Titolo: Friend on the other side
Fandom: Originale, sovrannaturale
Verse:
nessunaluceBeta:
LindaRating: Pg16
Parole: 4.873 (W) @_@
Prompt: la canzone
Friends on the Other Side del film La principessa e il ranocchioNote: Scritta per il concorso
Colonne sonore dei film di animazione Diseny indetto da
harriet_yuuko, arrivata prima!
- Ci sono un sacco di cose che vorrei dire, ma la verità è che sono esausta XDDD
Disclaimer: Mioooo! *_*
È quasi doveroso, da parte mia, scrivere questa storia. Un giorno i miei - e suoi - discendenti si chiederanno quando e per quale ragione sia nato questo legame: voglio che sia messo per iscritto, voglio lasciare una traccia indelebile degli avvenimenti che ci travolsero. È giusto che, in futuro, sappiano.
Il mio nome è Teresa Teogonia, avevo appena nove anni quando loro arrivarono nel paesino.
You’re in my world now, not your world
(and I got friends on the other side)
È inutile che vi dia indicazioni del luogo in cui vivevo, o del loro cognome… sono cose che non potreste comunque perdere nel tempo, e che in mani sbagliate potrebbero finire col distruggervi. Era l’anno 1950, l’estate era appena cominciata.
Ad annunciarli per primo era stato il nervosismo di Alfeo. Mio fratello era piuttosto introverso e burbero di suo, al resto del paese era difficile notare la differenza, ma per me e la mamma era chiarissimo che non fosse esattamente tranquillo come al solito. Guardava sempre fuori dalla finestra con preoccupazione, osservava con rabbia le poche macchine che passavano per il paese… e continuava a dire che presto sarebbe successo qualcosa di brutto, ma penso non sia mai riuscito a interpretare, con precisione, cosa realmente lo rendesse così inquieto.
Era cominciata, per lui, fin da aprile, la mamma lì sentì solo a maggio; quanto a me, mi limitai a percepirli intensamente quando misero piede nel paesino.
Con mia madre e Alfeo abitavamo nel bosco inoltrato, piuttosto lontani dal centro - in realtà, tutte le poche case erano piuttosto sparse nel territorio. Non erano in molti a possedere una televisione, di conseguenza, quando c’era una partita o un film romantico, ci si riuniva a casa di una o dell’altra famiglia, quasi tutti gli abitanti. Persino il vecchio parroco, di tanto in tanto, si faceva trovare lì.
Quando mio padre morì - avevo solo due anni - il paese si strinse attorno a mia madre, e non mancarono le offerte di cibo e vestiti, questo nonostante non fosse ben vista in generale. Immagino si rendessero conto del fatto che noi fossimo… diversi, e, se il prete o qualche altra figura istituzionale avesse mai inculcato l’atmosfera astiosa, saremo finiti bruciati vivi.
Invece né il parroco né i carabinieri e poliziotti - che avevano una stazione nel paesino accanto - avevano mai preso di mira la nostra famiglia. Non so dire se per bontà, o incredulità davanti ai mormori che ci riguardavano. C’è poi da dire che mia mamma sapeva bene come farsi perdonare, portando cibo e aiutando sempre chi aveva bisogno. Ed era amica delle chiacchierone, tre donne dai venticinque ai quarant’anni che conoscevano qualunque cosa degli abitanti: immagino fossero viste un po’ come le “intoccabili”.
L’unica casa più lontana dal centro - e con centro intendo l’osteria che faceva da bar, parco giochi e albergo (ben due camere da letto) - era una casa disabitata, poco lontana dalla nostra. Era stata ereditata dell’unico nipote di una vecchietta, che non se la sentiva di abbandonare la grande città per un paesino minuscolo e che non poteva mantenere le spese. Era cresciuto qui, ma come molti giovani aveva deciso, grazie al boom, di cercare fortuna tra il cemento e il ferro.
Venne all’inizio di giugno per dirci che aveva venduto la casa, e una settimana dopo loro arrivarono.
Ci trovavamo nell’osteria in cui mia mamma lavorava. Ora ero io quella nervosa, sapevo che stava per accadere qualcosa di importante, ma non riuscivo a visualizzare nulla: litigavo con tutti i bambini e sbuffavo ad ogni richiesta, era strano per me, perché avevo un carattere piuttosto solare.
