Titolo: Se ami qualcuno, lascialo libero
Fandom: Free! Iwatobi Swim Club/Eternal Summer
Rating: verde
Personaggi: Rin Matsuoka, Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Nagisa Hazuki, Aiichiro Nitori, Rei Ryugazaki, etc...
Pairings: Rin/Haruka, Rei/Nagisa
Riassunto: "«Se qualcuno ha pescato una sirena, si verrà a sapere. » concluse il pescatore. «É un villaggio piccolo, qui ci si conosce praticamente tutti, una storia del genere non potrà essere tenuta nascosta.»"
Disclaimer: Free! e tutti i suoi personaggi appartengono a Kouji Ouji e alla Kyoto Animation.
Note: Mermaid!AU perchè sì, Haru sirenetto è l'amore.
Beta:
mystofthestarsWord count: 2258 (fdp)
La pesca di quella mattina era stata sufficientemente fruttuosa anche dopo il bizzarro ritrovamento che avevano fatto e Rin ne era decisamente soddisfatto. Nel corso delle ore aveva pensato e ripensato a cosa farsene di quel tritone che aveva rinchiuso nella stiva, anche se alla semplice idea sentiva crescere una rabbia ed un disgusto tali che doveva sforzarsi per non precipitarsi di sotto arpione alla mano. Non poteva perdonare il mare così come non poteva perdonare le sue creature, il suo desiderio di rivalsa pareggiava quasi quello di vederlo soffrire sotto le sue mani. La razionalità tuttavia gli suggeriva che quella non sarebbe stata una strada vantaggiosa. Doveva mantenere la calma e tentare di sfruttare al meglio l’occasione che gli era capitata: se si fosse mosso nel modo giusto, avrebbe potuto trarne sufficiente guadagno per lasciare per sempre quel postaccio insieme a sua madre e sua sorella. Per fare questo però doveva trovare un buon acquirente, disposto a credere alla favola dell’immortalità e a sganciare una buona somma. Avrebbe avuto bisogno di tempo, il che significava che quella specie di bestia doveva sopravvivere ancora un po’. Non poteva tenerlo sulla barca, legato nella stiva e con solo qualche straccio bagnato addosso, se funzionava come con i pesci si sarebbe disidratato in fretta. Ci voleva una soluzione alternativa.
Quella serie di pensieri lo portò all’inevitabile conclusione che sfociò in un’esclamazione ad alta voce.
«Nitori! »
Il ragazzino sopraggiunse di corsa, carico di aspettativa come ogni volta che il suo senpai lo chiamava. Rin finse di non accorgersene ed impartì l’ordine che gli era appena venuto in mente.
«Va’ di sotto e controlla che quella cosa sia ancora viva. Poi mettilo in una cassa vuota. Appena arriveremo in porto scaricheremo i pesci e lo porteremo a casa mia. »
Se l’avesse lasciato nel laghetto che avevano costruito sul retro di casa, probabilmente sarebbe sopravvissuto un po’ di più che non tenendolo nella stiva. Gli sarebbe bastato il tempo sufficiente per trovare la persona che cercava, poi se ne sarebbe sbarazzato per sempre.
Quando sentì dei passi scendere le scale, Haruka sollevò appena la testa: ogni movimento gli costava un grande sforzo e sembrava che il suo corpo pesasse il doppio del normale. Inoltre la sua pelle, nei punti in cui non era a contatto con le pezze bagnate, si era seccata e pizzicava fino a bruciare. Non capiva perché fosse costretto a subire tutto questo e perché l’umano dai capelli rossi riversasse su di lui tanto astio. Se fosse stato lui quello che stava per raggiungere la stiva, non poteva immaginare quali altre male parole potesse rivolgergli, o quali nuove torture potesse avere in mente.
Fortunatamente invece si trattava del ragazzino dai capelli argentati, più piccolo e di certo meno pericoloso dell’altro, forse addirittura bendisposto.
«Presto ti sentirai meglio. » disse infatti avvicinandosi con un piccolo sorriso.
