Titolo: Unico
Autore:
mihokFandom: Originale
Parte: 1/1
Rating: PG-13
Nota: Il racconto si rifà alla mitologia ebraica ma è calato in un universo fantasy per convenzioni narrative.
"Come puoi ben vedere, fratello Mikael, sono giunto sulla terra attraversando fuoco, catrame e sangue. Ero decaduto, ma non mi sono redento. Nei bacini infernali a cui sono stato condannato ho conservato la mia coscienza contro il flagello che mi tormentava, e da ciò ho partorito un altro me stesso. Mi sono scisso, Mikael. Si è sviluppata in me una seconda coscienza, uno scudo contro il dolore. Una personalità che assorbisse in se tutto il male e che dunque potesse accogliere e sopportare la sofferenza della pena. Così facendo ho potuto mantenere viva e lucida la mia mente senza impazzire, come le altre anime dannate. A poco a poco, però, questo secondo me stesso ha preteso sempre più spazio, tanto da ottenere un corpo proprio grazie al mio potere, e a distaccarsi da me. Non ho potuto fare niente, fratello mio. Mi ha squarciato le viscere ed è fuggita, sotto spoglie femminili e demoniache, qui sulla terra. Appena ho potuto l'ho seguita, per fermarla. Perdonami."
Mikael troneggiava davanti al corpo di Uriel che giaceva, tremante, in una pozza di catrame e sangue. Era nudo e ferito su grandi mattoni di pietra, esposto alla pioggia della notte.
Mikael non si scompose, ma rimase fermo a guardarlo. Lo fissava sotto un ombrello nero, vestito di un perfetto gessato scuro che contrastava con i capelli biondi.
C'erano, insieme a lui, altre due figure. Gabriel e Rafael, i suoi compagni, che lo spalleggiavano.
"Uriel, ti rivedo dopo millenni infine. Già sapevo cosa stava succedendo. Ti aiuteremo."
Gabriel, più basso degli altri due, si tolse la giacca e, aiutato da Rafael, coprì il corpo bagnato di Uriel che si alzava a fatica.
Il gruppo entrò in auto. Rafael guidava. La pioggia era cessata e adesso si stava alzando una fitta nebbia.
Mikael compose un numero al cellulare - L'utente da lei chiamato non è al momento
raggiungibile - per poi tornare a rivolgersi a Uriel.
"Zerakiel non risponde. Che un demone superiore fosse uscito dagli inferi lo sapevamo già, con le tue informazioni il quadro si completa. La tua metà è stata fermata e incatenata in un luogo sicuro, ti ci porteremo il prima possibile per risolvere la questione."
"Bene" rispose Uriel. "Dove stiamo andando? Non riesco a orientarmi."
"Alla cappella di Afsanaeh, dove potrai incontrare il demone."
"Non ho molto tempo, questo corpo marcirà lentamente, data la mia natura."
"Sarà meglio muoversi." disse Rafael.
La città era sprofondata ormai nella nebbia. I lampioni alti e sottili, come ossa nude di una città morta, proiettavano una luce soffusa. Dai comignoli delle cucine si alzava un fumo scuro e denso, portando con sé un forte puzzo di cibo.
In strada un uomo camminava sgangheratamente, barcollando di qua e di là sul marciapiede, visibilmente ubriaco. Gabriel nella sua camicetta a sbuffo lo fissava mentre l'auto gli passava accanto. Con un battito di ciglia si ritrovò in mano la bottiglia di bourbon invecchiato che l'uomo, lì fuori, si stava accingendo a bere.
Dopo qualche tempo la macchina si fermò nei pressi del giardino di una chiesa con un modesto campanile. Non era molto grande o alta ma spiccava un rosone centrale e bassorilievi decorativi ricchissimi. Nel giardino, accanto la chiesa, c'era un cimitero.
Il gruppo scese dall'auto e si diresse immediatamente al portone principale dove stava una figura in abito talare con uno sguardo tetro.
"Mikael, sono preoccupato." disse, quando si incontrarono. "Questo qui è diverso."
"Zerakiel doveva avvertirti, ti spiegheremo tutto dopo, Afsanaeh. Questo nostro compagno risolverà la situazione." intervenne Rafael.
"Che intendi con 'risolvere' ?" Chiese quello, mentre li introduceva nell'edificio, verso la sagrestia.
"Muoviamoci." Lo interruppe bruscamente Mikael. "Aggiornami sulla situazione."
La chiesa era bassa e polverosa, c'era un'unica navata centrale e un altare alquanto scarno, con una grande croce di legno che sormontava ogni cosa.
"Il fuoco non funziona e nemmeno in tre siamo riusciti a danneggiarlo. E' incatenato e sembra delirare."
Entrarono in sagrestia, Afsanaeh li condusse in una piccola biblioteca dalla quale discesero in quelle che sembravano antiche catacombe.
C'era un basso corridoio fiancheggiato da nicchie contenenti i resti umani, tutto era illuminato da fioche lampadine al soffitto. In fondo l'ambiente si allargava fino ad altre stanze, il gruppo entrò in una di queste.
Mentre avanzavano Uriel mise in guardia gli altri.
"State lontani, quando entreremo in contatto i nostri corpi astrali probabilmente reagiranno. La nostra essenza spirituale è identica."
All'interno della stanza c'era un unico ambiente fatto di mattoni in pietra; al muro era incatenata una figura vagamente femminile svenuta, o addormentata. Il viso era contorto in una smorfia. Il corpo nudo era ustionato, e a terra c'era cenere e residui di piume.
Uriel si avvicinò, lasciando gli altri dietro di sé. Lei aprì gli occhi.
"Ho avuto un incubo, un terribile incubo. Fratello, ho sognato che non mi avresti seguito, lasciandomi sola." disse, guardandolo.
"Tu sei solo un parto della mia mente. Il mio male personificato, e sebbene me ne sia liberato non posso esimermi dal riprenderti con me."
"Io sono molto di più di una tua copia." Disse lei, quasi ringhiando. "Sono Belial primo compagno di Satana, sono Archaon conquistatore della fine del mondo, sono Lilith prima donna!"
"Taci, dovrai tornare a giacere con me all'inferno!" E detto ciò Uriel, avvicinatosi, la toccò su una spalla.
Fu qualcosa di extracorporeo a vibrare nell'aria, come molte campane che risuonano insieme.
Uriel avvicinò il viso e baciò, quasi dolcemente, quella sua metà. I corpi erano molto vicini, a quel contatto le loro entità spirituali vennero alla luce più forti che mai.
Uriel brillava d'una luce azzurra, si notava lo spettro delle ali spezzate, riverse all'indietro come un mesto mantello, e il suo corpo pieno di pustole e piaghe in avanzato stato di decomposizione, risultato della sua permanenza negli inferi.
Lei al contrario riluceva di un fulgore rosso, un corpo scolpito e liscio, nessuna curva prominente ma un viso con occhi colmi di fuoco.
Il gruppo che osservava sulla porta riusciva a percepire il cambiamento in atto, un acutissimo suono sembrava provenire da quei corpi vicini.
La luce svanì e dei due rimase solo un mucchio di cenere fumante.