[Bleach] The Last Man part 2/2

Apr 13, 2011 11:27

Nome: The Last Man (seconda parte)
Autore: medesima sottoscritta
Fandom: Bleach
Personaggi: Kenpachi Zaraki, Ikkaku Madarame, Aiasegawa Yumichika, nuovo personaggio
Conteggio parole: 6443
Rating: v.m 18
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale, Erotico.
Avvertimenti: lemon, What if, violenza, contenuti forti, oneshot
Note: Ebbene l'ho fatto. Ho creato un seguito di una mia precedente oneshot, ossia Allegory (potete leggere anche questa senza aver letto la prima comunque). Non so se questo sequel sia all'altezza o meno della precedente opera, questo sta a voi giudicarlo. Ma ancora una volta ho voluto analizzare meglio la figura di Kenpachi Zaraki. Che lo ammetto, mi affascina sempre di più. È un individuo folle, ma di quella follia consapevole. È un personaggio che sa distinguere vita normale e vita spesa nel campo di battaglia. Non è un mostro sanguinario, o quantomeno io non lo considero tale.
Attenzione, c'è violenza, si c'è anche del gore (erotismo applicato alla violenza... Tipo come i Vampiri), ma essendo questa una storia molto introspettiva mi sono soffermata più sulla psiche che sulla descrizione esplicita. Dopotutto non ce lo vedo Kenpachi a fare il “Romeo” della situazione. In più, ho voluto mantenere le “distanze” da questo personaggio che ho inventato e che qui ha un ruolo importante. Sta tutto a vostro giudizio e a vostre teorie, se reale, irreale eccetera! Per ultimo, ad aiutarmi nella scrittura ci ha pensato la colonna sonora del film “the Fountain” firmata da Clint Mansell e in particolare i pezzi “Lux Aeterna” e “The Last Man” (che da il titolo alla storia). Pezzi che vi consiglio di ascoltare perchè decisamente belli, li potete trovare sul tubo ù.u Buona lettura a voi! Ditemi cosa ne pensate grazie!


La fine dell'agghiacciante grido - voce delle anime mangiate dall'essere senza nome partorito da lui stesso - coincide con un suo attacco.

Il capitano Kenpachi ha ancora le mani alle orecchie e la mente sconvolta per riuscire a preoccuparsene. Sente solo il petto squarciarsi al tocco di una lama serpentina e poi tante stelle iniziano a mostrarsi ai suoi occhi serrati.

La lama nemica sferza sulla sua pelle coriacea resa scura dal sole e forte dalle intemperie, generando un suono delicato quando la taglia come un filetto di carne.

Il guerriero spalanca gli occhi per vedere il suo stesso sangue brillare e sporcare timido l'avversario. Il sangue brilla come gioielli alla luce di un sole che si appresta a calare su di un fiume dorato.

Non è da lui restare imbambolato a fare il pupazzo di carne, ripristina la guardia e para un'ennesima scudisciata velenosa. Digrigna i denti nel vedere le spade scintillare al tocco feroce, non è abituato a combattere contro le donne. Non gli piace, è sbagliato.

Possono dirglielo in tutte le lingue del mondo i suoi cari colleghi, ma lui con le donne non ci combatte. Anche se queste si prestano nell'ucciderlo in modo spietato.

Lei non gli da tregua, felice come non mai di poter uccidere chi non l'accetta. I colpi si susseguono così come il sangue che ora inizia a brillare di tenui raggi lunari. Spietati e senza tregua.

Come una morte che non arriva mai Zaraki para quelle frustate di fredda luce, con l'anima che lentamente gli ribolle di mille sentimenti.

È provato dalla scena. Dall'incontro. Dalla situazione in generale. Sa che l'abisso è ad un passo da lui pronto ad abbracciarlo.

È una situazione che lo manda in bestia. Si gonfia d'ira negli occhi simili a quelli di un animale selvatico. I colpi si susseguono così come il furore viscerale che lo eccita di rabbia e di passione.

Indugiare così, in uno scontro senza via d'uscita, non ha senso per lui. Ed è combattuto se predicare il credo per cui tanto combatte o amare la bestia che lo sovrasta.

