Titolo: Di stupidi problemi alla vista
Rating: Verde
Genere: Generale, Slice of life
Personaggi: 3!Dante, 3!Vergil
Wordcount: 3267 (
fiumidiparole)
Prompt: 226. Risate proibite @
500themes_itaNote: Gen
Quest'ultimo si preparò a balzare in avanti facendosi strada tra i proiettili. Confidava nella prontezza dei suoi riflessi.
Dante iniziò a far fuoco e nello stesso momento Vergil sollevò la spada per proteggersi, quando si accorse che non era necessario: suo fratello non stava mirando a lui. I suoi proiettili colpivano punti anche piuttosto lontani da dove lui si trovava, pur rimanendo nei dintorni. Che fosse un diversivo per coglierlo di sorpresa...?
In un parco abbandonato, pieno di macchinari da lavoro arrugginiti e aggrediti dalle piante rampicanti che crescevano senza limite, Dante e Vergil stavano duellando tra loro come se da ciò dipendesse la loro stessa vita. Non aveva senso risparmiarsi, poiché erano certi che nessuna persona normale avrebbe osato avventurarsi in quel parco reputato pericoloso sia per gli attrezzi e i macchinari vecchi che vi erano stati depositati anni prima e mai più recuperati sia per la tanto vociferata presenza di una banda di delinquenti e spacciatori che lì si riuniva spesso.
Insomma, per loro era il posto perfetto dove potersi allenare senza che qualcuno li denunciasse per possesso di armi. Per di più, il posto era anche molto vicino alla Devil May Cry, l'agenzia che Dante aveva fondato e a cui poi Vergil aveva deciso di unirsi come co-proprietario, essendo il gemello del proprietario.
Entrambi combattevano utilizzando le spade che erano state regalate loro dal padre Sparda. Dante combatteva utilizzando la Rebellion, spada grossa e pesante; Vergil invece utilizzava la katana Yamato, molto più maneggevole e leggera.
Nonostante la diversità nelle armi, si battevano alla pari e riuscivano a mettersi in difficoltà a vicenda pressoché nella stessa misura. L'unica differenza tra loro era il modo di muoversi. Dante attaccava senza posa, scagliandosi contro il suo avversario con vigore ed entusiasmo. Vergil invece era più controllato e cercava di individuare i punti lasciati scoperti nella difesa del fratello, anche se come strategia ancora non aveva dato significativi frutti, dato che ogni suo affondo era parato prontamente dall'altro.
Arretrando in contemporanea, sollevarono le armi e partirono l'uno verso l'altro a testa bassa, come tori inferociti. Quando le lame cozzarono i due furono inondati da una pioggia di scintille, ma ciò non li distrasse dal loro duello.
Spinsero sfruttando tutto il peso del loro corpo per vincere il contrasto, ma alla fine rinunciarono e balzarono all'indietro di nuovo, fissandosi in cagnesco. Riconoscevano l'abilità del nemico ed entrambi stavano cercando di ideare una strategia per mettere al tappeto l'altro.
Dopo qualche attimo di teso silenzio, Dante decise di ricorrere alla sua carta segreta e dalle fondine che aveva legate sul cappotto, attorno al torace, estrasse Ebony.
Vergil si irrigidì un momento vedendosi puntare contro l'arma da fuoco.
«Non è corretto così!» protestò, assumendo un'espressione vivamente contrariata: non aveva affatto in simpatia quel genere di armi. Colpire da lontano era sintomo di codardia.
Sapeva bene cosa ne pensava Dante di quella sua opinione riguardo alle sue armi artigianali - praticamente non gliene importava niente, per dirlo in maniera educata - difatti ruotò leggermente la Yamato in modo da poterla usare di piatto per parare i proiettili.
«Sai che mi importa» esclamò Dante sogghignando, esattamente come aveva previsto Vergil.
Quest'ultimo si preparò a balzare in avanti facendosi strada tra i proiettili. Confidava nella prontezza dei suoi riflessi.
