Titolo: Bless The Child
Autrice:
orchidea_lover Fandom: Supernatural
Personaggi: Sam Winchester, Dean Winchester, John Winchester, Azazel, Bobby Singer (presenza solo accennata), OFC, OMC
Pairing: Azazel/Sam, quasi sicuramente Dean/Sam in seguito, o almeno l'intenzione c'è.
Rating: in generale è NC17
Genere: Angst, drammatico, angst, rape, angst, lemon, e soprattutto angst. L'ho già detto angst?
Parte: 1/?
Note: Ambientazione pre-serie, Sam ha 17 anni e Dean 21. Ciononostante, possibili spoiler fino alla 2a stagione.
Riferimenti: Il titolo è tratto dall'omonima canzone dei Nightwish. I nomi di Laura e Sorensen sono un mio omaggio al libro di Margaret Mahy "La figlia della luna", che fece la sua parte nel consolidare il mio amore per il soprannaturale. E' un romanzo per adolescenti e lo lessi qualcosa come dodici anni fa, ma sono certa che ancora adesso cadrei in adorazione di Sorensen Carlisle. <3
Warning: Violenza, slash, sesso non consensuale, linguaggio esplicito, probabilmente incesto
Dedica: A Mukuro, che ha seguito questa storia fin da quando era una piccola vaga idea nella mia testa, e che sopporterà di leggere di Sam nelle grinfie di Azazel solo perché mi ama tanto. :P A
babycin che ama Azazel quanto me e che aspettava questa fic. Mi dispiace se non è una PWP in cui godersi in santa pace del sano e perverso p0rn, ci sarà da soffrire ma spero l'apprezzerai lo stesso. :) E poi naturalmente, inevitabilmente, dedicata al S.A.S.A. XD
Disclaimer: Non detengo alcun diritto sui personaggi, che appartengono tutti a Kripke, fatta eccezione per Laura e Sorensen che invece, purtroppo per loro, sono miei. Quest'opera non ha scopo di lucro.
Riassunto: Lui era il suo preferito, lo era da sempre... e da sempre, aveva bramato di averlo.
Estate del 2000
Salisbury, North Carolina
8:05 pm, Bendix Drive
Dean spalancò la porta della stanza di motel, gettando un borsone sul letto più vicino, su cui egli stesso si lasciò poi cadere senza troppa grazia.
“Più di dieci ore ininterrotte di viaggio, sono troppo stanco perfino per andare in bagno!” grugnì con un sospiro di sollievo, nell’abbandonarsi a braccia e gambe allargate sulla morbidezza di un materasso.
“Come mai papà aveva tanta fretta?” chiese Sam, entrando dopo di lui.
Dean fece spallucce distrattamente, gli occhi chiusi e un’espressione di beato rilassamento sul viso.
“Dovevamo essere qui per questa sera.” rispose soltanto.
“Sì, questo l’ho capito, ma perché?” insistette Sam.
“Non lo so.” fece Dean, usando il tono cantilenante di quando voleva ostentare la pazienza che ci vuole con un ragazzino petulante. Ma al silenzio che seguì, sollevò la testa verso il fratello minore, temendo di averlo mortificato eccessivamente. Pur con tutto l’amore sconfinato che nutriva per l’Impala, passare tutte quelle ore seduto in macchina l’aveva messo abbastanza fuori fase da sentirsi infastidito da una sola domanda di troppo, soprattutto se era una domanda scomoda.
Quando portò gli occhi su Sam, vide che era rimasto in piedi e con ancora lo zaino in spalla, e stava fissando la camera con uno sguardo perplesso.
“Ehi, che ti prende? Non sarà una reggia, ma abbiamo avuto stanze peggiori.”
“Dean... qui ci sono due letti.” osservò Sam.
Dean inarcò un sopracciglio e lo fissò sardonico.
“Già, perché di solito è così che dormiamo, io in un letto e tu in un altro, hai presente, fratellino? E mi dispiace deluderti, ma non ho in programma di cambiare abitudini.”
Sam gli lanciò un’occhiata pungente, posando lo zaino sull’altro materasso e sedendosi di fronte a lui.
“Idiota! Volevo dire che non c’è il letto per papà!”
