Nome: Promethéus desmòtes
Rating: arancione
Personaggi: Grimmjow Jaegerjaquez, nuovo personaggio
Genere: drammatico, generale, introspettivo, triste
Note: AU, what if (?)
Premessa: questo mio progetto ha una premessa piuttosto semplice: raccontare il passato umano di Grimmjow, e cosa lo ha portato ad essere l'hollow che tutti conosciamo.
Fulminata dalla visione del dipinto di Delacroix "il massacro di Scio" mi sono fatta un full immersion sulla storia di quest'isola, e l'ho trovata perfetta per Grimmjow.
Vi sorprendereste di sapere che un tempo fu di dominazione Genovese (e per tal motivo ho usato nomi italiani), mentre per i personaggi originali, come Ezio e Calliope, non so se definirli propriamente tali, dato che per crearli mi sono basata (più o meno) su Ichigo e Orihime.
Ps: Grimmjow da umano l'ho fatto biondo...
Buona lettura!
Promethéus desmòtes
“Voi tutti non capite un accidente! Non avete capito un bel nulla da quando siete giunti qui!”
Il vento del deserto spazza via incessante le cime delle candide dune, incurante della parole di tuono che spezzano la sua danza millenaria. Giungendo da ogni dove, le parole si perdono come un eco in alta montagna.
“Siete voi che avete iniziato questa guerra mille anni or sono, non noi!”
Non è una voce aliena quella che ulula la sua rabbia per quelle lande povere e desolate. I suoi occhi sono colmi di antico risentimento, verso chi lo osserva dall'alto in basso giudicandolo solo per quel che lui è. All'ora come adesso, il vento soffia a senso unico.
Sorride lui.
Sorride ancora il Re immaginario, e i suoi occhi felini brillano crudeli alla realtà delle sue parole, le ultime dopo l'ultimo feroce dialogo avuto con un nemico testardo e arrogante.
“Il mio unico intento non è quello di piegarvi, ma di distruggervi e divorarvi cosicché possiate vedere il mondo attraverso i miei occhi!”
Tacciono gli avversari alle assurde parole dell'Arrancar distruttore, ignorando assieme a lui ciò che lo ha portato a venerare la distruzione nella sua forma più pura.
Il vento del deserto lo sa, ma volutamente tace, lasciando che gli eventi si compiano ancora una volta, adesso come all'ora.
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Isola di Chios, 1822.
L'inverno se ne stava andando lentamente da quell'isola sperduta e lontana diverse miglia dalla madre Grecia.
Non che il freddo fosse temibile a dire la verità, solo quando pioveva l'umidità entrava nelle ossa e li si iniziava a rabbrividire, ma per il resto il tempo era spesso generoso e adatto a coltivare la vite.
Grimmjow Jaegerjaquez attendeva l'arrivo della primavera con i piedi a mollo nell'acqua tiepida del mare, e con le mani rigorosamente in tasca nell'attesa di vedere il sole stagliarsi allo zenit.
Il vento tiepido portato dal mare, gli scompigliava i capelli chiari e faceva danzare in cielo le gabbianelle come se fossero state fatte di carta anziché di piume e carne.
Il loro stridio misto a quello di altri numerosi uccelli, che danzavano in cielo in attesa della folata giusta per raggiungere il nido sulle alte scogliere a picco sul mare, si perdeva con il rumore delle onde del mare che andavano a sbattere contro gli scogli e la spiaggia. Morendo contro le sue caviglie esposte all'acqua carica di salsedine, distraevano il giovane giusto un po' dai suoi pensieri.
Per quel giorno suo padre non lo aveva voluto con sé sulla barca.
Non lo voleva mai quando quel figlio sconsiderato che si ritrovava combinava dei casini giù in paese, o andava ad importunare le persone sbagliate.
Ecco che dunque lo teneva a terra a sbollire la rabbia dopo la solita ramanzina, lasciando che spendesse tempo perso a mollo nel mare e cercasse di capire dove cavolo avesse sbagliato ancora una volta.