Dante iniziò a far fuoco e nello stesso momento Vergil sollevò la spada per proteggersi, quando si accorse che non era necessario: suo fratello non stava mirando a lui. I suoi proiettili colpivano punti anche piuttosto lontani da dove lui si trovava, pur rimanendo nei dintorni. Che fosse un diversivo per coglierlo di sorpresa...?
Capì che non era così quando il gemello rinfoderò la Rebellion ed impegnò anche l'altra mano con un'arma da fuoco, Ivory: anche sparando colpi incrociati non riusciva comunque a colpirlo e neppure ad andare vicino a tale obiettivo.
Vergil camminò attraverso la tempesta di proiettili senza farsi neppure un graffietto. Anche avvicinandosi la mira di Dante non migliorava. Si fermò ad un paio di metri da lui e fece un affondo di spada al suo fianco che non parò.
«Ah!» esclamò avvertendo la lama fredda aprirgli una ferita nel fianco. Balzò all'indietro digrignando i denti, facendo per avventarsi sul fratello usando Ebony e Ivory come oggetti contundenti, ma l'altro si spostò di lato all'ultimo e riuscì a sottrargli dalla mano Ivory.
Dante si voltò di scatto.
«Ehi! Quella è mia!» sbottò indignato, come se gli fosse appena stato fatto un grave torto «Non avevi detto che le pistole non ti piacevano?».
Il gemello lanciò un'occhiata prima all'arma nella propria mano, poi al suo proprietario. Visto che ne aveva l'opportunità, avrebbe fatto una breve verifica di un sospetto che gli ronzava per la mente già da qualche minuto.
«Hai ragione» convenne con un'alzata di spalle «Prendi».
Lanciò Ivory verso suo fratello, guardandolo per vedere cosa avrebbe fatto.
Dante sollevò una mano per prenderla al volo, ma non fu l'arto ad intercettare la traiettoria della pistola, bensì la sua testa. Il calcio dell'arma picchiò sulla sua testa e l'oggetto rimbalzò su di essa, cadendo poco più in là.
Vergil trovò conferma al suo terribile sospetto. Mentre Dante si chinava a raccogliere Ivory, lui si precipitò al suo fianco e - non appena ebbe riacquisito la postura eretta - l'afferrò per un polso con forza.
«Si può sapere che hai? Sei diventato strano!» sbottò Dante.
«Da quanto hai problemi a mirare?» domandò l'altro, serio. Sapeva bene che Dante aveva una mira a dir poco perfetta. Non sbagliava mai un colpo, per quanto il bersaglio fosse distante o piccolo.
«Io non ho problemi a mirare!» replicò suo fratello.
«Non mi hai centrato neanche con un proiettile» fece notare Vergil.
«Hai avuto fortuna».
Vedendo che era inutile affrontare l'argomento dato che si rifiutava di ascoltarlo, Vergil disse: «Per oggi basta allenarsi».
«Cosa? Ma dai, è ancora presto!» protestò il suo interlocutore, seguendolo mentre rinfoderava la Yamato e si avviava verso l'uscita.
«Abbiamo fatto abbastanza oggi» dichiarò l'altro, inflessibile.
Dante si fermò in mezzo al prato urlando al fratello: «Codardo!». Sperava che fosse una provocazione sufficiente: Vergil odiava essere accusato di codardia. Quella volta, al contrario, non disse niente né tantomeno si voltò per affrontarlo - come sperava invece che facesse suo fratello. Continuò semplicemente ad allontanarsi.
Consapevole del fatto che rimanere da solo era totalmente inutile, Dante si affrettò a seguirlo.
Era passata qualche ora dall'allenamento, tempo che Vergil aveva speso riflettendo sul palese problema agli occhi del gemello mentre quest'ultimo - dopo aver mangiato un paio di fette di pizza avanzate dalla sera avanti - si era sistemato dietro la sua scrivania appoggiandoci i piedi sopra e si era addormentato senza avere un solo pensiero per la testa.
