[T-Company] Che scintilla nella sabbia (Wheel, Bible)

Feb 18, 2011 20:54

Titolo: Che scintilla nella sabbia
Fandom: T-Company (?)
Personaggi/Pairing: Corporal Aidan "Wheel" Konrad/Major William "Bible" Blake
Rating: PG
Conteggio Parole: 1188 (fidipu)
Prompt: Sereno per la prima settimana della Cow-T di maridichallenge.
- Insciallah, tra i prompt della t_company .
Avvertimenti: slash, guerra, violenza, linguaggio.
Note: Mi sono mancati, i nostri uomini. ♥
Disclaimer: © t_company. (Nel segreto del plagio le fangirl non ti vedono, ma Bible sì. E non gli fa piacere.)

~ Che scintilla nella sabbia.

Sembra che non debba piovere mai più, mai più nella storia del mondo, e Wheel guarda in su, guarda il cielo sereno che lo tormenta di luce azzurra e pensa che sembra un deserto. Senza neppure una nuvola, solo con quel sole troppo freddo in mezzo al niente, sembra un deserto. Sembra pericoloso da matti, un lenzuolaccio di plastica che vuole cadergli in testa e soffocarlo. Forse Wheel è in piedi da troppo tempo, ma ha davvero, davvero paura del cielo. Che si squarci e, siccome è un deserto davvero, faccia piovere sabbia azzurra, sottile, pesante, per schiacciarlo e soffocarlo e inceppargli il mitra.
E a quel punto sì che Wheel sarebbe perso, andato, spacciato. Per sempre. Un soldato disarmato è più morto di un soldato morto, te lo insegnano al campo di addestramento - e non è che Wheel sia mai stato granché attento, al campo di addestramento, però non è mai stato neanche stupido, e l’ha imparato dalla vita che avere un coltello da macellaio nascosto nello stivale può risparmiarti un sacco di guai. O una semiautomatica ben oliata sotto la divisa. Una granata nelle mutande. Armi. Solo armi, dietro cui nasconderti finché il cielo non si apre e ti seppellisce di sabbia. Allora tornerebbe utile una pala, ma dove te la ficchi, una pala?
Le pale sono sempre un problema, quando la guarnigione deve caricare il materiale di combattimento sui camion. Non si sa mai dove metterle. Rotolano su e giù, dovunque le si appoggi, facendo un baccano tremendo che sveglierebbe pure la nonna di Wheel, vecchia anima persa in Polonia, che era più sorda di un muro. Di un orecchio accostato ad un’esplosione. Più sorda di Wheel, in questo momento, perché c’è il maggiore che lo sta chiamando da almeno cinque minuti e lui nulla, continua a fissare imbambolato il cielo, come se ci vedesse gli alieni o Marilyn nuda con due dita ficcate tra le gambe. O chissà cos’altro, una bottiglia di vino, una partita di calcio, una striscia di coca, qualsiasi cosa sognino ad occhi aperti i caporali.
(Un deserto azzurro che non finisce mai, col cielo dorato come la pelle cotta al sole delle ragazze di Chicago, Illinois, bionde come le bambine di Kalisz, Polonia. Un deserto che è una maledizione che ti rattrappisce le vene e ti asciuga il sangue. Un deserto di terribile serenità, il deserto di un incubo sognato alle quattro del pomeriggio dopo ventotto giorni di guerra, ventotto ore di veglia, ventotto minuti di sonno, ventotto soldati saltati per aria in ventotto secondi.)
«Ragazzo. Ragazzo. Ragazzo.»
C’è questa litania incredibilmente ipnotica che va avanti nella testa di Wheel, questa voce bassissima e gentile che s’incazza man mano che Wheel continua ostinato a cercare fratture nel cielo, e poi una mano callosa gli stringe una spalla e Wheel incontra la faccia del maggiore e il maggiore, grazie a Dio, non ha gli occhi azzurri, ha gli occhi verdi. Grazie a Dio, grazie a Blake.
«Buonasera, maggiore, signore,» saluta Wheel, annuendo appena, e Blake lo guarda un po’ male, chissà perché. Chissà perché?
«Ragazzo, che stai facendo?» chiede, e Wheel vorrebbe dirgli, in questo momento, o in generale nella mia vita?, ma non servirebbe a niente, perché in entrambi i casi non saprebbe che rispondere. «Ti ho detto due ore fa di andartene a dormire, perché sei ancora qui?»
