[Bleach] The Last Man part 1/2

Apr 13, 2011 11:25

Nome: The Last Man
Autore: medesima sottoscritta
Fandom: Bleach
Personaggi: Kenpachi Zaraki, Ikkaku Madarame, Aiasegawa Yumichika, nuovo personaggio
Conteggio parole: 6443
Rating: v.m 18
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale, Erotico.
Avvertimenti: lemon, What if, violenza, contenuti forti, oneshot
Note: Ebbene l'ho fatto. Ho creato un seguito di una mia precedente oneshot, ossia Allegory (potete leggere anche questa senza aver letto la prima comunque). Non so se questo sequel sia all'altezza o meno della precedente opera, questo sta a voi giudicarlo. Ma ancora una volta ho voluto analizzare meglio la figura di Kenpachi Zaraki. Che lo ammetto, mi affascina sempre di più. È un individuo folle, ma di quella follia consapevole. È un personaggio che sa distinguere vita normale e vita spesa nel campo di battaglia. Non è un mostro sanguinario, o quantomeno io non lo considero tale.
Attenzione, c'è violenza, si c'è anche del gore (erotismo applicato alla violenza... Tipo come i Vampiri), ma essendo questa una storia molto introspettiva mi sono soffermata più sulla psiche che sulla descrizione esplicita. Dopotutto non ce lo vedo Kenpachi a fare il “Romeo” della situazione. In più, ho voluto mantenere le “distanze” da questo personaggio che ho inventato e che qui ha un ruolo importante. Sta tutto a vostro giudizio e a vostre teorie, se reale, irreale eccetera! Per ultimo, ad aiutarmi nella scrittura ci ha pensato la colonna sonora del film “the Fountain” firmata da Clint Mansell e in particolare i pezzi “Lux Aeterna” e “The Last Man” (che da il titolo alla storia). Pezzi che vi consiglio di ascoltare perchè decisamente belli, li potete trovare sul tubo ù.u Buona lettura a voi! Ditemi cosa ne pensate grazie!

Quando il sole batte alto e potente in mezzo ad un cielo che dire cristallino è puro eufemismo, non vi è nulla che possa reggere a lungo soprattutto in agosto inoltrato.
In particolare, è da notare come la pazienza sia la prima cosa a farsi benedire quando il caldo va ad intaccare il cervello ancor prima delle membra e delle ossa.

Se alterato il corpo reagisce di conseguenza. Suda, ondate di calore improvvise, disturbi comportamentali che vanno dagli scatti d'ira a crisi isteriche.

Il capitano dell'undicesima brigata accoglie con una smorfia un rivolo di sudore che solca la pelle coriacea della sua fronte. Con pazienza, lo accoglie nello stesso modo in cui ha accolto gli altri suoi gemelli. Senza quasi battere ciglio.

Arriccia lievemente l'angolo sinistro del labbro, mettendo in evidenza denti bianchi e forti, prima di tornarsene a masticare la cannuccia della sua lunga pipa d'avorio.

Il capitano aspira tabacco come se fosse aria pura di montagna, la inala dentro i polmoni incurante di come tale fumo bruci i suoi tessuti interni, e poi rigetta il tutto dalla bocca con un soffio delicato puntando dritto al cortile interno della sua caserma.

Borbotta lievemente e ascolta in silenzio - sempre intento a fumare nonostante un caldo insopportabile che rende il suo pessimo haori una gabbia per il corpo - alcuni schiamazzi che provengono dalle camerate che si affacciano sul porticato di legno, distanti da lui si e no pochi piedi.

Sa chi urla ma non ha voglia di alzarsi da terra per correre dietro ai suoi uomini per colpirli di piatto con la lama della sua malandata spada. Piuttosto, e c'è da comprenderlo dato un caldo anomalo, preferisce rimanersene a gambe incrociate sotto l'ombra di un porticato che non rinfrescherebbe neanche una mosca esausta.