Forse sceglie la via più semplice ma il grido rauco che gli fuoriesce dalle corde vocali ormai stanche sorprende la creatura. Abbassa la guardia a quello che sembra un comando.

I suoi occhi sgranati si incontrano veloci con quelli furenti di una bestia sporca di sangue, presa per la gola da una mano callosa e deformata dalle fatiche del tempo.

La creatura femminile lancia un grido rauco e di riflesso la spada le scivola via dalle mani delicate di principessa. Una sottile differenza che lo Shinigami nota quando suddette mani vanno a conficcarsi nel suo polso per contrastarlo. Un tocco semplice che lo porta a vibrare di un piacere represso e selvaggio.

Ed è combattuto. Non sa se sgozzarla seduta stante o sbattersela contro l'albero alle loro spalle. In entrambi le soluzioni c'è qualcosa di tremendamente sbagliato. Lo sa.

Se la uccide è come se mettesse definitivamente fine ad una parte di se stesso. Se la sporca commetterebbe un reato imperdonabile.

No, non vuole nulla di tutto ciò. Non è un mostro.

Allora prende decisione nell'esatto momento in cui delicatamente rilascia quel collo apparentemente fragile, lasciandola per un momento interdetta. Lascia che la sua stessa spada cada a terra nell'ennesimo urlo contrariato inascoltato, scegliendo la via del ricongiungimento.

Così come in quell'umida mattina di tanti anni fa Kenpachi cinse la vita della bella fanciulla per attirarla a se, altrettanto fece l'uomo che era diventato decidendo di fare quello che in anni passati non aveva fatto.

Sotto la pallida luna che ora tingeva il fiume di una luce argentea, egli decise di amare la bestia.

[…]

Ciò che non venne consumato quel giorno di tanto tempo fa, venne divorato in quella notte spaventosa.

Il fievole ricordo di quelle labbra di donna si riaccese prepotente quando Kenpachi Zaraki le riassaporò famelico. Il solo gusto lo fece vibrare di un istinto represso assopito nel ventre e nella carne. Si sentì bruciare al tocco di quella lingua rovente e serpentina. La voleva, non sapeva cos'altro aggiungere.

Non si sarebbe aspettato così tanta accondiscendenza da lei. Non si sarebbe mai immaginato di risentire quella sua risata tra un bacio e l'altro. Era ipnotica, forse lo stava stregando.

Quel tocco non fu nulla in confronto alla sensazione donata dal corpo stesso della creatura. A sentirsela addossata a se. Il suo ventre, il suo seno. Tutta quella figura insomma, addosso alla sua dalle carni piene di ferite e teso come una molla pronto a scattare. Quasi gli parve di impazzire, nel sentire addosso al suo petto duro come la roccia e colmo di rabbia quel morbido seno di una pelle delicata di principessa.

A separarla da lui solo lo strato fornito da una stoffa bianca sporca del sangue di un guerriero perso di testa e di corpo. Una bellissima sensazione destinata ad andare oltre.

Calcò la mano in modo pesante sulla femmina ignota. Come artigli si posarono sulle sporgenze più morbide dandole un malsano piacere. Non si curò troppo se le stava facendo del male. Non gli importava se il suo stesso sangue andava a macchiarle le membra e le vesti.

Strinse con forza con quelle sue mani callose ovunque e dove poteva, strappandole a più riprese mugugni divertiti sibilati ad un passo dalle sue labbra assetate. Era bello saziarsi di lei. Era bello saziarsi dei suoi baci.

Andò persino a tirarle la cute dorata spingendosela ancor di più sulle proprie labbra rovinate, avendo sentore di poter spaccare quel cranio con una sola mano da tanto che per lui era piccolo.

Ma la forza della bestia non era minore della sua come ben si aspettava, arrivando a sentire le vertebre del collo quasi piegarsi dal dolore quando lei glielo andò a cingere con ambo le braccia.

La spinse poi verso il basso, verso il letto di muschio verde che li accolse con un suono leggero, affamato in modo indicibile.

Divorare ed essere divorati. Ora come non mai desiderava ardere assieme a lei che si prestava ad azzannargli il collo e la sua base con canini affilati come quelli di una serpe.