Imbronciato per quell'ennesimo giorno iniziato male, il giovane borbottò bestemmie al vento dando dei calci all'acqua con fare annoiato, senza comunque muoversi di li con l'attesa che, con l'arrivo del mezzogiorno, le prime navi sbucassero fuori all'orizzonte.
I raggi del sole tingevano i suoi capelli biondi di una tonalità ancor più brillante, facendoli apparire come fili dorati in testa al ragazzo più disadattato dell'isola, oltre che il più strano.
Grimmjow era l'unico isolano ad avere capelli biondi come quelli di un normanno, e ciò era dovuto al padre di nazionalità francese che ora era in alto mare a pescare. Un particolare che suscitava curiosità verso gli stranieri che giungevano nell'isola, non abituati a vedere un nordico passeggiare tra persone di ovvia origine mediterranea.
Seccato per il breve pensiero rivolto al genitore lontano, il ragazzo decise di ritirarsi verso l'umida battigia, costatando il lento arrivo dell'alta marea, camminando aggressivo verso un candido masso che raccoglieva il suo povero vestiario.
Abbandonate sulla calda pietra calcarea, vi erano solo le sue scarpe di tela e la giacca di lino ormai priva del tutto di preziosi bottoni e dalle tasche bucate.
Stranamente gli andava bene così, se doveva badare ad ogni bottone che perdeva, avrebbe mandato ben presto sua madre al creatore per l'esasperazione che le portava in corpo.
Le imbarcazioni non erano apparse all'orizzonte, quindi per quel giorno nessuno sarebbe attraccato al porticciolo giù al villaggio, ma lo avrebbe fatto solo a sera inoltrata.
Irritato, il giovane si rivestì in fretta deciso più che mai a fare qualcosa per non cedere alla tentazione di pensare al nervoso che albergava nella sua testa.
Cosa avrebbe potuto fare altrimenti? Restare in acqua stando attento a non bagnarsi i pantaloni, oppure andare in paese e prendere qualche boccale di vino o una sigaretta?
Ripensandoci e muovendo semplici pensieri, il ragazzo ghignò all'idea di accantonare tali propositi per andare a trovare un'unica persona.
E guarda caso, abitava proprio lungo la via che portava al paese. Una scusa a dir poco perfetta per il giovane Jaegerjaquez.
[…]
“Calliope”
Una voce gutturale e cupa, volutamente modificata, portò la fanciulla intenta a lavare i panni in un grosso catino di legno, a perdere due battiti del cuore.
Colta di sorpresa, la giovane distolse gli occhi castani dalle lenzuola sporche di cenere, per orientarsi al meglio nel giardino di casa e capire chi avesse pronunciato il suo nome.
Alle sue orecchie non giunse nulla, se non il rumore del vento che passava tra i cespugli di rosmarino. Placido e dolce, portava i primi spiragli di primavera in quella terra lontana.
Confusa, la donna ritornò a lavare i panni con la cenere presa direttamente dal caminetto della cucina, restando comunque vigile e perplessa per quella strana anomalia. Immergendo le braccia nell'acqua sino ai gomiti, in un ritmo costante e ipnotico.
Poi di nuovo, il suo nome venne dettato con una cadenza ancor più gutturale e teatrale del precedente.
“Calliopeee...”
Dovette ancora una volta fermarsi nel lavoro, preoccupata di quella voce che la chiamava, dannatamente simile ad una che ben conosceva.
“Ma chi...”
La giovane non fece in tempo a completare la domanda, che da un cespuglio di rosmarino posto poco lontano da lei, con un sordo ruggito, Grimmjow Jaegerjaquez balzò fuori come il più feroce dei predatori deciso a catturarla.
La fanciulla strillò dalla sorpresa di trovarselo davanti all'improvviso, abbandonando a terra il lavoro assegnatole dalla madre, lasciando che le lenzuola cadessero a terra fradice sporcandosi di polvere e foglie, pur di sfuggire ad un predatore intenzionato a catturarla.
“Ohi! No! Grimmjow sto lavando i panni, dai!”
