Chi: Matt, Mohinder
Dove: Boston, Centro Analisi
Cosa: Matt è finalmente pronto a rivedere Molly. Ma Mohinder non ne è così sicuro.
Quando: Giovedì 15 Settembre 2011
Stato:
Finito. (
'Sono Matt Parkman' disse, quasi aspettandosi di essere riconosciuto. )
Non ho certo dimenticato, ragionò a mente il genetista nel sospingere la porta d'ingresso del locale, che tintinnò vivace al lasciar entrare i due. Rivolse un sorriso appena accennato ma cordiale al proprietario che si affacciò da dietro un bancone ricolmo di barattoli colorati, aroma di rosaspina e karkadè che impregnava tutto l'ambiente. E allora perchè...? Perchè non mi dispiace che lui sia qui? Eppure dovrebbe.
Si diresse istintivamente verso il fondo del bistrot, lontano dalle vetrine che davano sulla strada, mirando al tavolino addossato al muro che solitamente ospitava lui e la miriade di documenti che si portava dietro anche nei minuti di pausa.
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Eppure, per qualche strano motivo, i pensieri dell'indiano superavano facilmente tutte le porte che Matt aveva imparato ad interporre tra la sua mente e quella di chi gli stava attorno, quasi come se la mente di Mohinder volesse essere ascoltata.
Come se il suo inconscio sapesse che lui non sarebbe stato mai completamente sincero, con Matt, e volesse dargli comunque l'opportunità di conoscere la vera opinione dello scienziato.
Matt fu improvvisamente grato a chiunque gli avesse concesso i suoi poteri, perchè lui aveva ferito Mohinder e Molly in modo imperdonabile, eppure grazie ai pensieri dell'indiano ora sapeva che non tutto era perduto.
Sedette al tavolino, guardandosi intorno pieno di curiosità, dimentico per un istante della ragione per cui si trovavano lì, e per un momento fu come se quei quattro anni non fossero mai esistiti, come se avesse incontrato Mohinder e Molly solo il pomeriggio precedente.
Gli sembrava di vedere Molly con la linguetta tra i denti e la frangia spiovente sugli occhi, l'espressione concentrata mentre disegnava dettagliati paesaggi o ritratti. Quella bambina aveva talento, l'aveva sempre detto, lui.
Immaginava Mohinder seduto a scartabellare le sue carte, che di tanto in tanto scoccava un'occhiata alla bimba per assicurarsi che stesse bene, le sorrideva e si rimetteva al lavoro.
Quanto tempo ho perso pensò Matt aggrottando la fronte quanti momenti semplici e preziosi allo stesso tempo! E tutto per non aver saputo mettere da parte il mio stupido orgoglio quel tanto che bastava per chiedergli aiuto!
Ma sapeva bene che non si era trattato solo di quello. Lui non aveva voluto che Mohinder scoprisse quella parte di lui, la parte debole, vulnerabile, umana di lui. Gli piaceva lo sguardo che gli riservava, quello di una persona che si fida di te, incondizionatamente, lo faceva sentire vivo.
La verità vera, quella che non aveva mai davvero accettato, era che avrebbe voluto essere l'eroe di Mohinder tanto quanto lo era di Molly.
"Sono stato un vigliacco" disse, in un rapido sussurro, come se quelle parole gli bruciassero sulla lingua.
"Avrei dovuto chiedere il tuo aiuto. Se ti avessi permesso di darmi una mano, forse, non ci avrei messo quattro anni ad aggiustare ciò che c'era di sbagliato in me."
Dopo aver finito di parlare, abbassò lo sguardo sul tavolo, fissandosi le mani.
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Quella situazione lo metteva a disagio tanto quanto lo riempiva di uno strano piacere. Una specie di formicolìo alla colonna vertebrale, un nodo allo stomaco, il pizzicorìo di uno sciame di farfalle in gola. Continuare a chiedersi il perchè di tutto quello non avrebbe portato da nessuna parte - detto da uno scienziato suonava piuttosto lugubre -, lo sapeva, ma il fatto era che sentirsi preda di qualcosa che non riusciva a definire lo spaventava. Fu allora che, sollevando lo sguardo, Mohinder incrociò quello di Matt. E sgranò gli occhi trovandoselo davanti, distogliendoli poi rapidamente da quella vista che lo confondeva.
