[Originale] Erase and Rewind

Aug 08, 2013 00:14

Titolo: Erase and Rewind
Fandom: originale - romantico
Personaggi:
Parte: 2/?
Rating: arancione
Conteggio Parole: 2881
Riassunto: Matthew Harris è un ingegnere che lavora per l'FBI. Un giorno si risveglia in un letto d'ospedale e scopre di aver perso la memoria in seguito ad un misterioso incidente. Non ricorda più nulla degli ultimi quattro anni, e le persone intorno a lui sembrano volergli nascondere qualcosa. Scopre di aver partecipato ad un progetto scientifico che non è andato a buon fine e che ha avuto degli effetti negativi sulla sua personalità. Matt vuole rimettere assieme le tessere del puzzle, ma i suoi amici e famigliari si sono allontanati da lui; perfino la moglie, Celia, è stranamente fredda nei suoi confronti e Lilia, la figlia di due anni di cui non ricorda nulla, sembra essere spaventata da lui. Con l'aiuto di uno psicoterapeuta tenterà di ricostruire cosa sia successo in quei quattro anni e di recuperare la fiducia e l'amore della sua famiglia...

Capitolo uno


Trascorse del tempo prima che Celia entrasse nella camera, e ciò permise a Matt di calmarsi e rimettere in ordine le idee.
Un microchip nella testa che lo aveva reso un super agente ma che gli aveva cambiato il carattere; un misterioso incidente che lo aveva mandato in coma; la perdita di memoria; quattro anni di vuoto; una figlia che non sapeva di avere. Era già tanto che, per lo shock, non fosse caduto un'altra volta in coma. Come gli era saltato in testa, a Gray e a Wood, di bombardarlo con tutte quelle notizie sconvolgenti in una sola volta?!

Decise di sforzarsi per vedere le cose nel modo più naturale possibile, a partire dal microchip che gli avevano impiantato nel cervello. In fondo, aveva lavorato al Progetto Iron Man fin da quando era stato prelevato dal MIT, giovanissimo, per iniziare a lavorare alla sede di Quantico dell'FBI.

Ad un profano sarebbe sembrata fantascienza, ma aveva collaborato per realizzarlo, quel dannato microchip, e riflettendoci bene, non sembrava poi così strano che avesse accettato di testarlo su se stesso.

Ma cosa era andato storto? Decise che, non appena si fosse rimesso in piedi, avrebbe preso in mano tutta la documentazione disponibile per capire dove avessero sbagliato.

E poi, doveva sapere a tutti i costi in cosa diavolo lo avesse trasformato il microchip: se la Chung si era fatta uccidere e Smith aveva sterminato i propri famigliari, che cosa era stato in grado di fare lui?

Gray non era sembrato particolarmente preoccupato, ma lui non poteva sapere nulla della sua vita privata. Rob, invece, lo aveva spaventato: c'era sicuramente qualcosa di brutto che non aveva voluto dirgli. Già l'avergli dato dello stronzo era un segnale: Matt sapeva di avere tanti difetti, ma non aveva mai fatto ai suoi amici uno sgarbo tanto grosso da essere definito uno stronzo.

Si chiese perché Celia ci mettesse così tanto tempo ad entrare.

Dal corridoio gli giunsero le voci attutite della moglie e di Rob: stavano discutendo di qualcosa, ma non riuscì a cogliere una sola parola.

C'erano così tante domande che voleva farle! Che cosa fosse successo in quei quattro anni, cosa fosse cambiato, e... sua figlia! Dio, non riusciva a credere di avere una figlia.

Nel 2013 lui e Celia erano sposati da poco più di un anno e non avevano ancora pianificato l'arrivo di un bambino, anche perché non avrebbero avuto i mezzi per mantenerlo: entrambi stavano ancora pagando il proprio debito universitario, Celia era disoccupata e vivevano in quel minuscolo appartamento dove si faticava a viverci in due, figurarsi con un bebè! Chissà se si erano trasferiti in una casa più grande.

