Titolo: You don't have to say I love you to say I love you
Fandom: Voltron: Legendary Defender
Rating: rosso
Personaggi: Lance McClain, Keith Kogane, Voltron cast
Pairings: Keith/Lance, hint Allura/Lotor, Hunk/Shay, Shiro/Pidge
Disclaimer: Voltron e tutti i suoi personaggi appartengono a Dreamworks & Netflix.
Note: Parte della Friends!AU.
Questo episodio è stato scritto un paio di settimane prima dell'uscita degli spoiler della S7, quindi il fatto che abbia chiamato l'ex di Keith Adam, totalmente a caso, fa abbastanza paura. Coincidenze? Le coincidenze non esistono. Avevo pensato di cambiare nome, ma... alla fine no, questa casualità m'intrigava troppo!
Beta: Grim
Word count: 6306
Il discorso era saltato fuori per caso, nel modo più banale possibile, come tutte le volte che Keith parlava del suo passato. Come se si trattasse di chiacchiere senza la minima importanza.
Si trovavano all'Interstellar, ad attendere la fine del turno serale di Lance, e la discussione al tavolo dove sedevano Hunk, Pidge, Keith e Allura si era spostata in tono scherzoso su quanto fosse bizzarro Lotor da piccolo.
« Da ragazzino era davvero la quintessenza del nerd, con degli occhiali enormi, i capelli lunghi e il naso perennemente in un libro. Una volta sono certa di averlo visto con una maglietta che inneggiava all'incidente di Roswell. » stava raccontando la ragazza.
Pidge aveva riso, affermando che anche Matt, anni prima, aveva avuto una fase in cui non pensava ad altro che a cospirazioni e alieni.
Keith, con noncuranza, aveva aggiunto: « Anche il mio ex aveva una di quelle magliette terribili. »
Lance, che stava passando in quel momento con un vassoio carico di bibite, si voltò talmente di scatto che l'intero contenuto si sfracellò sul pavimento.
Mezzo locale sussultò spaventato e un urlo infuriato giunse dal bancone.
« McClain! Te lo trattengo dalla paga! »
Lance però non vi badò minimamente e piombò al tavolo degli amici, ignorando le loro occhiate allarmate.
« Il tuo cosa?! » esclamò, rivolto a Keith.
Il giovane gli restituì uno sguardo perplesso.
« Il mio ex? »
« Tu hai un ex ragazzo?! » rincarò Lance. « Come? Quando?! »
Hunk si alzò in piedi, tentando di blandirlo.
« Andiamo, Lance, non c'è bisogno di fare scenate. Anche tu hai avuto milioni di ragazze. »
« Io non ho avuto milioni di ragazze! » s'indignò l'interessato. « E non sto facendo scenate. Sono solo stupito, non mi sono mai accorto che Keith frequentasse qualcuno. »
« È stato poco dopo che tu e Hunk vi siete trasferiti per il terzo anno. » spiegò quest'ultimo, quasi la faccenda non lo riguardasse. « C'erano gli esami per la sezione piloti, è comprensibile che tu non te ne sia accorto. In ogni caso è stata una storia senza importanza. »
« Ma è poco più di un anno fa! Va bene gli esami, ma dovevo avere le fette di salame sugli occhi! »
Keith sorrise tra sé e con una leggera condiscendenza.
« Ti rivolgevo a malapena la parola e non ti avrei raccontato una cosa del genere nemmeno in punto di morte. Non sei tu quello insensibile, ero solo io a essere molto... emo? »
Lance avrebbe proseguito quella conversazione fino a scoprire ogni virgola della passata relazione del suo ragazzo, ma un tossicchiare irritato lo richiamò all'ordine e, voltandosi, si trovò davanti Gyrgan che gli porgeva scopa e paletta.
Il proprietario del locale sembrava tutt'altro che bendisposto davanti al disastro di vetri a terra, quindi ogni indagine venne momentaneamente accantonata.
Anche se aveva rinunciato a fare domande a Keith, consapevole che non avrebbe avuto risposte, Lance non aveva la minima intenzione di risparmiare nulla agli amici.
Il giorno dopo, durante una sessione di studio nella biblioteca dell'accademia, Hunk fu la vittima designata per le sue lamentele.
« Secondo te perché non me l'ha detto? Posso capire all'epoca, che non ci parlavamo, ma dopo! Insomma, non è che lo avrei amato di meno se lo avessi saputo! Non sono certo il tipo da fare assurde scenate di gelosia per storie passate. Ero convinto di essere il primo, sono cose che mettono addosso una certa pressione. Anzi! Ora che ci penso, stiamo insieme da più di tre mesi e non mi ha mai detto che mi ama! Magari prova ancora qualcosa per quell'altro tizio! »
Hunk appoggiò sul tavolo il manuale di meccanica con una certa enfasi e rivolse all'amico il classico sguardo di chi cerca di mantenere la calma.
« Lance. Stai delirando. » affermò.
« Che?! Non è vero! Che Keith non mi abbia mai detto “ti amo” è una realtà! »
« Tu gliel'hai detto? »
Quella domanda a bruciapelo lo zittì.
