Per coloro che sono curiosi di sapere che fine hanno fatto Koki, Junno e Kazuya dopo la bevuta per festeggiare i cinque anni dal debutto! Ecco il seguito! Altra mini ficci!
Premtto... strano... ma non sono molto soddisfatta di questa fic... strada facendo penso capirete il perché... andateci piano con le cretiche... (vi prego!!!! T.T)
Titolo: Prima dell'alba (per saperne di più leggere ->
GIRLS)
Capitolo: one-shot
Autore: Eos_92
Gruppo/Artista: KAT-TUN
Coppia: Taguchi x Tanaka (e altro ^^)
Genere: angst - romantica (dolciotta *__*)
Rating: nc-17
Avvertimenti: yaoi
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono
Ringraziamenti: Cri-chan che mi ha supportata pezzo dopo pezzo! (grazie tesoro!!), Gioia, perché se non fosse stato per lei, non l'avrei postata!
Per non dimenticarti
io e te ci siam tolti le voglie
ognuno i suoi sbagli
è un peccato per quelle promesse
oneste ma grosse
[L’amore conta - Ligabue]
Era stato freddo… ma la Primavera era arrivata. Il cielo di un azzurro così intenso da poterci annegare con lo sguardo. Eppure… il sole e i suoi raggi non erano riusciti ancora a scaldarlo.
“Fumo?” chiese Junno annusando l’aria e si chiuse la porta alle spalle. Koki annuì e si sedette a terra per togliersi le scarpe. Quelle scarpe erano nuove, comprate solo un paio di giorni prima in un negozio molto famoso a Ginza. Junno lo aveva accompagnato. Quelle scarpe erano importanti, quindi con cura iniziò a slacciarle.
“Non ho aperto la finestra per tutto il giorno… e il fumo della notte scorsa ha stagnato” respirò a fondo, “In effetti…” proseguì, “L’aria puzza proprio. Scusa”, lo guardò accennando un mezzo sorriso imbarazzato.
Junno scosse la testa, “Hai ripreso a fumare?”
“Mh” Koki scrollò le spalle e si diresse verso la finestra del salotto e la spalancò: il vento freddo della notte s’impadronì di loro.
“Di notte… qualche volta… quando ho troppi pensieri per la testa e ho bisogno di distrarmi… o quando ho le parole e il ritmo per un nuovo rap ma non riesco a concentrarmi”
“Le sigarette… ti concentrano e ti distraggono?” sorrise Junno e si sedette sul piccolo divano presente nella stanza.
“Già…!” rise Koki grattandosi dietro la nuca. Aveva da poco tagliato i capelli; il parrucchiere aveva fatto proprio un bel lavoro con la piastra e con la messa in piega, aveva voluto essere al top… perché quel giorno avevano festeggiato i loro cinque anni dal debutto.
“Ti offro qualcosa? Un caffé per digerire l’alcool?”
“Un caffé va bene”
Koki sparì in cucina, e Junno lo sentì trafficare con la caffettiera. Aveva dimenticato il boccale di birra che si era scolato solo un paio d’ore prima, ma dopotutto, lui era un tipo che reggeva bene l’alcool e dopo due ore lo aveva già smaltito, di sicuro. Aveva un metabolismo rapido, e tutti glielo invidiavano.
Solo che… voleva lo stesso berlo quel caffè preparato da Koki, perché qualsiasi cosa che lui gli dava era importante, preziosa ed effimera… perché non sapeva se il giorno dopo avrebbe potuto averlo ancora accanto.
Arrossì di botto.
Era successo tutto troppo in fretta?
Non sapeva davvero come rispondersi.
Sei mesi prima, nella sala registrazione, erano rimasti soli, e mentre il cervello e la voce canticchiavano parole sconnesse sulle note di GIRLS, si erano baciati.
Ha iniziato lui? Ho iniziato io?
Non sapeva proprio cosa rispondere.
E il Koki che gli aveva concesso il suo corpo non era il Koki che conosceva, dopo più di dieci anni dal loro primo incontro, ma era il vero Koki.
“Ecco”, la sua voce lo fece sobbalzare.