Ma ciò che soffocò il suo entusiasmo fu il ricordo delle parole di Rob: gli aveva detto che Celia era diversa. Dunque era cambiata anche lei? Ma a causa sua?

Quando finalmente entrò nella stanza, Matt trattenne il fiato: sì, era cambiata.

Per lui sarebbe sempre stata bellissima, ma era chiaro che le fosse successo qualcosa. Appariva più magra, e la sua bella carnagione olivastra, ereditata dal padre messicano, era più grigia. Gli occhi color nocciola erano spenti e lo guardarono senza alcuna emozione, anzi gli parve che lo attraversassero senza realmente vederlo.

“Celia” mormorò debolmente, guardandola a bocca aperta.

“Ciao. Sono contenta che tu ti sia svegliato” disse lei con voce atona, quasi stesse parlando ad un estraneo, e non all'uomo di cui si era innamorata all'università e con cui aveva trascorso quasi dieci anni della propria vita. Parlò così piano che fece quasi fatica ad udirla, mentre era abituato a sentire la sua voce squillante a chilometri di distanza.

“Avvicinati” le disse lui, quasi in tono di supplica. Lei prese una sedia e la avvicinò al letto, ma non abbastanza da permettere a Matt di toccarla.

“Come stai?”

“Mi sento un po' rintronato. E tu, come stai?”

“Io sto bene” rispose lei senza nemmeno sforzarsi di sembrare credibile. “Ho parlato con il tuo capo, l'agente Gray. E con Robert.”

“E che ti hanno detto?”

“Che avevi un microchip nel cervello e che si è disattivato... quando hai avuto l'incidente.”

“Vuoi dire che per tutti questi anni, tu non hai saputo niente?!” esclamò Matthew, scioccato.

“A quanto pare era un progetto top secret di cui non potevi parlare.”

“E tu non ti sei mai accorta di niente? Mi hanno detto che il microchip influiva sulla mia personalità...”

“Sì, mi sono accorta che eri cambiato, anche se è stata una cosa molto graduale” spiegò Celia, sempre in quel tono inespressivo, come quando leggeva ad alta voce le sue relazioni per l'università. “Ma di certo non ho pensato che ci fosse un microchip nella tua testa. Lo sai che, al contrario di te, non sono mai stata una fanatica della fantascienza. Credevo che il cambiamento fosse dovuto allo stress per il lavoro.”

“Io non ricordo niente degli ultimi quattro anni.”

“Sì, mi hanno detto anche questo.”

“Puoi aiutarmi a ricordare? In che modo sono cambiato?”

La giovane donna sospirò, distogliendo lo sguardo da lui.

“Celia, me lo puoi dire” insistette Matt. “Qualunque cosa sia successa, ora sono di nuovo me stesso.”

“Ma non lo sei stato per molto, molto tempo” rispose lei, guardandolo tristemente. “Senti, lo so che vuoi sapere tutto ora, ma non penso che sia il caso. Ora che so cos'era a farti comportare in quel modo... voglio solo cercare di dimenticare.”

“Se ti ho fatto del male, me lo devi dire” insistette lui.

Lei si alzò bruscamente dalla sedia, come scottata.

“Non ora, Matthew, non me la sento proprio” disse in tono gelido.

“Non mi hai mai chiamato Matthew.”

“Lo so. Ma quando tu sei cambiato, sono cambiata anch'io” mormorò lei, rammaricata.

“Qualunque cosa ti abbia fatto, ti chiedo scusa, e ti prometto che cercherò di porvi rimedio.”

“Ora so che non eri tu, ma ti chiedo del tempo per... poter digerire questa cosa. Non sono più abituata al Mattie di una volta.”

Mattie. Era così che lo chiamava sempre lei, ma ora pronunciare quel nomignolo sembrò costarle una fatica incredibile.

“Tutto quello che vuoi.”

Si osservarono in silenzio per qualche istante, e Matt seppe che tra loro qualcosa si era rotto. Si sentì invadere da una profonda depressione, e in quel momento avrebbe tanto desiderato che lei lo abbracciasse, ma sapeva di non poterglielo chiedere.

