Sep 15, 2011 12:55
goccia d'inchiostro in fondo all'estate, giro pagina.
ed eccolo, puntuale come le luminarie a ottobre, l'assolo di blues che apre l'inverno. un'altra persona che avevo imparato ad amare mi guarda un po' triste, mi accarezza e se ne va.
più di tutto, è la ciclicità che mi spaventa. le circostanze, sempre le stesse: il passaggio, la fine del percorso, la vertigine del cambiamento. e io, lasciato sempre alle spalle, con dolore e dolcezza, come un giocattolo d'infanzia. e ogni volta la mia reazione si fa più stanca: riconosco i gesti, l'impotenza, quel senso di vuoto che stordisce i secondi. riconosco tutto, ma è una pagina già scritta. buona nemmeno a cavarne due righe, un poco di poesia, uno sprone qualsiasi.
(fate conto che qui ci sia scritto qualcosa di brillante per smorzare il patetismo da ardengosoffici)
è fin troppo chiaro che c'è qualcosa di sbagliato nel mio modo di darmi alle persone. la mia ansia di condividere, il freno tirato sull'io, la goffaggine esibita, l'entusiasmo fanciullesco per coprire l'angoscia degli anni che sono passati. il fantasma di una persona che non sono più, l'ombra falsa di un'adolescenza sempre più sottile, sempre più ridicola. cerco la pazienza della terra, coltivo tempi comici come tesori da condividere, ma - alla fine - al nocciolo di questa sciarada, c'è la paura marcia di essere escluso, l'affetto opprimente di chi non basta a sè stesso, di chi crede di non aver nulla da dare.
(un'eco sorda di ribellione, lontanissima).
ognuno di questi inverni si è portato via parole, immagini, orizzonti. vorrei reinventarmi, ritrovarmi, concludermi, aprirmi, ma mi chiedo se l'errore non stia prima, nella voragine profonda che mi regge, al di là delle mie forze, al di là del mio coraggio.
the hours