Il proprietario… Luca, non era esattamente come noi, ma una sua zia lo era stata, quindi teneva ben a mente i nostri consigli. E quando mia madre gli disse cortesemente, fissandomi: “Cerca di essere gentile con le persone che verranno. Innervosiscono i miei figli, questo significa che non vanno sottovalutati.”, lui annuì gravemente.
Un’ora dopo mamma mi aveva fatto bere qualcosa di fresco dal sapore strano - forse alla menta - ed ero tornata quella di sempre. Stavo giocando fuori, fui la prima a scorgerli nella pianura.
Quattro persone di colore - nessuno di noi aveva mai visto una persona di colore, all’epoca, ne parlava soltanto qualche giovane se ritornava l’argomento “guerra” - un vecchio con un bastone e i capelli bianchi, un uomo che portava due borsoni, alto e secco, una ragazzina che doveva avere tredici o quattordici anni e un bambino, mio coetaneo.
Il mio gruppetto, inizialmente, si gelò per la sorpresa. Poi si dispersero tutti, correndo e urlando alle loro madri di venire a vedere. Io rimasi immobile. Temevo che se avessi fatto qualcosa di sbagliato mi avrebbero ucciso.
Mi passarono accanto senza rivolgermi la parola, ma la ragazza più grande mi lanciò uno sguardo seccato.
Si trasferirono nella casa accanto alla nostra, e il padre dei ragazzi ebbe un lavoro da Luca, come oste. Parlava poco e lavorava sodo, Luca ci si trovava bene. I clienti, alla fine, si abituarono presto, anche se tutti loro avrebbero voluto sinceramente sapere chi diavolo fossero quelli e cosa ci facevano lì.
“Sono americani.” Aveva detto il proprietario, senza aggiungere altro. Era l’unico dettaglio che Percival si era permesso di riferirgli.
“Quelli portano guai.”
“Non voglio sentirti parlare così, Alfeo.”
Era una soleggiata mattina di giugno la prima volta che mia madre e mio fratello litigarono per i nuovi arrivati. Io li guardavo in silenzio, seduta sulla sedia.
“Ma dico, li hai sentiti? Una cosa del genere in vita mia-”
“Hai quindici anni, sei ben lontano dall’aver visto tutto quello che c’è da vedere.”
“Ma mamma!”
“Ti comporterai bene e sarai gentile, signorino.” Poi si voltò verso di me: “E questo vale anche per te.”
Alfeo emise un gemito di frustrazione.
“Mamma, pensi che ci faranno del male?” domandai improvvisamente. Lei sorrise, mi accarezzò la guancia.
“E perché mai dovrebbero?”
Non sapevamo perché avrebbero dovuto farci del male, ma ne eravamo convinti.
E avevamo ragione.
Per un po’ restammo dei vicini estranei. Benché il resto del paese fosse molto incuriosito da queste nuove presenze, io e mio fratello avevamo deciso, di tacito e comune accordo, di ignorarli finché possibile.
Per lui era semplice: ragazzi e ragazze avevano formato gruppetti diversi, e mentre loro si davano spintoni e parlavano di calcio, le femmine spettegolavano sui muretti e si scambiavano segreti. Più di una volta, però, avevo beccato Alfeo ad adocchiarla, ma non saprei dire se la stesse tenendo d’occhio o ne fosse attratto.
E non parlo di un’attrazione a livello fisico. Curiosità, più che altro, mista ad una sorta di… stupore, nell’incontrare un proprio simile, qualcuno che possa capirti, un’anima affine.
Questo lo so perché è precisamente quello che provai quando divenni amica di Benjamin.
Come ho già detto, per Alfeo era relativamente semplice ignorare Amethyst, ma per me le cose erano più complicate. Noi bambini eravamo di meno, per giocare in squadre c’era bisogno di quasi tutti i minorenni presenti per avere un numero accettabile di giocatori.
Benjamin, poi, era un elemento prezioso: correva come un fulmine ed era furbissimo. A nascondino si appiattava nei luoghi più improbabili, giocare a guardia e ladri con lui in una delle due squadre aumentava in maniera esponenziale la probabilità di vittoria. E poi, era simpaticissimo.
Le sue battute e le sue barzellette pronunciate con quell’accento particolare facevano sghignazzare tutti, i suoi racconti di un’America che nessuno di noi aveva mai visto li incantavano. Io, però, rimanevo fredda e distante, senza che riuscisse realmente a colpirmi. Credo che per un po’ ci abbia anche provato, a farsi notare da me, inutilmente.