Haruka non osava ipotizzare nulla riguardo quello “stare meglio”, poiché dubitava che avessero intenzione di lasciarlo andare, e se si trattava di nuovo di qualcosa di simile ai panni bagnati allora avrebbe avuto ben poco di cui gioire.
«Il senpai ha detto che ti poteremo nel laghetto di casa sua. Starai di nuovo in acqua, è una bella cosa, no? »
Haruka non aveva idea di cosa fosse un laghetto, né se starci dentro fosse confortevole o meno, quindi si limitò a lanciare uno sguardo confuso al suo interlocutore.
«Capisci quello che dico? » perseverò il ragazzino. «In effetti mi sono sempre chiesto se anche voi parlaste la nostra lingua…»
Lo vide avvicinarsi, ma la sua espressione non era minacciosa come quella dell’altro pescatore, sembrava solo curioso. Forse poteva addirittura azzardare una risposta.
«Sì. » mormorò quindi con voce resa roca dalla secchezza.
Quel semplice atto però gli provocò un’ondata di nausea, dovuta più che altro all’aria stagnante che regnava nell’ambiente, satura dell’odore dei pesci morti nelle altre casse. Haruka, come tutte le sirene, si nutriva di pesce, ma essere circondato da così tanti cadaveri metteva a dura prova la sua resistenza. Si chiedeva come potessero, gli umani, essere così crudeli da fare una simile strage ogni giorno, come potessero essere insensibili all’idea di spegnere così tante vite legate al mare.
Spossato, tornò ad appoggiare la fronte al legno.
«Ma è fantastico! » esclamò nel frattempo il ragazzino, ignaro del suo stato. «Quindi possiamo comunicare! Possiamo parlare senza ricorrere alla violenza, potresti dire a Rin-senpai perché il tuo popolo si nutre dei pescatori! »
Haruka fece una smorfia di fronte all’ennesimo riproporsi dei quella storia: chi poteva aver messo in testa a quelle persone una favola simile? Piuttosto erano gli umani a nutrirsi di pesce e a cacciare le sirene per la loro carne… o magari anche quella era solo una stupida diceria.
«Noi non mangiamo i pescatori. » si sentì in dovere di chiarire. «Hanno l’aria di essere piuttosto indigesti. »
Quelle parole provocarono un ulteriore sconvolgimento nel ragazzino di fronte a lui.
«Che cosa?! Non mi stai mentendo, vero? »
Haruka scosse la testa: che motivo avrebbe avuto di farlo? Non sarebbe potuto stare peggio di così.
«Allora devi dirlo al senpai! Lui… Lui è convinto che…»
«NITORI! »
La voce dell’umano dai capelli rossi riecheggiò lungo le scale e nella stiva, richiamando all’ordine il giovane mozzo che scattò quasi sull’attenti.
Nel voltarsi, il ragazzino lanciò al tritone un’ultima occhiata simile ad una muta preghiera.
«Parla con il senpai, digli come stanno le cose, sarà meglio per tutti. A proposito, io mi chiamo Aiichiro. »
Haruka ebbe appena il tempo di fissare con perplessità la mano che gli veniva tesa e di pronunciare a bassa voce il proprio nome, che l’altro scappò via con uno: «Scusami! » sussurrato in tutta fretta.
Makoto era letteralmente disperato: si stava facendo tardi e di Haruka nessuna traccia. Aveva riportato a casa i fratellini, poi era tornato con Nagisa ad esplorare la zona nella speranza di scovare qualche indizio, ma non vi era più traccia né della rete né della barca. Quello che era accaduto era un fatto più unico che raro e nessuno dei due sapeva come reagire né tantomeno a chi chiedere aiuto. Le leggi del mare proibivano il contatto tra sirene ed esseri umani, quindi non erano previsti nemmeno piani d’emergenza nel caso questo avvenisse.
«É stata colpa mia. » si disperò Makoto con la testa tra le mani. «Se fossi stato più attento a quello che facevano Ren e Ran, tutto questo non sarebbe successo. »
Nagisa gli posò una mano sul braccio, in un tentativo di conforto.
