Robin Hobb, L'apprendista assassino, Tascabili Immaginario Fanucci (ISBN 88-347-1088-6)

Dec 16, 2007 10:11

"L'apprendista assassino" di Robin Hobb è il primo volume di una trilogia, conclusa, edito dalla casa editrice Fanucci nella collana fantasy. Del genere fantastico nella storia narrata si possono ritrovare alcuni elementi, ma è bene precisare che non incontreremo elfi, nani, draghi, maghi e altre figure tipiche della narrativa di questo genere, piuttosto l'elemento fantastico è incorporeo, discreto, nascosto e ancestrale, l'opposto di una magia visibile, invocata, frastornante e ostentata, ma al contrario strettamente legata alle doti e talento del singolo individuo: una magia che ha nell'Arte mentale o nell'espansione dello Spirito oltre i suoi confini, la sua origine e forza. E' una magia impalpabile e oscura quella in cui si verrà ammaliati.

In questo primo volume della trilogia vengono narrati la crescita e l'apprendistato di Fitz il Bastardo, alla Corte di Castelcervo, regno dei Lungavista. Fitz non è un ragazzino comune bensì il bastardo reale e la sua discendenza non potrà che condurlo a divenire lo strumento del Re, l'assassino di corte, colui che agisce nell'ombra là dove guerra e diplomazia non riescono a giungere. Riconosciuto a corte Fitz dovrà apprendere molte altre arti, come l'uso delle armi e le regole dell'etichetta, oltre al suo segreto apprendistato, ma prima di ogni altra cosa dovrà lottare per sopravvivere, tra intrighi e tradimenti, in un ambiente a lui ostile che lo considera un intralcio e una minaccia e quindi da eliminare.

Non bisogna cadere in false speranze o fraintendimenti: eliminiamo dalla mente il ricordo della tipica storia del bambino orfano e povero, ma di reali origini, che dopo peripezie e avventure verrà riconosciuto e accolto a Corte, dove troverà il riscatto e infine la felicità. In questo romanzo la felicità è rara e quando compare è effimera e a doppio taglio, ben altri sono i sentimenti e toni che accompagnano la dura crescita di Fitz. All'età di sei anni verrà strappato dalle braccia materne e condotto alla corte dei Lungavista e da questi affidato alle cure di Burrich, l'uomo di fiducia, lo stalliere e addestratore di cani del principe Chevalier, il padre di Fitz. Il bambino verrà allevato dal rude, taciturno e leale uomo, al Borgo di Castelcervo, lontano dal Castello e, forse, quelli saranno gli anni meno infelici e più spensierati del bimbo, nonostante il rapporto tra i due sarà all'insegna della reciproca incomprensione, che avvelenerà e soffocherà ogni manifestazione d'affetto, come Fitz si troverà a ricordare: << Noi due eravamo legati nella solitudine, e guardandoci ogni sera vedevamo colui che ne ritenevamo responsabile>>.
Unica consolazione per Fitz sarà la scoperta di possedere lo Spirito, eredità materna, la sottile magia della comunicazione con gli animali, cani in particolare, fino alla possibilità della completa fusione mentale con loro.

Al decimo compleanno la vita di Fitz verrà nuovamente stravolta da decisioni altrui: su ordine di Re Sagace sarà accolto a Corte e affidato, per il suo particolare apprendistato, al misterioso, intelligente e pericoloso Umbra, che gli insegnerà la sua letale arte. Sarà con quest'ultimo che il ragazzo riuscirà a trovare una parvenza di equilibrio emotivo e fiducia, ma la felicità pare non sia scritta nel suo destino tanto che l'imposizione del Re affinché impari anche l'Arte, la magia innata nei Lungavista, stravolgerà ancora una volta, ma più pericolosamente, la vita di Fitz.

Sullo sfondo seguiamo le lotte tra i Sei Ducati che compongono il Regno, gli intrighi di corte e soprattutto la lotta del Regno contro un nemico esterno e terribile: i Pirati della Nave rossa che, giungendo dal mare, riescono a portare la follia nella mente e nei cuori della gente dei villaggi in cui compiono le loro scorrerie.