Vergil era sorpreso del fatto che fino ad allora Dante non si fosse accorto della questione - e anzi, continuasse ad ignorarla anche dopo che lui gliel'aveva fatta presente.
Avrebbe dovuto pensarci lui a risolvere la cosa, a quanto pareva. Per fortuna che le lunghe ore di elucubrazione intensa avevano dato i loro frutti e l'albino era riuscito ad ideare qualcosa per far sì che si convincesse dell'esistenza del problema - e contemporaneamente risolvelro.
Fu così che Vergil ad un certo punto si avvicinò a Dante con la Yamato sfoderata e ben stretta tra le mani. Suo fratello dormiva profondamente, la bocca aperta ed il respiro che usciva regolare e fin troppo udibile. Da banalmente sdraiato tra sedia e scrivania adesso la sua posizione era quasi totalmente cambiata: la mano sinistra era ancora posata sul suo addome nudo - aveva l'abitudine di stare a torso nudo fuori, per cui perché avrebbe dovuto correggerla nella sua agenzia? - ma il braccio destro penzolava inerte dall'altra parte del bracciolo della sedia. Poiché per far arrivare il braccio destro alla posizione in cui si trovava aveva dovuto protendere la spalla, chiaramente questa era scesa un po' più giù rispetto all'altra e la sua testa aveva seguito lo stesso tragitto, cosicché adesso pendeva da quel lato.
I piedi - inizialmente posati incrociati sul piano della scrivania - adesso erano ben lontani l'uno dall'altro.
Vergil era esasperato dal suo modo del tutto inopportuno di dormire, ma non era quello il momento di sistemarlo in modo che quando si fosse svegliato non avesse accusato dolori.
Senza perdere ulteriormente tempo, ruotò la Yamato - posizionando verticalmente la lama verso il basso - e la conficcò con un movimento veloce e veemente insieme nella gamba di Dante, vicino alla parte interna.
Quest'ultimo si svegliò di soprassalto, raddrizzandosi di scatto e lanciando un grido di dolore. I suoi occhi azzurri si posarono subito su Vergil, in piedi vicino a lui con la sua katana sguainata e sporca di sangue e un'espressione calma e seria allo stesso tempo sul viso.
Con un moto di stizza la vittima si portò una mano sulla ferita, che adesso sanguinava.
«Che diavolo fai?!» sbottò indispettito «Sono gli unici pantaloni buoni che mi sono rimasti!».
Emise un verso strano nell'avvertire un bruciore abbastanza intenso nel punto dove si trovava la ferita.
«Ahi... brucia!» borbottò.
«Mi è scivolata dalle mani» si giustificò Vergil senza dare il minimo segno di pentimento.
«Perché brucia?» chiese il suo gemello, sfiorandosi i lembi del taglio e ritraendo subito le dita come se si fosse scottato: faceva malissimo.
«Stavo ripulendo la lama con dell'acido» ammise Vergil apatico. Era una menzogna, in realtà aveva cosparso la lama di una sostanza irritante appositamente per ottenere quel risultato, ma non aveva intenzione di rivelarlo. Doveva portare a termine il suo piano.
Dante fece per controbattere, ma il fratello lo precedette: «Ti porto da un medico».
Posò la Yamato e prese per mano l'altro, trascinandolo verso la porta.
«No, ehi...! Guarda che non serve!» protestò quest'ultimo, cercando di opporsi a Vergil, ma il dolore all'arto indebolì la sua resistenza e così finì col farsi trascinare fuori dalla Devil May Cry quasi di peso.
Il maggiore dei due non allentò la stretta sul polso dell'altro neppure per un momento, continuando a guidarlo lungo il marciapiede. Dopo alcuni minuti Dante decise di smettere di cercare di svincolarsi dalla sua presa e di seguirlo spontaneamente: stava dando spettacolo per i passanti.
«Ti ho detto che non serve andare da nessuna parte» sibilò, irritato dall'atteggiamento di Vergil «La gamba sta già guarendo».