“Scusa, mi ero perso nei pensieri”, e prese il bicchiere dalla sua mano. Gli toccò le dita, le sfiorò, solamente, ma quel contatto significava molto di più. Ogni tocco era un dono, che Junno beveva, così come fece scorrere il caffé bollente lungo l’esofago.
“Ti vuoi fumare una sigaretta? Per tornare con la mente qui?” chiese Koki sorridendo e si sedette accanto a lui, tenendo stretto tra le mani il proprio bicchiere pieno di caffé.
“No, grazie, sono già qui”
Junno allungò una mano, le dita lunghe e nodose, e la passo tra i suoi capelli neri; Koki si voltò a guardarlo, si specchiò nei suoi occhi.
“Sei qui, allora?”
“Mh”, annuì sorridendo.
Koki lasciò il bicchiere a terra, mezzo pieno. Non voleva tornare completamente lucido. Un po’ di oblio… per godersi a pieno le dita di Junno che gli accarezzavano i capelli e la pelle calda della nuca.
Allungò le mani e le appoggiò sulle sue guance.
“Hai la pelle un po’ fredda” constatò, “chiudo la finestra?”
“No… potresti abbracciarmi”
“Sì… potrei”
Le mani si spostarono sulle spalle; Koki si mise in ginocchio sul divano, le braccia si allacciarono al suo collo e vi affondò il viso contro.
Junno infilò le mani sotto la sua maglia, Koki ebbe un brivido.
“Hai freddo?” gli sussurrò in un orecchio.
“No… mi sto riscaldando”
“L’alcool?” sorrise Junno e infilò le mani dentro i suoi pantaloni di cotone e poi dentro gli slip e gli strinse le natiche.
Koki gli morse il collo, Junno scoppiò a ridere.
“L’alcool se n’è andato da un pezzo” disse Koki guardandolo negli occhi e si spinse contro la sua bocca, appoggiando le mani sul suo petto ampio e costringendolo a sdraiarsi.
Junno accettò quel bacio, rovente e bagnato, dal gusto amaro di caffé… unito a quello nascosto e quasi inesistente della birra. Gli tirò giù i pantaloni insieme alle mutande, e prese ad accarezzarlo, lentamente, per eccitarlo.
“L’alcool m’impedisce di eccitarmi” disse Koki in un soffio, interrompendo il bacio e depositandone uno casto sul suo mento.
“Non lo avevi già smaltito?”, Junno mosse il viso per incontrare ancora una volta le sue labbra e riassaporarle un’altra volta. Con più attenzione, con più passione.
“N’è rimasto ancora un po’” sussurrò Koki e gli morse le labbra più volte.
“Allora perché hai bevuto?”, Junno continuava a toccarlo, le dita dal pene ai testicoli all’ano e ce ne infilò due dentro.
“Ahi!” esclamò Koki e gli spinse una mano sulla faccia, Junno scoppiò a ridere e gli leccò il palmo.
“Ho bevuto per metterti alla prova” disse soddisfatto Koki scostandosi un po’ da lui.
“Alla prova?”, un guizzo attraversò gli occhi affamati di Junno.
“Vediamo se riesci a eccitarmi”, sorrise Koki beffardo e gli prese una mano riportandola su di sé.
“E se vinco?”
“Domani mattina ammireremo l’alba”
Junno si passò la lingua sulle labbra, che si erano fatte improvvisamente secche. Dove era sparita la saliva di Koki che fino a pochi secondi prima bagnava la propria bocca?
Il vento freddo l’aveva asciugata all’improvviso.
“E cioè?” chiese divertito, non smettendo di guardarlo nelle pupille, che si confondevano col nero carbone dei suoi occhi socchiusi.
“Cioè… scopiamo fino a domattina”
“La posta in gioco mi piace”
Koki si sdraiò sotto di lui e chiuse gli occhi, si morse le labbra perché Junno lo aveva preso in bocca senza tante cerimonie. E sentiva la sua lingua ruvida e calda, e la sua saliva che lo bagnava e le dita che intanto premevano per entrare un’altra volta.
Non era la prima volta, ma Koki aveva chiuso gli occhi, come se lo fosse stato.