Il mondo in cui la Hobb fa muovere i personaggi è quello, più volte sperimentato nella narrativa fantasy, che richiama alla nostra mente uno scenario medievale tipizzato. L'aspetto da rilevare però è il tentativo da parte dell'autrice di scomporre tale paesaggio statico, in diversi sottoscenari in cui Fitz cresce e vive le sue avventure, legandoli infine in un unico mondo diversificato credibile. Non vi sarà solo il Castello in posizione elevata con il borgo ad assediarlo, ma anche il porto con la sua zona di locande più o meno malfamate e il loro carico di umanità variamente degradata; vi saranno le città dell'entroterra e quelle di montagna con le rispettive popolazioni e le distese di foreste e paludi a separarle. L'autrice dimostra capacità nel mantenere una buona alternanza tra le azioni svolte nel chiuso degli ambienti e quelle negli spazi aperti, tanto che vi è un costante dinamismo, che unito a scorrevolezza e continuità di narrazione, rendono estremamente piacevole la lettura.
Credo che il punto di forza di questo libro sia però da individuarsi nei personaggi creati, nella loro caratterizzazione e spessore. Non esiste la dualità buono/cattivo, bianco/nero, ma tutti sono ritratti a scale di grigio, gli attori non sono né esempi di virtù né crogiolo di peccati: il lettore si trova quindi a comprendere coloro che si mostrano esseri imperfetti e maggiore è la possibilità di capire più punti di vista. Non tutto quello che appare, poi, è espressione della realtà, l'animo umano è oscuro e complesso, contraddittorio e Fitz, a sue spese, lo scoprirà velocemente. Così come sarà costretto ad accettare la quasi impossibilità di essere padroni del proprio destino, la difficoltà della libera scelta e il tormento nell'essere fedeli al dovere a scapito anche del proprio senso di giustizia.

Fitz il Bastardo reale è solo apparentemente figura semplice, e attorno a lui ruotano e interagiscono una serie di personaggi complessi e intriganti, i cui legami con il ragazzo e il misterioso passato di ognuno di loro, la loro reale natura, sono gli elementi di forza e la struttura portante del romanzo: Umbra, Burrich, il Matto, Veritas si contendono l'interesse del lettore! Dalla cura dei personaggi discende l'importanza dei dialoghi, mai banali e sempre incisivi e modellati sulla personalità dei protagonisti.

Il romanzo è scritto in prima persona, al passato, e la voce narrante è quella di Fitz; personalmente trovo questa difficile scelta non solo coraggiosa ma anche pienamente riuscita. Le riflessioni e gli stati d'animo del protagonista, bambino-adulto, coinvolgono intensamente, creando una suggestiva atmosfera e un legame di confidenza esclusiva tra il narratore e il singolo lettore. Si arriverà a seguire con partecipazione il doloroso percorso di crescita del ragazzo, il quale soffrirà non solo per il marchio di nascita che lo costringerà ai margini della famiglia reale, ma soprattutto per la sua condizione di "diverso tra i diversi" a causa della sua natura che è costretto a celare. La solitudine e l'incomprensione tra lui e coloro che lo circondano, con il corollario di sentimenti suscitati da questa condizione, sono forse gli stati d'animo che accompagnano maggiormente quei suoi anni, emozioni che però fortificheranno il suo carattere, permettendogli di rialzarsi dopo le innumerevoli cadute.

La versione da me letta non è quella in lingua originale, ma quella italiana tradotta da Paola Cartoceti e in base a questa giudicherei lo stile della Hobb scorrevole, preciso e curato senza essere pesante o ridondante.

Questa recensione la scrissi molti mesi fa, alla fine della lettura del primo libro della Saga dei Lungavista. Da allora non solo ho terminato quella trilogia ma ho iniziato la lettura della saga seguente. Rileggendo la recensione un senso di insoddisfazione mi ha pervaso: la trovo fredda, poco emozionante e un po' petulante. Soprattutto una cosa, però, mi rode: mi rendo conto di non aver saputo rendere la ricchezza, la bellezza e pienezza di questi libri. Sappiate che ci si emoziona. Si viene coinvolti. Ci si affeziona. Dovevo specificarlo per bene. Insomma leggetela!
^_=

recensioni, libri, hobb

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