Affondarono nel collo muscoloso come due aghi iniettandogli qualcosa di simile ad una saliva ardente di fuoco, mescolandosi al suo stesso sangue e portandolo a guaire senza mai fermarsi.

Era calda lei.

Calda fuori, calda soprattutto dentro, a tal punto da portare Kenpachi in uno stato così assorto e concentrato da non prestare troppa attenzione alle sue fauci affamate. Gorgoglianti di piacere e sangue, affondarono nella base di quel collo sempre più provato al ritmo di quella sua passione selvaggia.

Mai si sarebbe aspettato di vivere una simile euforia. Mai in tutta quella confusione dettata dall'istinto e dal veleno della donna si sarebbe trovato quasi inconsciamente in lei. Ed era bellissimo.

A tratti si ritrovava a strappare via quel muschio smeraldino che li accoglieva come un giaciglio, scosso da forti brividi ad ogni sua spinta secca e decisa. Brividi intensi che gli toglievano il fiato portandolo a muovere la propria virilità con foga insistente.

Era fuoco puro che lo portava a stringere sino alla collera i fianchi della bestia che lo stava intossicando mescolandosi a lei e all'odore di entrambi. Con gioia malvagia la femmina inarcava la schiena per poterlo accogliere meglio in se, e poterlo così avvelenare più e più volte ancora.

Un intenso odore di sesso e di sangue. Di amore e di odio.

Nessuno oltre a lui avrebbe sopportato ancora quei baci affamati, quei morsi violenti e quel ventre di donna che lo accoglieva all'esasperazione. Ogni goccia di veleno era una parte di lui che moriva, ogni affondo in lei era una parte di lui che tornava in vita. Nessun uomo avrebbe sopportato un confronto così diretto, tranne che lui.

Colui che viene forgiato dalle battaglie può solo amare la bestia che è diventato.

[…]

Il mattino è surreale.

Non ha nulla dell'aspetto tipico di un'alba nel pieno di una estate infuocata, quanto l'immagine spettrale e nostalgica di raggi solari che cozzano contro la foschia che riveste il paesaggio.

Una nebbia sottile che fuoriesce dall'impenetrabile foresta e si riversa nel fiume, accompagnando uno stanco guerriero che giace ai piedi della radura nei suoi pensieri ancora storditi.

Il capitano Kenpachi Zaraki non ricorda l'esatto momento in cui tutto il fuoco che ardeva in lui smise di bruciare rendendolo come un semplice lumicino, ma al momento era conscio di avere la schiena appoggiata ad un tronco dalla corteccia ruvida e secca. Sotto di lui intanto il muschio accoglieva ancora il peso di entrambi senza aggiungere obiezioni, ora umido di una rugiada gelata di un insolito mattino stregato.

Tra le sue mani il volto della donna non sembrava aver risentito di una intensa fatica e di una ben peggiore dannazione. Seduta nel suo grembo, rannicchiata come una fanciulla quale non era, si lasciava toccare il volto da mani non più tanto forti come prima, seppur dalla presa ancora decisa e infatuata.

Non vi era nulla di strano, si stava solo lasciando studiare da lui, il cui volto duro come la pietra e dai segni del tempo che iniziavano a mostrarsi sulla pelle forte come il cuoio andavano in terribile contrasto con il demone bianco.

Il guerriero non voleva più dimenticarsi quel volto. Non voleva che l'istintiva paura gli togliesse anche quel ricordo pericoloso consumato la notte prima. Studia attentamente ogni singolo dettaglio - dai capelli, il taglio degli occhi, la colorazione dell'iride, la maschera stessa a nasconderle lievemente una guancia - inculcandoselo nella testa e felice che fosse sempre stata come se l'era sempre immaginata.

Abbozza uno stanco sorriso nel silenzio più assoluto, accompagnato di rimando da una creatura che gli accarezza dolcemente il collo precedentemente dilaniato. Il tocco è leggero su ferite che ancora pulsano di dolore.

È strano, ma da dove si trova riesce a percepire il timido rumore di acque frastagliate di un fiume poco lontano. Mentre sente sempre meno presente la donna vestita ora di stracci, come ormai prossima a sfuggirgli via dalle mani intorpidite dalla stanchezza e dal veleno.

