trovato delle persone e le persone l'hanno condotto a un cadavere.
Un detective (incompetente) dirige un branco di yarder (ancora più incompetenti) intorno a quella che sembra una massa rossa. Arriva un medico legale (una donna) e i vigili la fanno passare.
Sherlock si sporge ancora di più. La donna lo nota.
Quello sarà il primo vero caso di omicidio si Sherlock Holmes. E per la prima volta, forse, si sentirà veramente felice.
5. In cui ha la felicità (in vena)
La pioggia soffoca Londra da due giorni. Non accenna a smettere (cade, cade, cade) e Sherlock la fissa dalla finestra di Scotland Yard. È un consulente investigativo senza niente da dire, la bocca secca e lo sguardo perso, segnato da occhiaie profonde che marcano un viso magro.
Negli occhi non ha più niente.
Giocherella con una gomma da ufficio, che è lì da quando Scotland Yard è nata, forse. È nera, putrida, mal ridotta. La smussatura nell'estremità superiore ricorda a Sherlock una cicatrice.
Non si trova in quell'ufficio per un caso. Vorrebbe un caso. Vorrebbe un po' di buona, sana adrenalina su cui mettere le mani (la mente) e riprendere a correre. Ma deve stare fermo. Nasconde le braccia (anche se non può) e porta la testa all'indietro.
«Abbiamo trovato il tuo spacciatore»
Sherlock odia che sia Mycroft la figura più pedante della sua vita. Odia che faccia le veci del padre e che venga a dirgli cosa può o non può fare. Odia che lo tratti come un ragazzino.
Non risponde. Adagia le dita sul tavolo, dimenticando la gomma, pensando a quale melodia comporre e a che quantità di droga sarà necessaria per risvegliare il suo cervello. È questo il problema. Sherlock ha capito come accenderlo e come usarlo; non ha mai capito come spegnerlo.
E mentre chiude gli occhi e Mycroft parla, Sherlock sente e vede tutto.
Ha paura. Ha paura e è arrabbiato. Sarà il terzo programma di riabilitazione che Mycroft gli propone, e Sherlock accetta solo per vedere se il padre si farà vedere almeno quella volta.
0. In cui Papà arriva, ma è troppo tardi
Sherlock non ha più cinque anni, quindici o venti. Quando il papà arriva, Sherlock è un adulto con le vene bucate e una mente troppo veloce.
Piove anche quel giorno. La macchina del padre si parcheggia davanti a lui. Abbassa il finestrino e Sherlock ha solo voglia di andarsene. Qualcosa in fondo alla gola si ribella e cerca di smorzargli il respiro, ma la trattiene e non la fa vincere. Vorrebbe vomitare.
È scappato dal centro di riabilitazione e per una volta il papà c'è, solo che ormai è troppo tardi.