In effetti no, non l'aveva fatto, ma non perché non lo pensasse ogni singolo minuto che passavano insieme. Semplicemente non aveva voluto precipitare le cose. Keith era emotivamente complicato e non voleva fare nulla che gli mettesse pressione o lo facesse sentire a disagio.
« Non è stato per un qualche tipo di sfida o cose del genere. » borbottò infine.
Davanti alla sua espressione abbattuta Hunk sorrise.
« Lo so che hai abbandonato questi giochetti con Keith da un bel po'. Immagino che ti sia semplicemente fatto degli scrupoli e stia aspettando i suoi tempi. Magari per lui è lo stesso. »
Richiuse il libro e si sporse in avanti oltre il tavolo, per stringere il braccio dell'amico.
« Sappiamo tutti che Keith è un tipo riservato, non parla volentieri di sé e ritiene le cose che lo riguardano poco importati. Ti ricordi quando abbiamo scoperto mesi dopo che aveva passato il Natale da solo? Scommetto che è la stessa storia, qualcosa che riteneva talmente poco degno di nota che non valesse la pena raccontarlo. Di certo non te l'ha taciuto di proposito o non l'avrebbe detto davanti a tutti. »
Era un ragionamento perfettamente sensato e Lance dovette ammettere di sentirsi rassicurato. Anche se, in fondo, continuava a pensare che Keith dovesse dare un po' più valore a sé stesso e alle cose che lo riguardavano.
« Stupido Keith. » brontolò.
« Già, ma è il nostro Keith e gli vogliamo bene lo stesso. »
« Puoi dirlo forte! »
Mentre anche Lance chiudeva il libro, alle sue spalle giunse Pidge, con uno zaino in spalla e l'aria di chi avrebbe potuto divorare un cavallo.
« Ragazzi, sto morendo di fame. Io e Keith pensavamo di andare in caffetteria per pranzo. » li invitò.
Era la classica opzione da studenti squattrinati e nessuno ebbe nulla da obiettare.
Sull’ingresso del locale trovarono Keith che li aspettava e Lance gli andò incontro sorridendo.
« Hello, darling! » esclamò, sporgendosi in avanti alla ricerca di un bacio.
Keith, che nelle ultime settimane aveva iniziato a essere meno restio alle manifestazioni d’affetto, lo accontentò, salvo poi ritrarsi immediatamente quando vennero raggiunti da una risata di scherno.
« Guarda un po’! » fu il commento di un cadetto all’interno della caffetteria. « La principessa di ghiaccio ha trovato un nuovo amico! »
A quelle parole Lance s’irrigidì e gettò un’occhiata all’interno: conosceva quel cadetto, era uno di quelli che puntava alla selezione piloti da combattimento, come lui. Attorno aveva altri tre o quattro ragazzi a loro volta facce note. Tutti a caccia del primo posto come pilota migliore dell’accademia, posto che apparteneva a Keith almeno da due anni.
Stupidi invidiosi.
« Ehi! » iniziò, muovendo un passo avanti, minaccioso.
Keith però gli posò una mano sul braccio scuotendo la testa.
« Lascia stare, non ne vale la pena. » mormorò, mentre Pidge e Hunk gli si affiancavano con aria protettiva.
« Già, non ne vale la pena. » continuò il cadetto, imperterrito. « In fondo quale coppia migliore di un frigido e uno sfigato? Un altro colpo da maestro, McClain! »
Lance non si rese nemmeno conto dello spostamento di Keith, sentì solo un rumore sordo e vide l'altro a terra.
« Su di me puoi dire quello che ti pare, non m'importa niente se mi odi! Ma lascia Lance fuori da questa faccenda! » ringhiò il suo ragazzo con l'espressione più rabbiosa che avesse mai visto.
Il gesto ovviamente scatenò una rissa, qualcuno chiamò gli ufficiali superiori e, in men che non si dica, finirono tutti davanti a un furioso Iverson.
Keith e Lance rientrarono a casa nel tardo pomeriggio, dopo almeno tre ore di detenzione e una corvè che nessuno dei due si aspettava.
« Quell'archivio è un girone dell'inferno! » si lamentò Lance crollando sul divano. « Non voglio metterci piede mai più! »
Keith si sedette accanto a lui con un sospiro.
« Vorrei consolarti dicendoti che Adam Turner è ancora là, ma la realtà è che avresti tutto il diritto di avercela con me. Mi dispiace. »
« Che sciocchezza. Il mio meraviglioso ragazzo mi difende e io dovrei offendermi? Non esiste. » esclamò Lance balzando in piedi. « Piuttosto, vado a prendere disinfettante e cerotti, dobbiamo curare quelle mani. »
Keith abbassò lo sguardo sulle nocche graffiate e non disse una parola.
Lance era gentile a prendersi cura di lui, ma quella volta non lo meritava per niente: l'aveva coinvolto in una rissa e nella conseguente punizione solo perché si era comportato come al solito come una testa calda. Però non aveva davvero sopportato che quel tipaccio arrogante parlasse di Lance a quel modo, non dopo quello che aveva già fatto a lui.
Poco dopo, Lance terminò di tamponare le ferite con il disinfettante e gli bendò entrambe le mani con delle garze. A lavoro ultimato, gli posò un bacio sulle nocche.
