Titolo: Please, take away my heart... (1/?)
Fandom: RPF EXO
Personaggi: XiuHan (Minseok/Mermaid!Lu Han)
Wordcount: 2263
Rating: verde
Avvertimenti: AU, long, slash (in futuro)
Genere: introspettivo, sovrannaturale
Note: L'ho scritta per il Genetics Festival indetto da
fanfic_italia con prompt branchie (Classe Sirene - Livello 2). La versione scritta nel post è piena di typo D: Me ne sono accorta dopo che il tempo era finito, perché non l'avevo riletta, ma adesso non posso più cancellare i post e modificarli, quindi shalla çç Questa è la versione corretta :3 Anyway, questo è diciamo l'inizio di una mermaid!AU, ma credo che la continuerò dopo aver finito il contest e dopo aver finito un'altra AU che ho iniziato.
Enjoy!
Anche quella mattina il suono insistente della sveglia, lo costrinse ad aprire gli occhi e a separarsi da qualunque bel sogno stesse facendo. Odiava doversi svegliare ogni santo giorno alle cinque del mattino - alcune volte anche prima -, ma non aveva molta scelta: doveva farlo, se non voleva morire di fame. Sbuffando di pessimo umore, si alzò a fatica dal letto e si andò a preparare: doveva vestirsi in fretta e iniziare a lavorare, ma prima aveva bisogno di una bella doccia fredda se non voleva addormentarsi e lasciare andare alla deriva la sua barca. Si concesse di rimanere più del necessario sotto il getto costante e rilassante dell'acqua fredda, non curandosi dei brividi di freddo che iniziavano a fargli venire la pelle d'oca. Sapeva, però, che sarebbe dovuto uscire già da qualche minuto, quindi con molto sforzo uscì dalla doccia, iniziando ad asciugarsi e poi a vestirsi, indossando quegli indumenti ruvidi e consumati che usava per lavorare. La sensazione che aveva nell'indossarli era quasi familiare - dato che erano anni ormai che li portava -, ma non confortevole; avrebbe voluto buttarli nella spazzatura, se dopo non avesse dovuto comprarne di nuovi aumentando sicuramente il suo senso di disagio. Una volta vestito, si diresse verso la porta, indossando poi gli stivali impermeabili che, come sempre, aveva lasciato nella scarpiera nell'ingresso. Li infilò, stringendo i denti: erano anche loro talmente consumati che ogni volta che li indossava, la pelle rovinata e irrigidita sfregava contro i piedi, già callosi, ricoperti da un calzino che però non alleviava per niente la sofferenza. Non sapeva perché ogni piccolo particolare, ogni momento, della sua vita fosse sempre accompagnato dal dolore, ma aveva imparato a convincerci, dato che non gli rimaneva nient'altro da fare. Alcune volte si sentiva solo, ma aveva imparato a vivere anche con quello, nonostante il lavoro che era costretto a fare non migliorasse lo cose, né lo facesse sentire leggermente meglio. Ogni mattina si svegliava, si lavava, si vestiva, passava in garage a prendere l'attrezzatura per lavorare e poi saliva sulla sua barca a fare il suo lavoro. Non c'era mai nessun cambiamento, la sua vita era talmente piatta che alcune volte si domandava se valesse davvero la pena viverla, poi pensava a suo padre, alla sua famiglia, che aveva faticato tanto per fargli avere un futuro sicuro e stabile, per lasciargli in eredità almeno una casa e un lavoro sicuro. Era l'unico pensiero che lo faceva andare avanti: non voleva essere una delusione per una famiglia che aveva sacrificato tutto per amore suo. Non se lo sarebbe mai perdonato, pensò, mentre, trasportando a fatica tutti gli utensili che gli sarebbero serviti, si allontanava dalla casa in riva al mare, per dirigersi verso il porto che ospitava solo la sua barca. Ci saltò su, dopo aver slegato l'ormeggio, non preoccupandosi di poter scivolare sul legno umido, abituato a farlo - gli veniva naturale -, e posò con poca cura gli l'attrezzatura in un angolo della barca, per poi recarsi in cabina e mettere in moto. Erano passati tanti anni da quando aveva imparato il modo corretto per portare una nave, ma la continua pratica non gli permettevano di dimenticare nulla e, nonostante fosse l'ultima cosa che volesse fare, era una delle poche cose che sapeva fare bene, meglio di molti altri. Eppure il ricordo di suo padre, che fin da quando era piccolo, gli insegnava come pescare; come pulire un pesce per poi venderlo; come usare tutti gli attrezzi e le reti per catturare il cibo che lo avrebbe saziato in futuro, e come portare la barca; erano alcuni dei pochi ricordi positivi e sereni che aveva della sua infanzia. Ricordava bene la sensazione di pura gioia che aveva provato quando suo padre si era preso una giornata libera per passare del tempo da solo con suo figlio - non capitava spesso, anzi, quasi mai -. Non aveva smesso di sorridere neanche per un secondo quel giorno e si era addormentato, stanco, ma felice di aver avuto l'opportunità di godere del rapporto padre-figlio che aveva desiderato fosse più costante. Nonostante la mancanza da parte del padre, aveva sempre ricevuto un'amorevole attenzione da parte della madre, che durante la sua infanzia gli aveva insegnato anche a suonare il piano, lasciandoglielo poi in eredità insieme alla casa, dove però era rimasto intoccato da quando Minseok aveva seguito le orme del padre ed era diventato un pescatore. Non aveva decisamente tempo per suonare, per quanto lo volesse, per quanto da piccolo avesse desiderato diventare un musicista di successo: era sempre troppo stanco per fare qualcosa che non fosse farsi una doccia, prepararsi la cena e seppellirsi sotto le coperte - non necessariamente in quest'ordine -. Mentre prendeva il largo per recarsi nel luogo adatto per gettare le reti e sperare in una buona giornata, anche i ricordi delle sue lezioni di piano gli ritornarono alla mente: sua madre era stata un'insegnata eccellente, severa al punto giusto, ma sempre attenta ad ogni piccolo miglioramento per non farsi mancare un complimento o una lode.