Accidenti.
Nonostante la materia triste delle sue parole, quasi lo ringraziò per aver parlato per primo. E fu sul punto di farlo anche con il ragazzo in t-shirt informale che gli si avvicinò per prendere l'ordinazione, e che gli permise di porre la sua attenzione altrove, nella fattispecie sul the al miele che aveva intenzione di bere di lì a poco.
E' già un passo in avanti il fatto che lo abbia capito, riflettè. E non diede il tempo a Matt di leggergli il pensiero, perchè diede voce a quelle esatte parole.
"E' già un passo in avanti il fatto che tu lo abbia capito", constatò sollevando le sopracciglia. "Il fatto che tu abbia capito di aver sbagliato. Di aver fatto del male a delle persone."
Non solo a Molly.
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Se avesse ancora avuto dubbi riguardo alla profondità del rapporto che senza che se ne accorgessero si era instaurato tra loro, mentre si alternavano nel prendersi cura della piccola, fu quel pensiero a denti stretti che glielo schiaffò sotto gli occhi.
"Non posso recuperare il tempo perso, Mohinder, nè fare finta che non sia trascorso. E anche se potessi, non lo vorrei. Il passato non si cambia, lo so per esperienza personale. Posso solo cercare di tornare gradualmente a far parte della vostra quotidianità e passare il resto dei miei giorni a cercare di farmi perdonare."
Matt sorrise appena.
"Mi siete mancati, Mohinder" disse.
"Tutti e due."
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Si sentiva così dannatamente confuso. Osservò il suo riflesso nel liquido scuro e caldo che lo stesso ragazzo di prima gli portò versato in una tazza bordeaux priva di manico, e si sentì sfumato e increspato proprio come l'immagine che scorgeva davanti a sè. Serrò le mani scure attorno alla ceramica tiepida, gli occhi liquidi soffermi sulla superficie dorata del the, le orecchie tese ad ascoltare le parole di Matt nonostante sembrasse tutt'altro che presente.
Cos'era che rendeva tutto così difficile? Cos'era che impediva ad entrambi di alzarsi in piedi e di abbracciarsi, stringersi le mani in segno di pace ritrovata, uscire da quel locale buio e fumoso e marciare difilato a casa dove li aspettava una Molly felice di rivederli uno accanto all'altro, rendere tutto facile come nelle favole che ogni sera leggeva alla loro bambina?
Posso fidarmi di te?, pensò.
"Io... non lo so", proferì con voce vellutata, gli occhi ancora chini sulla tazza di the, in risposta a Matt e a quella domanda che ancora gli ronzava nella testa. Dalla sua decisione non derivava solo la sua felicità, no, non era di quella che si preoccupava: sapeva che, appesa a quel filo, c'era Molly, e non aveva intenzione di tagliarlo se non fosse stato certo che, là sotto, ci fossero stati tre materassi, un plaid e una decina di cuscini pronti ad attutire la caduta.
Mohinder si costrinse a sollevare lo sguardo e ad incontrare gli occhi dell'altro.
"Sono successe tante, troppe cose. Abbiamo riguadagnato la stabilità che avevamo perso, tutto sembra andare per il meglio, ora. Non credo di essere pronto a mettere di nuovo a repentaglio una cosa così fragile e preziosa."
Anche se il risultato fosse ottenere qualcosa di molto più prezioso come riaverti con noi.
"Senza contare che tu vivi a decine di chilometri da qui", aggiunse, "e non saresti presente quanto dovresti."
Quanto già non sei stato.
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"Veramente, Mohinder" rispose quindi, rivolgendogli il primo, vero sorriso da quando si erano rivisti "Mi sono fatto trasferire a Boston. Inizio lunedì."
Soppesò le sue parole per un momento e poi aggiunse "Non sapevo se mi avresti permesso di dimostrarti che sono cambiato, che sono di nuovo io, ma ho pensato che, in caso avessi deciso di farlo, mi sarebbe stato più semplice essere già qui."