«Nessuno poteva prevederlo, non addossarti la colpa. Vedrai, lo troveremo. »
Dal canto suo, il giovane tritone dorato aveva già un’idea, ma per metterla in atto doveva prima di tutto tranquillizzare Makoto ed impedire che lo seguisse nel luogo dove doveva andare.
«Ascolta, Mako-chan, adesso torna a casa. Sei stanco e continuare a cercare in questa condizioni non porterà a nulla. »
Il tritone verde, ovviamente, non era dello stesso avviso, ma l’altro insistette al punto che dovette capitolare.
«Mentre tu ti riposi, io farò qualche domanda in giro. Prometto che se salta fuori qualche novità, verrò a dirtelo di corsa! »
Dopo essersi assicurato che l’amico rientrasse effettivamente alla colonia, Nagisa si voltò e guizzò via tra le onde. Il luogo in cui era diretto era piuttosto distante ed era anche più pericoloso di qualunque anfratto della barriera corallina avessero mai visitato. Nessuno doveva sapere che vi si recava regolarmente ed era d’importanza vitale che nessuno ne conoscesse il motivo, eppure, nonostante tutte le remore, si trattava anche del posto dove più facilmente avrebbe avuto notizie di Haruka: il porto degli umani.
Raggiunse l’attracco delle barche quando ormai era quasi mezzogiorno e si premurò di rimanere sotto la superficie dell’acqua finché non raggiunse il piccolo molo isolato che stava cercando. Solo allora si azzardò ad emergere, scostando dalla fronte i ciuffi biondi che vi si erano incollati ed alzando gli occhi verso il sole abbagliante.
Nagisa avrebbe voluto passare più tempo all’esterno, avere maggiore libertà di movimento e poter vedere liberamente la persona che era venuto a cercare ma, se le leggi non lo permettevano, si sarebbe accontentato di quei piccoli incontri furtivi. Ora l’importante era ritrovare Haruka sano e salvo.
Nuotò fino alla base del pontile e sbirciò dal basso il ragazzo chinato ed intento a districare il nodi di una rete: era sempre così attento e scrupoloso, così serio e impegnato, e tanto bello che Nagisa non era riuscito a staccargli gli occhi di dosso nel primo momento in cui l’aveva visto. Col tempo aveva imparato anche che in realtà poteva essere maldestro e divertente e, soprattutto, che era una persona di cui potersi fidare al cento per cento. Per questo motivo si era azzardato a rivelargli la sua presenza e non se n’era ma pentito. Certo, il giovane pescatore era rimasto sorpreso, l’aveva definita la scoperta scientifica del secolo, ma alla fine non aveva fatto nulla per spargere la voce e mettere Nagisa in pericolo. Sembrava che anche lui amasse passare del tempo in sua compagnia, il modo in cui il tritone lo aiutava nella pesca e i brevi momenti furtivi passati sulla spiaggia deserta al tramonto. Nagisa lo adorava, lo considerava un caso a parte rispetto agli umani mangiatori di sirene e si fidava di lui completamente, per questo era corso a chiedere il suo aiuto.
«Psss, Rei-chan! » lo chiamò a bassa voce muovendo la coda e schizzandolo d’acqua per attirare la sua attenzione.
Il ragazzo alzò la testa stupito e, non appena lo vide, abbandonò il lavoro alla rete e si avvicinò all’acqua sistemandosi gli occhiali.
«Nagisa-kun, che ci fai qui? É pericoloso! » lo ammonì subito. «Se gli altri dovessero vederti sarebbe un guaio. »
Si guardò attorno nervosamente ma, per fortuna, nessuno dei rari passanti del porto sembrava badare a lui. Ormai l’ora dello scarico del pesce per il mercato era passata da un pezzo e la maggior parte dei pescatori era rientrata.
«Lo so, Rei-chan, ma è un’emergenza! » esclamò Nagisa agitato. «Ho bisogno del tuo aiuto, è importante! »
Doveva ammettere che un po’ aveva paura: se avesse voluto rivelarsi diverso da quello che era, se mai avesse potuto mostrarsi uguale agli altri orribili umani, quella era l’occasione giusta. Rei avrebbe potuto ingannarli tutti fin troppo facilmente. Tuttavia il ragazzo sembrava sinceramente preoccupato mentre si sporgeva verso di lui.
