ITALIAN ONLY!
Sorry FL, I just have to post this fanfic as soon as possible~ ♥
kai_uke questa è tutta per te ♥
Purtroppo ho dovuto dividerla in due post, è troppo lunga per un post unico! T_T Perdonatemi, non era mia intenzione spammarvi la pagina amici! T_T
Titolo: Inori
Pairing: HiroSuke (Kitayama Hiromitsu X Fujigaya Taisuke)
Genere: oneshot - AU - storica - angst
Rating: PG-13
Prompt: *ispirata dalla performance di "inori" del playzone* Hirosuke sono due ribelli/guerrieri dello stesso 'battaglione' con l'intento di catturare uno spietato criminale che è riuscito a sappare dalla prigione imperiale. Alla ricerca di questo losco individuo, passano tante notti insieme, combattono fianco a fianco e cose simili, fino ad innamorarsi e a proteggersi a vicenda(se volete eh). Semplice...a voi il finale, se farla finire bene o male, sarò felice comunque<3 adoro entrambe le soluzioni *_* mbeheheh.
Disclaimers: Eccerto, sono proprio miei, guardate... >_>
PRIMA PARTE Come previsto, la luna era piena e non una nuvola avrebbe oscurato la sua luce fin troppo intensa.
Pattugliavano la strada fin dal tramonto e fino a quel momento non avevano incontrato né i criminali né gli abitanti del villaggio. Evidentemente, con le temperature autunnali in continua discesa, sempre meno persone si avventuravano fino al fiume dopo il calare del sole.
Kitayama tagliò un ramo con il wakizashi, silenziosamente. Aveva in mano entrambe le spade, si sentiva pienamente sicuro di sé solo quando le impugnava tutt’e due. Si era attirato spesso l’ammirazione dei compagni per l’abilità con cui riusciva a combattere con due lame, ma non si trattava di talento naturale: anni di esercizio e di sacrifici avevano reso il suo braccio sinistro forte quanto il destro.
Le foglie secche scricchiolavano leggermente sotto i suoi piedi, ma poche persone avrebbero pensato a un uomo piuttosto che a un animale selvatico in cerca di acqua. Sfortunatamente, i criminali a cui davano la caccia facevano parte di quelle poche persone.
Quello che lo preoccupava maggiormente in quel momento era che, data la sua posizione, non era in grado di vedere dove fosse Fujigaya. Se si voltava indietro poteva scorgere la figura alta e longilinea di Yokoo, e al di là della strada vedeva Miyata farsi strada con la lancia pochi metri davanti a Tamamori. Sapeva che non avrebbe potuto vedere nessuno degli altri, Fujigaya compreso, ma non sapere dove fosse lo teneva in allerta costante, molto più di quanto la missione non facesse da sola.
Il fiume non era lontano, sentiva lo scrosciare dell’acqua aumentare a ogni passo. Una volta raggiunto il fiume, non avrebbe dovuto fare altro che fare un cenno a Yokoo e avrebbero ripercorso la strada nel senso opposto, questa volta con lui in retroguardia e Fujigaya in avanscoperta.
Con la coda dell’occhio, vide Miyata fermarsi e fare cenni in direzione della strada. Kitayama strinse la presa sulle spade e ordinò silenziosamente a tutti di fermarsi. In un primo momento non vide niente. Il sentiero curvava poco più avanti, ed evidentemente Miyata aveva visto qualcosa che non era ancora alla portata del suo sguardo. Rimasero tutti perfettamente immobili, finché nel silenzio Kitayama iniziò a sentire quelli che sembravano passi leggeri e veloci, di qualcuno che pareva correre nella loro direzione. Si inginocchiò tra gli arbusti per avvicinarsi di un altro paio di passi al ciglio della strada.
Una figura camminava velocemente e aveva appena superato la curva, ora anche Kitayama poteva vederla piuttosto bene. Era piccola di statura e aveva un fisico snello, con le mani reggeva un velo da donna che le copriva quasi interamente il volto. Sembrava spaventata, e di tanto in tanto si voltava indietro, come per controllare qualcosa.
Non ci volle molto a Kitayama per capire cosa preoccupasse così tanto la fanciulla: non appena questa aveva superato il nascondiglio di Kitayama di pochi passi, un gran numero di uomini vestiti in nero era comparso alle sue spalle e l’aveva circondata in un attimo. La ragazza non gridò, probabilmente era pietrificata dalla paura, e gli uomini di Yara - perché senza dubbio si trattava di loro - si avvicinarono a lei con le spade sguainate e gli occhi crudeli che brillavano nella penombra.
