Hand of Sorrow (Capitolo 2)

Apr 14, 2013 09:44

Titolo: Hand of Sorrow
Rating: Rosso
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale
Personaggi: Antonio Fernandez Carriedo (Spagna), Feliciano Veneziano Vargas (Nord Italia), Francis Bonnefoy (Francia), Gilbert Beilschmidt (Prussia), Ludwig (Germania)
Wordcount: 2168 (fiumidiparole)
Prompt: 469. Eco di un legame @ 500themes_ita
Note: Incest, Vampire!AU, Yaoi
Avvertiva una presenza lì intorno, qualcuno che aveva lui come centro d'interesse.
La testa minacciava di esplodergli da un momento all'altro. Si alzò dall'acqua senza pensare e si avvicinò a passi rapidi alla finestra, alla quale si affacciò.
Giù, nel vicoletto lurido e buio, vide l'ombra di qualcuno con la testa sollevata verso di lui. Gli occhi rossi brillavano come bragia nelle tenebre e Ludwig avvertiva la consapevolezza che quello sguardo penetrante era fisso su di sé.

«Come?!» esclamarono ad una voce sola, assumendo uno sguardo decisamente esplicativo della loro sorpresa.
Cadde un momento di silenzio in cui l’attenzione di tutti i vampiri si focalizzò sulla scena che si stava svolgendo diversi metri più giù: il vociare concitato rendeva ogni singola voce incomprensibile, ma i due “protagonisti” della serata sembravano capirci qualcosa, dato che stavano rispondendo.
Il giovane dai capelli biondi, più che altro, preferiva bere la sua birra invece che chiacchierare. Si vedeva palesemente dal suo atteggiamento che si trovava a disagio nell’essere al centro di tante attenzioni.
«Tu hai un fratello?» chiese Antonio, sgranando gli occhi: non si era mai impicciato molto della vita passata di entrambi i suoi compagni, perciò non si era mai posto il problema di avere notizie in merito alle famiglie. Non fino a quel momento, almeno.
«Sì, si chiamava...» iniziò Gilbert, ma poi si interruppe, non riuscendo a riesumare il nome dalla memoria. Era troppo lontano nel tempo il periodo in cui si erano chiamati per nome.
«Si chiamava?» lo incalzò Fernandez, curioso di saperne di più in merito. Già il nome sarebbe stato un qualcosa di sufficiente per iniziare.
«Non riesco a ricordarlo» asserì il prussiano, scuotendo il capo.
«Però a parte i capelli un po' vi somigliate...» ammise Francis, rimasto ad esaminare il biondo per quei brevi minuti di chiacchiere.
«M-ma perché è un ammazza-vampiri?» volle sapere il Carriedo, guardando di nuovo al di là della ringhiera.
Mentre il Beilschmidt ci pensava, cercando di affondare con la memoria nelle radici della sua esistenza umana, qualcosa affiorò con forza dirompente: neve sporca di sangue e suo fratello steso a terra. Poi tutto sparì come se non fosse mai stato, lasciando all'albino come unico ricordo una dolorosa fitta alle tempie.
«Non lo so» disse, sorpreso da quanto appena accaduto. Fece per allontanarsi, ma barcollò e poco mancò cadesse, se non fosse intervenuto prontamente Francis a sostenerlo.
«Ehi! Che ti prende, si può sapere? È da quando siamo usciti che ti comporti in modo strano...» esclamò il Bonnefoy, preoccupato, dandogli una spinta leggera per farlo tornare in piedi; tuttavia, gli tenne le braccia leggermente protese alle spalle, per paura che cadesse di nuovo.
«Non è niente» disse, allontanandosi dal francese di qualche passo, portandosi una mano alla tempia. Il dolore permaneva ancora, anche se l'intensità diminuiva di momento in momento. Non aveva intenzione di dire né a Francis né ad Antonio di quello che aveva appena sentito: non avrebbe fatto altro che angustiarli ancora di più. E poi non aveva bisogno di conforto. Probabilmente era stata la sete e lo shock per quell'inattesa ricongiunzione.
Con la lingua si accarezzò il canino sinistro, molto sproporzionato rispetto al normale - come il suo gemello di destra.
«Andiamo via? Vorrei bere...».
Sembrava un po' confuso agli occhi dei suoi due amici, però nessuno di loro lo fece presente.
«Sì, andiamo a bere prima che quei due escano di qui...» concordò il Bonnefoy, voltando le spalle alla ringhiera e rivolgendo un gesto vago della mano al locale sottostante.
«Saranno così ubriachi una volta usciti che difficilmente potrebbero trovarci» esclamò Fernandez, gettando un'ultima occhiata ilare prima di avviarsi dietro ai due compagni.
Gilbert razionalmente non vedeva l'ora di allontanarsi da quel posto e andare a nutrirsi, eppure sentimentalmente sentiva di essere legato a qualcosa che era lì. E probabilmente quel qualcosa era il suo fratellino.