Perché la mia attenzione era presa unicamente da quelle ombre estranee che così spesso strisciavano ai suoi piedi.
Era il primo ad andare via. Per questo non avevamo mai fatto la strada di casa insieme. Come la sorella, aveva un orario più restrittivo del mio; era tra i primi ad incamminarsi per aiutare il padre, ma quel giorno anche la mia mamma mi aveva chiesto di rientrare qualche ora prima.
Era il suo giorno libero a lavoro, e voleva utilizzarlo per insegnarmi a riconoscere certe piante.
Tra i bambini urlanti, parlammo nello stesso momento: “Devo andare.”
Ci voltammo stupiti a guardarci. Fu come se lo vedessi per la prima volta.
L’ostinato silenzio in cui mi ero rinchiusa lo metteva in soggezione. Tuttavia non mi staccava gli occhi di dosso, ma non osava rivolgermi la parola, e se alzavo appena lo sguardo lui, veloce, cominciava a fissarsi i piedi.
Camminavamo fianco a fianco, l’unico rumore era quello dei nostri passi sul selciato.
Sinceramente, mi sentivo bene. Era come trovarsi vicino un amico che conoscevo da sempre, senza imbarazzo o bisogno di avere un argomento di cui parlare - ecco, non c'era necessità di pronunciare frasi vuote, perché lui sapeva perfettamente cosa stessi pensando. Io ero spaventata da Ben, ma anche lui lo era da me - eravamo consapevoli l'uno dell'altra, in una maniera talmente totale che avrebbe terrorizzato qualunque essere umano.
Per fortuna, noi non lo eravamo.
Quando intravidi casa mia cominciai a correre. Ci rimase un po' male e pure io, davanti alla porta, provai una brutta sensazione, un dolore allo stomaco. Mi mancava già.
Così restai immobile, e nell’attimo in cui lo sentii passare mi voltai.
“Vuoi un bicchiere di latte?” Domandai, improvvisamente.
Ben era stupito. Da parte mia, non lo avevo fatto solo perché la mamma si sarebbe arrabbiata sapendo di essermi comportata in modo così maleducato, volevo solo approfittare del momento, rivolgergli la parola e sentirmi bene.
Ben balbettò un rifiuto educato, e scappò via.
L'indomani, andammo insieme a giocare.
Alfeo mi guardò male ma non osò dire nulla quando lo venne a sapere.
Credo che Amy avesse cominciato ad essere semplicemente troppo perché lui potesse ignorare la sua esistenza.
La mamma stava stendendo i panni in giardino. Io guardavo annoiata fuori dalla finestra, mentre sulla mia scrivania dei libroni pretendevano di essere studiati - o almeno letti.
Amy passò proprio in quel momento, con una borsa.
"Ciao, Amethyst!" la salutò mia madre. La ragazza fece un sorriso dolce e si fermò. "Vai da qualche parte?"
"A comprare da mangiare." Rispose.
"Davvero? E ci vai-"
Mio fratello entrò nel mio campo visivo, in sella ad una bici. Era visibilmente stranito di vedere Amy lì; benché fosse la vicina più vicina che avessimo, era la prima volta che se la ritrovava quasi dentro il giardino. Disse un "Ciao" poco convinto. Lei non rispose.
"Oh, Alfeo! Dove vai?"
"Giù in paese, giochiamo una partita di calcio."
Il sorriso di mia madre si allargò.
"Perché non dai un passaggio ad Amethyst? Mi spiace farla andare tutta sola fin laggiù."
Alfeo, ovviamente, divenne un pezzo di ghiaccio. Amy si affrettò a rispondere: "Non voglio disturbare."
"Oh, che sciocchezza." La mamma si rivolse nuovamente a Alfeo: "Allora?"
"Ha detto che non vuole disturbare."
Amy, con il carattere che si ritrovava, se la sarebbe fatta volentieri a piedi piuttosto che salire sulla bici di un tale cafone. Tuttavia la paura che nutrivamo nei loro confronti era ricambiata, e aumentava in maniera esponenziale quando si trattava di nostra madre. Era potente, e loro l'avevano capito dal primo sguardo.
"Forse non ci siamo spiegati." Mia mamma continuava a sorridere, ma non era affatto cordiale: "Tu accompagnerai questa ragazza giù in paese. E non te lo sto chiedendo."