Anche senza che glielo riferisse, suo fratello era al corrente di ciò. D'altro canto, erano figli del demone Sparda e per metà avevano il suo patrimonio genetico, che permetteva loro di guarire da ferite anche mortali in tempi brevi.
«Non importa» tagliò corto Vergil, cercando disperatamente con gli occhi un negozio in particolare tra i tanti che si affacciavano sulla strada.
C'era passato davanti un'infinità di volte andando e tornando alla Devil May Cry, per cui era assolutamente certo che si trovasse lì. Dopo qualche altro metro finalmente lo trovò: il negozio di ottica.
Entrò senza perdere tempo, trascinando dentro anche Dante, che non capiva ancora il perché dello strano comportamento di suo fratello.
Il negozio era deserto, con gran sollievo di Vergil, che non aveva la minima voglia di fare la fila. Dall'altro lato del bancone situato al centro della stanza c'era una commessa di piccola statura con indosso un pulitissimo camice bianco che sorrise ai due giovanotti salutandoli con un cordiale: «Buongiorno».
Vergil marciò letteralmente fino alla giovane commessa e, in tono duro e nient'affatto cortese, esclamò: «Fate anche visite oculistiche qui?».
La ragazza rimase un po' spiazzata dalla richiesta, specialmente per il modo in cui era stata posta; tuttavia assentì col capo.
«L'oculista è di là» disse, indicando con un dito un varco nella parete, tra gli espositori carichi di svariate centinaia di modelli di occhiali.
Prima che Vergil avesse modo di avanzare ancora qualche domanda, la dipendente corse ad avvisare il collega, lasciando da soli i due gemelli.
«Che storia è questa? Perché vuoi fare un controllo alla vista?» chiese Dante.
Certe volte Vergil si domandava come fosse possibile che loro fossero seriamente parenti - gemelli, per di più. La stupidità di suo fratello raggiungeva giorno dopo giorno picchi che lo lasciavano allibito.
«Non è per me» spiegò con una punta d'esasperazione nella voce «Ma per te».
La bocca di Dante si aprì in una "o" muta che denotava tutta la sua sorpresa.
«L'oculista può ricevervi» intervenne la ragazza, ricomparendo sulla soglia della stanza adiacente al negozio e facendo ai clienti cenno di entrare.
Vergil condusse Dante nell'altra stanza quasi di peso. Non avrebbe mai pensato di dover faticare tanto per prendersi cura del suo fratellino.
L'oculista pareva un po' a disagio, ma probabilmente ciò era dovuto al modo brusco con cui avevano chiesto di lui e che con molta probabilità la ragazza gli aveva riferito.
Vergil spinse in avanti il gemello, il quale per poco non inciampò nella zampa di un tavolinetto situato di fianco alla poltroncina riservata ai pazienti.
«Gli misuri la vista» ordinò il maggiore, per niente abituato a domandare, bensì ad impartire ordini.
Obbligò Dante a sedersi sulla poltroncina e a rimanerci - tenendolo bloccato per le spalle - quindi lanciò un'occhiata ammonitrice all'oculista per imporgli tacitamente di procedere.
L'uomo - che cominciava a temere per la propria incolumità - non esitò oltre e si dedicò allo svolgimento del suo lavoro.
Dante smise di scalpitare solo quando divenne oggetto delle attenzioni del medico.
Quest'ultimo srotolò un dispositivo per proiezioni appeso alla parete ed accese il proiettore, iniziando ad indicare al giovane albino lettere inizialmente grandi e poi sempre più piccole, domandandogli se le vedeva o meno.
Alla maggior parte delle prime Dante rispose affermativamente, ma alle altre, specialmente quelle minuscole - che Vergil vedeva distintamente come se fossero state scritte su un'insegna al neon - fece segno di diniego col capo.
Alla fine, l'oculista spostò una macchina davanti a Dante, chiedendogli di appoggiarci il viso.
Il ragazzo eseguì e si fece controllare gli occhi; dopodiché il medico si alzò e decretò: «Hai un occhio pigro».
Una buffa espressione di sconcerto deformò i lineamenti del paziente.
«Eh?» fece.
