Ancora reportage...

Oct 10, 2008 02:59



Quando, nel 1982, il compianto Enzo Siciliano firmò l’editoriale per il primo numero della terza serie della rivista «Nuovi Argomenti», si auspicava - anticipando, con la consueta sensibilità, evoluzioni narrative dei decenni successivi - di: «costringere gli scrittori ad occuparsi di quei fatti che assediano da vicino l’esistenza quotidiana, e che ci appaiono indecifrabili, lugubremente enigmatici».
Negli ultimi anni, intorno alla stessa storica rivista mondadoriana, si sono formate scritture della realtà in grado oggi di rivolgersi a un pubblico più ampio. Emblematico il caso di Roberto Saviano e, di conseguenza, la fortuna in libreria del reportage narrativo su fenomeni di cronaca scottante. Tanta narrativa nazionale tematizza così le problematiche vicine e ricorrenti della nostra quotidianità, a tal punto da configurare veri e propri sottogeneri, quali la letteratura del «precariato» o quella della «periferia» o dei «non-luogi», etc. E ovvio che, qui, ragioni di poetica e di opportunismo editoriale si confondono, ma resta ferma l’entità significativa del fenomeno.
Tra gli esponenti più accreditati di questo nuovo corso di scrittori, il pugliese Mario Desiati, al centro della promozione culturale in questi giorni col suo terzo romanzo, Il paese delle spose infelici (Mondadori), che offre appunto uno spaccato, dalla provincia, della Taranto degli anni Ottanta, con la implicita intenzione, attraverso il racconto di un’avvincente storia adolescenziale, di mostrare il dispiegarsi nel tempo di un male che ha reso oggi il capoluogo ionico paradigmatico, soprattutto in negativo, della realtà italiana.
Spostatosi a Roma, da Martina Franca, e guadagnatosi la stima di Enzo Siciliano e Dacia Maraini, tra gli altri, Desiati occupa da un po’ di tempo un ruolo strategico all’interno della redazione di «Nuovi Argomenti» e di un milieu letterario ad essa contiguo, facendosi apprezzare dunque al di là della pagina scritta dei suoi stessi romanzi. Ne è prova questo fresco volume antologico, A occhi aperti, curato appunto da Mario Desiati, insieme a Federica Manzon, che raccoglie narrazioni di autori nati dopo il 1970, pubblicate negli ultimi cinque anni della rivista, a cominciare da quel numero monografico intitolato Italville, di cui ci siamo ampiamente occupati a suo tempo, il quale, accanto a simili operazioni editoriali, promuoveva appunto l’indagine letteraria della realtà circostante.
Scorrendo i dodici contributi di questo volume, ordinati cronologicamente e tra i quali spiccano le firme di Roberto Saviano, Alessandro Piperno e Leonardo Colombati, assistiamo appunto al farsi variegato di una lingua del racconto che si piega al «linguaggio della verità», attraversando i gradi che separano il resoconto cronachistico e il puro racconto di finzione. Sono racconti che narrano di Trieste ed ex-Jugoslavia, di Camorra e Sacra Corona Unita, di allevamenti intensivi di maiali e di Ospedali Psichiatrici Giudiziari, di finanziamenti rateali insoluti e di insegnanti in classi difficili, racconti che, insomma, come scrivono i curatori, mostrano: «un’inclinazione a puntare lo sguardo su quei luoghi indecifrabili dell’esistenza dove vi è la possibilità di rintracciare un’incrinatura del reale, il punto di svolta che fa avvertire la vertigine dei percorsi compiuti».
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