Il sole non era ancora alto in cielo, ma illuminava il mare - riflettendosi nelle onde, facendole sembrare ricoperte di diamanti - e tutto ciò che circondava Minseok, rendendolo uno spettacolo mozzafiato che, nonostante tutto, avrebbe sempre trovato meritevole di ogni sforzo. Si riprese in fretta e gettò le reti in mare, per poi sedersi sul sedile di plastica bianca accanto al bordo e aspettare il tempo giusto per ritirarle su, sperando di prendere molti pesci.
Non si rilassò per molto - non ne ebbe il tempo -, perché, improvvisamente, qualcosa si impigliò in una delle reti, iniziando a scuoterla e a tirarla per liberarsi. Minseok scattò in piedi, pensando che fosse un grosso pesce caduto nella sua trappola e, felice per la prima volta quella mattina, corse a prendere l'arpione che solitamente usava per uccidere quelle grosse prede che, altrimenti, non sarebbe riuscito a catturare a causa del loro continuo movimento. Lo colpì un paio di volte prima che l'animale smettesse di muoversi, poi con estrema fatica sollevò la rete e, prima di esaminare cosa fosse riuscito a catturare, si concesse di riprendere fiato. La rete era coperta di alghe, ma si vedeva chiaramente che, sotto il primo strato di flora acquifera e melma, c'era un animale molto più grande di quello che Minseok si aspettava. Dopo aver ripreso fiato, iniziò a districare la rete, sempre più curioso, ma ciò che trovò lo shockò: i suoi occhi si spalancarono eccessivamente per la sorpresa che lo lasciò a bocca aperta, incapace di riprendere fiato. Non riusciva a credere a ciò che vedeva! Non poteva essere reale! Come poteva una sirena essere reale?! Come poteva Minseok non star sognando?! Era davvero sicuro di non aver battuto la testa salendo sulla barca? Era davvero sicuro che ciò che vedeva non fosse frutto della sua immaginazione, che non fosse diventato pazzo all'improvviso?
C'era un solo modo per scoprirlo: avvicinarsi e toccare con mano quella coda ricoperta di scaglie e di squame verde acqua. Respirò profondamente un paio di volte per farsi coraggio, prima di avvicinarsi: nonostante quella sirena fosse ferita, poteva comunque essere pericolosa in qualche modo - nonostante Minseok l'avesse guardata in faccia e l'avesse trovata così bella e innocua -. Con cautela si inginocchiò accanto alla rete e passò una mano sulla sua coda, tastandola delicatamente: sembrava davvero troppo reale per essere frutto della sua immaginazione. Eppure il suo lato razionale non riusciva ad accettare la sua esistenza, si attaccava a quel lato scientifico che affermava l'impossibilità della presenza di un ibrido, tra un umano e un pesce, sulla sua barca. Questo scetticismo, lo portò nel panico e il primo impulso che accecò la sua mente fu quello di rigettarlo in acqua, dove apparteneva, e fare come se niente fosse accaduto; come se non avesse ferito, forse a morte, una creatura marina; come se non avesse appena pescato una sirena.
Poi ci ripensò: non sarebbe stato giusto e Minseok di sicuro non era una persona tanto insensibile, o crudele, da fare del male a qualcuno e poi non prendersene cura, o almeno chiedere scusa. Non era da lui, non si era mai comportato così e mai l'avrebbe fatto; ma in quel momento, a meno che la sirena non si svegliasse subito, non vedeva il modo per scusarsi, o espiare in qualche altro modo la sua colpa. Quindi decise di prendersi altro tempo, per scegliere cosa fare prima di tornare al porto. Si sedette accanto al corpo ferito di quella creatura, concedendosi uno sguardo più accurato, attento: si rese conto solo in quel momento, mentre osservava il corpo muscoloso, seppure esile della sirena, che, nonostante essa avesse dei corti capelli biondi, bagnati, che ricadevano su un visino dai tratti delicati e femminei, era a tutti gli effetti un maschio. La sorpresa svanì subito dopo, appena vide la smorfia di sofferenza e stanchezza che gli deformava il viso e ne ebbe compassione, mentre i sensi di colpa gli divoravano il cuore. Decise, su due piedi, di portarlo a casa con sé - poi avrebbe trovato un modo per curarlo -.