Arrossì appena, ricordando quanto gli era costato convincere i suoi superiori a farsi trasferire; alla fine aveva dovuto accettare di retrocedere, tornando ad essere un semplice membro dell'investigativa, ma ce l'aveva fatta.
E ora poteva offrire a Mohinder un segno tangibile della propria volontà.
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Era infastidito da quel suo atteggiamento. Infastidito dall'ovvietà con cui vedeva le cose, dal suo pensare a priori che tutto si sarebbe sistemato, dalla sua decisione di trasferirsi senza prima verificare quale piega avrebbero preso gli eventi. Ai suoi occhi, era come se Matt sottovalutasse quello che era accaduto: credeva che due paroline alla buona e un pizzico di senso di colpa avrebbero sistemato tutto?
"Non credo comunque sia così facile", replicò, con un tono che, non se ne rese conto, poteva suonare derisorio. Scosse il capo. "E' come... E' come se non ti rendessi conto dell'entità di quello che è successo...!", si ritrovò a dover abbassare la voce.
"Stai cercando di riparare una frattura con un cerotto: non è un'impresa impossibile, sei tu che non hai i mezzi giusti. Come pensi che reagirebbe Molly vedendoti ricomparire nella sua vita così all'improvviso, dopo lo sguardo spaventato che io e, ne sono certo, anche tu, ho visto nei suoi occhi quella sera?"
Chi mi dice che non lo farai di nuovo?, pensò. Chi mi dice che non riaprirai quello squarcio nel nostro cuore che abbiamo fatto tanta fatica a ricucire?
Certo era che adesso, oltre quei punti disposti alla bell'e meglio sugli orli della ferita, non c'era altro che il vuoto. Ma non era forse meglio lasciarlo così, piuttosto che tornare a riempirlo di certezze che avrebbero potuto rivelarsi infondate da un giorno all'altro?
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Lui cercava di proteggere Molly e, ormai era chiaro, anche se stesso. Matt si rallegrò di essere lui quello che leggeva nel pensiero: se fosse stato il contrario, Mohinder non gli avrebbe permesso neppure di aprir bocca, tanto confusi e vorticanti erano i pensieri di Matt in quel frangente.
L'uomo aprì la cartelletta di pelle che si era portato e ne estrasse un plico sottile di fogli dattiloscritti che porse a Mohinder.
"È della mia analista" spiegò. "L'ho pregata di scriverti perchè potessi avere un punto di vista oggettivo e professionale sul mio stato. Se poi davvero non vorrai darmi neppure uno straccio di possibilità, me ne andrò. Davvero."
Sapeva che stava rischiando grosso, ma la dottoressa l'aveva rassicurato durante l'ultima seduta.
Complimenti, signor Parkman, gli aveva detto. È finalmente un essere umano.
Non era stato semplice trovare un analista refrattario ai suoi poteri. Era stato in oltre quaranta studi diversi, ma non voleva cedere su questo punto. E finalmente, aveva incontrato lei. Gavina Conners. E con lei si era aperto, senza remore.
Aveva pianto, aveva riso, si era fatto del male ed era risorto dalle proprie ceneri, comprendendo finalmente dove aveva sbagliato fino ad allora e scoprendosi, finalmente, completo.
La lettera per Mohinder era stata un'idea di Gavina.
Non può aspettarsi che la riprenda dopo due sorrisi e una parolina dolce, signor Parkman. La fiducia si guadagna in anni e si perde in secondi.
Matt sospettava che la dottoressa avesse inquadrato il suo rapporto con lo scienziato in modo leggermente diverso da com'era in realtà, ma non aveva mai saputo contraddirla. Tutto ciò che si erano detti, in quegli anni, aveva sempre centrato il punto in pieno.
Tornando con la mente al presente, guardò Mohinder con lo sguardo più puro e sincero che potè. Capiva i suoi dubbi, ma non gli stava chiedendo di trasferirsi a casa loro dall'oggi al domani. Voleva solo una possibilità.