A differenza sua, però, suo fratello aveva capito perfettamente.
«Gli serviranno degli occhiali da vista?» volle sapere.
«Sì, ma solo temporaneamente, per correggere lo squilibrio» rispose l'oculista «Un mese o poco più circa».
Dante, sentendosi totalmente escluso dalla conversazione pur essendone oggetto, cominciò ad irritarsi. Il sentimento si fece più forte quando il suo cervello recepì che il dottore gli aveva ordinato di mettere degli occhiali da vista, trasformandosi in rabbia pura.
«Io non metto niente! Ci vedo benissimo!» esclamò alzandosi in piedi di scatto.
Si avventò contro l'oculista, ma Vergil notò la manovra e riuscì a frapporsi, bloccando il gemello.
Iniziarono ad azzuffarsi, stavolta a mani nude, mentre l'oculista arretrava per non venire coinvolto in alcun modo nel conflitto.
Nella lotta i due rovesciarono tutto ciò che c'era di non fissato al pavimento all'interno della stanza. Alla fine Vergil riuscì a liberarsi dalla presa di Dante e a spingerlo all'indietro. Il minore fece per assestargli un calcio, ma l'altro lo afferrò saldamente per la caviglia, trattenendolo vicino a sé.
A quel punto, Dante ricorse alle pistole per la seconda volta nell'arco della stessa giornata.
Ne estrasse una dalle fondine appese sulla schiena e la puntò verso Vergil.
L'oculista lanciò un guaito di panico vedendo l'arma.
Sparò un colpo a bruciapelo, ma mancò il bersaglio, come poté vedere dal fatto che il gemello era ancora in piedi dirimpetto a lui e senza alcun segno del proiettile che l'aveva perforato.
Sul suo viso affiorò un'espressione confusa e perplessa.
«Hai colpito il muro» si sentì in dovere di comunicargli Vergil, poi aggiunse: «Sei riuscito a mancarmi da così vicino».
C'erano effettivamente poche decine di centimetri a separare il suo viso dalla bocca della pistola.
Dicendogli ciò sperava che si rendesse finalmente conto della gravità della sua situazione.
Dante corrugò le sopracciglia ed abbassò lentamente l'arma, avvicinandola per osservarla.
«Non... ci vedo per davvero...» borbottò stupito e sconvolto insieme, al che Vergil lo lasciò andare lanciando un sospiro esasperato: era rimasto alla fase di negazione del problema.
Magari sarebbe stata una buona cosa fargli fare anche degli esami al cervello, per vedere se non avesse qualche preoccupante forma di ritardo.
La scoperta pareva averlo reso incapace di nuocere ancora.
«Bene, ora che hai finalmente capito la situazione, fatti mettere gli occhiali» esclamò Vergil, posandogli una mano sulla spalla, voltandosi al contempo verso l'oculista, che si era posizionato il più lontano possibile da loro e tremava, pallido come un cadavere, per lo spavento del colpo d'arma da fuoco.
«Tra quanto saranno pronti gli occhiali?» domandò.
L'uomo, terrorizzato dall'idea che quei due teppisti si ripresentassero in negozio - magari quando c'erano gli altri clienti - decise che era meglio accontentarli subito piuttosto che farli tornare.
«A-andate a scegliere la montatura di là e p-portatemela. C-ci vorranno solo un paio d'ore» disse.
Aveva un paio di lenti che andavano bene per l'occhio pigro di Dante che erano destinate ad un altro cliente e che dovevano ancora essere sagomate, ma avrebbe fatto di tutto pur di toglierseli definitivamente di torno, anche incorrere nelle furie di un altro cliente.
I due fratelli uscirono dalla stanza e seguirono le indicazioni appena fornite loro.
Vergil lasciò totale libertà di scelta a Dante riguardo al modello e al colore della montatura. Dopotutto, era lui che doveva portarli.
Dante come al solito fece mostra del suo gusto per l'eccentricità scegliendo una montatura in metallo di uno sgargiante rosso che si sposava bene col suo cappotto e delle lenti rettangolari squadrate parecchio grandi.