« Mi hai fatto spaventare, sai? » mormorò, mentre sistemava i medicinali. « Non mi aspettavo che reagissi in quel modo, in fondo ha insultato molto più pesantemente te di me. »
Keith sapeva che quel discorso sarebbe arrivato, ma non aveva comunque idea di come affrontarlo. Probabilmente avrebbe detto qualcosa di poco piacevole, ma davanti a una richiesta di spiegazioni non conosceva altra via che la verità. Lance non meritava bugie.
« Beh, non potevo picchiarlo per aver detto di me quella che, ai suoi occhi, è una verità. Mentre che tu sia uno sfigato è palesemente falso. »
« Keith, mi prendi in giro? Tu saresti frigido? Sei la persona più dolce che conosca! » s'indignò Lance. « Senti un po'! Chi sarebbe questo Adam Turner? Che motivo avrebbe di dire queste assurdità crudeli su di te? »
Keith si morse un labbro e sviò lo sguardo. Eccola la domanda che temeva ed ecco la risposta a cui non poteva sfuggire.
« Il mio ex. »
Vide gli occhi di Lance spalancarsi e la confusione farsi strada sul suo volto. Poteva quasi sentire i mille dubbi che si stavano affollando nella sua mente, dubbi che avrebbero minato la situazione di pace che avevano appena raggiunto. Tre mesi di relazione erano un traguardo che Keith non avrebbe mai sperato di raggiungere nemmeno nelle sue più rosee fantasie e se questo inconveniente avesse messo tutto a rischio…
Sentì il gelo calargli addosso.
Non l’avrebbe sopportato.
Istintivamente, si spinse in avanti, cercando le labbra di Lance in un bacio affannato.
Lance rispose, ma dopo un istante gli posò le mani sulle spalle, per allontanarlo. Keith ignorò il tentativo e lo spinse sul divano, stringendosi a lui. Senza permettere al proprio cervello di pensare, infilò una mano sotto la sua maglietta.
« Ehi ehi ehi!!! »
La voce di Lance, leggermente stridula, lo riportò al presente.
Keith si allontanò di scatto, ritraendo le mani e rifugiandosi sul lato opposto del divano.
Che stava facendo? Che idiota. Un atteggiamento del genere avrebbe suscitato solo disgusto in Lance.
Cosa gli stava passando per la testa? Voleva forse rifarsi di quello che aveva passato con Adam? Per dimostrare cosa? E soprattutto a chi?
Delle dita gentili che gli accarezzavano i capelli lo indussero ad alzare la testa.
« Kitty... » mormorò Lance, appoggiando la guancia ai suoi ciuffi scuri. « Cosa succede? Non fraintendermi, sogno da mesi che tu mi spinga sul divano, ma non dopo aver preso a pugni il tuo ex. Lo sai, vero, che puoi dirmi qualunque cosa senza che cambi idea su di te e su di noi? »
Keith annuì lentamente.
« Vorrei... »
Si sentiva la gola secca. Deglutì ma non servì a nulla.
« Vorrei venire a letto con te. »
Ed eccola di nuovo, l'espressione sbigottita sul volto di Lance, il rossore improvviso che gl'incendiava le guance.
« Ah... ehm... diciamo che quella è l'evoluzione della mia fantasia sul divano e ti assicuro che lo desidero con tutto me stesso! »
Gli prese le mani e il suo sorriso si ammorbidì.
« Ma, Keith, è lampante che c'è qualcosa che non va quindi, se accettassi ora, mi approfitterei di te. Ed è l'ultima cosa che voglio. »
Lance aveva le migliori intenzioni, questo era più che chiaro. Stava cercando di andargli incontro senza farlo sentire a disagio, ma quelle parole ricordarono a Keith la stessa frase pronunciata in circostanze simili. Anche quella volta era stato convinto che fosse dettata dal buon cuore.
« È la stessa cosa che aveva detto lui… » mormorò, mortificato, senza però lasciare le sue mani.
Si sentiva stupido e colpevole allo stesso tempo, seppur consapevole di non aver fatto nulla di male.
Lance gli circondò le spalle con un braccio, tirandoselo vicino e appoggiando la fronte contro la sua.
« Non so cosa ti abbia fatto questo tizio, ma a vedere la tua espressione già lo odio e oggi abbiamo avuto la conferma che non è il vincitore della classifica delle brave persone. Quello che posso dirti è che non voglio fare nulla che possa farti del male. »
Gli posò un bacio sulla guancia e sorrise, lasciandogli il tempo di decidere se rispondere o meno.
Davanti a quello sguardo gentile, a quel tocco delicato e a quel silenzio paziente Keith non poté rimanere indifferente. Non era colpa di Lance se si sentiva in quel modo, ma non era nemmeno colpa sua, non poteva continuare a ripeterselo.
Per questo prese un respiro e iniziò a raccontare.
Era successo all’inizio del terzo anno, quando Lance e Hunk si erano appena trasferiti. A breve ci sarebbero stati gli esami per l’ammissione al corso di piloti da combattimento e nell’ultima simulazione Keith era risultato in cima alla classifica. Quel punteggio gli era valso il titolo di miglior pilota dell’accademia e il conseguente misto di ammirazione e invidia da parte dei colleghi cadetti.