«Cos’è successo? Si è fatto male qualcuno? » chiese in un tono apprensivo che scaldò il cuore di Nagisa.
Subito il piccolo tritone raccontò l’accaduto ma, alle successive domande di Rei, non seppe dare grandi risposte. No, non aveva visto la barca, non sapeva di che colore era né chi vi era a bordo. E no, ipotizzava solo che si fosse diretta a quel porto, visto che era quello più vicino. Non sapeva cosa fosse l’isola di Samezuka, che Rei proponeva come destinazione alternativa, e si augurava solo che non fosse così.
«Se qualcuno ha pescato una sirena, si verrà a sapere. » concluse il pescatore. «É un villaggio piccolo, qui ci si conosce praticamente tutti, una storia del genere non potrà essere tenuta nascosta. Ti prometto che appena saprò qualcosa te lo farò sapere e farò di tutto per aiutare il tuo amico! »
Quelle parole così sicure, fecero sentire subito meglio Nagisa che, spinto da un moto di gratitudine ed entusiasmo, posò le mani sul pontile e si spinse verso l’alto per raggiungere le labbra dell’altro. Sapeva bene che non avrebbe dovuto farlo, ma baciare Rei lo faceva sentire bene e vedere il rossore propagarsi sulle sue guance gli faceva ribollire lo stomaco per la felicità.
«Grazie, Rei-chan, sei il migliore! Tornerò stasera! » esclamò quindi, guizzando via con un colpo di coda.
Rei rimase per alcuni minuti con lo sguardo fisso sui cerchi concentrici provocati sull’acqua dal guizzo repentino della sua principessa sirena.
Oh, via, in realtà sapeva benissimo che Nagisa non era né una sirena né tantomeno una principessa, solamente che a volte si dilettava a rifilargli quei nomignoli nella sua mente. In ogni caso quel tipo di pensieri tendeva sempre a fargli venire caldo, per questo motivo faceva di tutto per convincersi che quelle non erano altro che le dimostrazioni d’affetto di un cucciolo, un animaletto in cerca d’attenzioni che non aveva la più pallida idea del loro reale significato tra gli umani. Non che questi tentativi di autosuggestione avessero mai un grande successo.
In ogni caso ora la cosa più importante era darsi da fare per aiutarlo: se Haruka era stato rapito (pescato?) da qualcuno del villaggio, allora lo avrebbe scoperto.
Stava risalendo il molo in tutta fretta con l’intenzione di recarsi alla piazza del paese, quando incrociò per caso due ragazzi del posto che trasportavano una grossa cassa e questa sfuggì di mano al più piccolo dei due. Subito Rei accorse sollecito, con l’intenzione di aiutare, ma l’occhiata che gli rivolse il secondo ragazzo fu tutt’altro che rassicurante. Conosceva Rin Matsuoka (e chi non lo conosceva in paese?), era al corrente dei suoi modi bruschi ma anche del fatto che non fosse un cattivo ragazzo, quindi non si fece scoraggiare.
«Sembra pesante, lasciate che vi aiuti. » disse, ma quando il suo sguardo cadde sul coperchio che si era spostato e che Rin tentava di rimettere a posto in tutta fretta, s’irrigidì.
Sembrava che la cassa contenesse una grossa creatura simile ad un pesce, di certo aveva coda e pinne.
«Ci faresti davvero un grande favore, Ryugazaki-san! » esclamò Nitori, guadagnandosi un’occhiataccia dal suo superiore, ma ormai era fatta e Rei si diede da fare per caricarsi parte del peso.
Mentre camminavano verso casa Matsuoka, nessuno parlò, ma il giovane pescatore aveva il sentore di aver trovato una pista: non era detto che la creatura nella cassa fosse davvero l’amico di Nagisa e ora non poteva nemmeno azzardarsi a chiederlo, ma avrebbe fatto in modo di scoprirlo al più presto.