Dean tornò a sdraiarsi, e la sua voce perse la nota sarcastica di poco prima. “Non c’è perché non serve. Papà ha un lavoro da fare, e se ne vuole occupare da solo. Potrebbe metterci un paio di giorni, forse di più, ma mi ha detto che non tornerà prima di aver finito. Partiremo subito dopo.”
Chiaro, conciso, pronto. Dean snocciolava gli ordini di suo padre come un perfetto soldato. Sam lo fissò in silenzio per un attimo, scommettendo tra sé e sé che se gli avesse chiesto che tipo di lavoro fosse e perché loro due dovessero restarne fuori, Dean non avrebbe saputo cosa dirgli.
“Che altro c’è, Sam?” chiese Dean seccato, sentendosi addosso lo sguardo del fratello.
“Niente... è solo che non capisco perché papà non ci abbia detto cosa stiamo facendo qui.”
Dean sospirò e si sollevò a sedere.
“Se non l’ha fatto, avrà i suoi motivi.” ribatté deciso. “Ed evidentemente, non ha bisogno di noi per questo lavoro.” aggiunse, abbassando lo sguardo assorto per un momento. “Credo si tratti di una cosa personale... l’ho visto parlare al telefono subito prima di partire, forse qualche suo conoscente si trova nei guai o qualcosa del genere.” mormorò. Si riscosse subito dopo, rivolgendo a Sam un sorriso ammiccante. “Ad ogni modo, fratellino, posso dirti cosa io farò qui. Mi farò una doccia, divorerò una gran cena e poi troverò qualche pub dove concludere la serata in piacevole compagnia.”
Sam sollevò le sopracciglia in uno sguardo ironico.
“Non hai appena detto di essere troppo stanco?”
Dean liquidò l’obiezione con un gesto impaziente della mano.
“Sprecherò una sacrosanta serata libera dormendo quando avrò ottant’anni, Sammy, non certo adesso.” rispose con la sua consueta fierezza virile, quella che Sam trovava talmente esagerata da sfiorare il comico. In quel momento, però, il minore non aveva molta voglia di ridere. Guardò Dean alzarsi e iniziare a sbottonarsi la camicia mentre si dirigeva verso il bagno.
“Dean...” lo richiamò.
“Mh?” si voltò lui, con uno sguardo interrogativo.
“Perché ti sta bene tutto quello che papà fa o dice?” chiese fissandolo negli occhi.
“Come hai detto?” Dean si fermò, sostenendo il suo sguardo con un’espressione accigliata. “Sam, ma che razza di domanda è?!”
“Una domanda legittima, visto che non riesco proprio a capirlo.” ribatté Sam. “Siamo costretti a passare la vita senza una casa, senza amici, vagabondando da uno stato all’altro e rischiando la pelle in continuazione per la sua vendetta, e a te sta bene che adesso sparisca per qualche misterioso lavoro senza dirci nient’altro che di aspettarlo qui?!”
“E’ la nostra vendetta, Sam!” esclamò Dean, scattando di un passo verso di lui. “La devi smettere di parlare come se la cosa non ti riguardasse! E’ la nostra famiglia, e quella che è morta era nostra madre! Io non sono “costretto” a fare proprio un bel niente, voglio rompere il culo a quel fottuto bastardo più di ogni altra cosa!” tuonò con la rabbia negli occhi. Sam ristette, investito da quella veemenza, e abbassò lo sguardo a disagio. Sentì Dean prendere un profondo respiro, e poi parlargli con voce più calma.
“Ascolta. Avrei preferito anch’io che papà mi avesse almeno detto dov’è e che genere di problema deve risolvere, e ancora di più avrei voluto dargli una mano. Ma se ha deciso di fare da solo e non dirci niente, ha sicuramente avuto le sue ragioni, e a me sta bene. Mi sta bene perché lui è mio padre e io sono suo figlio, e questo dovrebbe essere sufficiente anche per te.” dichiarò fermamente, senza nascondere il tono di rimprovero delle ultime parole. Subito dopo, tornò a voltarsi verso il bagno. “Vado a farmi questa benedetta doccia.” disse prima di chiudere la porta alle proprie spalle con uno scatto secco.
Sam rimase seduto sul letto, con il volto basso, le labbra che mormoravano in un soffio:
“Invece per me non lo è.”