Adam gli si era avvicinato un giorno in caffetteria, usando quella stessa scusa per attaccare bottone. Keith avrebbe voluto liquidarlo ma lui era stato gentile e alla fine si erano ritrovati a chiacchierare. Ci era voluto qualche giorno perché gli concedesse un minimo di confidenza, avevano iniziato a vedersi durante le lezioni ed erano stati incontri piacevoli. A volte si incontravano anche fuori dall’accademia, per un caffè. In capo a un mese Adam gli aveva chiesto di diventare il suo ragazzo e Keith, dopo aver tentennato un poco, aveva accettato. Lo trovava un bel ragazzo, con lui stava bene e aveva anche iniziato a provare una certa attrazione. Si era detto che forse quella sarebbe stata la sua occasione di non essere più solo, che forse lui era la fantomatica persona giusta di cui Shiro a volte gli parlava, quella in grado di renderti felice.
E Keith lo era stato, per un po'. Si era convinto, in qualche modo, di essere sulla strada giusta. Almeno finché Adam non gli aveva chiesto di andare a letto con lui. Era successo due settimane esatte dopo che si erano messi insieme, durante una romantica serata trascorsa a casa sua.
Keith era rimasto turbato da quella richiesta prematura, ma aveva fatto di tutto per non darlo a vedere. Aveva chiesto di aspettare, poiché ancora non se la sentiva e avrebbe preferito essere più sicuro di sé stesso e della loro storia. Adam era stato molto tenero, gli aveva sorriso, lo aveva baciato e gli aveva detto che non c’era nessuna fretta, avevano tutto il tempo del mondo. Lo aveva fatto sentire tranquillo e al sicuro.
La situazione era precipitata nel peggiore dei modi il giorno successivo.
Keith aveva cercato Adam nell’intervallo tra una lezione e l’altra e l’aveva visto in corridoio intento a chiacchierare con alcuni amici. Prima di attirare la sua attenzione aveva fatto in tempo a sentire una parte della conversazione.
« No, ieri non è andata, ma manca poco. Quello è un verginello, me lo rigiro come voglio, datemi solo un paio di giorni. La scommessa di farmi il miglior pilota dell’accademia è praticamente vinta. »
Keith non aveva detto una parola. Si era avvicinato con passo deciso, aveva caricato il destro e lo aveva spedito faccia a terra, accanto a uno dei suoi denti.
L’intera questione si era chiusa in quel modo.
« Quel bastardo… » ringhiò Lance al termine del racconto. « Avrei dovuto pestarlo anch’io. »
Keith scosse la testa.
Ci aveva messo un bel po’ per ricominciare a fidarsi di qualcuno: aveva giurato a sé stesso che non avrebbe mai più permesso a nessuno di avvicinarsi, ma alla fine i sentimenti per Lance avevano avuto la meglio sui dubbi e le ansie.
Il ragazzo accanto a lui, che lo aveva tenuto stretto per tutto il tempo, intrecciò le dita con le sue e gli posò nuovamente un bacio sulle nocche. Questa volta con un sentimento del tutto diverso da quando aveva finito di bendargli le mani.
« Grazie per avermelo raccontato. » mormorò. « Grazie di fidarti di me e di essere qui nonostante non abbia fatto niente per meritarti. Sei la cosa più bella che mi sia successa. Non dubitarne mai. »
Keith rimase in silenzio, appoggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi. In quel momento voleva solo assaporare la sua vicinanza senza pensare ad altro.
Hunk li ritrovò così, quando rientrò all’ora di cena con le pizze per tutti: accoccolati l’uno contro l’altro e persi nel mondo dei sogni.
Quella notte, per la prima volta, Keith dormì assieme a Lance, raggomitolandosi contro di lui come un gattino. Probabilmente non era abituato a dividere il letto con qualcuno, infatti all’inizio i suoi movimenti furono molto esitanti e quasi non si azzardò ad avvicinarsi. Fu Lance a portarselo vicino, sospirando di sollievo quando lo sentì rilassarsi tra le sue braccia e abbandonarsi al sonno.
Al contrario lui non chiuse occhio e non solo perché aveva Keith vicino.
Guardarlo dormire era uno spettacolo meraviglioso, ma la sua testa era affollata di mille pensieri, tutti che ruotavano attorno alla storia sentita quel pomeriggio. Keith si era aperto con lui, dimostrandogli un’enorme fiducia nel raccontare quell’episodio spiacevole della sua vita e ora Lance si sentiva preda della responsabilità. Essere il primo amore di qualcuno non era una passeggiata, bisognava muoversi su un terreno del tutto inesplorato e Keith era così facile da ferire, nonostante il carattere apparentemente forte! Ne aveva passate abbastanza, non meritava di soffrire di nuovo perché qualcuno non era abbastanza sensibile.
Fu proprio a proposito di quello che Lance si sfogò con gli amici, il giorno dopo in caffetteria.
« Il primo amore? Suona parecchio drammatico oltre che non propriamente corretto. » obiettò Hunk, sorseggiando la propria spremuta d’arancia, prima di addentare il panino che aveva ordinato per pranzo.