Decise di fermare un taxi. Forse aveva camminato più di un’ora e si era decisamente allontanato dal proprio appartamento.
Il taxi si fermò.
“Mi dica” disse cordialmente l’autista.
E Kazuya rispose con il nome della grande impresa di cosmesi, che si trovava proprio di fronte al proprio appartamento.
Appoggiò il mento sulla mano e prese a guardare distrattamente il paesaggio notturno della metropoli che si susseguiva lentamente.
Quanto tempo era passato? Perché non lo aveva ancora chiamato?
Il 22 marzo stava morendo, e lui non aveva ancora sentito la sua voce. Quello, sarebbe stato l’ennesimo giorno che avrebbe passato senza ascoltate quella voce roca e sensuale, biascicata.
Sospirò più forte.
“Sente caldo?” gli domandò l’autista, guardandolo dallo specchietto retrovisore.
Magari, pensò Kazuya, quella non era proprio Primavera.
Arrivato al proprio appartamento, si chiuse a chiave la porta alle spalle senza neanche accendere la luce. Non un suono, solo il traffico ormai troppo lontano, non un profumo, né quello della Primavera, né quello delle sigarette che aveva dimenticato di comprare, né il proprio, né il suo.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva messo piede lì?
Nervosamente pensò al “Cinque” secco che aveva detto al giovane cameriere, quando aveva risposto su quanti erano. Avrebbe voluto dire “Sei”, ma non aveva mai avuto l’occasione per farlo. E le occasioni non si sarebbero più ripresentate.
Solo una lucina rossa lampeggiava, e si stagliava vincitrice sul buio della notte. Una lucina dal rosso regolare e ritmico scandiva il tempo.
La segreteria telefonica.
Si precipitò su di essa e schiacciò il pulsante.
La sua voce.
Kazuya si lasciò cadere a terra e si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli.
Idiota, pensò. E afferrò il telefono e compose il suo numero. Non era necessaria la luce, sapeva perfettamente dove si trovassero i tasti.
. un mugugno in risposta.
“Akanishi” disse serio Kazuya e con la mano libera continuava a grattarsi dietro la nuca. Era agitato.
La sua voce impastata dal sonno fece correre un brivido inaspettato lungo la schiena di Kazuya, che si mi mise seduto a gambe incrociate.
“Hai risposto in fretta” rispose ignorandolo, “Avevi il cellulare vicino? Aspettavi una chiamata?”
“Non sei stupito di sentirmi?”, la voce tremava, ma non riusciva a controllarla, se Jin stava aspettando una chiamata di qualcun altro non avrebbe potuto accettarlo. Voleva sentirsi dire, che era lui quello che voleva sentire. Che era la propria voce.
La sua voce era cambiata, come d’improvviso svegliato.
“Dove sei?” gli chiese Kazuya d’impulso.
rispose Jin tranquillamente.
Kazuya sentì un rivolo di sudore scendergli dalla fronte e percorrere la guancia e poi finire sul mento, con la manica della maglia camicia l’asciugò.
“In Giappone?”
Era scocciato?
Kazuya si slacciò la camicia e sfilò una manica, quella del braccio libero dalla cornetta, e poi, cambiando mano, fece lo stesso con l’altra manica, rimanendo in canottiera. Iniziava a fare caldo.
“Che cosa significava il messaggio che mi hai lasciato nella segreteria?”
Silenzio. Kazuya temette che Jin avesse potuto riagganciare. Già lo aveva urtato con tutte quelle domande, ormai lo conosceva bene. O almeno credeva di conoscerlo.
Un sospiro più forte.
Il cuore implose. Un crescendo di emozioni tutte in una sola volta, non poteva resistere. Come una canzone che accelera all’improvviso ed è impossibile fermare.
“No, non venire”
Allarmato? Spaventato? Arrabbiato? Kazuya trattenne il respiro, non voleva vederlo. Troppi ricordi, troppi ricordi tutti insieme non poteva accettarli. Non voleva tornare tra le sue braccia.
“E io no…” disse sotto voce, con poca convinzione.
sussurrò Jin dall’altra parte e sfuggì un gemito incontrollato che raggiunse e attraversò come un flash l’orecchio di Kazuya, che pareva voler andare a fuoco.