Prima ancora di rendersi conto di essere uscito allo scoperto, Hiromitsu si scagliò urlando contro il gruppo di fuorilegge, subito seguito da tutti i suoi compagni. Colpì alla schiena uno degli uomini e lo oltrepassò senza pensarci, avvicinandosi il più possibile alla fanciulla e mettendosi tra lei e le lame nemiche.
Fujigaya fu accanto a lui in un attimo, come sempre, ma solo per pochi secondi, prima che entrambi si lanciassero di nuovo contro gli avversari. Kitayama faceva di tutto per non allontanarsi troppo dalla ragazza, la sua vita era la priorità assoluta, e da quella posizione centrale controllava che nessuno dei suoi compagni fosse in difficoltà. Vide Nikaido evitare un fendente saltando all’indietro e trattenne il fiato, l’agilità di quel ragazzo era al di là di ogni aspettativa. Tamamori era più lento del solito, ma Miyata combatteva con lui schiena contro schiena, i nemici avrebbero dovuto volare per coglierli di sorpresa. Senga era scivolato su un tappeto di foglie secche poco prima, ma Yokoo si era precipitato in suo soccorso.
Fujigaya, elegante come sempre, portava fendenti a destra e a sinistra, quasi fosse tre volte più veloce delle spade che lo minacciavano. Correva tra i nemici e li oltrepassava, lasciandoli feriti o morti a terra prima ancora che qualcuno si accorgesse della sua presenza. E poi, in ogni momento di pausa, lanciava sguardi preoccupati in direzione di Kitayama, ma gli bastava vederlo fuori pericolo perché la sua attenzione tornasse a concentrarsi sulla battaglia.
In pochi minuti, molti degli uomini in nero erano morti ai loro piedi e tutti gli altri erano fuggiti nella foresta. Kitayama ansimava forte, senza riuscire a rilassarsi. Il combattimento era durato troppo poco e li avevano sconfitti troppo facilmente, anche tenendo conto del fattore sorpresa.
Fece qualche passo in direzione del fiume, cercando di sentire quello che apparentemente con gli occhi non riusciva a vedere. Dovevano esserci altri criminali nei paraggi, ne era certo.
“Hiromi, va tutto be- HIROMI!”
“Comandante!”
Le urla di Taisuke e Yokoo lo misero in guardia, ma troppo tardi. Non fece in tempo a voltarsi prima di sentire un dolore acuto al fianco destro e la sensazione che tutta l’aria gli fosse stata strappata via dai polmoni. Girò appena il viso, in tempo per vedere la “fanciulla” liberarsi del velo e gettarlo a terra, sul corpo sanguinante di uno degli uomini che avevano abbattuto poco prima.
Yara Tomoyuki.
Kitayama si dette dello stupido, avrebbe dovuto immaginarlo. Yara non era mai stato sconfitto sul piano della strategia militare, avrebbe dovuto mettere in conto un’eventualità del genere.
Si inginocchiò a terra, puntando la katana per sorreggersi, perché le gambe non sembravano più in grado di tenerlo in piedi. Lasciò cadere il wakizashi e si portò una mano al fianco. La ferita era profonda, molto profonda, ma non era mortale. Doveva fasciarla il prima possibile per non perdere troppo sangue, ma non lo avrebbe ucciso.
Un tonfo al suo fianco attirò la sua attenzione. Girò lo sguardo alla sua destra, la vista vagamente annebbiata, e subito non capì cosa stesse vedendo. Ma quando il viso familiare di Fujigaya fece capolino da sotto i capelli sporchi di sangue e polvere, Kitayama sentì che quella vista faceva più male della ferita al fianco.
“Taisuke… Taisuke!”
Lanciò uno sguardo dietro di sé, il resto del suo gruppo stava combattendo contro Yara. Non avrebbe mai creduto a quella storia se gliel’avessero raccontata, ma il criminale stava tenendo testa ai cinque ragazzi da solo e apparentemente senza alcuna fatica. Diversi tagli si stavano aprendo sulla pelle dei suoi compagni. Miyata era stato colpito alla schiena, profondamente, e stava cercando di rialzarsi stringendo i denti. Nessuno degli altri era messo meglio.