« Se proprio vogliamo essere pignoli, Keith non ha mai detto di essere innamorato di quel tizio. Ha detto che gli piaceva, ma niente di più. » sottolineò Lance, piccato.
« Non ha detto “ti amo” neanche a te, se non ricordo male il delirio di ieri. »
« Questo ora è irrilevante! Sto parlando seriamente! Maledizione, forse avrei dovuto parlare con Shiro, con voi non si riesce a fare un discorso serio. »
Pidge appoggiò sul tavolo l’enorme bicchiere di carta pieno di caffè e gli lanciò un’occhiata scettica da dietro le lenti rotonde.
« Davvero vorresti parlare con Shiro della vita sessuale tua e di Keith? Ne sei sicuro? Vorresti davvero raccontargli di come potresti porre fine all’innocenza di quello che considera il suo fratellino? »
A quelle parole Lance si sentì gelare: poteva quasi percepire gli occhi grigi di Shiro che lo trapassavano da parte a parte anche solo all’accenno dell’idea.
« Ripensandoci forse no… »
Pidge accennò un sorriso e si allungò sulla sedia.
« Non sarebbe il caso, infatti. » disse in tono più serio. « Non lo dico solo per evitarti valanghe di disagio, ma semplicemente perché da una parte capisco fin troppo bene Keith e dall’altra so che Shiro si preoccuperebbe enormemente. Si farebbe un sacco di paranoie pur essendo consapevole che non ha il diritto di interferire nelle vostre vite ma questo, inevitabilmente, finirebbe per mettervi addosso un sacco di inutile pressione. Specialmente a Keith. »
« Sei saggia… » si stupì Lance. « Comunque non è una semplice questione di.. letto. Insomma, come primo amore intendo tutta la parte sentimentale, il coinvolgimento emotivo e Keith, beh, lo sappiamo tutti che non è esattamente un campione di espansività. Dopo tutte quelle che ha passato è ovvio che faccia fatica a fidarsi di qualcuno, è già un miracolo che non sia ancora scappato dopo tre mesi di storia. Voglio che si senta a suo agio, ma temo di fare qualche stupidaggine e rovinare tutto. »
Hunk mescolò il proprio succo con la cannuccia, meditabondo.
« Personalmente non credo che potresti fare sciocchezze. Si vede che tieni tantissimo a lui e, per quanto possa preoccuparti, anche lui tiene a te più di quanto pensi. Dopotutto è stato lui a fare il primo passo, nonostante tutti i problemi di fiducia nel prossimo. »
Lance ripensò a quel bacio sotto la pensilina dell’autobus e si sentì arrossire.
Sì, Keith aveva capito tutto molto prima di lui.
Pidge prese un sorso di caffè e tornò ad allungarsi sulla sedia.
« Lascia che ti racconti una cosa. Forse potrebbe servire a farti sentire meglio. » disse. « L’anno scorso, più o meno nel periodo in cui Keith iniziava a uscire con Adam, c’era qualcun altro che si faceva i tuoi stessi scrupoli. Quel qualcuno era Shiro e la persona oggetto degli scrupoli ero io. Per questo dico che posso comprendere Keith, ci sono passata in prima persona. In qualche modo sia lui che io siamo outsider, se mi passi il termine, gente non particolarmente socievole, che eccelle in quello che fa e che piace poco agli altri. »
« Soprattutto modesta. » ridacchiò Hunk.
« No, solo obiettiva. » lo rimbeccò Pidge, per poi proseguire. « Shiro aveva timore di approcciarsi a me, mi ha raccontato poi, perché farlo implicava la grande responsabilità di essere il primo. Anche solo il primo a cui avessi aperto il mio cuore. Temeva di non meritarlo, di non essere all’altezza della fiducia che gli davo e, fidati, non è stato piacevole dover insistere per convincerlo di qualunque cosa. Dal suo punto di vista aveva timore di approfittarsi di me, mentre ero io a chiederlo e a desiderarlo. »
Un verso inarticolato la distrasse.
« Non farmi immaginare quello che combinate tu e Shiro in ambito di desideri. » commentò Hunk, con una smorfia.
Pidge lo liquidò con un gesto sprezzante.
« Le stesse cose che fate tu e Shay, siamo tutti adulti e vaccinati. »
Una volta zittito l’amico, posò una mano sulla spalla di Lance.
« Quello che voglio dire è che Keith ne ha passate tante, è vero, ma non è di vetro. È possibile che sia più sensibile a certe cose, ma questo non significa che sia un debole e trattarlo come tale equivale a fargli un torto.»
A quelle parole Lance si riscosse, scuotendo la testa con enfasi.
« Non ho mai pensato che lo fosse, tutt’altro! » esclamò.
« Non razionalmente, magari, ma ripeti in continuazione che è fragile e non vuoi ferirlo. Ricordati una cosa: proprio perché ne ha passate tante, Keith sa esattamente quello che vuole e quello che non vuole. Se ti chiede qualcosa, dubito si tratti di un capriccio o di un colpo di testa. Piuttosto, insistere nel rifiuto usando il suo bene come scusa sarebbe controproducente. A meno che, ovviamente, non ci siano ragioni serie dietro. »
« Wow, Pidge. Parli davvero come una una persona adulta, non pensavo che fossi così saggia. » commentò Lance ammirato. « Sei la migliore dispensatrice di consigli che abbia mai avuto! »
La ragazza terminò il bicchiere di caffè con una lunga sorsata soddisfatta e ghignò.