8:15 pm, South Fulton Street
L’insegna “Chant Bed&Breakfast” sovrastava una stretta cancellata, che immetteva nel vialetto del piccolo ma grazioso giardino antistante la casa. John Winchester lo percorse velocemente, ma i suoi occhi attenti, addestrati a catturare ogni dettaglio, studiavano silenziosamente la costruzione e i suoi dintorni. L’aspetto era quello di un’accogliente abitazione di modeste dimensioni, curata da una mano e da un gusto rustici e delicati. Uno slanciato tronco di betulla faceva bella mostra di sé tra i disegni tracciati dalle aiuole, e ai lati del vialetto sfilava una lunga cornice di fiori azzurro-violetti dalla singolare corolla a forma di campana, gli stessi fiori che decoravano i davanzali di ogni finestra. Sulla veranda, davanti alla porta aperta, una donna fece un passo avanti quando John raggiunse l’ingresso, e gli sorrise cordiale.
“Il signor Graves, immagino.” esordì tendendo la mano in un allegro tintinnare di braccialetti. “Sono Laura Chant, ci siamo parlati per telefono.” Dimostrava meno di quarant’anni, e aveva l’aria di chi cerca di mascherare una naturale e irrefrenabile propensione al disordine. I capelli ricci, di un caldo colore ramato, erano raccolti da un fermaglio che si lasciava scappare qualche ciuffo ad ogni movimento; indossava una gonna che le sfiorava le caviglie, e una camicetta che doveva essere stata stirata con troppa fretta. John si soffermò per una frazione di secondo sui pendenti che la donna portava al collo: un pentacolo d’argento e un piccolo sacchetto sigillato. Rispose al sorriso e le strinse la mano.
“Jack Graves.” si presentò. “Mi scusi per il ritardo, signorina Chant.”
“Oh, non c’è problema, mai stata puntuale in vita mia.” rise Laura con un cenno noncurante del capo. “E la prego, mi chiami pure Laura.” aggiunse mentre si spostava a lato della porta d’ingresso, indicando l’uscio al suo ospite. “Prego, dopo di lei.”
John annuì gentilmente ed entrò, lanciando uno sguardo veloce all’architrave della porta, su cui spiccava quella che sembrava una decorazione realizzata con arbusti e larghe foglie. Non appena all’interno della casa, un odore balsamico, acre e pungente lo colpì. Non era esattamente spiacevole, ma il viso dell’uomo dovette assumere l’espressione di chi non era abituato a quella fragranza, perché Laura, chiusa la porta e venutagli accanto, sorrise desolata.
“Ah, mi dispiace, ho una vera e propria fissazione per gli oli e le candele profumate. Pensa di poter resistere?”
“Ce la metterò tutta.” scherzò John.
“Un uomo coraggioso!” rise Laura, tendendo poi una mano aperta verso di lui. “Se mi dà un documento, la registro immediatamente e l’accompagno nella sua stanza.”
Mentre la donna si allontanava con in mano uno dei tanti documenti falsi di John, questi percorse lentamente l’ingresso, guardandosi intorno. Tra quadri e soprammobili, individuò pentacoli di varie ridotte dimensioni, mascherati come semplici decorazioni. Sulla mensola del camino, spiccava un’ampolla trasparente con dentro un liquido all’apparenza denso, di color rosso scuro, e quando John si avvicinò, si rese conto che doveva essere la fonte del pungente odore che si respirava nell’ambiente. Arrivò nelle vicinanze di una porta socchiusa, dalla quale proveniva il suono attutito di un televisore acceso. La sospinse leggermente e guardò all’interno, trovandovi un piccolo soggiorno. Seduto sopra un divano, un ragazzo fissava lo schermo su cui passava un vecchio film in bianco e nero. John rimase a osservarlo, sentendo che una strana inquietudine lo raggiungeva e gli scivolava dentro. La posizione del ragazzo aveva qualcosa di innaturale... non si appoggiava al divano, stava invece seduto dritto, la schiena rigida, i palmi posati sulle gambe, immobile se non per lo sbattere leggero delle palpebre. Era un ragazzo magro e dall’apparenza fragile, aveva i capelli neri e sul volto pallido spiccava l’azzurro di due occhi grandi ma spenti, quasi inespressivi. Doveva avere la stessa età del suo Sam. D’un tratto, il giovane voltò silenziosamente la testa verso il nuovo venuto, puntandogli addosso il suo sguardo vuoto. John avvertì una fitta di disagio, ma sollevò una mano, sorridendo al ragazzo.