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La lettera faceva uso di termini medici comprensibili solo da chi fosse inserito nell'ambiente medico: mentre scorreva le parole si ritrovò a chiedersi cosa Matt avesse detto di lui durante le sedute a cui si era sottoposto. La calligrafia ordinata e tondeggiante della dottoressa metteva in evidenza parole come 'ritrovata coscienza di sè', 'equilibrio di personalità ristabilito', 'accenno di personalità borderline soppresso', ma non gli impedì di fantasticare sul ritratto di Mohinder che la donna aveva tratteggiato a partire dalle parole di Matt.
Il sig. Parkman ha trovato in Lei una figura cui affidarsi senza remore, cui dare la propria fiducia senza esitazioni, e ha chiaramente dato evidenza di curarsi dell'esistenza e della felicità sue e di Molly più che della sua. Il percorso psicanalitico cui si è sottoposto volontariamente ha toccato gli apici e i punti più bassi dell'esperienza psichica e psicologica del sig. Parkman, che è uscita ugualmente minata dagli avvenimenti da egli stesso tratteggiati almeno quanto dichiara lo siano state le Vostre. La sottoscritta è pronta a dichiarare un riacquisito controllo da parte del pz. e una sua perfetta disposizione a venire reintegrato in una vita di famiglia che mai ha potuto vivere appieno.
Quelle parole erano fredde, e lo infastidiva come qualcun altro, oltre lui, avesse tentato di approfondire la conoscenza del vero Matt. Ma, allo stesso tempo, l'immagine che di sè vedeva riflessa in quei fogli puliti e ordinati lo commuoveva.
Forse non l'ho mai conosciuto bene per davvero. In quel frangente si rese conto di aver pensato in inglese per tutto il tempo, ed ebbe l'assoluta certezza che Matt avesse captato stralci di pensiero qua e là. Ormai non serviva più nascondersi.
Posò il plico sul tavolo, accanto alla tazza rimasta intoccata, dal contenuto ormai freddo. Sospirò, spostando lo sguardo dalle parole dattiloscritte, alla sua mano che vi si era posata, incerta, al viso di Matt che lo guardava ansioso, infine.
"Voglio che, prima, tu sappia una cosa."
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Forse non l'ho mai conosciuto bene per davvero.
Voleva forse dire, Mohinder, che gli avrebbe permesso di farsi conoscere di nuovo, dall'inizio, senza più maschere a nascondere i suoi timori? Gli avrebbe permesso di trovare in lui un punto d'appoggio?
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Non era mai stato più serio di così. Gli occhi scuri di Mohinder assunsero una sfumatura inquietante, fissi com'erano in quelli di Matt, per la prima volta in quella giornata capaci di sostenere il suo sguardo.
"Credo che tu possa... cominciare a vederla. Fuori casa. Con me presente", aggiunse categorico, sentendosi come una detestabile madre ad un patteggiamento in quel di uno studio legale. Incrociò le mani di fronte a sè, aspettando una reazione da parte di Matt.
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Credo che tu possa... cominciare a vederla. Fuori casa. Con me presente.
Tutta la tensione accumulata da quella mattina ruppe gli argini, e, prima che potesse fermarla, una lacrima gli rotolò lungo la guancia. Matt ridacchiò, così pieno di felicità che pensava che sarebbe esploso, e se la terse, per poi posare le mani sulle spalle di Mohinder e stringere appena, in segno di ringraziamento. Avrebbe tanto voluto abbracciarlo, ma aveva paura di sentirlo irrigidirsi. Insomma, l'indiano non era mai stato espansivo tanto quanto lui.
"Sta' tranquillo, Mohinder" rispose poi, con la voce rotta dall'emozione "mi ucciderei con le mie stesse mani prima di fare del male a lei. O a te" aggiunse, sorridendogli.
Voglio tornare ad essere il tuo eroe gridò una voce nella sua testa, e una volta di più Matt fu felice che la sua mente fosse una scatola chiusa.
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Sentirsi le mani grandi di Matt sulle spalle lo fece rabbrividire. E le sue parole ancora di più. Si ritrovò a resistere all'impulso di abbracciarlo, trattenuto dal suo contengo e dal ricordo, ancora vivo, di quattro anni prima, abbastanza da tenerlo lontano dall'altro.