“Che… cosa stai facendo?” chiese con la voce che tremava e s’inumidì più volte le labbra.
Kazuya chiuse gli occhi. Lo immaginò.
Sdraiato sotto il piumone bianco, che era solito tenere sul letto fino a primavera inoltrata, ma tanto quella non era ancora primavera, la testa contro il cuscino, la mano arrossata e sudata stringeva la cornetta e l’altra mano…
Kazuya si lasciò sfuggire un sospiro più roco, prolungato.
Lo sentì sghignazzare.
“Ovvio che mi eccito” rispose stizzito.
Tenendo la cornetta tra il mento e la spalla, si slacciò il bottone dei jeans e calò lo zip, una mano dentro gli slip, a stringersi.
Gemette.
Gemette anche Jin.
Non riusciva a non assecondarlo.
Jin aveva soffiato il suo nome. Kazuya si strinse più forte, quasi a farsi male e si sdraiò a terra.
Il 22 marzo non era solo l’anniversario del loro debutto come gruppo, ma era anche l’anniversario della loro prima volta. Era successo tanti anni prima… e in quei lunghi-corti anni che lo separavano dal quel giorno di primavera erano successe tante cose.
E un altro abbandono… non lo avrebbe sopportato.
“Akanishi…?”
Un mugugno in risposta… come se non fosse cambiato nulla. Kazuya si morse la lingua. La mano si bagnò di sperma, tutto in una volta. Le mutande, i jeans, tutto macchiato, sporcato.
Kazuya diede un pugno al pavimento.
“Perché… mi hai cercato?”
Il cuore gli batteva forte, il respiro ansante, affaticato, la mano che teneva la cornetta era fradicia di sudore, come tutto il corpo.
Jin trattenne un grido, e poi respirò con affanno.
“Perché hai telefonato?” chiese ancora Kazuya, sul baratro del pianto.
“Non sto bene” rispose, e le lacrime scesero lente e distruttrici lungo tutto il suo viso.
Kazuya scosse la testa, come se Jin avesse potuto vederlo. Dire quella sola parola era doloroso, ma era la verità. Dalla scorsa primavera, da quando era stato certo che Jin avrebbe lasciato il gruppo, Kazuya non gli aveva più rivolto la parola, non che lo facesse spesso. E da quando Jin se n’era andato in America… non lo aveva più incontrato.
Eppure… sperava di sentire ancora una volta la sua voce. E voleva essere l’unico per lui.
Scosse la testa.
Doveva scegliere.
“Addio” disse.
disse Jin.
Lo stomaco gli si contorse.
“Io… ti odio…”
Un suono impercettibile.
Allungò il braccio e rimise a posto la cornetta.
In quei pochi minuti di silenzio, Jin non aveva detto nulla.
Gli morse un orecchio.
“Ti stai eccitando…”, sorrise Junno e tolse le dita, bagnate.
“Mh” mugugnò Koki in risposta, e gli morse il collo.
“Se continui a mordermi… domani dovrò andare in giro con la sciarpa”
Koki sorrise. Erano ancora sul divano… e la luce era rimasta accesa.
“Vai a spegnere la luce?” gli chiese e s’inarcò: Junno lo aveva stretto troppo forte, si aggrappò alle sue spalle e trattenne un gemito.
“Perché…?” chiese Junno, ansimando e gli baciò la fronte.
“Perché… sennò non potremo vedere l’alba”
“Non è ancora ora”
Junno si slacciò i pantaloni e li calò fino alle ginocchia, “Ti volti?” gli chiese in un sussurro all’orecchio.
“No… dato che c’è la luce… lo facciamo così”
“Va bene”
Iniziò a spingersi dentro di lui. Una sensazione fantastica di leggerezza. Privato della stoffa dura dei jeans e quella opprimente dei boxer, si sentiva come rinato.
E completato.
Koki trattenne il respiro. Non erano abituati a farlo. Era solo una cosa occasionale. Ma gli sarebbe piaciuto non fosse così.
“Che cosa siamo?” chiese cercando di controllare la voce, perché aveva iniziato ad emettere gridolini di piacere.