Alfeo sbuffò, borbottò qualcosa, si avvicinò ad Amethyst e, senza guardarla, la lasciò salire.
Lei tenne le mani strette sulla bici, ma mai su Alfeo.
Io e Ben ci mettemmo due settimane prima di riuscire a tirare fuori quell'argomento. Anzi, in realtà prima di parlarne passò molto più tempo, ma riuscimmo a... mostrarlo.
Eravamo seduti sul prato e, senza una vera motivazione, stavo fissando un fiore. Questo stava sbocciando molto velocemente, molto più velocemente di quanto sia realmente possibile, ed ero concentrata nel controllare il flusso di energie. Mi ero dimenticata di Ben, steso sull'erba al mio fianco, mi ero dimenticata di lui perché da un po' di tempo, a volte, mi sembrava che nemmeno esistesse, avvertivo la sua presenza come un'ombra più spessa delle altre.
Quando il fiore fu completamente sbocciato, sorrisi. Ma lui soffiò forte, la pianta appassì sotto ai miei occhi e divenne polvere. Alzai lo sguardo, e per la prima volta mi resi conto di quanto fossero grandi e scuri gli occhi di Ben.
Prima le piante. Giocavamo a farle crescere o ringiovanire, arrivammo a rendere una quercia un piccolo seme, per poi riportarla alla forma originale. Poi gli animali, curavamo quelli feriti e cercavamo di controllare il volo di certi uccelli. Il nostro elemento in comune era la natura, mentre nel resto avevamo metodi differenti, sebbene entrambi stessimo ancora studiando e quindi non potevamo confrontarci in maniera totale.
Una cosa che avrei voluto domandargli disperatamente era riguardo quelle dannate ombre, che si aggiravano continuamente vicino a lui. Ero certa che ogni tanto parlasse con loro, che custodissero chissà quali segreti.
Ma proprio non trovavo il coraggio di chiedere nulla, come se si trattasse di un argomento tabù.
Diventammo inseparabili. Parlavamo un sacco. E questo accadde anche a mio fratello e ad Amy, sebbene in maniera diversa.
Non si piacevano: con quei caratteri burberi per loro era impossibile andare d'accordo, ma non avevano altri con cui parlare di certi argomenti. Oltre a questo, subivano l’uno il fascino dell’altra.
Il fiume distava poco dalle nostre abitazioni, ma ci eravamo allontanati ancora un po’ per evitare di incontrare altre persone. Volevamo semplicemente stare tranquilli.
Alfeo e Amy erano sulla riva, mio fratello giocava con l’erba e ogni tanto le parlava a voce bassa, guardandola negli occhi e sfiorandole le gambe con le dita. Lei non rispondeva mai.
Io e Ben, invece, urlavamo e ci spruzzavamo l’acqua addosso, nuotando a stile libero e rischiando di ammazzarci. Non li sentimmo entrare in acqua, ma ci voltammo quando loro cominciarono a-
Ad agire insieme.
Le loro fronti si toccavano. Avevano gli occhi chiusi, nel bel mezzo del fiume, e mio fratello la teneva per la vita. Le mani di lei erano sulle sue spalle. Era impossibile non avvertire quel cambiamento nell’aria, sono certa che persino ad un essere umano qualunque si sarebbero rizzati i capelli in testa.
Continuavamo a fissarli, incantati.
L’acqua del fiume cominciò a rallentare sempre di più, finché smise di scorrere.
“Porca miseria.” Riuscii a dire. Amy e Alfeo si staccarono e, osservando il loro operato, sorrisero.
Il fiume era assolutamente immobile, noi giocavamo ridendo estasiati e sconvolti, quando notai qualcosa galleggiare mollemente. Era blu, e attirò subito la mia attenzione. Poche bracciate ed ero lì, davanti a quell’esserino. Unii le mani a coppa per raccoglierlo con l’acqua, mentre il mio cuore batteva a mille e Ben avvisava i nostri fratelli della mia scoperta.
Era un’ondina addormentata. Doveva essere stato l’incantesimo a farla assopire.
Era un essere minuscolo, con la pelle azzurra e i capelli blu. Aveva una forma umana, ma le mani erano palmate. Adesso gli altri erano tutti intorno a me, per osservarla.
“Non ne avevo mai viste.” Bisbigliò Alfeo.