Le suppliche tremolanti della ragazza, poco servirono a bloccare la furia della bestia. E dopo un breve inseguimento che si protrasse fin sotto il porticato di casa, il giovane pescatore riuscì a catturare la preda all'altezza della vita.
Catturandola e tenendola ben stretta, incurante della sua resistenza che si faceva sempre più debole - anzi, divertito da quell'ostinatezza, dai calci e dei pugni che lei gli dava - il ragazzo la costrinse a voltarsi e a guardarlo in faccia.
“Non mi piace quando fai così...”
Sentenziò lei, con una espressione imbronciata su quel suo volto ancora da bambina.
Ma di tutta risposta il predatore sghignazzò come un beota, tastandole con forza i fianchi formosi indignandola ancora di più, manco avesse vinto la gara più importante della propria vita.
“Ah... Ti ci dovrai abituare quando diventerai mia moglie”
Non andava molto per il sottile Jaegerjaquez, ed era storico il suo impuntarsi su determinate cose.
Attaccabrighe com'era, preferiva definirsi uno spirito libero che seguiva i propri ideali, nonostante spesso e volentieri appariva come l'esatto contrario.
Quegli stessi ideali misteriosi, che lo avevano impuntato di voler sposare Calliope fin dall'età di tredici anni, benchè conscio dei problemi che vi sorgevano attorno.
Non che la bella giovane - dalle forme generose come una dea in terra e dalla storica pazienza - non gli volesse bene, anzi, tutt'altro, ma i grattacapi erano ben altri.
Lei gli riponeva un affetto unico simile a quello di una madre per il figlio, ma diverso nella sua natura. Unico insomma, come il bacio che le rubò nonostante la sua ovvia perplessità.
Un semplice bacio sulle labbra, volgare e osceno da dare ad una donna che ancora non la si possiede, ma che non fece in tempo a stemperarsi in un qualcosa di più passionale come lui avrebbe ben voluto.
Il problema appunto, era un altro, e non risiedeva in lei.
Ma in suo fratello.
Con un urlo se possibile ancor più terrificante di quello di Grimmjow, un giovane uomo spuntò dall'ombra di una porta socchiusa, fiondandosi a peso morto sul giovane pretendente molesto.
Grimmjow preso alla provvista, fece giusto in tempo a liberare la ragazza dall'abbraccio - evitando così che venisse coinvolta pure lei - venendo letteralmente travolto da una furia bestiale che lo scaraventò a terra oltre il porticato.
Allibita, Calliope si lasciò scappare un grido di pura sorpresa vedendo che colui che ora giaceva a terra assieme al biondo, era nientemeno che suo fratello Ezio.
Ezio e Calliope Della Rocca, appartenenti a quella che un tempo era una delle più famose e antiche famiglie genovesi che abitavano sull'isola, ora era ridotta a semplici pescatori proprio come la famiglia di Jaegerjaquez. Giusto qualche ulivo e fila di vite possedevano, a ricordo dei bei tempi passati, una tacca piuttosto alta rispetto al pretendente della secondogenita della famiglia, che di suo non aveva nulla.
Ma nonostante il loro essere poveretti, l'arroganza ancora scorreva nelle vene, e in particolar modo in quelle di Ezio. Che tosto, si accinse a riempire di pugni la faccia di Grimmjow, colpevole di aver osato vituperare l'onore di sua sorella ancora una volta.
Il giovane dagli spettinati capelli biondi incassò alla grande quei feroci pugni, e ne restituì altrettanti alla pancia di quel bastardo, mandandolo con la schiena a terra.
E per tutto il giardino, echeggiavano i ringhi dei due giovani uomini, e di una ragazza che si sgolava nel tentativo di placarli.
“Ohi! Grimmjow... Ezio!! Ma che fate?! Fermatevi per Dio!”
inutilmente Calliope chiedeva loro di fermarsi, e la rabbia mista alla tensione la stava portando alle lacrime. Ma quelli continuavano a menarsi, e a cianciare tra un pugno e l'altro, ignorando che la creatura contesa era rientrata momentaneamente in casa sconvolta.