«Ludwig, che cos'hai? Sembri a disagio...».
I due cacciatori di vampiri entrarono nella stanza che era stata loro assegnata dal padrone del locale, che aveva accettato con entusiasmo di ospitarli fino alla fine del loro soggiorno.
Il cacciatore dai capelli castani e i vestiti più ricchi fu il primo a varcare la soglia, fermandosi qualche metro più in là e voltandosi con un mezzo saltello verso il compagno.
Quest'ultimo camminava a sguardo chino, l'espressione seria.
«Hai bevuto troppo? Stai male?» insistette il castano, piegandosi in avanti per fissarlo dal basso verso l'alto dritto negli occhi - anche se era già più basso di lui.
Ludwig scosse la testa, drizzando le spalle e riappropriandosi del suo consueto atteggiamento autorevole.
«Non è niente, sono solo stanco per il viaggio» replicò, affrettandosi a muoversi per spezzare il contatto visivo con gli occhi castano-dorati dell'altro.
«Oh, tanto stanotte dormiremo!» esclamò placidamente quest'ultimo, andando a sedersi sul misero letto in fondo alla stanza, dal lato opposto alla porta.
La luce della luna entrava nella stanza attraverso la finestra che si trovava sopra la testata.
«Vero?» domandò, guardando Ludwig in cerca di conferma.
«Sì...» disse quest'ultimo, sospirando esausto «Vado a fare un bagno...».
Si diresse verso il bagno situato nella stanza adiacente, nel quale c'era solamente una vasca vecchia di ferro battuto e mezza arrugginita situata in mezzo alla stanza ed un rubinetto con un secchio di legno.
Non poteva aspettarsi chissà quale lusso in un villaggio di campagna così lontano da qualsivoglia centro urbano di rilievo. Viaggiando assieme a Feliciano, che era abbastanza ricco, aveva avuto anche occasione di alloggiare presso edifici di un certo prestigio, dove le vasche erano migliori e - soprattutto - i secchi non erano fatti di assi di legno inchiodate assieme e di conseguenza perdevano.
Ludwig emise un sospiro di rassegnazione e, raccogliendo tutte le poche energie rimastegli in corpo dopo, si accinse a riempire il secchio di acqua per colmare la vasca.
Non fu un compito particolarmente piacevole per il tedesco: quel secchio perdeva e l'acqua veniva a tratti fredda e a tratti bollente e gli cadeva dalle fessure tra le assi sui vestiti e sulle scarpe.
Gli ci volle un bel po' per riempire la vasca, ma alla fine quando fu riuscito nell'intento, constatò con sollievo che la temperatura del liquido era tiepida e piacevole.
Si spogliò dei vestiti ed entrò nell'acqua pian piano, rabbrividendo per il cambio di temperatura.
«Aaah...» sospirò piacevolmente, adagiandosi con la testa contro il bordo della vasca.
Chiuse gli occhi e rimase lì, accarezzandosi il petto e le braccia di quando in quando.
Sarebbe rimasto nella vasca ancora a lungo se una fitta alle tempie non lo avesse aggredito assieme ad un bruciore intenso alla base del collo, poco sopra la clavicola sinistra.
Si mise seduto e si guardò intorno, senza vedere niente e nessuno. Era tutto come avrebbe dovuto essere dato che era da solo in quella stanza. Se Feliciano fosse entrato l'avrebbe sentito.
Eppure si sentiva osservato. Avvertiva una presenza lì intorno, qualcuno che aveva lui come centro d'interesse.
La testa minacciava di esplodergli da un momento all'altro. Si alzò dall'acqua senza pensare e si avvicinò a passi rapidi alla finestra, alla quale si affacciò.
Giù, nel vicoletto lurido e buio, vide l'ombra di qualcuno con la testa sollevata verso di lui. Gli occhi rossi brillavano come bragia nelle tenebre e Ludwig avvertiva la consapevolezza che quello sguardo penetrante era fisso su di sé.
Il biondo rimase lì a fissare quelle iridi inquietanti, gli occhi sgranati e la voce che non voleva uscire. Il suo cervello non funzionava. Era come paralizzato e in trance. Non sapeva come muoversi, ma allo stesso tempo covava il desiderio di avvicinarsi a quella figura misteriosa dagli occhi così intensi. All'improvviso tutto riprese a muoversi.
Un grido riecheggiò nella testa del tedesco, riemergendo dalle profondità della mente ed il mal di testa si riacutizzò. Le iridi rosse svanirono ed il biondo riuscì ad udire i suoi passi che divenivano sempre più deboli e lontani.
Arretrò e cadde seduto sul pavimento, lanciando un grido: «NOOO!».
Poi il dolore offuscò tutto, proprio quando qualcuno iniziava a tempestare di colpi la porta.