È pura sensazione di impotenza quello che lo coglie. Sa che non potrà tenerla stretta a se in eterno, è questa la regola.

Sospira quando la vede sollevarsi lentamente da lui, facendo scivolare via le proprie braccia dalle sue. Sente qualcosa rompersi nel cuore nel vederla sgusciare via dal tiepido abbraccio, ma sa che deve lasciarla andare.

Le sfiora le dita per un ultima volta accompagnato da un suo sorriso enigmatico e soddisfatto. Sa di averlo in pugno, è suo. Ma non aggiunge altro.

Non ride di risata beffarda e maliziosa, non lo scruta appagata quando volta le spalle al suo autentico opposto e decide di sparire via nella foresta. Il guerriero fa giusto in tempo a scostarsi una lunga ciocca di capelli che gli ostruiva in parte la vista, notando una candida figura dileguarsi tra le fronde ancora buie.

Non sa il suo nome. Non sa cosa l'ha spinta ad avanzare in queste terre. Sa solo che è difficile doversene separare.

Poi sente una strana rabbia salirgli in petto quando non la vede più, nata sicuramente dalla frustrazione di non poterle dire nulla o fare alcunché.

[…]

Il suo ritorno a casa è accompagnato dal silenzio più assoluto.

Non una strofa di una canzone spensierata fuoriesce dalle sue labbra livide e rovinate. Non ha voglia di cantare le gesta di una cavalla imbizzarrita.

Non è un passo sereno quello che lo porta a camminare lentamente per la strada maestra. È lento e stanco, sembra quasi una agonia se non fosse per la fierezza con cui cammina.

È l'animo a soffrire, ma di ciò è abituato.

Ignora sguardi ora spaventati e non più sprezzanti di contadini che si fanno sempre meno poveri ad ogni distretto che supera. È concentrato unicamente su se stesso e il suo sguardo deciso fa paura.

Solo qualche abitante di un villaggio che supera molto velocemente, gli chiede se ha bisogno di aiuto per quel lato destro di un collo e spalla pieno di fori rossi e pulsanti di dolore.

Zaraki lo ignora, deciso come non mai a non rinunciare a quel dolore e a quel veleno. Se vivrà, cosa che succederà ovviamente, sarà il suo stesso organismo a provvedere a neutralizzarlo.

Solo quando si appresta a raggiungere il Seireitei decide di allungare considerevolmente il passo, saggia decisione per non dare troppe spiegazioni in seguito.

Trova la forza per correre veloce e distanziarsi quindi dai contadini perplessi, e dalle guardie della città proibita in seguito.

Non ha nulla da spiegare a nessuno, ne ai suoi colleghi, ne ai restanti capitani. Ciò che per lui rasenta la perfezione naturale, per altri è sinonimo di blasfemia. Ed è l'ultima cosa che vuole.

Sguscia veloce tra le vie che conducono alla sua dimora, apparendo come un fantasma coperto di stracci neri ai pochi viandanti che passano per strade ancora deserte data la prima ora del mattino.

Nessuno si cura molto delle condizioni dell'uomo che porta il nome di Zaraki - ottantesimo distretto del Rukongai, il paradiso - sicuramente, pensano, sarà andato a divertirsi in modo tutt'altro che convenzionale.

Una etichetta questa, che lo salva da domande inopportune.

[…]

Il suono timido di un batuffolo di cotone sporco di sangue che cade su di un piatto d'argento, irrompe in un silenzio surreale che scorre per la stanza dalla pesante penombra. È l'alloggio privato del capitano, in pochi vi hanno l'accesso. Solo i fedelissimi.

Kenpachi digrigna i denti in silenzio nel sentire un altro batuffolo di cotone colmo di acido disinfettante solcargli la pelle dilaniata. Brucia, ma è sopportabile.

Accanto a lui, bagnato da una luce quasi irreale proveniente dalla finestra dinnanzi a loro, Ayasegawa Yumichika si apprestava con solenne silenzio a curare le ferite del proprio capitano. Poco distante da loro, un Ikkaku Madarame se ne rimaneva in silenzio seduto sul pavimento di legno a far di guardia alla porta. Uno sguardo teso e severo, quasi intimorito, che andava in contrasto con quello apparentemente tranquillo di un collega prestatosi ad infermiere, gli incorniciava il giovane volto.