“Hiromi…”
“Taisuke! Sto arrivando…”
Facendo leva sulla katana, Kitayama si avvicinò al corpo sanguinante del compagno. Yara aveva aperto una ferita sul petto del ragazzo, dalla spalla destra fino al fianco sinistro, e sembrava piuttosto grave da quello che riusciva a intravedere tra i lembi di vestiti strappati e insanguinati. Forse non abbastanza grave da ucciderlo, ma non sarebbe guarita in pochi giorni.
“Taisuke, sono qui…” si inginocchiò al suo fianco, lanciando sguardi preoccupati verso il combattimento alle sue spalle. Per il momento i ragazzi sembravano cavarsela, ma presto avrebbero avuto bisogno del suo aiuto. “Stai bene?”
“Sto bene… e tu?”
“Anch’io.”
C’erano molte cose che Kitayama avrebbe voluto dire, invece di quelle risposte secche e fredde. Scostò alcune ciocche di capelli dalla fronte del ragazzo e senza che lui se ne accorgesse quel gesto si trasformò in una carezza. Gli sfiorò una tempia, gli occhi socchiusi, le labbra aperte per fare entrare quanta più aria possibile. Respirava faticosamente, forse il dolore era troppo forte.
“Hiromi, mi dispiace… Se mi aiuti a rialzarmi, forse… posso…”
“Stai fermo, stupido. Sei ferito gravemente. Lascia che ci pensiamo noi.”
“Ma io…”
“Ti scongiuro, Taisuke…” il suo tono di voce si addolcì molto nel pronunciare per l’ennesima volta il suo nome. Sapeva di non averlo mai chiamato in quel modo così tante volte come negli ultimi minuti. “Ricordi cosa ti ho detto? Se tu muori, questa missione non avrà più alcun senso per me. Ti prego, stai fermo.”
Fujigaya aveva le lacrime agli occhi, ma non riusciva a capire se fosse per il dolore, per l’angoscia o per la frustrazione di non riuscire ad alzarsi e combattere al fianco dei suoi amici. Al fianco di Hiromitsu.
Annuì verso di lui e sollevò piano una mano, serrando i denti quando il movimento acuì il dolore, e strinse con forza quella che gli stava accarezzando il viso. La strinse fissandolo negli occhi, come se non avesse più la forza di parlare ma avesse ancora tante, troppe cose da dirgli.
Kitayama gli sorrise. Ignorando la fitta al fianco che lo colse mentre si muoveva, posò le labbra sulla fronte di Fujigaya per un tempo che sembrò a entrambi infinito, e si separò da lui.
Le urla alle loro spalle lo convinsero ad alzarsi in piedi, ma dovette chiudere gli occhi per qualche secondo prima che il mondo attorno a lui smettesse di girare vorticosamente. Una forza sconosciuta gli stava permettendo di muoversi verso Yara e i suoi compagni, una forza che lo coglieva sempre quando si trattava di combattere per qualcosa di importante.
Si lanciò urlando contro il criminale, spingendolo lontano da Nikaido proprio nel momento in cui stava per colpirlo violentemente alla gola. Yara incespicò leggermente ma non ebbe problemi a mantenersi in equilibrio. Lo fissò negli occhi con una serietà e una sofferenza che sorpresero Kitayama più del fatto che il dolore al fianco sembrava essere svanito nel nulla.
“Kitayama Hiromitsu… A quanto pare, questa è l’ultima volta che avrò l’onore di combattere con te. Uno di noi due oggi morirà, lo sai vero?”
La voce di Yara era molto meno sgradevole di quanto Hiromitsu avesse mai immaginato. Tutto in Yara era completamente diverso da quello che credeva di sapere del criminale. I racconti parlavano di lui come di un uomo alto e imponente, con lo sguardo malvagio e un cuore di pietra. Ma il velo liquido che vedeva nei suoi occhi, quasi fossero lacrime trattenute, non aveva nulla di malvagio. Di stanco, forse. Di addolorato.
“Avete ucciso quasi tutti i miei compagni. I miei amici.”
Fece qualche passo verso sinistra e si avvicinò a un corpo riverso a terra in un lago di sangue, il viso nascosto da una cascata di capelli chiari, forse resi quasi biondi grazie a qualche pigmento naturale, perché Kitayama poteva giurare di non averne mai visti di un colore del genere. Yara spostò lo sguardo da lui al cadavere, e una di quelle lacrime trattenute scivolò lungo il suo viso, fino alle labbra.
“Lo vedi, Kitayama? Lui era… una persona importante per me. Adesso immagina cosa ho provato quando il tuo amico, laggiù, lo ha trafitto con la sua spada da parte a parte. Immagina se le parti fossero invertite.”