“Eh?”, Junno si spinse più in fondo.
Koki gli morse ancora una volta il collo, per non gridare troppo forte, Junno strinse gli occhi, accusando il dolore dei suoi bei denti stretti intorno alla propria carne.
Poi Koki iniziò a succhiare, un grosso segno rosso sarebbe rimasto, mentre respirava più a fondo e mordeva e pizzicava la sua pelle con le labbra soltanto chiese:
“È… amore?”, e si lasciò andare, macchiando la maglia.
Junno gli baciò le labbra morbide e arrossate, avvertì il proprio corpo tendersi, una scossa elettrica lo attraversò tutto, dalla punta dei piedi fino al cervello, e la parola “amore” risaliva dal cuore alla bocca.
“Sì” disse con un filo di voce, sulle sue labbra bagnate e venne dentro di lui, colmando un vuoto inesprimibile con le parole, un vuoto di una sola parola che gli era uscita così spontanea.
Se era amore…
“Ti… amo?” sussurrò Koki.
“Me lo domandi?” sorrise Junno e uscì da lui e risistemandosi mutande e pantaloni si alzò per spegnere la luce.
Le tenebre arrivarono, fioche e opache, come la melodia di una vecchia canzone. Le nuvole iniziavano a farsi rosse… rosa… un debole raggio di sole.
Junno tornò seduto accanto a lui; Koki si era rannicchiato con le gambe al petto, con lo sguardo fisso verso la finestra. Junno raccolse la propria maglia da terra e gliela mise sopra; l’aria si fece presto rigida e il sudore si ghiacciò sulla loro pelle.
L’alba dipingeva il cielo con colori teneri e sfuocati, una fotografia tremante, una voce che sussurra…
“Te lo domando” rispose Koki lentamente.
Sentì la mano di Junno posarsi con dolcezza tra i propri capelli, in una carezza dolce e protettiva.
“Io ti amo” disse Junno seguendo il suo sguardo e posandolo di là del vetro.
La città si risvegliava, saliva verso il cielo. I grattacieli si stendevano per raccogliere il nettare del sole. I profumi della primavera non erano ancora stati contaminati dallo smog.
“E tu?”
“Me lo domandi?” sorrise Koki e poi allungò una mano verso il suo viso.
Junno la strinse nella propria e l’avvicinò alle labbra. Baci leggeri, piccoli schiocchi.
“Sì… te lo domando”
“Ti amo anche io”
Junno si chinò su di lui e posò le labbra dischiuse sulle sue. Come il bacio del principe nelle fiabe occidentali.
“Voglio sentirti ancora” ansimò Koki contro la sua bocca e lo strinse forte con le braccia intorno al collo.
“Un’altra volta?”
“Il sole non è ancora nato”
E si lasciò guidare dalle sue mani, dalle sue labbra e dalla sua voce che sussurrava… timida… “ti amo”, un’infinità di volte.
Socchiuse gli occhi e un raggio dorato lo colpì in pieno. Si era addormentato sul pavimento, e sentiva il viso appiccicoso per le lacrime che si era lasciato sfuggire durante la notte.
Anche durante il sonno… faticoso e debole… aveva pianto… anche se la mente si ripeteva inconsciamente di smettere.
Voleva essere il solo per lui. Eppure non voleva più vederlo. Voleva che lui pensasse a nessun altro, ma non voleva sentire più la sua voce.
Il 22 marzo era passato, un altro 22 marzo che si andava accumulando ad altri. Identici e dolorosi.
Andò in bagno e gettò la testa sotto il rubinetto. L’acqua fredda lo risvegliò di botto. Il torpore se n’era andato. Sbatté più volte le palpebre e si guardò allo specchio.
Sono io, si disse. Sono sempre io.
Un bussare forte alla porta. Un bussare forte del proprio cuore in mezzo al petto. Il corpo ebbe un fremito.
“Chi è?” chiese a voce alta avvicinandosi alla porta d’ingresso.
Nessuna risposta.