«Lud? Lud, mi senti? Per favore, svegliati...».
Feliciano, seduto sul bordo del materasso accanto al corpo di Ludwig, era angosciato per la salute del compagno: l'aveva trovato svenuto sul pavimento del bagno vicino alla finestra, nudo e bagnato. Era più di un'ora che non riprendeva i sensi e temeva che si ammalasse perché faceva freddo e lui era fradicio d'acqua.
L'aveva lasciato riposare per mezz'ora con l'illusione che si riprendesse: non era la prima volta che sveniva così, gridando. Nei primi tempi dopo il loro incontro accadeva spesso e poi pian piano sempre meno di frequente, fino a cessare del tutto. Quelle volte gli svenimenti non duravano più di mezz'ora.
Quando però Feliciano vide che erano passati quaranta minuti senza che riprendesse conoscenza, aveva iniziato a chiamarlo ed aveva continuato per i venti minuti successivi, fino ad allora.
L'italiano stava andando letteralmente nel panico: se non si svegliava si sarebbe preso qualche malanno, dato che lui non era particolarmente dotato di forza fisica e quindi tutto quello che era riuscito a fare era stato trascinarlo a fatica sopra la coperta.
Se avesse dovuto coprirlo non ce l'avrebbe fatta a spostarlo senza farlo cadere a terra.
Se non ci fosse stata la paura morbosa che stesse male, Feliciano avrebbe approfittato di quel momento semplicemente come di un modo per poter ammirare il corpo di Ludwig nudo: non avevano più avuto molte occasioni di intimità notturna, poiché la notte in genere erano fuori a caccia di vampiri, e non in una camera, raggomitolati tra le coperte e nascosti da occhi indiscreti per abbastanza tempo da concedersi di fare cose che in pubblico erano tassativamente vietate.
Nessuno vedeva di buon occhio gli omosessuali, ma se nessuno vedeva, nessuno sapeva e tutto poteva procedere senza incidenti.
«Per favore, svegliati...» borbottò con voce un po' svanita, appoggiando una mano sul ventre piatto del biondo, carezzandogli la pelle mollemente.
In quel mentre le palpebre di Ludwig vibrarono leggermente e poi si aprirono, le iridi azzurre rivolte al soffitto. Successivamente le abbassò rivolgendole alla mano del castano e poi al suo viso.
Veneziano sorrise.
«Finalmente ti sei svegliato!» esclamò gioioso, premendo leggermente la mano sulla sua pancia mentre si sporgeva verso di lui.
«Cos'è successo...?» domandò Ludwig a mezza voce, passandosi una mano sul viso.
Si sentiva esausto, come se avesse camminato in salita per ore e miglia.
«Sei svenuto in bagno...» spiegò Feliciano triste.
Ludwig sospirò, rabbrividendo.
«Potevi lasciarmi nella vasca...» bofonchiò, mettendosi seduto ed accorgendosi di essere completamente nudo.
Il Vargas assunse un'espressione perplessa.
«Lud, eri sdraiato sul pavimento... non eri dentro la vasca...».
Il tedesco lo guardò stranito.
«Sul pavimento?» ripeté.
Che strano, lui non ricordava di essere uscito dalla vasca. E se fosse uscito si sarebbe di certo messo qualcosa addosso.
Era la prima volta che Veneziano riscontrava un'amnesia dopo lo svenimento. Ludwig si era sempre ricordato le circostanze in cui aveva perso i sensi.
C'era un vuoto di un intervallo imprecisato di minuti circa quello che aveva fatto dal momento in cui era uscito dalla vasca alla perdita di coscienza; comunque non voleva forzarlo a ricordare. Se era qualcosa di importante, prima o poi se lo sarebbe ricordato da solo. Si era angosciato già abbastanza per quell'evento del tutto inatteso, non voleva che Ludwig stesse male ancora.
«Andiamo a dormire?» domandò Feliciano semplicemente, alzandosi in piedi.
«Sì, dormiamo» convenne il tedesco, spostandosi per sollevare le coperte.
Era sfinito e, oltre a quello, era anche infreddolito. Non gli importava di dormire nudo fintantoché potesse raggomitolarsi sotto le coperte. Avrebbe pensato a recuperare i vestiti l'indomani mattina.
Veneziano si spogliò in fretta, buttando a terra gli abiti senza il minimo interesse, quindi si insinuò sotto le lenzuola con altrettanta rapidità, stringendosi al corpo freddo del tedesco.
Quest'ultimo accolse piacevolmente il tepore della sua pelle a contatto con la propria e si addormentò nel giro di pochi secondi.