« Già, ma se questa conversazione dovesse lasciare questo tavolo, sarò costretta a uccidervi e a sbarazzarmi dei vostri corpi. Ho una reputazione da nerd da difendere, uomo avvisato… »
Quando Lance rientrò quella sera, si stupì di trovare Keith già a casa e ai fornelli.
Raggiungendolo, gli circondò la vita abbracciandolo alle spalle.
« Non avrei mai immaginato di vederti con addosso un grembiule. » commentò con un sorriso lieve. « Cosa stai preparando di buono? »
Keith voltò la testa quel tanto che bastava per rispondere al suo bacio.
« In realtà non ho ancora iniziato, stavo studiando le possibilità. » rispose, appoggiando la schiena al suo petto, rilassato. « Hunk? »
« È andato da Shay, ceneranno fuori e tornerà tardi. Abbiamo la casa tutta per noi. »
Lance accennò un sorrisetto e gli strizzò un occhio.
« Maratona Netflix? »
Il sorriso di Keith, fino a quel momento carico di calore, si appannò spegnendosi lentamente.
« Oh. D’accordo. »
Il cambio di espressione non sfuggì a Lance, che ebbe immediatamente l’impressione di aver fatto un passo falso. Forse l’idea della serata davanti alla tv non era così romantica come l’aveva immaginata, oppure Keith non era dell’idea.
Forse poteva ancora recuperare e cercare di farlo sorridere un po’.
« Che ne dici di ordinare qualcosa di buono visto che siamo solo noi due? Cinese? Sushi? Messicano? Così non dovrai stancarti dopo una giornata in accademia. Oppure, se proprio vuoi cucinare, possiamo farlo insieme. Posso insegnarti uno dei piatti cubani di mia madre. »
« Mi piacerebbe! » esclamò Keith, recuperando un po’ di entusiasmo.
Rinfrancato, Lance iniziò a recuperare gli ingredienti: ricordava che Hunk aveva comprato del riso thai con l’ultima spesa, poi fagioli, pancetta, cipolla, origano, un pizzico di peperoncino, uno spicchio d’aglio…
Si suddivisero i compiti e mentre Keith preparava il riso, Lance si dedicò al soffritto. Non aveva però messo in conto il taglio della cipolla e, in capo a cinque minuti, si ritrovò con gli occhi pieni di lacrime.
Brontolando, si diresse verso la propria stanza per recuperare un fazzoletto e, quando tornò a voltarsi verso la porta, si stupì di vedere che Keith l’aveva seguito.
« Cosa succede? » tentò di chiedere, ma l’altro lo prevenne e s’impossessò delle sue labbra con un bacio esigente.
Sentì le mani aggrapparsi alla sua schiena e l’intero corpo premere contro il suo. Impiegò un istante a rispondere e, nel farlo, si rese conto che quel gesto improvviso lo aveva eccitato almeno quanto Keith.
« Finiremo per bruciare il soffritto… » mormorò con il fiato corto, quando si staccarono, sebbene quello di cenare fosse improvvisamente diventato l’ultimo dei problemi.
« Ho spento il fuoco. » rispose Keith a voce bassa, appena accanto al suo orecchio. « E ne ho acceso un altro.»
Lance spalancò gli occhi e per poco non scoppiò a ridere.
« Stai flirtando con me? » domandò, incredulo.
« Forse… »
Keith aveva le guance arrossate e uno sguardo deciso, quello di chi ha un’idea molto chiara in mente anche se ha qualche remora nell’esprimerla.
« Lance, io… voglio stare con te. » mormorò. « Lo voglio davvero. Non è… »
Lance gli appoggiò un dito sulle labbra, impedendogli di aggiungere altro.
« Non devi certo giustificarti. Anch’io voglio stare con te, non immagini quanto. » disse, prima di coinvolgerlo in un altro bacio.
Avanzando a tentoni, sempre stretti l’uno all’altro, raggiunsero il letto e vi si lasciarono cadere.
Lance rise quando si trovò sdraiato di traverso sopra Keith, come se avesse inciampato nei suoi stessi piedi, e Keith gli fece eco anche se con un tono leggermente più nervoso. Poteva capire la sua tensione e la sua preoccupazione nonostante il desiderio che li legava, per questo gli accarezzò una guancia, gentilmente, e tentò di andargli incontro nell’unico modo che gli veniva in mente.
« Ascolta. Se sei nervoso e non te la senti di stare… voglio dire, potrei essere io a… e tu…»
Stava balbettando miseramente, al limite dell’imbarazzo e del linguaggio comprensibile, ma Keith capì ugualmente.
Coprì la mano con la sua e scosse appena la testa.
I suoi occhi erano scuri e luminosi, più decisi che mai.
« Me la sento. Voglio che sia tu. »
Lance era stato il più delicato possibile e si era preso tutto il tempo per prepararlo a dovere, mettendo in conto anche l’imbarazzo del momento, eppure, alla prima spinta, Keith si era ritrovato a stringere i denti per non lasciarsi sfuggire un gemito di dolore.