“Rob mi ha ricordato che sono padre di una bambina” disse per tentare di allentare la tensione che era nata tra loro.

“Hai dimenticato anche lei?” chiese Celia, stupita.

“Purtroppo sì. Blackout totale. Come si chiama?”

“Lilia. Si chiama Lilia” rispose lei, addolcendo un po' la voce al pensiero della bambina.

“E com'è? Ce l'hai una sua foto?”

“Certo.” Celia tirò fuori dalla borsa il portafoglio, e ne estrasse una piccola fotografia, che porse al marito.

Matt rimase incantato e studiò la fotografia a bocca aperta.

“È bellissima!” esclamò.

“Sì, lo è” annuì Celia, con un certo orgoglio.

“Ha preso tutto da te” disse lui osservando i boccoli castani e gli occhi color nocciola della piccola.

“No, il naso e il modo di sorridere sono i tuoi” gli fece notare lei.

“Quanto ha?”

“Compie tre anni a giugno.”

“È bellissima.”

“L'hai già detto.”

“E non mi stancherò mai di ripeterlo. Me la puoi portare qui? Vorrei conoscerla.”

“Non penso sia una buona idea. Non sa ancora niente di quello che è successo, e non so ancora come spiegarle che il papà che ha conosciuto finora non era... il suo vero papà.”

“Glielo spiegheremo insieme.”

Celia si irrigidì.

“Ti prego, Matt, abbiamo bisogno di tempo. Non insistere.”

“Come vuoi” sospirò tristemente lui. “Che cosa le hai detto per giustificare la mia assenza?”

La donna si strinse nelle spalle.

“Niente. È abituata a vederti saltuariamente.”

Quello fu un altro brutto colpo: in pratica, Celia gli stava dicendo che sua figlia lo conosceva a malapena.

“E adesso con chi è?”

“Con mia madre.”

“E i miei genitori, sono stati informati?”

Suo padre e sua madre vivevano dall'altra parte del continente, in Oregon, e da quando aveva lasciato la loro casa per andare all'università, non aveva occasione di vederli spesso, se non per Natale, ma era abituato a sentirli telefonicamente almeno un paio di volte al mese.

“Sì, ma all'inizio ho detto loro di non venire qui. Poi, quando i tuoi superiori mi hanno spiegato che cosa ti era successo, e tutta la storia del microchip, sono stati i tuoi a dirmi che preferivano non venire comunque. Non so se te lo ricordi, ma hai litigato con loro circa un anno e mezzo fa, e da allora non vi siete più parlati.”

“No, non lo ricordo” commentò amaramente Matt. Rifiutato dai suoi stessi genitori, che non avevano voluto vederlo nemmeno quand'era entrato in coma. Cos'era successo di tanto grave?

“Scusa, ma ora devo proprio andare. Ho promesso a Lilia che sarei tornata presto.”

“Aspetta, solo un'altra cosa: nessuno mi ha ancora detto che tipo di incidente ho avuto.”

Lei lo osservò per alcuni istanti, ancora con quello sguardo vacuo.

“Un incidente stradale.”

Non gli servì alcun microchip per capire che lei gli stava mentendo.

Trascorse una settimana e mezzo, durante la quale Matt si rimise in forze con la fisioterapia. Si accorse che in quegli anni il suo fisico era cambiato, probabilmente grazie all'addestramento ricevuto e al microchip che gli avevano impiantato, e si stupì quando i medici gli dissero che con il coma e la degenza in ospedale aveva addirittura perso tono muscolare rispetto al giorno in cui era stato ricoverato.

Celia non tornò più a trovarlo, e l'unica persona da cui ricevette visite fu Rob, che si limitava a parlare di argomenti generali e superficiali, affermando che prima di tutto lui doveva rimettersi in forze, e per il resto ci sarebbe stato tempo.