“Ciao. Scusami, non volevo disturbarti.” provò a salutarlo. Il ragazzo lo fissò per un momento, poi, senza rispondere, tornò a voltarsi verso il televisore, riprendendo la posizione immobile di poco prima.
“Lui è mio nipote Sorensen.” mormorò la voce di Laura. John si voltò verso di lei, arrivatagli accanto in silenzio. Laura rivolse uno sguardo muto al ragazzo, tornato a farsi assorbire dal film, e sul viso della donna comparve una tristezza stanca, per un attimo incapace di indossare la sua veste d’allegria. Poi, Laura sembrò ricordarsi che lì con lei c’era un estraneo, e gli rivolse un sorriso di scuse. “La prego di non prendersela, Sorensen non ama parlare. E’... è un ragazzo particolare... speciale, sa?” disse con una luce d’amore nello sguardo. “E’ molto speciale, molto intelligente... solo, ecco, spesso è... lontano, per così dire...” sospirò.
John scosse la testa per rassicurarla.
“Nessun problema.” rispose.
Laura sorrise più distesa, e gli porse il documento per restituirglielo.
“Grazie. Bene, allora l’accompagno nella sua camera!” esclamò gioviale, avviandosi verso il piano di sopra. John lanciò un’ultima occhiata a Sorensen, riaccostando la porta in silenzio. Con ancora le membra strette nell’immobilità, Sorensen voltò appena il viso, fissando l’uscio mentre i passi della zia e del nuovo ospite si allontanavano per le scale.
La camera da letto era impregnata dello stesso odore acre dell’ingresso, ma John stava gradatamente iniziando ad acclimatarvisi.
“Non è una camera molto grande, ma ha il suo bagno privato e le garantisco che non ha mai dormito su un letto più morbido.” dichiarò solennemente Laura. “Per qualsiasi problema, sono a sua disposizione in qualunque momento.” disse, tendendogli un piccolo portachiavi di metallo a forma di stella. “La chiave della sua stanza.”
John la prese e rispose con un cenno del capo. “La ringrazio. E... per quella faccenda...”
“Oh, no, neanche per sogno, stasera niente lavoro.” lo interruppe Laura. “Ha l’aria di chi ha bisogno di rifocillarsi e di una lunga dormita. Ha detto che si tratterrà in città per qualche giorno, vero?”
“Fino a che non avrò finito.” rispose John, fissandola con un sorriso accennato che sembrava voler dire molto più di quanto fosse disposto a mostrare. Per un momento, quello sguardo quasi destabilizzò la donna, che rispose con tono incerto.
“Bene... allora... domani inizieremo a occuparcene con calma, è d’accordo?”
“Certo. Grazie ancora per la sua disponibilità.” fece John, e il suo viso tornò quello di un normale gentile forestiero venuto in città per un’importante e particolare consulenza, e fermatosi ad alloggiare nel suo Bed&Breakfast.
Laura si strinse nelle spalle con un sorriso che voleva dire “non c’è di che”, e lasciò il suo nuovo ospite da solo nella sua camera. John si sedette sul letto, fissando ancora la porta da cui la donna era appena uscita. Lì accanto, su una mensola di legno, alcuni piccoli animali in cristallo se ne stavano riuniti in un incontro immaginario; vicino ad essi, una cornice con una foto della Bell Tower della città, e un’ampolla trasparente con dentro un liquido denso, color rosso scuro. John alzò lentamente lo sguardo. Proprio al di sopra del letto, un grande pentacolo dipinto decorava il soffitto.
* * *
Quando Dean uscì dal bagno, avvolto in vita da un largo asciugamano, trovò il fratello seduto al tavolino della camera, immerso in uno dei suoi libri. Sam non alzò neanche lo sguardo, troppo concentrato o forse ancora risentito per il piccolo diverbio. Dean gli si avvicinò e gli scompigliò affettuosamente i capelli.
“La scuola è finita, fratellino, non te l’hanno detto?”
Sam sollevò il viso verso di lui, sbuffando una risatina ironica.