“Nemmeno noi.”
Sentivo le mani gelare e la testa dolermi, ma non volevo lasciarla. Si svegliò, infine, si stiracchiò pigramente e si accorse di noi. Cominciò a strillare - una voce acuta ma stranamente delicata, pareva che ci parlasse direttamente nelle nostre teste. Ci mostrò il pugno come per minaccia, poi si gettò nel fiume e quello riprese a scorrere.
Mia madre si infuriò.
Inveì contro mio fratello e contro Amy, mentre mi scaldava le mani con un pezzo di stoffa bagnato di acqua calda.
“Ma avete idea di quello che avete fatto?! Disturbare un’ondina, maledizione!” continuò a sfregarmi le mani mentre io ascoltavo le salamandre ridere nel camino: “Per non parlare di tua sorella, ora sentirà vocine ovunque.”
“Passerà! È scritto su tutti i libri…”
“Lo sai benissimo che è molto individuale, un incontro con gli elementali.”
Alfeo mi accarezzò la testa. “Passerà.” Ripeté, fiducioso.
Da quel momento il fiume divenne il nostro luogo di ritrovo: lontani e soli, potevamo giocare, senza il terrore di essere visti da chi non avrebbe capito.
Lì ci fu l’avvertimento.
Amy e Alfeo erano stranamente allegri, ci restavano accanto ed erano i primi a utilizzare in maniera incosciente i propri doni. I pesci nuotavano attorno a noi e passavano vicinissimi alle nostre gambe, l’acqua creava mulinelli, o si sollevava per produrre forme strane e buffe.
Quando sfiorai casualmente Amy, vidi il sangue.
Una leggera chiazza che le circondava la vita, ma lei sembrava non accorgersene. Mi allontanai terrorizzata, mentre il sangue si espandeva. Non volevo assolutamente toccarlo. Fu Alfeo a prendermi prontamente in braccio. Amy e Ben ci guardavano confusi.
“Che c’è?” domandarono, mentre il sangue aumentava, e aumentava, arrivando a raggiungere mio fratello. In pochi secondi il fiume stesso divenne rosso e denso. Io piangevo, Alfeo cercava di non tremare.
“EHI! Voi due!” sbottò Amy: “Si può sapere cosa cavolo vi prende?”
Quando spostammo l’attenzione su di lei, il fiume tornò azzurro e innocente.
“N-non avete visto?” Chiesi.
Continuarono a non capire.
Tornammo al fiume, ma questa volta tra Amy e Alfeo c’era qualcosa di diverso. Sembravano arrabbiati. Parlavano sottovoce nell’acqua, poco distanti da noi, ma non riuscivamo a capire cosa stessero dicendo.
“LO SO CHE PUOI FARLO!” urlò improvvisamente Alfeo. “HAI PARLATO CON MIO PADRE, VERO? VERO?” Amy restava in silenzio e lo guardava con odio, mio fratello le teneva il polso e pareva stringesse troppo forte. Avrei voluto dirgli di smetterla ma non ci riuscivo. C’era qualcosa di spaventoso.
“Dimmelo! Credi di sapere tutto di me, no?” si era avvicinato, ed ero convinta che l’avrebbe colpita. Sia io che Ben eravamo terrorizzati.
Ma Alfeo si calmò. Rimase in silenzio guardandola negli occhi, ancora furioso, ma poi la lasciò.
“Non sai niente di me.” Disse, prima che le ombre lo trascinassero sotto l’acqua.
Amy fu la prima a rendersi conto di cosa fosse accaduto e ad urlare.
“NO! LASCIATELO!” era disperata, e si immerse cercando di tirare fuori mio fratello. Per me e Ben ci volle qualche istante di più, poi venni presa dal panico, nuotai più velocemente possibile. Stavano trascinando mio fratello in basso. Amy lo cercava di tenerlo, ma doveva risalire per prendere aria. In quei momenti li supplicava, isterica: “Non mi ha fatto niente! È mio amico! Lasciatelo!” questo non sembrava servire.
Io cercavo di afferrare la mano di mio fratello e farmi trascinare con lui. Preferivo morire al sopravvivergli. Tornando su, piangevo.
Finché Amy non urlò un “BASTA!” talmente forte e disperato da farmi sobbalzare.
Alfeo emerse, tossendo, dall’altra parte della riva.