Si portò una mano al petto, batteva come impazzito. Batteva così forte. Alcuna voce come risposta, alcun sospiro; aprì la porta con una lentezza infinita. Come se stesse per morire, come se quell’azione fosse stata l’ultima della sua vita.
Trattenne il respiro.
“Dovevo venire, scusa” disse Jin fissando il pavimento.
Kazuya non disse nulla. A poco a poco il cuore riprese il controllo del proprio pompare, la testa iniziò a pulsare di meno, lasciò andare l’aria trattenuta.
“Non voglio vederti” disse Kazuya respirando a fatica. Avercelo davanti cambiava ogni prospettiva. Non poteva ignorare il fatto che l’aveva amato, con tutto se stesso, e che ora aveva la possibilità, fragile e impalpabile, di toccarlo ancora.
E Jin era tornato.
Non poteva ignorare il fatto che si era toccato ed era venuto ascoltando la sua voce roca che sussurrava al suo orecchio, non poteva mentire a se steso dicendo che non aveva pensato a lui. Lo aveva fatto. Per tutto il tempo.
E Jin era tornato.
“Se vuoi festeggiare il nostro 22 marzo, ormai è passato”, e fece per rientrare lasciandolo lì fuori.
L’alba era un po’ più calda. Ma quel sole non sarebbe durato a lungo.
Si perse a guardare il cielo intensamente azzurro di là della finestra, si perse in modo inesorabile e non poté impedire alle braccia forti e calde di Jin di avvolgerlo.
“Volevo abbracciarti”
Kazuya fece per ribellarsi ma qualcosa glielo impedì. Le labbra di Jin si erano posate sul suo collo.
Un bacio d’addio?
“È un addio?” gli chiese con un filo di voce, trattenendosi dal voltarsi e baciarlo, e accarezzarlo, come se nulla fosse successo.
“Tu per primo mi hai detto addio” gli rispose Jin e lo liberò dalla stretta.
Non doveva rinnegare quello che aveva detto. Non doveva farlo o avrebbe rischiato di impazzire. Di ricadere ancora una volta in quel vortice di emozioni che rischiava di inghiottirlo, in quella passione sfrenata che gli lacerava l’anima.
Annuì e mentre le lacrime inesorabili scesero si chiuse la porta alle spalle.
Jin non lo fermò, “Ti amo” sussurrò, e la porta li divise.
“Anche io ti amo” ammise Kazuya e si lasciò cadere a terra.
Lentamente, il rumore dei passi di Jin… che si allontanava… per l’ultima volta.
Commento:
mi scuso con tutti coloro che hanno sperato nel lieto fine akame, mi scuso anche con me stessa, perché anche io c’ho creduto, fino alla fine. Il bacio di riconciliazione, l’abbraccio che riscalda animo e corpo… e invece niente. Kazuya non ce l’ha fatta. Non è riuscito a rimangiarsi quell’ “addio”, non è pronto per rivivere, o per far rinascere, quell’amore che avvolge e che “uccide” che solo Jin è riuscito a fargli provare. Ora non ce l’ha fatta… non so che cosa accadrà in seguito. Jin si allontana tacendo. E solo le parole “ti amo” riecheggiano ancora nell’aria. E le lacrime silenziose di Kazuya riempiono il vuoto che sente crescersi dentro.
Potrebbe non essere un “addio”, potrebbe non essere “l’ultima volta” che Jin va da lui, ma sono sicura che la prossima volta sarà Kazuya quello che dovrà fare la prima mossa.
Non è un addio definitivo, anche perché ora sono molto triste, e i personaggi hanno deciso di agire così, non hanno avuto abbastanza coraggio. Sono stati fragili, insicuri.
Ma parliamo della junki ^^. Aah… sono soddisfatta! Okay, scopano come ricci… ma mi è uscita così. Si sono baciati per caso, e per caso sono finiti a letto insieme ma non hanno mai pensato veramente a cosa fossero l’uno per l’altro. Un “ti amo?” domandato in modo timido ha sbloccato la situazione. Un’insicurezza che si è sciolta, che ha fatto luce, forse anche più dell’alba stessa.
D’ora in poi saranno felici, ne sono sicura!
Alla prossima, spero di scrivere qualcosa di un po’ più allegro!