«Era lui. È davvero lui».
Gilbert non riusciva ancora a crederci.
Aveva lasciato Antonio e Francis al loro solito bordello mentre si stavano divertendo e nutrendo, per confermare quello che i suoi occhi avevano visto alla Luna Rossa.
Nonostante morisse di sete ed iniziasse a percepire l'odore del sangue degli animali - parecchio distanti dal villaggio - ed il pulsare regolare dei cuori degli abitanti addormentati negli edifici, il vampiro non voleva andare a far compagnia ai suoi amici. Aveva solo bisogno di stare per conto proprio.
Rivedere così da vicino suo fratello dopo così tanti anni era stato una specie di trauma, forse ancora maggiore di quando l'aveva visto nel locale.
L'unica cosa positiva era il fatto che aveva riscontrato che il fratello era in salute e stava bene. Era sollevato, in un certo senso: aveva temuto che fosse finito chissà dove, in chissà quale condizione di miseria. Anche se l'aveva abbandonato per la vita - se così poteva essere definita - da vampiro, ci teneva alle sue condizioni.
Rivedere quegli occhi azzurri e quel viso aveva fatto sbocciare di nuovo in lui la nostalgia di vecchi ricordi lontani, appartenenti all'infanzia e che per qualche motivo che lui non capiva erano molto più nitidi rispetto a quelli più recenti, che riguardavano la loro adolescenza. L'unica cosa che ricordava era un affetto profondo, viscerale nei suoi confronti.
Gilbert ancora non riusciva a spiegarsi il perché di quanto accaduto alla Luna Rossa quella stessa sera, però i suoi pensieri vi si soffermarono ancora per poco: la sete lo stava consumando fin nelle viscere. Non era affatto abituato a lasciare che la cosa arrivasse fino a livelli così critici, perché in primo luogo non sapeva come avrebbe reagito il suo organismo, e poi perché era conscio che poteva diventare pericoloso. Se avesse aggredito ed ucciso qualcuno avrebbe messo a rischio anche gli altri due suoi compagni.
Adesso che c'erano due ammazza-vampiri in circolazione nei paraggi, poi, farsi scoprire avrebbe portato conseguenze ancora più drammatiche.
«Tornerò indietro al castello...» decise tra sé e sé il prussiano, prendendo la direzione che portava lontano dal villaggio, verso il castello diroccato dove viveva.

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