Oggi è una giornata davvero uggiosa... mi sono svegliata con la nebbia... e ancora non se ne è andata. Fuori è tutto bianco... non vedo l'ora che arrivi Natale, la casa è vuota...
Ho riportato la mente indietro nel tempo... e ne sono uscita con le lacrime agli occhi e un nodo alla gola. Per sbloccare questo stato di... sospensione... in cui mi trovo, ho fatto un giro nel mio LJ e ho notato... di aver lasciato una fanfic in sospeso!
Allora... chiudo il cerchio... e posto la quarta (e ultima) parte di Sonnifero!
Titolo: Sonnifero (parte 4 su 4)
Capitolo: 1 (su 2)
Autore: Eos_92
Gruppo: KAT-TUN, Jin Akanishi
Personaggi: Akanishi, Kamenashi, Taguchi, Nakamaru
Coppie: Akanishi/Kamenashi
Genere: AU, angst, longfic
Rating: pg-15
Avvertimenti: yaoi
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono.
Riassunto: Jin e Kazuya sono stati in Italia per visitare la tomba della nonna di Jin.
Note: questa fanfic l'ho scritta tra il 2 e il 4 agosto 2011, dopo che sono tornata dalla Spagna.
Roma.
Le due settimane più belle, le due settimane più vere. Il fuso orario non aveva inciso, non importava neanche il sonno che aveva cileccato per tutto il tempo.
Quei colori, quel paesaggio, come una fotografia impressa, incisa. Se chiudevano gli occhi, vedevano quelle colline ancora lì, in un perenne fiorire di natura.
“Dove ci vogliamo sistemare?” chiese Jin trascinando il piccolo trolley che era il bagaglio di Kazuya e tenendo a tracolla il proprio borsone.
“È indifferente, qualsiasi posto va bene” rispose Kazuya, camminando poco dietro di lui mentre si guardava intorno.
Sdraiati lungo tutti i lati della grande sala c’erano moltissimi ragazzi e ragazzi, soprattutto divisi in coppia, ma anche famiglie con bambini molto piccoli, che già dormivano o giocavano: Kazuya se ne stupì. Come potevano quei genitori infliggere ai figli un tale supplizio? Non era neanche mezzanotte e il primo aereo sarebbe partito alle cinque della mattina, che cosa avrebbero fatto quei bambini per tutte quelle ore?
“Vicino alla colonna? Oppure lì in fondo? C’è un piccolo spazio libero” continuò Jin; erano al centro della sala, ma nessuno badava troppo a loro.
Kazuya sollevò le spalle, “Anche se vicino alla colonna sembra più pulito, non daremo troppo nell’occhio?”
“Okay”, sorrise Jin, “andiamo laggiù”
Si posizionarono tra due coppie, alla destra, nella zona confinante con quella per il check-in c’erano un ragazzo e una ragazza, forse spagnoli. Lei indossava un paio di calzoncini bianchi davvero molto corti e... un perizoma.
“Ma non è poco igenico?” chiese Kazuya a bassa voce avvicinandosi all’orecchio di Jin, mentre questi stendeva a terra un asciugamano da bagno che si erano portati ma che non avevano utilizzato, dato che l’albergo ne era fornito.
Jin allungò lo sguardo, “In effetti”
“A me non piacerebbe fare sesso con una persona non pulita intimamente” buttò fuori Kazuya, quasi borbottando fra sé e sé.
A Jin cadde il secondo asciugamano dalle mani e lo guardò ad occhi sgranati, “Non... ti avevo mai sentito dire una cosa così esplicita” confessò.
Kazuya arrossì.
Erano cambiati parecchio. Non seppe quantificare i mesi passati con lui. Quanto durava un anno accademico? Non se lo ricordava neanche più. Ma era cambiato e anche Jin, ma più che altro se stesso. Certo, nella tasca più esterna del marsupio c’era la confezione di sonniferi, ma con il medico aveva concordato un altro dosaggio, più leggero, e aveva iniziato ad usare anche prodotti omeopatici. Ce l’avrebbe fatta.
“È che...” cercò di spiegare, “Magari loro non hanno l’abitudine di lavarsi prima di fare sesso... ecco... di sicuro è solo questione di abitudini”
Jin annuì e si sedette sul proprio asciugamano, aprì il borsone e prese due piccoli cuscini gonfiabili da campeggio; mentre soffiava aria inziò a parlare, “È come per noi la cucina, no? Il nostro grado di pulizia della cucina, come luogo fisico, è più bassa rispetto a quella degli italiani... ma va bene, così, no?”
“Sì”, anche Kazuya si era seduto per terra e si stava legando i capelli in una specie di crocchia. Aveva deciso di lasciarli allungare un po’ e ora gli arrivavano alle spalle. Jin, invece, li aveva tagliati più corti.