Giova solo alle zanzare che si crogiolano sul soffitto spiovente sopra la sua testa, in attesa della sera per mietere le loro vittime peggio di hollow famelici.

Quando gli schiamazzi si fanno infine più vicini, passando di camera in camera fino a raggiungere la porta d'ingresso al cortile e concretizzandosi in qualcosa che non fosse più degli echi indistinti, il collaudato guerriero dalle tante cicatrici distingue le voci di Madarame e Ayasegawa intenti con quello che sanno fare meglio.

Litigare come due zitelle.

È troppo stanco per alzarsi in piedi e dar loro un paio di legnate. Davvero troppo e non riesce a far altro che a masticare con più forza la dura cannuccia della sua lunga pipa.

I motivi degli schiamazzi sono poi chiari quando Yachiru fa la sua comparsa in cortile con la velocità di un cacciatore che aggredisce la propria preda, cogliendo alla sprovvista Ikkaku azzannandolo alla capoccia pelata lucida come una sfera metallica.

La piccola si aggrappa come una lampreda alla pelle del soldato facendolo ululare di rabbia mista a dolore, in un concerto che segue Yumichika che si piega in due dalle risate e strappa pure all'accaldato capitano un lieve sorriso.

Ma in sé, quella scenetta a breve diventa per lui fastidiosa.

Kenpachi Zaraki se ne compiace comunque, è felice che la sua piccola abbia una dentatura così forte e prepotente. È felice di averle dato un futuro e la possibilità di azzannare alla testa chi più le piace.

Forse lo è un po' meno Madarame ma un bel “chissenefrega” non lo toglie nessuno.

Per questo, con un sentimento che dire noia è poco, il capitano ignora il caldo tremendo fornito dai suoi stessi vestiti per alzarsi in piedi sulle lunghe gambe e fulminare dunque i suoi uomini.

La sua voce è come un tuono da tanto che è cupa e stentorea.

È più di un eco, è un ordine secco che non ammette repliche e fa vibrare le pareti di legno e cemento. Gli uomini lo osservano e deglutiscono in silenzio, la bambina continua a masticare la testa del soldato incurante dell'ira del capitano.

“Mi sto annoiando, me ne vado...”

“Ma capitano...” inizia Yumichika con uno sguardo interrogativo. La sua sta per nascere come domanda ma il suo signore non ha voglia di ascoltare.

“Yachiru, fa la guardia a queste due zitelle. Ci si vede stasera... Se siete ancora vivi”

Kenpachi intravede gli sguardi sconvolti dei suoi uomini prima di voltarsi del tutto verso l'uscita della caserma, incurante di lasciare li una bambina che si limita a strillare felice per la possibilità di comandare un branco di uomini incapaci.

Sorride il capitano, mentre il fornelletto si accende di una intensa luce rossa con l'ultimare delle ultime foglie secche bruciate. Una passeggiata tra i boschi non può far del male a nessuno, lui compreso.

[…]

il Seireitei offre una panoramica piuttosto vasta qual è una degna città proibita.

Molta etichetta e poco “divertimento” per come la intende lui. Per quanto sia un mondo in miniatura nella sua potente vastità di città con annesse foreste, nulla offre ad un uomo che giunge dalle più salmastre e pericolose regioni del paradiso.

Rukongai, settore ottanta, distretto Zaraki. Bizzarro notare come abbia preso il “cognome” da li.

In vita si era dimenticato parecchie cose, la certezza unica era quella di saper maneggiare la spada e saper fare la cosa che gli riusciva meglio.

Nel distretto ottanta non ci sono molte cose da fare, se non morire o combattere per non morire. Kenpachi non sa morire, ma sa combattere spinto fino all'esasperazione in un sentimento che sfocia nel piacere più assoluto quando impugna la sua spada senza nome. E il suo nome lo identifica come uno che di voler morire non ne vuol proprio sentir parlare.

