Jul 24, 2006 17:58
Capitolo V
Sbatté la porta e poi vi si poggiò per pensare: tanti ricordi gli si erano riaffacciati alla mente, gli stessi che in quell’ultimo giorno aveva sperato di poter dimenticare per sempre; e rimase forse abbastanza a lungo lì fuori, immobile, al punto di non accorgersi della neve che ricominciava a cadere e gli inumidiva i capelli. Era come se la natura avesse compreso il suo stato d’animo e voluto stargli accanto, accarezzargli il volto per offrirgli occasione di piangere, ma nascondendo le sue lacrime. Una sensazione paradossalmente di calore perché quando si è tristi è sufficiente trarre conforto da una qualunque cosa per sentirsi riscaldare nel profondo dell’animo.
Ulrik però non ne approfittò per piangere, le lacrime non stavano bene sul volto di un guerriero, e lui aveva smesso di versarne anni prima, quando…
Un uomo gli s’avvicinò interrompendo questi pensieri.
“Finalmente si vede qualcuno!”
Il ragazzo alzò il volto senza aver compreso bene le parole dell’uomo.
“Come sta?”
“Asbjørn? La ferita sta meglio, credo. Non si lascia controllare volentieri e ha la febbre, ma non è grave, tutt’altro lui ha… ha… dato prova di essere molto forte. Sono certo che presto si riprenderà.”
“E tu, posso sapere chi sei? Un nemico, vero?”
“Nemico? Credevo di non esserlo più ormai: la battaglia è finita, la mia gente ha perso e poi ve l’ho riportato sano e salvo, no?”
“Già. Ma non integro! E si può sapere cos’avete fatto, chiusi lì dentro per tutto questo tempo?”
Il giovane per un attimo fu indeciso su come rispondere. Pensò a ciò che avevano fatto solo pochi minuti prima e si preoccupò che l’altro potesse intuirlo e magari approfittarsene.
“Io sono Ulrik, figlio di Sigurðr. Ero uscito per dare una mano, ne avrete bisogno per qualcosa, immagino. L’ho solo curato, tutt’al più che ha la febbre. Però è un gran testardo! C’è una donna che possa occuparsi di lui? Forse allora non farebbe storie.”
“Come osi parlare in tal modo del nostro re? Spostati da lì, fammi vedere come sta. Ah, ragazzo! Ulrik, figlio di Sigurðr… sapremo cavarcela anche senza di te, come abbiamo fatto fino a ieri.”
Il giovane restò sconvolto dalle parole dell’uomo. Aveva capito male o davvero l’altro aveva definito Asbjørn il re? Si sentì spiazzato. La parola re gli aveva portato alla mente di nuovo i ricordi di sette anni prima, di quell’uomo che l’aveva brutalmente stuprato, condizionando la sua vita più di quanto avrebbe potuto pensare. Egli stesso aveva detto di essere il re e in effetti tutti si comportavano nei suoi confronti come sudditi, però il fato poteva essere così beffardo da farli rincontrare in questo modo? Ed avevano anche giaciuto insieme! Tranne se… ma no, che lui sapesse negli ultimi anni non si era mai sentito parlare di destituzione del re. Quindi era lo stesso, la stessa persona, lo stesso uomo di anni prima?!
Si sbrigò tuttavia a rispondere qualcosa all’uomo che gli aveva appena parlato.
“Io non posso andarmene se prima non risolvo una questione.” Rispose cercando di tenere la voce ferma, sebbene il trauma di quell’improvvisa rivelazione gli avesse ampiamente ridotto il sangue freddo acquisito in tanti anni di barbarie subite ed inflitte.
Aveva bisogno di riflettere e di sfogarsi in qualche modo, di restare da solo a schiarirsi le idee, e si allontanò senza fornire all’altro ulteriori risposte.
Si addentrò nella foresta vicina, era certo che lì non avrebbe incontrato seccatori di nessun tipo e si accorse di quanto tempo fosse rimasto fuori solo quando vide il sole tramontare. Solo allora si riprese dallo stato di letargo in cui pareva caduto e rammentò di non aver neppure mangiato.
‘E chissà Asbjørn come sta? Se qualcuno si prende cura di lui; se la febbre è scesa; se hanno provveduto anche a preparargli del cibo…’
Ma perché poi ci pensava?! Se era davvero l’uomo spietato di anni prima non meritava nulla! Allora per quale motivo si preoccupava per lui? Forse perché non sembrava la persona spietata di un tempo. Il fatto che si ponesse queste domande significava che ormai dava per certo che si trattasse di lui?