Hiromitsu lanciò uno sguardo veloce a Taisuke, era lui il ragazzo che Yara stava indicando con una mano. Rabbrividì all’immagine che le parole del criminale ispirarono nella sua mente. Quel corpo a terra era quello di un ragazzo che aveva molto in comune con Fujigaya, così tanto che ben presto le due immagini si sovrapposero davanti ai suoi occhi annebbiati dall’adrenalina e dal dolore.
“Fa male, vero? Fa male veder morire chi ami…”
“Smettila! Tu sei un criminale, hai tradito l’imperatore e devi morire, insieme a tutti i tuoi uomini!”
Non avrebbe potuto sentirlo parlare ancora. Quell’uomo aveva la capacità di portare alla luce tutti i suoi pensieri più angoscianti, tutte le sue paure.
“Credi quello che vuoi, comandante. Non sono qui per farti cambiare idea sul mio conto. Sono qui per mettere fine alla vostra ridicola missione. Siete stati dei degni avversari. Vi concederò una morte onorevole.”
Ora che si trovava in corpo a corpo con lui, Kitayama capiva perché i suoi uomini avessere faticato tanto a tenergli testa, anche se in superiorità numerica. Era velocissimo, i suoi movimenti così fluidi da sembrare composto di aria piuttosto che di solida carne. Era in grado di colpire uno di loro con la spada e sferrare un calcio potente a un altro, senza perdere l’equilibrio e senza un calo di potenza. Kitayama trattenne un urlo di dolore quando una nuova ferita gli si aprì sulla spalla e la vista gli si oscurò per interi secondi. Lasciò cadere la spada corta che reggeva con il braccio sinistro, ferito, e fece sibilare la katana nell’aria. Iniziava a sentire la stanchezza e il suo corpo non si muoveva più con la rapidità di prima. Vide Tamamori cadere a terra a pochi passi da lui, le braccia strette intorno al corpo, e vide il sangue macchiare velocemente i suoi vestiti.
Stavano perdendo. Stavano perdendo la battaglia e lui non stava mantenendo fede alla sua promessa.
Aveva giurato che li avrebbe riportati a casa dalle loro famiglie, vivi. Aveva giurato che li avrebbe difesi a costo della propria vita, perché era lui la causa delle loro sofferenze. Aveva giurato che sarebbe tornato all’albero cavo insieme a Taisuke.
Quando si voltò verso il luogo in cui aveva lasciato Fujigaya riverso a terra, sbatté gli occhi confuso. In quel quadrato di terra non c’era nessuno, solo una macchia di sangue rosso intenso che brillava illuminato dai raggi della luna. Si guardò freneticamente intorno, cercando il compagno con lo sguardo.
“Comandante… laggiù…”
Non si era nemmeno accorto che Senga, il viso rigato di lacrime, era inginocchiato a pochi passi da lui, impossibilitato a continuare a combattere; il sangue gli correva lungo entrambe le braccia, profondamente ferite.
Nella direzione indicata dal ragazzo, oltre le figure ansimanti di Yokoo, Nikaido e Miyata, c’era Fujigaya. Avanzava lentamente, sforzandosi di mettere un piede davanti all’altro, e teneva la spada puntata a terra, come se non avesse la forza di tenerla sollevata. Aveva lo sguardo acceso di una luce intensa, quasi fosse la pura forza del suo pensiero a tenerlo in piedi nonostante il dolore. Il viso pallido, i vestiti strappati, camminava verso Yara senza timore. Questi sembrava che lo stesse aspettando, ma Kitayama non riusciva a leggere l’espressione del suo viso.
Si avvicinò rapidamente ai due, fermandosi a pochi passi di distanza.
“Fujigaya, torna subito indietro! E’ un ordine!”
Taisuke non sembrava sentirlo, o prestargli particolare attenzione, perché continuò ad avanzare.
“Fujigaya!”
“Yara Tomoyuki…” anche la voce di Taisuke si era indebolita tanto quanto il suo corpo, ma non tremava né vacillava. “Quel ragazzo… quello che ho… ucciso… qual era il suo nome?”
“Ryota… Yamamoto Ryota.”
“Il tuo… braccio destro?”
“Molto di più.”
“Capisco…”
Kitayama continuava a spostare lo sguardo da uno all’altro, inquieto. Fujigaya sembrava follemente tranquillo, e Yara avrebbe potuto ucciderlo facendo appena tre passi avanti ma non sembrava avere intenzione di muoversi.