Non ci volle molto per tornare al porto, ci volle di più per portare il peso morto di quella creatura marina lungo il tragitto verso casa sua, senza farsi notare da nessuno. Arrancò negli ultimi metri, aprendo con un calcio la porta di casa - non curandosi del fatto che probabilmente dopo avrebbe dovuto far cambiare la serratura, o forse addirittura la porta, e comprare un'altra chiave - e facendosi strada verso il salone dove, con tutta la delicatezza che riusciva a usare, distese il corpo della sirena - o forse avrebbe fatto meglio a dire tritone -. In quel momento si pentì amaramente di non aver comprato una vasca - che sarebbe stata davvero utile - al posto della doccia che aveva attualmente, quando aveva ristrutturato il bagno.
Si affrettò subito a pulirgli tutte le ferite che, fortunatamente - Minseok ringraziò il cielo più volte -, non erano tanto profonde. Riuscì a distinguere chiaramente le due causate dal suo arpione, ma poi ne trovò altre, sparse per il corpo, e aggrottando la fronte per la preoccupazione, si chiese in che modo potrebbe essersele procurate. Che stesse scappando da qualcuno quando era incappato nella sua rete? Che, magari, fosse riuscito a salvarlo da una minaccia più grande? Questo Minseok non sapeva dirlo e non si azzardava a fare ipotesi avventate quando non riusciva neanche a mettere pace nella sua mente e a credere che davanti a lui ci fosse davvero una sirena. Bendò le sue ferite con cura, per poi decidere di portarlo nel suo letto: Minseok era sicuro avesse bisogno di riposare per guarire in fretta e nel migliore dei modi e il suo letto sarebbe stato sicuramente più comodo del duro e vecchio divano, praticamente inutilizzato, che aveva in solotto. Probabilmente gli avrebbe fatto venire un bel mal di schiena, dormire lì, ma, cedere il suo letto a quella creatura, era il minimo che potesse fare dopo averla ferita due volte con un arpione.
Gli rimboccò le coperte, sedendoglisi poi accanto, sul bordo del materasso, appoggiando la schiena alla testiera del letto. Non se la sentiva di lasciarlo da solo: avrebbe potuto aver bisogno di lui, o si sarebbe potuto svegliare da un momento all'altro, e non voleva rendersene conto troppo tardi, per questo decise di rimanergli vicino, a sorvergliarlo.
Non si accorse di essersi addormentato anche lui al suo fianco, fino a quando non sentì la sirena ferita muoversi con scatti violenti accanto a lui. Aprì di scatto gli occhi - il sonno solo un ricordo ormai - e trovò la creatura ad annaspare, in cerca d'aria, i grandi occhi marroni da cervo spalancati verso di lui, supplicandolo di aiutarlo. Le mani pallide e affusolate si aggrapparono al suo braccio, stringendo forte e Minseok si trovò a pensare, ironicamente, quanto sembrasse un pesce fuor d'acqua in quel momento, poi smise di pensare emotivamente - non sarebbe servito a nulla in quella situazione - e di fretta iniziò a pensare a ciò che avrebbe potuto fare per aiutarlo. Giunse alla conclusione che la sirena dovesse aver bisogno di acqua e l'unico posto in cui gli sembrò giusto portarlo - oltre al mare - fu la vasca refrigerata dove solitamente, riempita di ghiaccio, teneva i pesci che aveva catturato di prima mattina e che poi avrebbe dovuto vendere prima dell'ora di pranzo. Con meno sforzo della prima volta, lo sollevò, prendendolo tra le braccia, e dopodiché, con passo svelto, si recò nel garage, avvicinandosi alla vasca e posando la sirena lì accanto, per riempirla di acqua e immergerci dentro la sirena. Si accorse solo quando lo lasciò per terra che la sirena aveva di nuovo perso i sensi ed era sicuro che non potesse significare niente di buono. Si fece prendere dal panico, come la prima volta che l'aveva visto sulla barca, per questo si affrettò a portalo nell'acqua fredda della vasca. Non sentì neanche lo sforzo che fece per sollevarlo, provò soltanto il sollievo nel vedere quella sirena riprendere a respirare, muovendo le branchie sottili e quasi trasparenti che notò che l'altro aveva sul collo. Si rilassò vedendolo stare meglio e si accasciò al bordo della vasca, aspettando che l'altro stesse meglio. All'improvviso la sirena aprì gli occhi, riprendendosi improvvisamente, come se l'acqua fosse un rimedio magico al suo malore. Dopodiché gli sorrise, dolcemente e pieno di gratitudine, cercando di raggiungere il suo viso con una mano. Gli sussurrò un "grazie mille", prima di svenire nuovamente, lasciando andare la mano nell'acqua, improvvisamente di nuovo rilassato.