Non ha mai trovato paradossale che in paradiso ci si ammazzi nell'esatto modo in cui ci si ammazza in altri piani esistenti, trova però curioso che gli hollow vengano a nutrirsi ove nessuno della loro specie abbastanza saggio verrebbe a mangiare. Non in terra nemica almeno.

Mentre il capitano cammina per le strade dei primi innocui distretti, portando i campanellini che porta ai capelli a tintinnare delicati ad ogni passo, pensa che non sarebbe poi una idea malvagia dimenticarsi del caldo infernale andando un po' a caccia.

Sa dove andare, procedendo in linea retta tranquillo come un comune pellegrino, ignorando occhiate che si fanno sempre più aspre da parte di poveri contadini ad ogni distretto sempre più frustrati e affamati, ricorda di un posto dimenticato da Dio e dagli Shinigami stessi.

Sa dove si trova il paradiso, reso incolto da nessuna manutenzione e dalla brutta fama di terre di briganti, e sa come raggiungerlo.

Per la sua strada il guerriero si limita a borbottare qualche strofa di una qualche non ben specificata canzoncina popolare, di una cavalla imbizzarrita le cui gesta manco se le ricorda per bene neppure lui. Non hanno importanza le strofe, quanto la passione che ti spinge a cantarle.

Pertanto, ogni suo passo è come quello di un tempo, spensierato nel mentre che canticchia per dimenticarsi di occhiate disgustate, diretto al paradiso che tanto apprezza.

Tra una camminata tranquilla e un passo più accelerato per impedire che il tempo scorra via inutilmente, riesce a raggiungere il luogo designato verso il tardo pomeriggio.

È verso il limitare del distretto numero ottanta - casa sua - ma si tiene ai margini verso l'incolta foresta terra di briganti.

Non è una palude quanto una foresta di conifere, tagliata in due da un placido fiume e da un vasto greto di sassi levigati dall'avanzare delle acque nel tempo.

È bello li. Ma è un pensiero forse troppo beffardo quello di volerci fare dimora e mettere su famiglia. Ride lui, al fievole pensiero di una innocente casetta in mezzo alla foresta e a due passi da un placido fiume. Ancora non sa che quel paradiso nasconde un inferno.

[…]

Lo schianto al suolo coincide quasi subito con l'urlo disumano di chi lo ha spintonato via senza remora.

Kenpachi viene letteralmente sbattuto contro il greto del fiume e striscia su di esso per diversi metri, portando la resistenza della sua pelle a dura prova su sassi tutt'altro che perfettamente levigati. Qualcuno riesce a corrodergli il mento e a farlo sanguinare, poco male, la cosa è interessante.

Si rialza in piedi con l'ausilio della spada, mettendosi a ridere per il semplice fatto che, la semplice passeggiata, si era rivelata una battaglia piuttosto cruenta.

I nemici si sono tenuti con un basso profilo fino al suo arrivo in quel pezzo di paradiso incontaminato, quasi sicuramente notando il suo forte reiatsu fin dal principio. Forse mentre era ancora per la strada principale.

Un drappello di hollow è come una benedizione per il forte guerriero. Un po' di movimento e la possibilità di far piangere la sua spada da tanto che non la comprende. Il canto dello spirito non gli giunge all'orecchio, una spada è solo uno strumento di morte. Quello di parlarci è una stronzata degna di un comune capitano.

È strano però, i suoi nemici si rivelano essere più di semplici hollow bestiali. Sono tesi di animo e di corpo, ogni loro gesto e attacco sembra essere fatto con l'intento di schiacciarlo definitivamente.

Pezzenti. Li evita senza troppi problemi e l'attacco di quello che lo ha scaraventato sul greto, un umanoide di taglia considerevole, forse più di un comune hollow, va miserevolmente a vuoto.

Kenpachi ride mentre affonda la spada nel costato della creatura, consapevole di eviscerarlo in un modo brutale. Non calcola che al grido disperato della bestia coincide un suo colpo di coda fatto di riflesso.