Fujigaya lasciò cadere a terra la spada e crollò in ginocchio, ansimando rumorosamente e portandosi una mano al petto. Muoversi non avrebbe aiutato il suo corpo a superare lo shock della tremenda ferita che gli deturpava il torace. Kitayama fece per avvicinarsi a lui, ma
Yara puntò la spada nella sua direzione.
“Fai un passo e lui è morto, comandante. Dimmi il tuo nome.”
“Fujigaya… Taisuke…”
“Il braccio destro di Kitayama?”
Taisuke esitò e si voltò verso il suo comandante. Sorrise, più a se stesso che a lui, e riportò gli occhi su Yara.
“Molto di più.”
“Hai qualcosa da dirmi prima di morire?”
“Se uccidi… me…” Taisuke fu scosso da un attacco di tosse che lo lasciò senza fiato, ma Yara non gli mise alcuna fretta. Era come se tutta quella situazione non gli piacesse nemmeno un po’. “Se uccidi me… lui soffrirà… lascerà perdere la… missione… potrai scappare…”
Kitayama trattenne il respiro. Accanto a lui, Yokoo mormorò qualcosa a denti stretti che non riuscì a capire, ma poco gli importava.
“Mi stai offrendo la tua vita in cambio di quella dei tuoi compagni?”
Fujigaya annuì, quasi senza fiato. I capelli gli cadevano attorno al viso, celando la sua espressione, e sapeva che entro pochi istanti sarebbe crollato a terra senza forze.
Kitayama sentì le lacrime rigargli il viso. Tutti i sacrifici che aveva fatto, tutte le sue silenziose promesse, stavano svanendo come neve sotto il sole. Non stava proteggendo quei ragazzi, non stava proteggendo Taisuke, stava guardando impotente mentre il suo compagno rinunciava alla sua vita per… per qualcosa che avrebbe dovuto fare lui. Un suo compito, un suo dovere.
“Taisuke, ti prego…”
Yara si voltò verso di lui. Sembrava combattuto. Per essere un uomo dal cuore di pietra, come volevano i racconti, aveva già visto passare sul suo volto una quantità impressionante di emozioni contrastanti.
“Una preghiera, comandante? Una preghiera non salverà le vostre vite. Che provenga da te… o da lui.”
Prima ancora che Yara potesse scattare verso Fujigaya, la spada pronta a spezzare la sua giovane vita, Kitayama si era già lanciato nella sua direzione. Si rese conto di aver lasciato cadere la katana solo quando si trovò tra Taisuke e Yara, disarmato, ma si consolò con la consapevolezza che non sarebbe stato abbastanza veloce da sollevarla e parare il colpo.
Quando la spada di Yara lo trapassò da parte a parte, si chiese come mai non fosse così doloroso come se l’era aspettato. Si sentiva ancora pieno di forze e con la mente lucida, avvertiva solo la sgradevole sensazione del sangue che cominciava a sgorgare dalla carne recisa. Era quasi sorpreso di vedere l’elsa della katana a pochissima distanza dal suo corpo, la lama fuori dalla sua portata visiva. Si sentiva ancora così bene che si sorprese, pochi istanti dopo, della debolezza che lo prese alle gambe e lo fece precipitare a terra.
“HIROMI!”
Si sentì afferrare da braccia robuste e calde e chiuse gli occhi alla piacevole sensazione. Aveva a malapena avvertito la lama uscire dal suo corpo, e ora sentiva una mano premere forte lì dove doveva esserci, lo sapeva, l’incurabile ferita. Sentì rumore di battaglia e le urla disperate dei suoi uomini che si lanciavano all’attacco, ma aprire gli occhi era diventato troppo difficile ora che li aveva chiusi.
“Hiromi… Hiromi…”
Solo quella voce singhiozzante riuscì a convincerlo a sollevare le palpebre. La luce della luna quasi lo accecò, ma più intensa ancora era la luce di quegli occhi scuri fissi nei suoi, carichi di una disperazione così profonda da scacciare la nebbia che aveva offuscato la sua mente negli ultimi minuti.
Ora gli era tutto perfettamente chiaro.
“Tai… suke…”
“Shh, non parlare. Yara… Yara è morto, sai? I ragazzi ce l’hanno fatta, tutti insieme… ce l’hanno fatta… oh Hiromi! Perdonami!”