“Sì, ma dato che al contrario degli altri studenti ho un lavoro a tempo pieno, approfitto dei momenti liberi che mi capitano.”
“Oh, Sammy, andiamo!” sospirò Dean, quasi inorridito. “Ormai sei grande abbastanza per aver voglia di passare il tempo in modo migliore, non ti pare?!” esclamò, dirigendosi verso il suo borsone e frugandovi in cerca di un cambio di vestiti. “La scuola in fondo è solo un riempitivo temporaneo, presto te ne libererai anche tu. Non dovresti sprecarci tante energie.” continuò senza guardarlo. Sam lo fissò, abbassando lievemente lo sguardo.
“Sì... certo...” mormorò con voce atona. Non aveva neanche idea di come cominciare ad accennare a suo fratello e suo padre di quanto stesse accarezzando sempre più l’idea di andare al college dopo la fine della scuola. Già da oltre un anno, quella prospettiva gli sembrava un miraggio splendido, una vita diversa, libera da quell’incubo di violenza e vendetta, la sua vita, decisa e guidata soltanto da lui. Ma John... lui sembrava dare già per scontato che anche il suo secondogenito avrebbe semplicemente accantonato ogni altra possibilità di futuro per continuare a seguire la famiglia, come Dean aveva fatto senza lamentarsi, anzi, più che volentieri. Dean era la persona giusta per essere il figlio di John Winchester, non lui... eppure, nonostante tutto, suo padre non sarebbe mai stato d’accordo a lasciarlo andare per una strada che fosse meno sbagliata per lui.
“Sam?” la voce di Dean, già rivestitosi, lo riportò alla realtà. “Ehi, mi hai sentito? Vuoi venire o no?!”
“Dove?”
Dean sbuffò, avvicinandosi e chinandosi verso il fratello minore, appoggiando una mano alla spalliera della sua sedia e l’altra sul tavolino.
“Su quale lontano pianeta eri finito?! Ti ho chiesto se vuoi venire con me alla tavola calda.” Ripeté, per poi puntargli addosso un ghigno malizioso. “E magari... dopo potresti iniziare a passare qualche serata come si deve, con compagnie più vivaci di uno stupido libro... che mi dici, ti va di divertirti un po’ stasera?”
Sam lo fissò sorpreso. Dean non gli aveva mai chiesto di andare insieme a lui, quando usciva per andare in qualche pub a rimorchiare. Non che Sam morisse dalla voglia di imitarlo in questo... tutto il senso del pudore che non era andato a Dean, aveva ripiegato quattro anni dopo su di lui. Ma sentirselo chiedere gli fece inaspettatamente piacere. Sorrise al fratello, ma scosse la testa.
“No... grazie, Dean, ma sono stanco. E non ho molta fame.” rispose, stringendosi nelle spalle e facendo per tornare al suo libro.
Dean lo scrutò attentamente. Ora che lo guardava bene, gli sembrava pallido e non molto in forma.
“Sammy... sicuro di star bene?” gli chiese, facendosi serio.
Sam indovinò dove Dean stesse per andare a parare, e lo anticipò scuotendo ancora la testa.
“Non c’è bisogno che resti qui, Dean. Sto bene, sono solo stanco. Non ho dormito granché, ultimamente, tutto qui.”
Dean aggrottò le sopracciglia, ancora incerto.
“Tutto qui.” ripeté Sam in tono più deciso.
Dean si sollevò lentamente, senza staccare gli occhi da lui. Infine, scrollò le spalle e distese l’espressione in un sorriso.
“D’accordo. Allora non aspettarmi alzato.” ridacchiò facendogli l’occhiolino. Afferrò il suo giubbotto e si diresse verso la porta. “Se ti venisse fame, nel mio borsone ci sono ancora un paio di panini. Buona noiosa serata, fratellino!” esclamò dandogli le spalle, sollevando una mano in un saluto prima di dileguarsi.
Sam si voltò a lanciare un’occhiata alla borsa mezza aperta di Dean.