C’era però sempre quella flebile speranza che si stesse sbagliando...
Finché l'altro non si fosse rimesso non avrebbe potuto parlarci e non avrebbe ottenuto risposta alcuna. Si dedicò alla caccia e aspettò di prendere qualche preda prima di tornare da lui. Gli avrebbe dimostrato per prima cosa di essere un bravo cacciatore, dato che quello sembrava essersi ostinato col considerarlo un ragazzino senza tante qualità.
Stentò un poco ad orientarsi per tornare al villaggio, ma quando vi giunse, raccolse tutto il coraggio su cui poteva contare ed andò dritto da Asbjørn, per parlargli. C’era una donna che gli teneva una pezza bagnata sulla fronte nella speranza di fargli abbassare la febbre mentre lui dormiva, apparentemente molto affaticato. Forse saldargli la ferita con una lama arroventata non era stata una buona idea. E quella di fare ben altro con lui in quelle condizioni, lo era stata ancora meno.
Decise che gli avrebbe parlato quando si fosse del tutto rimesso, voleva che fosse pienamente in sé perché, dopo aver sofferto per tanti anni, tutto ciò che pretendeva era una sola cosa: verità.
Eppure stranamente non riusciva ad odiarlo, sentiva dentro di sé che quell’uomo aveva patito come lui, se non di più, probabilmente per motivi diversi. Per questo non voleva neppure giudicarlo a priori.
Doveva avere uno sguardo molto truce sul volto perché la donna che accudiva Asbjørn se ne allontanò in fretta e quando Ulrik disse che al re avrebbe pensato lui, la donna non perse tempo ad andare via, promettendo che sarebbe tornata il giorno dopo per accertarsi del suo stato.
Ed ancora una volta si trovò da solo con quell’uomo, forse quello che aveva abusato di lui, certo quello con cui da poco si era unito. Aveva tanta di quella confusione in testa che non sapeva più a cosa credere e cosa no e, senza rendersene conto, gli si sedette accanto e prese ad accarezzarlo, nella speranza di riconoscerlo. In effetti, da quel che ricordava, il volto poteva benissimo essere il suo, ma i capelli? Lo ricordava meno stempiato, però chissà che non si stesse sbagliando. Per il fatto che fosse castano scuro, quasi bruno, anche quello non lo meravigliava, i capelli scuri erano difficili da vedere ma non rarissimi. Poteva approfittare del fatto che l'altro non fosse vigile per controllare se avesse la cicatrice che gli aveva fatto anni prima, quella non l’avrebbe mai dimenticata, però non se la sentì. Anzi, l’idea di toccarlo o spiarlo di nascosto gli sembrava umiliante, certi atteggiamenti subdoli erano per i vili razziatori e per quegli altri vili, quelli della peggior specie, coloro che rifuggivano dalle difficoltà.
Si allontanò quindi da Asbjørn e mise la carne ad arrostire sul fuoco, mentre lavorava le pelli delle sue prede: altra cosa che sapeva fare e soprattutto l’unica a cui potesse dedicarsi in quel momento, per evitare di tormentarsi con tanti pensieri.
Oramai era questione di tempo, entro pochi giorni avrebbe conosciuto la verità perciò doveva solo aspettare e trovare un modo per rendersi utile pur di non impazzire nell’attesa snervante di chiarire ogni equivoco.
Per un po’ i giorni si susseguirono allo stesso modo, con Ulrik che aspettava arrivasse quella donna a dargli il cambio nella cura di Asbjørn per poi recarsi tranquillo nella foresta. E una volta lì andava a caccia, prendeva della legna, magari provava pure ad intagliarne un pezzo, sebbene non fosse un grande artigiano. Sentiva un freddo atroce, però preferiva mantenersi attivo e sempre in movimento invece che incontrare l’uomo che aveva conosciuto giorni prima e che di certo lo odiava. Come lo odiava tutto il resto del villaggio, che non si faceva vedere in giro. E nemmeno pensavano a presentarsi! Segno che tra di loro non lo volevano.
Quell’uomo invece cosa andava a fare ogni giorno da Asbjørn? Cercava di comprendere se l’altro fosse ancora capace di governare? Avrebbe voluto sostituirlo lui?
Continua...
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Asbjørn & Ulrik