«Come sto?» domandò il minore, voltandosi all'indirizzo del più grande con gli occhiali inforcati.
Vergil non sapeva se fossero più evidenti le iridi azzurre o la montatura rossa che le circondava. Era però certo che il connubio avesse un che di chic tutto sommato. Non riuscì tuttavia a reprimere una risata nel vedere suo fratello con indosso un paio di occhiali da vista, semplicemente per il fatto che il suo cervello non riusciva a concepire una cosa del genere.
Vedendolo ridere, l'ira si riaccese viva in Dante, il quale fece per colpirlo con un destro sul viso.
Vergil gli bloccò il braccio senza alcuno sforzo - il gemello aveva di nuovo mancato il bersaglio - e lo avvertì tacitamente di non ribellarsi come aveva fatto poco prima e Dante lasciò perdere, ma solo dopo aver sibilato un: «Non ti azzardare più a ridere» come monito per il futuro.
L'altro annuì con il capo dimostrando chiari segni d'impazienza ed esasperazione.
Dopo quell'accordo Dante si decise a portare all'oculista quegli occhiali per farglici montare le lenti adeguate.
L'operazione durò una mezz'ora, tempo che i due spesero in un locale poco distante dove - a detta del fratello più piccolo - facevano una pizza deliziosa, anche se la cucinavano per dividerla in svariati tranci, e non per venderla come pizza intera da consegnare a domicilio.
Vergil rimase con lui a guardarlo mentre divorava uno dopo l'altro ben tre grossi tranci di pizza farcita, non avendo altro da fare.
Quando tornarono a prendere gli occhiali, Vergil obbligò Dante a metterli immediatamente.
Inforcandoli, l'albino si guardò attorno ed esclamò: «Oh, wow...! Adesso è meglio!».
Un altro risolino minacciò di straripare dalle labbra di Vergil: ora che lo guardava meglio, quegli occhiali gli davano un'aria leggermente femminile.
Pagarono quanto dovevano - Dante non mancò di lamentarsi della cifra decisamente alta - e se ne tornarono alla Devil May Cry.
Dante sembrava improvvisamente felice del suo acquisto e si guardava di continuo attorno come per cogliere particolari nuovi che fino ad allora gli erano sfuggiti.
Quando arrivarono in agenzia, ci trovarono Lady distesa comodamente sul divano in attesa del loro ritorno.
«Finalmente» esclamò, vedendoli entrare «Che ti è successo?» domandò poi, sgranando gli occhi nel notare gli occhiali sul viso del padrone di casa.
«Ha l'occhio pigro» spiegò Vergil, superandolo per andare a fermarsi vicino alla ragazza.
«Come?» fece lei, scoppiando a ridere «Be', è così scansafatiche che non mi stupisce per niente» commentò sorridendo «E quegli occhiali li hai scelti tu?» domandò rivolgendosi al diretto interessato.
«Ovviamente» replicò con orgoglio Dante, gonfiando il petto ed appuntandosi le mani sui fianchi.
Lady si coprì gli occhi con una mano, cominciando a sganasciarsi dalle risate, smontando completamente l'atteggiamento fiero del ragazzo.
«Sono orribili! Ti fanno sembrare una ragazzina!» riuscì a dire.
Le risate di lei unite alla sua ultima affermazione iniziarono a contagiare anche Vergil, che non riuscì a reprimere ulteriormente le risa - per quanti sforzi avesse fatto fino ad allora e continuasse a fare.
Fu così che Dante si ritrovò davanti ai due che se la ridevano di lui quasi come se non ci fosse.
La sua espressione sconcertata si trasformò in una imbronciata prima di mutare ancora un'ultima volta in una carica d'ira.
Estrasse Ebony ed Ivory dalle fondine e puntò con fare sicuro verso i suoi bersagli, ora chiaramente messi a fuoco grazie alle lenti correttive.
«Non vi azzardate a ridere dei miei occhiali, chiaro?!» minacciò.