Nonostante l'amico cercasse di rincuorarlo, Matt era fortemente demotivato e abbattuto.

Sentiva un grande vuoto attorno a sé, e odiava essere all'oscuro di quanto fosse accaduto in quei quattro anni: tutti sapevano, tranne lui, e sembravano non volerlo mettere al corrente. Per proteggerlo, dicevano, ma se questo significava essere tenuto a distanza dalle persone che amava, allora preferiva sapere, per poter in qualche modo rimediare a qualsiasi cosa avesse fatto mentre il suo cervello veniva comandato da un microchip.

Gli era stata consigliata una terapia presso un analista, ma avrebbe iniziato ad andarci insieme a Celia non appena fosse tornato a casa, in modo da potersi riprendere fisicamente del tutto e abituarsi gradatamente alle notizie scioccanti che aveva ricevuto al suo risveglio dal coma.

Il giorno in cui venne dimesso, Celia lo venne a prendere e chiese ad un infermiere di scortarli spingendo la carrozzella di Matt e aiutandolo a salire in macchina. Portava degli occhiali da sole per sfuggire al suo sguardo, era seria - non gli rivolse neppure un piccolo sorriso - e sembrava riluttante all'idea di toccare suo marito.

Giunti al parcheggio, si fermarono davanti ad un SUV dall'aria costosissima.

“Wow!” esclamò Matt, divertito e sorpreso. “È la nostra auto?”

“Questa è la mia” rispose Celia, mentre il marito veniva aiutato dall'infermiere a salire. “Me l'hai regalata quando è nata Lilia.”

La donna si incupì a quel ricordo, e Matt si chiese cosa fosse accaduto il giorno della nascita di sua figlia: quel macchinone era forse stato un tentativo di farsi perdonare un suo sgarbo?

Durante il tragitto verso casa, nessuno dei due parlò, e quel silenzio lo ferì: nemmeno dopo le peggiori liti, Celia era mai stata così fredda nei suoi confronti. Non la riconosceva più.

La strada che percorsero gli era nuova, e Matt ne dedusse che dovevano essersi trasferiti. Se si era potuto permettere una macchina così costosa, di sicuro non era stato un problema comprare una casa più grande. Tuttavia, quando giunsero a destinazione, ciò che si trovò davanti superò di gran lunga le sue aspettative.

“Noi abitiamo qui?” chiese incredulo, guardando a bocca aperta la villa in stile moderno, tutta vetro e acciaio, davanti alla quale si erano fermati.

“Sì. L'hai scelta tu” spiegò Celia in tono indifferente.

“Io?!” esclamò il marito, ancora più sbigottito. Non ricordava di aver mai riflettuto seriamente sul tipo di casa in cui avrebbe voluto abitare, ma credeva di essere un tipo da classica villetta a schiera, o al massimo da ranch... non certo da abitazione futuristica, sebbene fosse da sempre un appassionato di fantascienza. Il microchip doveva aver influenzato anche il suo gusto estetico.

Si chiese se Celia avesse accettato la sua scelta senza tentare di opporsi.

La casa era abbastanza isolata, circondata da un grande giardino con un alto muro che correva tutt'attorno al perimetro e con un cancello elettrico a separare la proprietà dalla strada. Il resto del vicinato era composto da una mezza dozzina di case altrettanto grandi e sontuose, ma di stili di diversi, e da un piccolo parco situato in fondo all'isolato.

Celia scese dall'auto e raggiunse Matt dal suo lato.

“Ce la faccio da solo, davvero” le disse, sapendo quanto lei fosse riluttante a toccarlo.

“No, ti aiuto” insistette lei, ma quando le avvolse il braccio intorno alle spalle, la sentì irrigidirsi.

Dio mio, pensò Matt, che cosa le ho fatto per allontanarla così tanto da me?

Attraversarono il vialetto lentamente, e quando entrarono in casa, Celia lo aiutò a stendersi sul divano dell'ampio salotto.

“Mia madre e Lilia devono essere di sopra. Le vado a chiamare.”