“Dannazione a te, Ezio! Ma di che ti impi... Ah!! Cane schifoso!”
l'ennesimo pugno che Grimmjow ricevette, gli spaccò il labbro inferiore inondandogli la bocca di caldo sangue. Nulla in confronto alla maschera rossa che era il volto del giovane Della Rocca.
“Taci, porco! Te lo devi mettere in testa che tu... Tu mia sorella la devi lasciare stare!”
Il giardino recava ovunque i segni della loro lotta, con anfore distrutte e cespugli rovinati, e per di più quei due non accennavano a smetterla.
Per quanto si riempissero di pugni, nessuno dei due sembrava avere l'umiltà di cadere a terra sconfitto.
“Io tua sorella me la sposo! E te vai a farti fottere!! sempre se ne avrai il coraggio...”
la battuta di Grimmjow, dettata con una crudele malizia, ebbe il potere di far arrossire il rivale in un misto di rabbia e imbarazzo, portandolo a buttarsi con più ferocia verso l'amico.
“Figlio di... Ooohh!”
A discapito di possibili pronostici, la fine della battaglia fu decretata da Calliope stessa.
Ezio infatti, non riuscì a finire la frase, che uno strano oggetto contundente lo colpì alla schiena con forza, gettandolo a terra tra la polvere.
Poi ancora, non contenta delle imprecazioni di agonia, la donna esasperata per quell'inutile lite, colpì con la ramazza anche il futuro sposo interdetto da quel suo gesto, continuando a colpire entrambi ignorando totalmente le loro proteste.
“Calliope! Ma che ti piglia?! Ferma... Oh!”
“Sorella! Mi fai male!!”
Scena abbastanza disonorevole per i due, venir messi al tappeto da una femmina armata di scopa, ma sicuramente meritata per il loro ardito temperamento. Ma la donna era ben lungi dall'essere una isterica megera come le loro rispettive madri, e scrutandola interrogativi a terra e con le braccia ancora in posizione di difesa, notarono solo una Calliope dalle guance arrossate e con le lacrime agli occhi.
“E ora... Fatemi il piacere di sparire fino a stasera”
[…]
“Sei il solito imbecille!”
“E tu il... Ahia! …. Coglione perbenista!”
“N-non è vero! Io tengo alla morale, e tu decisamente ci vai contro!”
Calliope era stata chiara, non voleva più vederli per tutto il giorno, a causa di quel loro caratteraccio che le spezzava di continuo il cuore. Testardi e cocciuti, non avevano molto tatto nel trattare con una fanciulla, e questo era il risultato.
La sorella di Ezio avrebbe anche potuto curare le loro ferite, bagnandole di impacchi medicamentosi e lavando via loro il sangue, dato che aveva nozioni di medicina, ma si rifiutò categoricamente di farlo. Perchè a suo dire, “se li avesse nuovamente curati, poi sarebbero tornati a menarsi” e per quanto alle loro orecchie fosse assurdo, ora ne stavano pagando le conseguenze.
Si trascinarono pesti e malconci fin giù al paese - prendendosi più di una occhiata acida dai passanti per il loro aspetto selvaggio - riposandosi infine sulla scalinata in pietra della chiesa, stesi come se stessero prendendo il sole sul pontile.
Qualcuno si soffermò ad osservarli tra il curioso e il perplesso, ma da quei due, una volta riconosciuti i giovinastri, ci si poteva aspettare di tutto. Anche una cosa blasfema come bivaccare sul sagrato della chiesa. Quindi si passava oltre, si faceva una espressione quanto meno indignata, e li si lasciava sotto il sole cocente di mezzogiorno a sospirare esausti.
“Certo che...”
“Cosa?!”
“Tua sorella ci ha menati... Ehe!”
Ridacchiò Grimmjow a quel flebile pensiero, ricevendo in risposta però, solo il suono di una smorfia dall'adorabile amico Ezio. In effetti, anche quel piccolo lato aggressivo di Calliope - anche se era più esasperazione ma vaglielo a spiegare - gli piaceva molto.