Le carezze e i baci lo confortavano ma aveva impiegato del tempo ad abituarsi a Lance sopra di lui, dentro di lui. Lance che era stato di una tenerezza spiazzante, nel suo continuo assicurarsi che stesse bene, che non si stesse muovendo troppo presto, che si sentisse a suo agio; nel vezzeggiarlo e ripetergli parole dolci d’incoraggiamento.
Keith non sapeva come rispondere, perso nelle sensazioni nuove e intense che il suo corpo gli stava dando. Si limitava a ricambiare i baci e a respirare meglio che poteva.
Il piacere giunse quasi inaspettato, come una marea che saliva lentamente a ogni movimento, fino a mozzargli il respiro quando Lance raggiunse il punto che cercava.
Spalancò gli occhi di scatto, mentre dalle sue labbra sfuggiva un’esclamazione.
L’espressione di Lance mutò in un sorriso birichino.
« Quindi è lì, eh? » commentò, prima di muoversi nuovamente.
Keith non fece nemmeno in tempo a chiedergli a cosa si riferisse, gettò indietro la testa e si abbandonò a un gemito di piacere, mentre il suo intero corpo si tendeva.
« Ah… Lan… ce… »
Quando riaprì gli occhi, con il fiato corto e la mente annebbiata, vide che anche Lance stesso era perso nell’estasi del momento, ripetendo piccole esclamazioni in una lingua che non conosceva inframmezzate dal suo nome. Finché non colse molto chiaramente alcune parole.
« Kitty… Kitty… precioso… tan lindo… mi querido… ah… ti amo… »
Quella semplice affermazione lo fece bloccare e sollevare di scatto sui gomiti, tanto che Lance rischiò di ruzzolare dal letto per il movimento brusco.
« Davvero?! » esclamò, incredulo.
Lance gli restituì uno sguardo stralunato.
« Keith! Accidenti, va tutto bene? Ti ho fatto male? Mi dispiace, io… »
« No! Cioè, sto bene, voglio dire… L’hai… l’hai detto davvero? »
Vide Lance prendere coscienza lentamente, realizzando il significato di quella domanda nonostante l’evidente eccitazione di entrambi e lo sconvolgimento del momento. Lo sentì portare una mano dietro la sua nuca, affondare le dita nei ciuffi scarmigliati e umidi di sudore e attirarlo a sé in un bacio da togliere il fiato.
« L’ho detto e sono serio. » mormorò contro le sue labbra. « Nessun giochetto, nessuna gara a chi parla per primo. Ti amo e basta. »
Keith sentì le lacrime pizzicargli le ciglia e affondò il volto nel collo di Lance, tirandolo verso di sé mentre si lasciava cadere di nuovo sul materasso.
« Ti amo anch’io. » rispose, con voce spezzata sia dal nodo in gola che dal bisogno crescente. « Ti amo… tantissimo… Lance… »
Parole che non pensava avrebbe mai pronunciato in tutta la vita.
Dopo aver raggiunto l’apice, Lance era crollato al fianco di Keith, badando all’ultimo di non pesargli addosso. Era letteralmente senza fiato, il cuore che correva come impazzito aveva impiegato un lungo istante per placarsi. Le sensazioni che avevano travolto il suo corpo e la sua mente erano state più intense di quanto si aspettasse e sentiva il petto scoppiare per i sentimenti che provava.
Keith, accanto a lui, era la cosa più bella che avesse mai visto, con i capelli spettinati e umidi, le guance accese e le labbra ancora arrossate dai baci. Teneva gli occhi chiusi e respirava affannosamente. Quando li aprì e li fissò nei suoi, Lance si trovò davanti al suo cielo stellato personale e capì che, come l’eroico protagonista della più sdolcinata storia romantica, sarebbe stato capace di tutto per lui.
Keith sollevò una mano, lentamente, e gli accarezzò una guancia.
« Stai bene? » chiese, con aria vagamente preoccupata.
E Lance dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere.
« È così divertente? » brontolò Keith, gonfiando le guance con aria offesa.
« Un po', scusami. Dovrei essere io a chiedere a te come stai, non il contrario. »
Aveva fatto il possibile per essere delicato ma non poteva essere certo che Keith non ne avesse risentito almeno un po'. Era sicuro di aver visto delle smorfie di dolore.
Tuttavia l'altro si limitò a sorridere e a scuotere appena la testa.
Era così perfetto, come lo aveva sempre sognato tra le sue braccia, che Lance non riuscì a trattenersi dall’avanzare una richiesta infantile.
« Dimmelo ancora. »
Keith gli rivolse uno sguardo confuso al primo istante, poi inclinò il capo per guardarlo meglio.
« Non farci l’abitudine. »
« Oh, andiamo, Keeeeeith~ »
« E va bene. »
Si sollevò su un gomito e si sporse in avanti per stampargli un bacio sulle labbra.
« Ti amo tantissimo. »
Nel cuore di Lance fiorì una gioia immensa, un'emozione che non avrebbe mai più scordato.
Si addormentarono abbracciati, Keith raggomitolato contro il suo petto come la sera precedente, e Lance si ritrovò a sperare che nulla turbasse l'idillio a cui si erano abbandonati.