“Comunque...” continuò Jin e gli porse uno dei due cuscini, “...ti chiedo scusa, a volte lo abbiamo fatto senza lavarci, o meglio, io non mi sono lavato, magari... non ti è piaciuto”
Kazuya distolse lo sguardo da una coppia di giovani appoggiati alla parete di fronte e lo guardò dritto negli occhi, “Mi piace sempre fare sesso con te”
“Grazie” e si sporse, come a volerlo baciare, o meglio... voleva proprio baciarlo, ma Kazuya si ritrasse, “Non credo... che possiamo...” sussurrò.
“Hai ragione” concordì Jin e si risistemò meglio sul proprio asciugamano ma gli sfiorò una mano, “Non è bellissimo poter parlare di certe cose non abbassando il tono di voce? Tanto... qui nessuno ci capisce”
Kazuya annuì. L’Italia... gli era piaciuta, nonostante i treni facessero pena, ritardi, pulizia poco accurata, aveva adorato la cucina, e forse aveva messo su un paio di chili. Si era accorto di amare quel paesaggio così verde e giallo e bruno, gli alberi fitti, le colline dolci.
I due ragazzi forse spagnoli si erano sdraiati, lei sopra ad una felpa piuttosto leggera, lui direttamente sul pavimento freddo. Alla loro sinistra c’erano due ragazze, molto incarni: una già dormiva, con le gambe sopra la valigia e sul viso una maglia per coprirsi dalla fastidiosa luce al neon, l’altra stava seduta e ascoltava la musica con l’ipod.
Kazuya sfilò le infradito e si misa a gambe incrociate. I nuovi jeans firmati erano davvero comodi, piuttosto aderenti ma un po’ elasticizzati, e poi... sembravano essere stati creati a posta per lui, o almeno così gli aveva detto Jin: tessuto chiaro, e strappi sulle coscie e sotto le ginocchia.
“Lo faccio anche io” disse Jin e si tolse le Converse arrotolando i calsini e mettendoceli dentro, distese le gambe in avanti e si osservo i polpacci più abbronzati, lasciati scoperti dei bermuda e i piedi, un po’ gonfi.
“Fortuna che il tessuto delle scarpe era leggero, altrimenti si sarebbero lessati” disse Kazuya guardando i suoi piedi.
“Mh... Beh... tanto dovrò rimetterle fra parecchie ore”
Il loro volo sarebbe partito alle sette e quaranta.
“Akanishi... Credi che quella ragazza sia incinta?” domandò Kazuya tutto ad un tratto e con un cenno del capo gli indicò la coppia di giovani di fronte a loro.
“Mah... a vederla da qui non saprei, a parte le cosce, mi sembra molto magra, perché?”
Kazuya scrollò le spalle, “Non saprei... ma lui non fa altro che toccarle la pancia, così ho pensato che potesse essere incinta, e poi, lei stessa sta sempre con le mani sulla pancia”
“Questo è vero”
E un tuffo al cuore. Jin guardò la coppia: lei era un po’ accasciata in avanti e le mani erano appoggiate sul basso ventre, come a volersi proteggere, lui le teneva una mano sulla coscia, e la stringeva piano, un tipo possessivo, senza dubbio, come se stesso, appoggiato sulle ginocchia teneva un computer portatile e con la mano libera scorreva le pagine. Chissà che cosa stava leggendo... o guardando... un’ecografia? Ci pensò intensamente.
“Sdraiati” mormorò all’orecchio di Kazuya, che ubbidì distendosi di lato, anche Jin fece lo stesso in modo da portersi guardare, poi allungò una mano e gli toccò la pancia incavata da sopra il tessuto della felpa pensate.
“Che fai?” chiese Kazuya ridendo piano, “È un pensiero perverso il tuo!”
“Vero” sorrise Jin e poi gli strinse la coscia magra. Era davvero un ragazzo possessivo, ma Kazuya era per lui la persona più importante.
“Vuoi dormire?” si sentì chiedere sotto voce, “Hai l’espressione stanca” continuò Kazuya e con la mano destra raggiunse la sua sulla propria coscia.
Jin scosse la testa, “Dormiamo in aereo, non mi va di lasciarti sveglio da solo, ora”, era serio.
“Non devi preoccuparti...”
“Va bene così”
“Okay”
Alcuni minuti di silezio, Jin svincolò la propria mano dalla sua presa e tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il cellulare. Gli scattò una foto, e poi un’altra.
“Per immortalare anche questa nostra pazzia”
“Già...” sorrise Kazuya. Era davvero tanto tempo che non sorrideva in quel modo, con quella frequenza, con quel calore e lucentezza negli occhi. Forse perché... solo dopo aver incontrato Jin aveva ricominciato a vivere come un normale ragazzo di venti anni o poco più. Gli anni passati, gli anni affogati nelle pasticche e nel sonno... scivolavano con lentezza disarmante ma con costanza nel dimenticatonio del cervello.