La frusta fatta di vertebre e scaglie ossee lo colpiscono prima del sangue del nemico, buttandolo ancor più lontano, un colpo diretto ai reni va precisato, fino a che non cade nell'acqua cristallina. Lo specchio d'acqua che fino a qualche minuto prima si limitava a vibrare per il cruento massacro a cui tali acque erano costrette ad assistere, si mostra come il cemento quando lo Shinigami ci va a sbattere.

Fa male, ma poi passa.

È un attimo e il guerriero vede il blu e i pesci che si dileguano di tutta fretta. La spada è sempre stretta in mano. Questo è un bene.

Ma questo è un male per il suo avversario, si intende.

Tocca il fondo ciottolato con i calzari e da li si da lo slancio necessario per riemergere del tutto. L'acqua smossa in precedenza riesplode e gli hollow sul greto ululano quasi di riflesso. Il nemico è forte, emerge dalle acque come rinato dal ventre di una madre mai conosciuta. È peggio di quanto pensassero, sorride sadico e divertito.

Qualcuno di loro continua a guardarsi alle spalle verso una foresta impenetrabile, ma è il guerriero da temere maggiormente.

“Ehi - la sua voce li richiama all'ordine come un branco di discoli bambini - ero affezionato a quei campanellini, sapete?”

si tocca i lunghi capelli bagnati e sciolti a indicare l'oltraggio subito dal precedente attacco. Se prima sembrava una bestia assetata di sangue ora agli occhi delle creature appare molto più simile ad uno di loro. E questo fa paura.

[…]

è una danza che si fa sempre più vermiglia.

I flutti di sangue si mescolano con l'ardente sole che muore all'orizzonte e bagna d'oro le acque di un fiume tornato ormai placido come un tempo. È una visione spettacolare, lui lo sa.

La sua spada cozza contro pelli coriacee e budella dall'orrido olezzo. Vanno in cenere solo quando la creatura muore, ma fino a quel momento poco atteso il guerriero si ritrova a ridere zuppo di sangue.

Trova strano però che se ne stiano li a farsi ammazzare. Che restino sul greto del fiume a farsi sbudellare nel tentativo di uccidere un nemico impossibile da abbattere.

Nota che si guardano spesso indietro. Voltano il capo mostruoso verso le fronde impenetrabili e parlano. Parlano in una lingua a lui sconosciuta. Non gli piace, da fastidio e gli fa istintivamente paura.

E il fatto che gli sembra di percepire paura in uno scontro simile, nel sentire voci cupe echi di tante anime mangiate, è cosa questa che lo manda in bestia.

Forse sono comandati a distanza da un hollow ben più considerevole delle loro vite. Forse il suo avversario teme la sua ira e resta imboscato.

Forse... Si sta divertendo a guardarlo combattere? Oppure quelle creature si stanno affannando a proteggere qualcosa?

Che sia per diletto o per terrore, è una situazione che al guerriero non piace. Ciò lo manda in bestia, portandolo a non indugiare oltre sulle rive di un fiume tinto d'oro e di prime stelle.

Al suo slancio verso la smeraldina foresta, una cacofonia di voci sgraziate ne seguono il passo.

Sono urla d'odio e di rabbia, urlano nonostante le loro ferite siano orribili e invalidanti. Corrono anche loro per fermare la corsa di un demone vestito di nero e di sangue.

Da un lato è divertente, dall'altro è una scena che lo disgusta.

La spada ruota e si bagna di luce quando punta verso il sole, prima di finire nelle teste delle creature un po' per volta. Ululano loro, muoiono mentre corrono assieme a lui.

Le loro grida si fanno più intense così come il loro alito sempre più vicino alla sua nuca. Un qualcosa di indescrivibile, che va dall'anidride carbonica allo sterco.