Rimasto solo, Matt ebbe modo di darsi un'occhiata intorno: la casa era immensa, decisamente troppo grande per tre persone, ma forse lui l'aveva comprata con la speranza di avere altri figli, oltre a Lilia.

Dalle vetrate del salone vide un ampio giardino posteriore con una piscina, una vasca idromassaggio, un'altalena, uno scivolo e una casetta per bambini, grande praticamente come il primo appartamento in cui aveva vissuto con Celia. La cosa lo rincuorò: Lilia sembrava avere tutto ciò che una bambina della sua età potesse desiderare.

Il salotto era arredato con un vasto e comodo divano, un mega televisore di ultima generazione, un caminetto, un angolo bar. Tutta la mobilia era moderna, minimalista e dall'aspetto costoso e poco vissuto. Non c'erano giocattoli sparsi in giro, come sarebbe stato normale in una casa dove viveva una bambina: difatti, la cosa gli parve strana, perché né lui né Celia erano mai stati particolarmente ordinati, e dubitava che l'arrivo di un figlio avesse provocato un sostanziale miglioramento delle loro abitudini. Non c'erano nemmeno le sue console per videogiochi, che di solito teneva vicino allo schermo del televisore, e quel televisore in particolare sembrava perfetto per i videogiochi. Forse in quell'enorme casa aveva una stanza completamente dedicata ai suoi giocattoli da nerd.

Udì dei passi provenire dalle scale, e subito dopo apparve la signora Martinez.

“Sue”, che piacere vederti!” Lui e la suocera erano sempre andati molto d'accordo. Matt aveva avuto un bel rapporto anche con il padre di Celia, Hector, fino a quando un infarto non lo aveva portato via, un anno prima del matrimonio della figlia.

“Matthew, sono contenta che tu ti sia ripreso” disse la donna in tono formale, ma sforzandosi di sorridergli gentilmente, come faceva di solito. Lo scrutò per qualche istante, come se cercasse sul suo volto i segni di un qualche cambiamento fisico, oltre che caratteriale. “È bello che tu sia di nuovo a casa” aggiunse poi, in tono più spontaneo e sincero, come se avesse avuto la conferma di stare parlando proprio con il vecchio Matt. “Spero che le cose possano tornare come un tempo. Ne avete bisogno.”

“Lo spero anch'io” rispose l'uomo.

“Lilia si è appena svegliata dal pisolino pomeridiano, scendono subito. Io vado a casa. Per qualsiasi cosa, chiamami, ok?”

Sue gli accarezzò la spalla e gli rivolse un ultimo timido sorriso, poi se ne andò. Matt pensò che l'incontro con la suocera, sebbene un po' strano, non era andato tanto male: forse c'era qualche speranza anche con Celia.

Sua moglie scese dopo qualche istante, portando in braccio la piccola Lilia, tutta boccoli e sonno.

“Lilly, saluta il tuo papà” la incoraggiò Celia, ma la bimba si rifiutò anche solo di guardarlo e, piagnucolando, nascose il viso tra i capelli della madre. “Su, fai la brava. Ricordi cosa ti ho detto? Papà ha preso si è fatto la bua in testa e non si ricorda com'è il tuo bel faccino. Non glielo vuoi mostrare?”

La fece sedere delicatamente sul divano e la piccola si abbracciò ad uno dei cuscini, usandolo come scudo mentre alzava lo sguardo verso il padre.

“Ciao, principessa” le disse dolcemente lui, sorridendole. “Lo sai che sei bellissima? Posso abbracciarti?”

Lilia si voltò verso la madre, cercando il suo consenso, e Celia la incoraggiò annuendo. Matt allora prese la bambina tra le braccia, senza stringerla troppo, per non spaventarla. Lilia accolse l'abbraccio docilmente, stupita dalla novità del gesto.

Mia figlia, realizzò Matt sentendo il proprio cuore riempirsi di amore e gioia, per la prima volta da quando si era risvegliato.

originale, autore: lefteye89

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