“Urgh... sì, certo...” mormorò con un’espressione disgustata alla sola idea di mangiare uno dei panini imbottiti con ogni possibile schifezza che piacevano tanto a suo fratello. Sospirò nel silenzio sceso sulla stanza, passandosi stancamente una mano sulla fronte. Era vero, da diversi giorni non dormiva bene, e fortunatamente Dean non gli aveva chiesto il perché. Gli sarebbe sembrato piuttosto sciocco raccontare al fratello che un’ombra misteriosa lo seguiva nei suoi sogni, come uno spettatore silenzioso che restava semplicemente ad osservarlo, ammantato da un senso di disturbante estraneità, dandogli la netta sensazione di non essere frutto delle sue proiezioni oniriche, quanto piuttosto un visitatore esterno, una presenza con una propria volontà. Ogni volta, d’un tratto, l’ombra iniziava ad avvicinarsi, facendosi sempre più prossima e più nitida. Ma prima che potesse arrivargli abbastanza vicino da assumere una vera forma, Sam si svegliava, spesso in piena notte, senza riuscire più a riaddormentarsi. Da sveglio, la sensazione di quella presenza osservatrice svaniva, e Sam si convinceva che doveva essere un frutto della sua immaginazione; la vita che conducevano era di sicuro un ottimo incentivo per la mente, nell’elaborare sogni inquietanti.
Si alzò stiracchiandosi, e si avvicinò alla finestra. Dean non si vedeva già più. Sam lasciò vagare lo sguardo sui contorni sfumati della città. Chissà dov’era suo padre... Sbuffò appoggiando la fronte al vetro. Stare ai suoi ordini senza neanche sapere il perché, era più di quanto riuscisse a mandare giù. E se doveva essere sincero almeno con se stesso, la verità era che per una volta avrebbe tanto desiderato non essere trattato come un soldato in missione, ma solo come un figlio che stava diventando adulto e che avrebbe voluto poter parlare con suo padre del proprio futuro. E vederlo sorridere.
Trattenendo un’esclamazione, Sam sussultò di colpo, staccandosi dal vetro e fissando un punto all’esterno. Nei suoi occhi si era fissato il fotogramma di quello stesso scorcio di strada con una figura alta e scura che vi sostava, osservando nella sua direzione. Era stata solo una frazione di secondo prima di tornare a guardare uno spiazzo deserto, ma la sensazione era stata così forte e reale che il suo cuore non aveva ancora ripreso un battito regolare. Una sensazione di paura.
Scosse la testa e sospirò. Magnifico... ci mancava solo che iniziasse ad avere le traveggole. Distolse lo sguardo dalla finestra e si diresse verso il bagno, togliendosi la maglietta. Aveva decisamente bisogno anche lui di una bella doccia, e magari di terminare la sua “noiosa serata” prima del previsto. Voleva solo dormire... dormire il più a lungo possibile.
Dean camminava velocemente, e ad ogni passo si dava del coglione con sempre maggior energia. Erano appena le 23:30, aveva avuto il coraggio di piantare in asso quella che sarebbe potuta essere la sorella più giovane di Pamela Anderson, e ora quasi si metteva a correre in quegli ultimi dieci metri che lo separavano dalla camera in cui aveva lasciato Sam. Per tutto il tempo, non era riuscito a togliersi dalla testa suo fratello e l’assai disturbante sensazione che non avrebbe dovuto lasciarlo solo. Non che Dean credesse ai presentimenti, ma credeva ciecamente alla loro dannata capacità di far sparire ogni voglia. Un paio d’ore scarse gli erano bastate per capire che per quella sera non si sarebbe sentito tranquillo se non fosse rimasto con Sam.
Affrettò ulteriormente il passo in prossimità della stanza, spinto da una fretta inquieta, totalmente immotivata e altrettanto insopprimibile, e quando infilò la chiave nella porta quasi la spalancò...
Entrò nella camera a passi lenti e silenziosi, senza accendere la luce, cercando di fare meno rumore possibile. Sam era già a letto e sembrava profondamente addormentato. Dean si fermò davanti al corpo disteso del fratello minore, emettendo un piccolo sbuffo divertito verso se stesso e la propria paranoia.
Dean Winchester, dietro a quel ragazzo diventerai matto.