Si avvicina agli alberi, sente ormai l'odore della resina e della vegetazione dei primi timidi arbusti che supera tra uno smembramento e una decapitazione.

Non ci vede più da tanto che il sangue nemico gli offusca la vista. È troppo divertente.

Ma con l'ultima decapitazione, dopo quella che è stata una corsa in apnea, un grido si leva per la selva.

Kenpachi grida quando sente, ne è sicuro, di essere giunto dove voleva per stanare il bastardo. Taglia l'ultima testa mostruosa che gli sopraggiunge le spalle e poi folle di passione si gira con una furia tale da trovarsi i capelli come fruste sul petto.

Punta la spada infine, quando i corpi maciullati prendono a sgretolarsi come statue di cenere, sulla gola di colui che tanto brama. A quel punto è singolare che il polso che brandisce l lama devastata inizi a traballare lievemente, e un moto che lo porta a deglutire si fa sentire forte e chiaro.

Sgrana gli occhi infine, nella più totale delle peggio sorprese.

All'euforia succede il turbamento, poi la paura. La stessa delle creature a cui ha dato una morte implacabile.

Odia la paura, ma non può fare a meno di provarne. Nel turbine di cenere che passa tra di loro come fiocchi delicati di una neve fuori stagione, il guerriero nota una donna.

Non è paura, no. È solo turbamento il suo. Ne è sicuro, poiché era certo di dare la caccia ad un nemico vero e non ad una qualunque donna.

Kenpachi si muove per un momento incerto sul posto, tenendo ancora la lama rovinata ritta sulla giugulare della presumibile “nemica”. Borbotta con le labbra e tenta di soffiarsi via dagli occhi le lunghe ciocche di capelli unte di sudore e sangue.

Tenta di ragionare velocemente ma invano.

Poi nella sua anima c'è un sussulto quando una memoria ancestrale inizia a pizzicargli il cervello.

Il primo sentore è di un battito perso nel suo vecchio cuore impavido, l'altro è l'odore stesso che il soggetto emana. Non è sgradevole, sa di pelle e di un profumo strano. È sinistro per lui, ma ha il sentore di qualcosa di già visto.

La vede, ce l'ha davanti agli occhi ma la sua vista è offuscata a tal punto che gli pare di vedere un lenzuolo bianco. È fastidioso, però continua a sapere di già visto.

Lui quella stessa identica situazione sa di averla già vissuta, da ragazzo, nei suoi momenti spesi in un distretto povero e selvaggio. E quando se ne ricorda, poco ci manca che si mette a gridare.

Tempo fa aveva fatto una confidenza ai suoi uomini, e lo aveva fatto per puro sbaglio.

Mentre i suoi uomini litigavano - quasi di consueto - in un tardo pomeriggio estivo, il capitano per zittirli entrambi su un argomento che riguardava le donne, argomento questo di discreto interesse, si era lasciato sfuggire una sconcertante rivelazione da quelle sue labbra rovinate.

“Beh allora? Qual è il problema?! Io una volta ho baciato una donna senza neppure sapere il suo nome”

la sorpresa si fece largo nei volti stanchi di Ikkaku e Yumichika dopo una intensa giornata lavorativa, ammutoliti dalla tanto intraprendenza equivoca del loro capitano.

“Ah... Lei intende...”

“Era una fanciulla Madarame, chiariamoci subito”

Aveva detto loro, con una punta di nostalgia tangibile, ciò che per anni si era sempre tenuto gelosamente dentro il cuore.

Una paura antica, una strana euforia ed infine una istintiva rimozione del ricordo al suo incontro con la bestia.

Ai suoi uomini non mentì in quella fresca sera primaverile, si limitò ad omettere certi aspetti di quel suo incontro con una “fanciulla” in mezzo ad un campo pieno di nemici ammazzati, terrorizzata per quel turbine di violenza a cui dovette assistere per forza maggiore.