È un silenzio irreale scosso solo dai batuffoli di cotone pregni di sangue infetto che cadono su di un piatto d'argento, sino ai mugugni e ai sospiri a stento trattenuti di un capitano ancora provato da quella che era stata - per loro - una battaglia orribile.

Sa che i suoi uomini non sono così ingenui. Ha voluto mettere al corrente solo loro e tenere fuori dalla cosa persino Yachiru. È ancora troppo piccola per capire certe cose.

“Signore, temo che questo non basti a placare le ferite...”

il tono di Yumichika non tradisce emozioni nel mentre che cura il suo capitano. Non vi è preoccupazione ne pregiudizio. Forse quello più turbato è Ikkaku, ma se ne fa comunque una ragione.

“Non mi importa, tampona e basta. Passeranno da sole”

accoglie ancora con silenzio un batuffolo tenuto su da pinze metalliche fredde come la morte, nel mentre che accoglie la medicina su di una pelle che non vuole sbarazzarsi del marchio di lei.

Alla vista di un capitano così malridotto i suoi uomini avevano subito pensato ad un combattimento all'ultimo sangue. Poi ne avevano visto lo sguardo, il tangibile odore di donna seppur per loro corrotto da un qualcosa di selvatico, e in silenzio avevano capito.

Nessun mostro ad accoglierlo in un letale abbraccio, quanto l'incontro con la bestia.

I suoi uomini se ne stanno di conseguenza zitti, e pensano che forse - forse - la storia della fanciulla smarrita in un campo di morte raccontata a loro tanto tempo prima, non sia del tutto vera.

Forse - sempre e comunque forse - l'incontro avuto dal loro capitano con la creatura è stato più di un semplice bacio di consolazione.

Ma restano nel silenzio più assoluto ed eseguono i loro compiti. La tortura è già visibile negli occhi del loro capitano e supera il dolore fornito dal veleno.

Striscia come la luce che irradia di fredda luce la stanza semibuia, portatrice di un nuovo giorno per gli Shinigami - dei della morte - in quelle terre purificate. Non sanno quanto tempo ci vorrà per vederlo recuperare la solita spavalderia.

Forse molto. Forse con tutta probabilità poco. Sarà ancora una ennesima ferita che lo porterà a dormire con più timore la notte, esattamente come scuote i due soldati ogni qual volta che fanno a gara a chi abbassa le palpebre per primo, timorosi di incontrare spettri orribili mossi da spietate erinni nel sonno.

“Questa sera ci sarà una riunione tra i capitani. È sicuro di volerci andare?!”

non traspare molta preoccupazione nella voce dell'androgino Shinigami, mentre Kenpachi nota comunque che Ikkaku alle sue spalle si è irrigidito preoccupato.

Ora si era passati alle garze per far riassorbire gli ematomi finito con il cotone.

“Per stasera sarò in forma” commenta secco un capitano che accoglie con fastidio la sensazione ruvida fornita dalle garze.

Così come la luce che inizia a filtrare nella stanza spoglia e dal mobilio essenziale, anche il caldo inizia a farsi sentire timido dentro le loro vesti.

Nessuno dei presenti ci bada. Un silenzio ben più freddo e spaventoso li accoglie in ogni gesto.

Una paura che il capitano non comprende affatto. Non più ormai.

Anche se il presagio futuro potrebbe non essere gradito a nessun uomo in terra, il suo amore per quell'istinto selvaggio e crudele generato dal suo stesso impeto non gli fa temere nessuna paura.

Riflette ora nella luce che bagna i tetti delle varie caserme presenti, conscio di un particolare che farebbe rabbrividire ogni uomo. Ma che lui trova a dir poco ironico.

Se un giorno avesse mai di nuovo incontrato la bestia che ancora gli sussurra, a distanza di ore, parole di fuoco alle orecchie, quasi sicuramente sarebbe stato l'ultimo giorno in cui l'avrebbe rivista.

Un particolare forse angosciante, ma prima di allora avrebbe comunque ancora gridato il nome della sua amata - spada alla mano - nel furore delle battaglie.

v.m 18, fanfiction, bleach

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