Taisuke nascose il viso sulla sua spalla e Kitayama sorrise. Non riusciva a muoversi, non riusciva nemmeno a sollevare un braccio per passare le dita tra quei capelli che tanto desiderava accarezzare. Riusciva solo a stare immobile, gli occhi fissi sulla luna piena, con la consapevolezza che la lucidità stava scivolando dalla sua testa con la stessa velocità del sangue che sgorgava da suo corpo. Sentiva la presenza degli altri intorno a loro. Tutti gli altri. Qualcuno, oltre a Taisuke, stava singhiozzando. Doveva essere Senga. Il piccolo Senga. Era ancora vivo. Erano tutti ancora vivi.
Ce l’aveva fatta. Sarebbero tornati dalle loro famiglie. Li aveva protetti. Ce l’aveva fatta…
“Taisuke… mi… dispiace…”
“Di cosa, Hiromi?”
Ora lo stava di nuovo guardando in viso, il suo bellissimo Taisuke. Gli stava sorridendo e sentiva una delle sue mani accarezzargli il viso. Era una bella sensazione e senza volerlo si ritrovò a sorridere a sua volta.
“I fiori… volevi… vedere… i fiori…”
“Andremo a vederli insieme, Hiromi. Quando tutto questo sarà finito torneremo all’albero cavo come quando eravamo bambini. Lì intorno sarà pieno dei fiori più belli del paese. Ci nasconderemo nell’albero a parlare per ore, Hiromi, finché non manderanno i cani a cercarci. E staremo insieme per sempre.”
“Mi… piace l’idea…”
Chiuse gli occhi un istante per cacciare via le lacrime, ma si ritrovò incapace di riaprirli. Combatté per qualche secondo prima di dichiararsi sconfitto, per la prima volta nella sua vita.
“Portali a… casa… Taisuke…”
“Lo farò, comandante. Lo farò…”
Sorrise per l’ultima volta, Kitayama, mentre sulle labbra sentiva il sapore delle sue lacrime mischiarsi con quello delle lacrime di Taisuke che precipitavano sul suo viso. Socchiuse la bocca per assaggiarne il sapore, e lo trovò il più dolce che avesse mai provato. Quando sentì le labbra di Taisuke posarsi sulle sue, si lasciò andare.
Gli sembrava quasi di sentire profumo di fiori nell’aria.
*
Fujigaya riportò a casa i compagni e il corpo del comandante, e la notizia del loro successo giunse così inaspettata che il kanpaku in persona andò a congratularsi con loro. Negli ultimi mesi, quelli che quando erano partiti erano poco più che bambini, erano tornati come onorevoli samurai. Le cicatrici che deturpavano i loro corpi e le loro menti non erano altro, agli occhi degli estranei, che il simbolo della loro raggiunta maturità.
Rimasero insieme finché fu loro concesso. Nessuno osò dissentire quando chiesero che il loro gruppo fosse dichiarato permanente. Inoltre, con la morte di Kitayama, il comando passò a Fujigaya.
Taisuke non tornò mai più all’albero cavo. Aveva la sensazione che, se l’avesse fatto, avrebbe infranto la promessa con Hiromitsu. Quel giorno fatidico, poco prima della battaglia, avevano giurato che ci sarebbero tornati insieme. Ora doveva solo aspettare di raggiungerlo, poi vi sarebbero tornati. Andarci da solo sarebbe stato un tradimento, e Taisuke non sopportava nemmeno l’idea.
Alzò gli occhi al cielo e sorrise. Le nuvole erano scure e cariche di pioggia, l’inverno non sarebbe finito presto.
“Spero ci siano fiori bellissimi anche lì, Hiromi. Quando sarà il momento, torneremo insieme all’albero cavo.”
“Comandante! E’ ora di andare!”
“Arrivo! E dì a Toshiya di portare più bende questa volta! Yuta ha la brutta abitudine di farsi male a ogni passo!”
Senga ridacchiò. “Ricevuto.”
Un profumo di fiori lasciò Fujigaya senza fiato per un paio di secondi. L’inverno non era la stagione giusta per quel tipo di profumo. Si guardò intorno, confuso, ma poi sorrise.
Una preghiera per la persona che amo e che è sempre con me… ***
FINE
*** ずっとそばに 愛しい人へ ...祈り / Zutto soba ni itoshii hito he... Inori -> è il verso finale della canzone Inori.
Questo è il video dell'esibizione, ma penso che la conosciate tutti ormai! ♥
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Se l'avete letta tutta nonostante la lunghezza, vi ringrazio. ♥