Ovviamente non fu così e Keith venne svegliato di soprassalto da un suono acuto e fastidioso che gli trillò dritto in un orecchio.
Con un mugugno carico di disappunto, infilò la testa sotto le coperte e sentì le braccia di Lance lasciarlo mentre si allungava a spegnere la sveglia.
« Mi ero scordato di avere lezione. » brontolò.
Keith gli si strusciò addosso, intontito dal sonno e vagamente indolenzito.
« Saltala. » mormorò.
Una risatina lo raggiunse.
« Chi sei tu e che ne è stato del mio ragazzo? »
« Momentaneamente assente. »
Lo sentì chinarsi e percepì il tocco di un bacio delicato sulla fronte, seguito da una carezza che gli scostava i capelli.
« Allora resta qui a riposare finché non torna. In ogni caso, se non erro, non hai lezioni o simulazioni fino al pomeriggio. Puoi dormire quanto vuoi. »
Dopo quelle parole, sentì Lance farsi forza per uscire dal letto, raccogliere i vestiti lasciati in giro, la biancheria pulita e uscire dalla stanza diretto in bagno.
Era sul punto di riassopirsi quando gli giunse la voce di Hunk dalla cucina.
« Buongiorno, Lance. Ieri sera avete lasciato un disastro in cucina. Dov'è Keith? »
Seguì un attimo di silenzio, interrotto da uno sbadiglio.
« La porta della sua stanza è chiusa, starà dormendo, lui che può. » rispose Lance. « Scusa per la cucina, amico. Volevo preparare un piatto di mia madre, ma ho finito per appisolarmi nel mentre. »
Tutto quello che Keith sentì della risposta di Hunk fu un vago brontolio su come fosse possibile addormentarsi cucinando e che era un miracolo che non fosse andata a fuoco la casa.
Quando i due uscirono, rimase con gli occhi spalancati nella penombra della stanza, impossibilitato a riprendere sonno da un timore gelido che, suo malgrado, si era impossessato di lui. Non voleva pensare male di Lance, non dopo quello che avevano appena condiviso e il sentimento che li univa, ma non riusciva a scacciare l’immagine della reazione degli altri alla notizia di quello che avevano fatto. Sapeva benissimo che Lance non gli avrebbe mai fatto del male volutamente, ma era un chiacchierone, specialmente quando era emozionato, quindi era possibile che qualcosa gli sfuggisse. Quel pensiero gli riportò alla mente l’immagine di Adam che si vantava con gli amici di essere quasi riuscito a “farsi il miglior pilota dell’accademia” e il dolore sordo che provò al petto lo portò a raggomitolarsi tra le lenzuola.
Lenzuola che sapevano ancora della notte trascorsa e di Lance.
Lance che non era come Adam, che lo amava davvero e… Lance, Lance, Lance… voleva solo smettere di pensare e abbandonarsi alle sensazioni dei loro corpi stretti, del suo peso sopra di lui.
Invece finì per alzarsi poco dopo nonostante l’indolenzimento, farsi una doccia e uscire diretto alla Garrison con un numero imbarazzante di ore di anticipo rispetto al suo programma.
Keith si affacciò all’ingresso della caffetteria poco prima di pranzo e subito notò gli amici seduti a un tavolo in un angolo. Rimase per un paio di minuti a osservarli, tentando di placare i cattivi pensieri che si affollavano nella sua mente. Sembravano tutti tranquilli, stavano scherzando normalmente, nulla lasciava intendere che fossero al corrente di qualcosa o che importasse loro, eppure Keith dovette sforzarsi per compiere il primo passo in quella direzione.
Era assurdo e stupido: avrebbe dovuto essere al settimo cielo, felice per aver coronato il proprio amore per la persona a cui più teneva al mondo, invece si sentiva come se stesse camminando verso il patibolo.
Si odiava per questo.
Lance lo notò quasi subito e gli corse incontro con un sorriso smagliante.
Non gli diede il tempo di fare o dire nulla, semplicemente lo baciò esclamando: « Buongiorno, amore mio! Sei arrivato presto! »
Keith sgranò gli occhi, espressione che vide riflessa anche nei volti di Hunk e Pidge.
« Oh, cielo, non può piovere! Devo fare il bucato! » esclamò drammaticamente l’amico.
Pidge, al suo fianco, scoppiò in una sonora risata.
Lance rifilò a entrambi una smorfia, mentre prendeva la mano di Keith, invitandolo a sedersi al tavolo con loro.
« Ah. Ah. Ah. Molto spiritosi. Età media cinque anni? Pensate seriamente che badi a queste sciocchezze? Visto che lo amo, non vedo il motivo di non dirglielo. »
Hunk e Pidge si scambiarono un’occhiata.
« Ha battuto la testa? »
« Forse c’era qualcosa nel suo caffè. » commentarono, mentre Lance continuava a protestare.
Davanti a quei battibecchi dal sapore quotidiano, Keith, al suo fianco, sentì il cuore alleggerirsi. Andava tutto bene.
E quando Lance tornò a voltarsi nella sua direzione, rivolgendogli un sorriso carico di tenera complicità, non poté fare a meno di stringere le sue dita e sillabare a fior di labbra: « Sì, ti amo tantissimo. »