Restò per qualche momento a osservare l’immagine di Sam, abituandosi alla penombra e riuscendo a individuarne i dettagli. Il suo fratellino era davvero cresciuto, ormai lo superava in altezza - e di questo, Dean non era per nulla entusiasta. Eppure, il suo viso conservava ancora quella delicatezza tutta sua, che sapeva di fanciullezza e di una sorta di strana ingenuità che Sam non sembrava lasciarsi portare via dagli anni. I suoi occhi erano ancora quelli di un cucciolo a cui Dean non sapeva dire di no. Ma la maturità gli stava portando una scintilla di energia e ribellione che il maggiore non avrebbe mai voluto vedergli addosso... era ancora abbastanza tenue da non bruciare, ma non sarebbe rimasta così per sempre, non occorreva alcun presentimento per averne la certezza.
Dean sospirò, accennando un sorriso. Sembrava proprio che Sammy fosse al sicuro, e Pamela junior gli aveva lasciato il suo numero... tolse il suo bigliettino dalla tasca e lo fissò per un attimo, prima di rimetterlo via con una scrollata di spalle, e iniziare silenziosamente a spogliarsi.
Era già mattina inoltrata quando Dean si svegliò, stiracchiandosi con un mugolio. Si voltò verso il letto del fratello, aspettandosi di trovarlo già vuoto e rifatto come al solito. Rimase sorpreso vedendo che Sam era lì, gli dava le spalle e dormiva ancora. Dean aggrottò le sopracciglia, perplesso.
“Eri stanco sul serio, eh, fratellino...” commentò a bassa voce. Decise di lasciarlo dormire ancora un po’, mentre andava in bagno a svegliarsi del tutto. Quando tornò nella stanza, Sam non si era mosso di un millimetro. Dean lo fissò incerto. Aveva intenzione di uscire a prendere un’abbondante colazione, e questa volta non avrebbe accettato storie sul poco appetito, a costo di ficcargli frittelle in bocca a forza. Ma mentre guardava il corpo immobile del fratello, ebbe la netta sensazione di averlo visto sussultare lievemente per un momento. Si avvicinò, chinandosi su di lui, senza ancora riuscire a vedergli il viso girato dall’altra parte.
“Sam...” provò a chiamarlo. “Sammy? Cos’è, sei andato in letargo?” accennò una risatina, ma Sam non si mosse. “Sammy?...” lo chiamò ancora, alzando un poco la voce, e posandogli una mano sulla spalla per scuoterlo piano. “Sam, andiamo, svegliati. Lo sai che ore sono?” Il suo tono si tinse di un involontario nervosismo nel vedere che Sam ancora non si muoveva. “Sam... Sam!” Dean lo scosse più forte e infine lo attirò verso di sé. Il corpo di Sam seguì la mano del fratello maggiore e si voltò, pervaso da un’innaturale rigidità. Dean trattenne il respiro quando anche la testa di Sam si girò e ricadde verso di lui, e poté guardare i suoi lineamenti. Le palpebre erano strette in un’espressione sofferente, e dalle labbra semiaperte il respiro usciva sottile e irregolare. La mano di Dean era ancora sulla sua spalla, e il ragazzo si accorse che il corpo di Sam tremava leggermente. Deglutì, sedendosi lentamente sul letto accanto a lui, perché aveva l’impressione che le gambe fossero improvvisamente diventate poco affidabili.
“Sammy...” lo chiamò ancora con voce tremante. “Sam! Sam, svegliati! Sammy! Mi senti? Apri gli occhi, Sam! Svegliati, cazzo! Sammy!” arrivò a gridare, scuotendolo forte con entrambe le mani, fissandolo con occhi terrorizzati.
Non avrebbe saputo dire dove fosse. Attorno a lui c’era solo la desolazione di una stanza vuota e scura, avvolta in un silenzio che non aveva mai udito in nessun altro luogo. Sentiva che qualcosa lo paralizzava, proibendo al suo corpo qualsiasi movimento, come se l’aria stessa premesse sulle sue membra e facesse loro da barriera. E infliggesse loro dolore. Sam si guardò intorno spaventato, confuso, finché il suo sguardo non si arrestò su un improvviso bagliore nell’oscurità. No, non uno... erano due. Due piccoli bagliori gialli che si muovevano lentamente verso di lui. Un’ombra alta li circondava, e lentamente prendeva forma mentre gli si faceva più vicina, sempre più vicina... fino a quando Sam si trovò a fissare il viso di un uomo che gli rivolgeva un sorriso estasiato. E agghiacciante.
“Eccoti qui... non immagini che piacere sia, poterti finalmente incontrare di nuovo.”