Ricordò di averle puntato addosso la lama della sua spada, e di essersi commosso a quel volto di bambina innocente.

“La baciai sulle labbra per consolarla e null'altro. Poi se ne è andò via senza dire una parola”

Balle. O meglio, omissioni di tutta una veduta ben più ampia e scomoda.

Mai Kenpachi si era accompagnato con una prostituta, sono i vigliacchi a farlo. Mai aveva baciato creature terrorizzate dando loro ancor più paura, sono i mostri che si concedono questo.

Spesso si era ritrovato a stringere i pugni in silenzio quando vedeva un uomo pestare la propria compagna. Il più delle volte aveva mandato giù rabbia nell'osservare bambini costretti a fare quel che non volevano - e dovevano - fare. Si rischia di diventare indifferenti in un simile mondo.

Eppure in quell'alba umida di rugiada e sangue era sicuro di aver incontrato ciò che un guerriero teme ed ama al contempo.

Quella che si mostrava come una innocua fanciulla nel racconto dettato ai suoi uomini, si rivelò essere una bestia che lo tentò di spirito ancor prima della carne.

Il destino lo volle vorace quel giorno. Lo volle carico di passione mentre divorava quelle labbra di donna. Fu spaventoso, ma fu anche dannatamente eccitante.

E in quel turbine frenetico che ben descriveva quel suo impulso strano e selvaggio - quella bestia che lui sempre ha nel cuore - si ritrovò infine solo in mezzo ad una radura che sapeva di morte. Rimase infine la risata della creatura ad accompagnarlo poi negli anni successivi.

Ma in quel specifico momento ci fu una confusione tale dentro la sua testa, da fargli assumere una espressione che dire intontita forse era poco.

Seppur confuso i sensi non gli mentivano. Era lei.

Era la bestia che aveva incontrato anni or sono, ora che la sua vista si faceva sempre più chiara e ne vedeva meglio i lineamenti che tanto lo avevano - al tempo - stregato.

Era lei, e con una indole di rabbia istintiva digrignò i denti nel vedere un sorriso beffardo sbocciarle dalle labbra.

Quella rabbia che monta nel guerriero vestito di stracci neri è simile all'odio. Quelle sue mani che tremano nel tenere impugnata una spada che grida nel silenzio più assoluto, si tendono con i nervi a fior di pelle nel risentire quel timbro strafottente nella risata che lo aveva accompagnato nell'ultima confusione dopo la battaglia.

Vaffanculo, era lei. Di nuovo. A distanza di anni e dell'istinto che giustamente aveva rimosso parte di quella memoria.

Poi il suo sorriso si stempera, e la bocca si apre disumana nell'urlargli addosso tutto l'odio che la sua razza nutre per gli Shinigami.

È un altro colpo che Zaraki non si aspetta, che lo porta a sgranare gli occhi e a perdere così la nitidezza che aveva della figura. Abbassa la guardia sulla sirena urlante, il cui strillo si perde per la foresta come l'urlo di una banshee adirata, e stretto dal dolore si porta ambo le mani alle orecchie.

Il mondo in torno a lui vibra per poche frazioni di secondi. L'odio cresce così come cresce l'erba su un campo appena bruciato e fertile di semi.

La odia perchè è li. Perchè è inconsciamente una considerevole parte del suo stesso essere.

La odia perchè ciò che sta urlando è oltre un puro grido di battaglia. È il richiamo che giunge dalla parte più nera dell'animo umano.

La desidera come il sangue che scorre nelle sue stesse vene. Il rancore gli fuoriesce dalle corde vocali in risposta a quell'urlo infinito rivolto però ad una terra che traballa sotto i suoi piedi.

Vuole la bestia e nel fervore della battaglia quasi non riesce a disgustarsene. Solo odiarsi per non aver ancora ceduto al richiamo del sangue.

Ed è forse un controsenso questo, ma con lui le cose funzionano all'incontrario.

v.m 18, fanfiction, bleach

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