Chi: Claude e Peter
Dove: New York - Appartamento di Peter Petrelli
Cosa: Peter ritorna nel suo appartamento dopo il suo ritiro e dopo un'assurda litigata con il fratello e scopre che il suo appartamento non è esattamente... Vuoto come si aspettava.
Quando: Martedì 25 dicembre 2007.
Nota: Seguito di
[Flashback #1] Natale in casa PetrelliStato:
(
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Lui era l'ultima persona che poteva fare prediche alla gente che metteva troppe cose nelle tasche, quindi fece una smorfia e si limitò al alzarsi a sedere, prendendo il cappotto spiegazzato per buttarlo di lato e tornare a stendersi. Qualunque ora fosse, era troppo presto.
Ricordava anni in cui la mattina di Natale non c'era risveglio, perchè verso le quattro si addormentava, dopo aver passato la notte a scartare regali e a scoprire giocattoli nuovi.
Anche se per due anni si era rifiutato di festeggiare il Natale (perchè se Babbo Natale non esisteva, qual era il senso?), aveva ricordi felici legati alla festa, perchè Nathan era sempre lì, anche se erano anni in cui era al college o faceva il militare.
Doveva essere per quello che quest'anno non aveva affatto voglia di svegliarsi. Non aveva qualcuno con cui festeggiare.
Gettò un'occhiata al suo regalo, che segnava le 9:01, scintillando sul suo polso.
Da lì, gli cadde lo sguardo su un oggetto sul pavimento, che doveva essere caduto dal cappotto.
Era una foto. Una ragazzina a colori sbiaditi, col taglio degli occhi di Claude.
Sobbalzò quando si accorse dell'altro, e quando questo cominciò a urlare, lo guardò confuso cercando di rispondere.
"Ehi, non stavo toccando niente, la stavo solo raccogliendo e Dio, calmati!"
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Era difficile capirlo, era difficile pensare che avesse ancora qualcosa per se stesso, ma era così, e quelle cose non dovevano essere toccate da nessuno.
Odiava le persone anche per il fatto che, dove mettevano mano, distruggevano.
Quei ricordi non potevano essere distrutti. Non potevano essere insudiciati dalle mani sporche di marmellata di qualche bambino troppo invadente.
Raggiunse Peter in pochi passi, gli strappò di mano il cappotto e la foto, in malo modo, poi lo guardò.
Non aveva strani poteri oltre all'essere invisibile, ma il suo sangue ribolliva.
Non era tristezza. Era pura rabbia. Rabbia nel vedere il suo passato sfogliato, violato, guardato da qualcuno che non ne aveva alcun diritto.
«Prendi le tue fottute cose e vattene. Fuori. Di. Qui. A fanculo. E buon Natale.»
Gli disse quasi ringhiando, ancora. La voce ora bassa, come se tutto il resto non avesse importanza.
Il cappotto stretto nella mano destra, la foto portata con ferma gentilezza dalla sinistra.
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Non era arrabbiato, perchè Claude non stava cercando di essere fastidioso o sarcastico o niente di tutto quello che era di solito.
E Peter era curioso di sapere se la ragazzina era sua figlia o sua sorella, e che cosa le fosse successo, ma evidentemente non era qualcosa in cui doveva mettere il naso.
Non riusciva a capire davvero, ma lo accettava, quindi si tenne ben fuori dai suoi pensieri, prese il suo stesso lungo cappotto imbottito di roba e uscì, guardando Claude, accigliato.
Certe cose era meglio non capirle davvero.
Altre invece, ricominciava a capirle: sapeva dove voleva andare. Sapeva cosa fare. Doveva trovare Mohinder Suresh, e se non l'avesse trovato in India, avrebbe cercato gli Altri da solo. Poteva farcela. Non tutto era chiaro, ma sicuramente queste poche ore gli avrebbero fatto bene, perchè lo sguardo terrorizzato di Nathan non era più l'unica cosa che aveva in testa, e quindi Peter poteva sopravvivere.
Poteva.
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Sentì l'aria riempire i polmoni e poi lasciarli. Per una volta non solo per abitudine o per puro bisogno di sopravvivenza.
Sollevò la mano sinistra -quella con la foto- all'altezza del viso e, dopo aver riaperto gli occhi, osservò la ragazza ritratta.
Per un breve istante si sentì trascinare indietro nel passato. Indietro per tutti quegli anni. Poi ripose la foto nella tasca interna del cappotto che indossò subito dopo.
Era molto semplice sopravvivere. Bastava nutrirsi di quello che gli altri non si accorgevano di aver perso.
In silenzio sbuffò e si incamminò verso la porta.
Avrebbe liberato gli ultimi piccioni rimasti nella gabbia, poi sarebbe uscito da quel palazzo e, invisibile come al solito, sarebbe andato a vivere da qualche altra parte. Ad infastidire altre persone. A rubare altre cose.
Lui, il suo cappotto e il suo mondo.
Annuì, uscì dalla porta e la richiuse dietro di se, iniziando a salire le scale.
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