Non c'era una singola cosa che non gli piacesse di quella benedetta ragazza, anche quando lo irritava con le sue “prediche” non riusciva ad odiarla.
Ma il giovane Della Rocca non era affatto in vena di battute.
“Ma piantala... E soprattutto piantala di impuntarti di voler sposare mia sorella! Non hai un soldo... E lei non ha ancora una dote decente! Come pensi di sfamarla, eh?!”
Quelle erano tutte balle alle orecchie del giovane pescatore, e per tale motivo sbuffò seccato a quelle nuove polemiche, mettendosi a fatica a sedere sul gradino per asciugarsi del sudore dalla fronte con la manica della giacca. C'era poco da fare, il loro risentimento era una cosa a pelle.
E fu in quel momento, nel mentre si lavava via il sudore che gli bruciava le ferite dovute allo scontro, mentre si stava studiando la nuova risposta da dare a quel bastardo, che li vide in fondo alla piazza.
“Ehi...”
“Oh? Che vuoi?!”
“Guarda là...”
Accompagnò quelle parole con un cenno della testa, ed Ezio non poté che incuriosirsi a quel che stava accadendo.
Tirandosi su a fatica pure lui, lamentandosi dolorante per i colpi alla schiena ricevuti, la prima cosa che notò fu lo sguardo truce di un Grimmjow insolitamente scuro in faccia, poi solo indirizzando lo sguardo verso il punto designato, vide ciò che lo aveva reso così tetro.
E non poté che essere concorde con lui, almeno per quella questione.
Dei turchi fuori da una taverna - quella dove di norma i due giovani pescatori amavano passare il tempo perso - stavano parlottando tra loro in tutta tranquillità, sorseggiando con calma dei boccali di vino fresco di cantina. Uomini dalla pelle ambrata e dai fucili lucidi come le baionette che si portavano appresso, parlavano nella loro incomprensibile lingua di cose apparentemente divertenti.
Ezio e Grimmjow non faticarono a riconoscere la loro nazionalità, dal momento che indossavano abiti tipici della guarnigione turca sull'isola.
“Ma la loro religione non vieta di bere sostanze alcooliche?!”
“Tzè... In casa degli altri si permettono di fare quello che vogliono...”
Il disprezzo di Jaegerjaquez per i turchi, era ben noto alla sua famiglia e a tutti i suoi amici. E poco gli importava se la loro era una dominazione secolare e ormai radicata. A lui non fregava nulla se sempre grazie a loro, l'isola era sopravvissuta grazie al commercio e non era morta come molte altre isole dell'Egeo.
Lui teneva soprattutto conto di una cosa, ossia dell'arroganza con cui si impostavano nel comandare un popolo che non apparteneva certo a loro.
Secondo lui infatti, Chios apparteneva unicamente ai suoi stessi abitanti. Alla gente che li vi era nata, che ci aveva abitato a lungo lavorando la terra e pescando sul mare, ed infine morta e sepolta.
Ma non a loro.
Loro che pretendevano e basta, comandando duramente un popolo non più contento di avere dei padroni.
Un odio viscerale quello di Grimmjow, che addirittura lui stesso non riusciva quasi a spiegare, se non nella spiegazione semplicistica che quella gente andava contro i suoi stessi ideali.
A ricordo del disprezzo dell'amico per i turchi, Ezio scosse la testa lentamente con fare negativo, preoccupato per il suo futuro di spregevole attaccabrighe.
“E quindi cosa vorresti fare? Andare li a suonargliele? Siamo messi male e finché non ci danno fastidio, tanto vale lasciarli perdere. Non possiamo niente contro di loro, Grimmjow”
Dovevano essere parole sagge quelle del ragazzo dai capelli d'ebano. Avrebbero quantomeno dovuto far star zitto il compagno aggressivo, senza tuttavia avere un buon esito.
Per quanto comunque Grimmjow non si mosse dal gradino su cui era seduto, continuando a guardare quella gente che se la rideva incurante dei suoi sentimenti, egli parlò con tono di pietra.
“Ti sbagli... È proprio qui che ti sbagli. Noi possiamo distruggerli”