“Vorrei baciarti, Kamenashi”
Kazuya allungò una mano verso di lui e gli strinse il collo della maglia, un appiglio, “Anche io, da morire”
“Ma qui non va bene, e non possiamo neanche andare in bagno insieme e lasciare i bagagli incustoduti... so che ti rubano pure l’anima se ti distrai anche solo un secondo”
“Hai ragione”, Kazuya si portò quella stessa mano alle labbra, appoggiò la bocca sul palmo e poi lo portò sulla bocca di Jin, che ci lasciò sopra un silenzioso umido bacio.
“Ci accontenteremo di questo” sorrise Kazuya, Jin socchiuse gli occhi.
“Hai sonno” disse Kazuya in tono severo.
“No” rispose Jin e spalancò gli occhi.
“Va bene anche se dormi, anzi... ora io vado in bagno, poi quando torno tu dormi, e invece in aereo veglierai su di me, che ne dici?”
“Hai vinto”, si arrese.
“Perfetto”
Kazuya si alzò in piedi, infilò le infradito e si diresse verso i bagni.
Avrebbe voluto dirgli, veglierò su di te fino alla morte, ma si era trattenuto; la morte non è qualcosa che si può controllare, piuttosto, al contrario, se non si pensa intensamente che la vita è una cosa meravigliosa, c’è il rischio che la morte tenda un agguato e possa trascinare via con sé tutto quanto.
Pensò a sua nonna.
Alla sua bellissima tomba in un piccolo cimitero arroccato su una collina della regione Toscana. La morte a lei l’aveva colta ormai vecchia e pochi anni dopo anche il nonno l’aveva seguita, come se se lo sentisse, come se... senza di lei la vita, purché ormai breve, non aveva più alcun senso e quindi, tanto valeva accelerare i corsi. Suo nonno, forse si era lasciato morire... forse senza di lei, si era lasciato morire.
Jin sentì in fondo, nel petto, che avrebbe fatto altrettanto, come un gene scritto nel DNA, un gene che sapeva bene in realtà non esistesse. Senza Kazuya, si sarebbe lasciato trasportare dalla morte fino a quando non si sarebbe ricongiunto a lui.
Pensò alle tombe dei suoi nonni, pensò che fossero distanti, una in Italia, una in Giappone, eppure il nonno non aveva voluto seguirla, come se la tomba, o in generale il luogo che conserva i resti, cadevere o ceneri che siano, non fosse importante, ma più importanti fossero le anime.
La foto che la mamma aveva scelto da mettere sulla lapide della nonna era una foto abbastanza recente, e questo a Jin era piaciuto. Non bisogna disdegnare la vecchiaia.
Immaginò Kazuya da vecchio.
Vide Kazuya che si stava avvicinando ed ebbe un capogiro.
“Tutto okay?” chiese e si sedette accanto a lui.
“Mh... stavo pensando”
“A cosa?”
“A... i miei nonni, a mia madre... e a te”
“Me?”
“Ovvio, sei il centro dei mieri pensieri”
Era davvero bellissimo poter dire tutto questo senza doversi nascondersi.
Kazuya arrossì leggermente, “Se hai immaginato qualcosa... del tipo me col pancione ti picchio”
Jin rise, “No... niente di tutto questo... stavo immaginando... come potessimo essere noi da vecchi... e mi chiedevo... se tu volessi la lapide vicino la mia o se ti bastasse l’aldilà”
Kazuya sbatté un paio di volte le ciglia, quante cose era riuscito a pensare in quei cinque minuti in cui non c’era stato?
“Non... ho mai pensato a tutto questo ma... io vorrei la mia lapide vicino alla tua... come una testimonianza... come per dire...” distolse lo sguardo e lo ripuntò sulla coppia di fronte a loro che era scivolata in un sonno profondo e le mani di lei erano sempre appoggiante sul proprio ventre, “...come per dire... che tu sei l’unica persona che io abbia mai amato”
Jin appoggiò una mano sulla sua, “Anche per me è lo stesso”, e lo trascinò sul pavimento.
“Vegli un po’ su di me?” gli chiese già con gli occhi chiusi.
“Certo” rispose tranquillo.
Chissà se quel feto sarebbe stato maschio o femmina. Mentre ascoltava il respiro regolare di Jin che si era addormentato, pensò a quella piccola creatura informe che si stava definendo nella pancia di quella ragazza. Lui la guardava con amore, lei ricambiava il suo dolce sguardo ed anche ora che dormivano i loro volti erano distesi in un’espressione tranquilla.
Augurò a quella persona che sarebbe nata tutto il bene a cui riusciva a pensare.