“M-mi dispiace, non volevo farti del male, mi dispiace.” Singhiozzava Amy, mentre mio fratello tossiva. Io mi ero accucciata tra le sue braccia, ancora spaventata a morte, Ben ci guardava senza dire una parola.
“L-loro non sapevano che tu… loro pensavano…”
Alfeo si stancò. Velocissimo, si alzò a sedere e baciò Amy. “Stai. Zitta.” Le disse.
Lei aveva gli occhi spalancati - come me e Ben, a dirla tutta - e non disse più nulla.
Alfeo si sdraiò a pancia in su, sbuffando.
“Ma è vero che si fa una cosa con la lingua quando dai un bacio?”
Alfeo arrossì.
“Che?!”
Eravamo a casa, in salotto.
“Hai messo la lingua in bocca ad Amy?”
Mio fratello si alzò, rosso come un peperone: “MA COSA CAVOLO STAI DICENDO?!”
“Eddai, dimmelo!!!” sbuffai: “Se non me lo dici, faccio la spia alla mamma e le dico chi hai baciato!”
“Tu provaci e io ti spezzo le ossa.”
“MAMMA!”
“NO! No! Va bene.” Si guardò intorno, preoccupatissimo. Mi diede un leggero bacio a stampo sulle labbra: “Ecco, l’ho baciata così.”
Mi pulii le labbra, schifata: “Non è vero! Vi ho visti! Vi siete baciati per davvero!”
“Smettila con questa storia, io non…”
“Tu non cosa?” chiese nostra madre.
Scappai immediatamente dalla stanza. Rimasi sulla soglia della sala a guardarli.
“… io niente.”
“Ah no? E chi avresti baciato?”
Credo che Alfeo, in quel momento, fosse impazzito. Doveva assolutamente trovare qualcosa, così, piuttosto che ammettere la verità, disse: “Un mio amico!”
“Un tuo amico?”
Io risi.
“… per una scommessa.”
“I baci sono una cosa importante, pensi sia giusto donarli per una scommessa?”
“Ehm,” fece lui.
“Chiedigli se ha usato la lingua!” sussurrai alla mamma.
“Zitta, mostriciattolo!” mi riprese giustamente Alfeo.
La donna sorrise.
“Hai usato la lingua?”
“IO NON VI SOPPORTO!”
Il ragazzo si alzò, e scappò in camera sua, mentre io e la mamma ridevamo.
Capitava che dormissi da Ben, o che invitassi lui a restare da noi per la notte. Mia mamma e Percival si erano parlati poco, quel che bastava perché si stabilisse un accordo di pace tra le due fazioni. Nessuno voleva la guerra - nessuno voleva farsi notare, benché fosse inevitabile.
Il nonno di Ben si chiamava Jaxon e aveva gli stessi occhi dei suoi nipoti, grandi e scuri. Si comportava come qualunque vecchietto burbero, e ignorava totalmente Amethyst. Ogni tanto si limitava a fissarla, scuotendo la testa e borbottando qualcosa.
Non gli piacevo. Non gli piaceva nessuno. Parlava in inglese, solo raramente qualche parola in italiano, e mai che fosse cordiale. Lui… lui sapeva perfettamente come sarebbe andata a finire.
Io, invece, adoravo la sua voce, che aveva un tono molto diverso da quello del figlio e dei nipoti, ero incuriosita da quelle mani callose e dal viso duro, dalla vita lontana che doveva aver vissuto, da tutti quegli insegnamenti che lasciava ai propri nipoti. Avrei voluto poterlo chiamare “Grandpa” come facevano Amy e Ben, chiedergli del suo passato e sentirmi protetta.
“Ancora qui? Ancora tu?” borbottò, guardandomi entrare.
“Grandpa, please!” mi difese - un pochino - Ben, afferrandomi per la mano e portandomi via, in camera. Mi faceva tenerezza tutto quell’amore che l’uomo riusciva a trasmettere ai propri nipoti.
I due letti erano separati, ma di questo mi importava ben poco. La prima volta Percival chiese il permesso di mia madre, per farci dormire nella stessa camera - al che lei rise, coprendosi le labbra -, e ora c’era sempre un lettino in più pronto ad ospitarmi, nella sua stanza.
Che io non usavo mai.
Mi rifugiavo vicino a Ben, appoggiavo la testa sulle sue spalle e aspettavo.