Si fece però sfuggire il principio di un sorriso, ritrovandosi a sollevare l'angolo destro delle labbra sottili.
Mi ucciderei io, con le mie stesse mani, se dovessi perdere uno di voi due, riflettè, stavolta in hindi, per non farsi scoprire ma quanto bastava per far sospettare Matt del contenuto di quella frase per lui incomprensibile.
"Ehi, cerca di non piangere quando la rivedrai, intesi?", ordinò accusatorio.
Cerca di non piangere mai più.
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"Questo non te lo posso promettere" rispose in un sussurro, passandosi una mano sulla fronte, ancora incredulo.
Nel suo petto si agitavano emozioni contrastanti, ma quella che più di tutte tentava di farsi sentire era una gioia, totale e silenziosa, che stava illuminando e riscaldando tutti quegli angolini del suo cuore rimasti al buio e al freddo per tutti quegli anni.
L'idea di rivedere Molly, di poterla abbracciare, e di andarsene in giro per la città, tenendola per mano, gli creò un gorgoglìo di aspettativa alla base dello stomaco, ma fu il pensiero che ci sarebbe stato anche Mohinder con loro a generare l'emozione più spiazzante di tutte: un migliaio di farfalle presero a svolazzargli nel petto, e il suo cuore prese a battere più in fretta.
"Credi che vendano ciambelle, qui?" chiese poi, un po' per darsi un contegno e un po' perchè, dopo che la tensione si era sciolta, gli era venuta fame. Ricordo che, tra una cosa e l'altra, non faceva un pasto decente da almeno tre giorni.
"Forse sarebbe meglio una bistecca."
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Alla sua risposta il sorriso di Mohinder si allargò percettibilmente, e l'indiano chinò lo sguardo sul tavolo, soffermandolo in un punto imprecisato del bordo di vetro.
Avrebbe voluto vedere solo il risvolto felice di quella sua decisione, ma si costrinse a domandarsi cos'altro avrebbe comportato la sua scelta. Non poteva essere tutto rose e fiori, no: avevano forse cominciato a camminare sull'orlo di un precipizio senza accorgersene? Un passo così importante non poteva prendere solo pieghe positive, altrimenti perchè era stato così difficile cominciare ad intaccare la barriera che, per quattro anni, si era frapposta tra loro due - voleva dire, tra Matt e Mohinder e Molly - impedendogli un contatto che, almeno da parte sua, sentiva come più che necessario?
Vitale.
"...non oso immaginare cosa tu abbia potuto ridurti a mangiare in questi quattro anni", commentò Mohinder con fare schifiltoso. Ricordava i pastrocchi di cereali zeppi di coloranti, i pranzi da asporto e le cene cinesi che Matt era solito ingoiare senza neanche fare attenzione a cosa potesse avere nel piatto davanti a sè. Per un momento pensò all'eventualità di invitarlo a cena quella sera stessa, ma la sua antipatica Coscienza gli ricordò che era troppo presto.
"Durante tutto questo tempo ho cercato di crescere Molly con alimenti sani. Dimmi che proverai a non rovinare tutto", concluse, con tono forse troppo poco sarcastico perchè potesse adattarsi al contesto della frase in cui si trovava.
... e non mi riferisco solo al cibo.
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"E poi, perchè pensi che mangi solo schifezz-"
Mentre parlava, Matt era tornato a posare lo sguardo sul volto dell'indiano. Si ritrovò nell'impossibilità di smettere di fissarlo.
Mohinder stava sorridendo.
A lui. Per lui.
Ed era così bello da togliergli il fiato. Avrebbe voluto poter continuare a guardarlo per l'eternità.
Improvvisamente, l'opinione della sua analista e il commento sarcastico di sua moglie non sembravano più così assurdi.
"Io...io..." balbettò "Farò qualsiasi cosa, qualsiasi, per averti-vi di nuovo nella mia vita" continuò, correggendosi immediatamente quando si rese conto del tremendo lapsus in cui era incappato.
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