Wheel si sforza, si sforza davvero di ricordare perché ha ignorato un ordine diretto di un suo superiore - del maggiore Blake, di Bible, - e chiude gli occhi contro l’odore forte e maschile di Blake, se ne lascia rimbecillire ancora ed ecco, ecco il motivo.
«Reed aveva bisogno di riposare, signore,» dice, stropicciandosi appena le tempie con due dita perché, Dio, che sforzo. «L’ho mandato nella sua buca a dormire un po’, ho preso il suo posto alla radio. Aveva… bisogno di riposare, signore.» Lo ripete, nel caso non fosse chiaro, e il maggiore Blake si sporge ancora un po’ verso di lui, si avvicina così tanto che Wheel pensa voglia baciarlo e non sarebbe una buona idea, non lo sarebbe davvero, perché Wheel è sicuro che un bacio così farebbe spaccare il cielo come se fosse fatto di cristallo. E Wheel non ci tiene a morire sotto la sabbia, davvero. Si sarebbe fatto mandare in Iraq, altrimenti. Davvero.
Blake non lo bacia, comunque, solo lo guarda negli occhi, gli guarda gli occhi, gli legge l’anima, no, gliela tira fuori da dove s’era andata a nascondere, in fondo allo stomaco di Wheel, sotto ventotto giorni di rancio; la ripulisce, la scuote, la costringe a respirare di nuovo e Wheel si mette a tremare violentemente, come non gli capitava da quando aveva sei anni e troppi incubi per riuscire a dormire.
«S-signore,» bisbiglia, i denti che sbattono maldestramente gli uni contro gli altri, ma Blake continua a guardarlo e ora Wheel vorrebbe che lo baciasse, davvero, qualsiasi cosa purché smetta di guardarlo. Con quegli occhi, quella serietà, quegli occhi. «Signore, la smetta, la prego. Signore.»
«Ho bisogno che tu vada a dormire, caporale Konrad,» mormora il maggiore, così piano che ogni parola, ogni sillaba, ogni suo respiro affonda sotto la pelle di Wheel come inchiostro. «Ho bisogno che tu vada a dormire e ci resti per almeno tre ore.»
«M-ma la radio, signore--» prova ad obiettare Wheel, ma il maggiore preme la bocca sulla sua per zittirlo, è un bacio asciutto, senza significato, semplice come le centinaia di baci che Wheel ha premuto contro il dorso della propria mano, ma rovescia il mondo a testa in giù e il deserto non è più nel cielo ma sotto i loro piedi, nelle canne dei loro fucili, giallo e immenso dietro la schiena del maggiore e Wheel è un po’ più lucido, adesso, e sa che il bacio gli è piaciuto, ma sa pure che non avrebbe dovuto piacergli. Sa, addirittura, che c’è ben poco da fare.
«Manderò qualcuno a sostituirti, ti sostituirò io stesso, se devo. Ma tu vai a dormire, Aidan. Mi hai capito? Vai a dormire. Tre ore. Niente incubi, niente seghe, niente cazzate. Dormi, tre ore filate,» ordina il maggiore, premendo una carezza contro l’orecchio di Wheel, e Wheel s’impiccia con l’orologio per tentare di impostare una sveglia o di portare indietro il tempo di due ore ma il maggiore lo ferma solo guardandolo. «Piantala, non ce n’è bisogno. Mando io qualcuno a svegliarti, tu pensa solo a dormire.»
E Wheel s’arrampica fuori dall’humvee, con le ginocchia molli e le gambe che neppure esistono più. Gli fa male il culo e gli fa male la schiena e gli fa male tutto, ma il maggiore lo tocca ancora e Wheel pensa, ancora un attimo resisto, fino alla buca. Fino alla buca.
«Tre ore, Wheel,» ripete il maggiore, vicino vicino vicino al suo orecchio, e Wheel annuisce.
«Insciallah,» dice, quasi con un sorriso, e il maggiore lo spinge via, verso la buca, verso la buca, e Wheel sta dormendo prima ancora di toccare terra, come a Dio piace. E, come a Dio piace, dorme tre ore filate, senza incubi, senza seghe, senza cazzate. Dorme, sereno come il cielo sopra la sua testa, e come il cielo sopra la sua testa pieno di sabbia fin dentro le mutande.

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