Sul soffitto le ombre cominciavano a muoversi. Si raccoglievano in gruppo, per spostarsi velocemente da una parte all’altra della stanza, come in una danza frenetica. Non ci sfioravano mai, ma mi tenevo stretta a Ben. Il motivo per cui andavo così spesso a dormire da lui era il terrore: pensavo che l’avrebbero trascinato via come avevano cercato di fare con Alfeo.
“Che diavolo fanno?” Bisbigliai un giorno, e Ben, senza mai distogliere lo sguardo dagli arabeschi creati, rispose così: “Mi stanno parlando.”
Erano le tre di notte quando mia mamma mi svegliò. L'estate stava per finire.
“Dovete andare via.” Disse, spingendomi fuori dal letto e anche di casa. Mi aveva fatto vestire in fretta, e sempre in fretta mi portò in sala. Mio fratello era lì ad aspettarmi, con una sacca in mano e la paura negli occhi.
“Mamma, ma cosa succede?”
“Nulla, piccola, nulla, ma dovete correre via, va bene? Nel bosco, il più lontano possibile. Ricordate quella grotta, con quei simboli, poco dopo il fiume?”
Annuimmo.
“Rifugiatevi lì, e portate anche Amy e Ben con voi.”
“Ma perché?!” Alfeo aveva capito più di me, e riusciva a stento a trattenere le lacrime.
Mia madre sorrise gentilmente e gli accarezzò la guancia.
Improvvisamente realizzai: ci avevano trovati.
L'ultima cosa che vidi prima di addentrarmi nel bosco fu il riflesso del fucile del signor Percival, l'ultima cosa che sentii fu lo sputo per terra del signor Jaxon. Alfeo mi tenne per mano, mentre la mamma, sulla soglia della porta, cominciava a sussurrare incantesimi che si era sempre rifiutata di insegnarmi.
Amy e Ben erano fermi davanti al fiume, in attesa.
“Le vostre ombre non vi hanno avvisati, eh?”
“Nemmeno le tue.” Rispose Amethyst, ma era più dispiaciuta che arrabbiata.
Correvamo come pazzi, cercando di orientarci in quella foresta buia, ma era difficile, era difficile concentrarsi, era difficile non pensare ai nostri genitori e agli spari che si sentirono, era difficile ignorare l'odore del sangue che arrivava fino a noi, come uno scherzo di cattivo gusto.
Volevo solo cadere a terra e piangere quando percepii la morte di mia mamma.
“Non arriveremo da nessuna parte!” Soffiò mio fratello, senza smettere di correre.
Alfeo aveva visto giusto. Tra gli Inquisitori, c'era una strega che riusciva a sentirci con estrema facilità, e non ci avrebbe messo poi molto ad individuare la nostra caverna.
“Zitto e non fermarti.” Sibilò Amy.
Erano proprio sotto di noi, davanti alla caverna. Ci trovavamo su un'altura, mentre gli Inquisitori stavano parlottando davanti a quella che sarebbe stata la nostra salvezza.
“Merda.” soffiò Alfeo.
C'era un ragazzo dai capelli biondi, con un corvo sulla spalla, una donna minuta e gracile, un omaccione dagli occhi azzurri.
“Non possiamo tornare indietro. Ce ne sono altri, ad aspettarci a casa.”
“Probabilmente hanno visto le nostre foto, o semplicemente sapevano che eravamo qui.”
“Merda.” Ripeté Alfeo. Amy aveva lo sguardo concentrato.
Tentavo di non piangere e di non fare la bambina, ma dentro di me volevo solo strillare e tornare da mia mamma. Era tutto così orribile e soffocante... cercai conforto in Ben, peccato che rividi nel suo viso la mia stessa angoscia.
Improvvisamente, Amy prese il mento di mio fratello.
“Io e te siamo amici?” Chiese.
“Eh?”
“Io e te siamo amici?”
Alfeo sbatté le palpebre.
“Sì, ma dove vuoi-“
Fu veloce nell'infilzare le unghie nella carne di mio fratello. Lui emise un gemito strozzato.
“Che cavolo fai?!”
Amy portò il sangue al petto, e disegnò uno strano simbolo.
“Ricorda.” Disse: “Prenditi cura di mio fratello e io ti sarò sempre amica. Ma se dovesse mai succedere qualcosa a Ben... allora, diventerò il peggiore dei tuoi incubi.”
La guardavamo preoccupati. Però io avevo capito. Lo immaginavo, in realtà.
Amy si voltò verso di me: “Questo vale anche per te, young lady.”
Annuii gravemente.
“No, ora tu mi spieghi di cosa cavolo-“
“Li porterò lontano. Voi correte verso la grotta.”
“Tu cosa?!” Alfeo le afferrò il polso, Ben un braccio. “Te lo puoi scordare, è un suicidio!”
“No! Sister, you can't-“
Lei soffiò sui loro visi, e questi vacillarono prima di cadere sull'erba, svenuti.
“Si risveglieranno presto,” affermò: “Fa' in modo che stiano bene.”
Piangevo silenziosamente, e la guardai andare via.
Gli Inquisitori erano un agglomerato oscuro, figure nere nel nero più assoluto. Parlavano a voce bassa, e semplicemente il suono era terrificante, per me.
“Nessuna traccia dei bambini?” l’uomo più grande si rivolse alla ragazza.
“È troppo buio.”
“Non riesci nemmeno a sentirli?”
“Anche nei loro cuori è troppo buio.” Si spiegò lei: “Le ombre e gli spiriti li avvolgono, per proteggerli.”
L’uomo sputò per terra: “Streghe schifose.”
Fu quell’alito di vento che scompigliò i loro capelli a spingerli a voltarsi.
Amethyst era lì. Non abbassò lo sguardo mentre quelli la studiavano.
“Ne abbiamo trovata una.” Affermò il ragazzo con il corvo.
“Uhm. Quanto è potente?”
“Abbastanza da farci secchi.” Rispose l’unica donna.
“Bene. Quanto ci metterebbero i soccorsi ad arrivare?”
“Una mezz’ora, con questo buio. Non in tempo.” Sussurrò qualcosa al corvo, e quello spiccò il volo.
Amy non fece una piega quando la sfiorò.
“Perfetto.” Finalmente, l’Inquisitore si rivolse ad Amy. Tremai: “Sei sola, ragazzina?”
“No. Non lo sono mai.”
Gli Inquisitori prepararono le armi.
“Degna risposta di una strega. Sei pronta a morire?”
Amy tenne la testa alta e rispose educatamente: “Sì, signore.”
Avvertii una strana dolcezza nel tono dell’uomo: “Meglio così.”
Allungò il braccio con la pistola ben salda in mano, e sparò.
Il proiettile d’argento - l’unico metallo capace di ferire qualunque di noi - si fermò a mezz’aria, le ombre si erano alzate e stavano circondando Amy.
“Eh eh… non la renderai semplice, vero, ragazzina?”
Gli occhi di Amy divennero scuri, la sua voce si unì a quelle di molte altre: “Non ci penso nemmeno.” Replicò, mentre il nero cominciò a circondarli. Il rumore degli spari stava risuonando forte, e presto i nostri fratelli si sarebbero risvegliati. Questo Amy lo sapeva.
Cominciò ad arretrare, portandoli verso il fiume. Loro si rendevano perfettamente conto che stava solo cercando di proteggere qualcun altro, ma tra una preda ben in vista e altre da scovare, preferirono lei.
Erano scomparsi dalla mia visuale quando Ben e Alfeo si destarono. Io piangevo.
Avrebbero voluto correre da lei, ma semplicemente non potevano: aveva soffiato via anche le loro energie e il loro spirito battagliero. Restammo sotto quella schifosa grotta per tutta la notte.
Il mattino tornammo alle nostre case, svuotati. Dissero che dei briganti avevano ucciso i nostri genitori, e che erano scappati via. Il paese si strinse attorno a noi. Furono tutti molto gentili.
Venimmo adottati da Luca, che fu abbastanza furbo da decidere di trasferirsi in città.
Ben resta ancora adesso il mio più caro amico. Come promesso, io e Alfeo lo abbiamo sempre protetto da ogni male possibile, e così i miei figli hanno fatto con i suoi. Adesso che i miei nipotini stanno crescendo, anche loro impareranno a difendere i nipoti di Ben.
Non c’è scampo a certe promesse, né deve esserci.
La donna anziana ripiega con cura la lettera. Dà un ultimo sguardo fuori: c’è una bellissima luna rossa.
“È stato gentile da parte tua attendere.” Dice, voltandosi lentamente.
Amethyst sorride leggermente, porgendole la mano: “Questo e altro per un’amica.”